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Rapporti tra Procuratore della Repubblica e magistrati addetti all’ufficio requirente: esame delle relative problematiche

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Rapporti tra Procuratore della Repubblica e magistrati addetti all’ufficio requirente: esame delle relative problematiche

(Deliberazione del 19 febbraio 2004)

Il Consiglio superiore della magistratura, nella seduta del 19 febbraio 2004, ha adottato la seguente delibera:

«Nella presente pratica sono confluite molteplici pratiche aventi ad oggetto profili - in parte diversi, in parte coincidenti - dei rapporti tra procuratore della Repubblica e magistrati addetti all'ufficio inquirente: si tratta, in alcuni casi, di quesiti rivolti al Consiglio superiore della magistratura e, in altri, di sollecitazioni all'approfondimento di determinate, specifiche questioni.

La trattazione unitaria di tali pratiche - che sarà svolta anche sulla scorta delle indicazioni fornite dal parere dell'Ufficio Studi n. 221/03 - è imposta non solo dalla riconducibilità delle stesse ad un medesimo nucleo essenziale attinente appunto ai rapporti tra dirigente e magistrati addetti all'ufficio di procura, ma anche da esigenze di sintesi.

Sarà, pertanto, illustrato in estrema sintesi il contenuto delle diverse pratiche; verrà poi ricostruito il quadro normativo - primario e secondario - relativo ai rapporti tra procuratore e sostituti; infine, saranno esaminate - singolarmente o congiuntamente - le questioni oggetto delle diverse pratiche.

La pratica 181/1993 trae origine da una nota dei consiglieri Patrono e Marconi in data 13 ottobre 1993 nella quale, prendendo le mosse dalla deliberazione consiliare del 25 marzo 1993 - di seguito analizzata - e da alcuni articoli di stampa concernenti le vicende interne al pool della Procura di Milano, si evidenzia l'opportunità di disciplinare in modo ancor più rigoroso la materia, anche in relazione ai moduli organizzativi adottati dalle varie procure.

Anche la pratica 364/96 trae origine da una nota - in data 28 novembre 1996 - con la quale alcuni componenti del C.S.M. (i consiglieri Mura, Patrono e Zuccarelli) sollecitavano una discussione sui temi oggetto della delibera del 25 marzo 1993. Il fascicolo contiene anche un'articolata memoria a firma del dott. A., sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Roma, che in data 1° giugno 1994 trasmetteva al Consiglio un reclamo avverso la revoca della designazione a svolgere le indagini preliminari nel procedimento n. 4243/93R disposta nei suoi confronti dal Procuratore della Repubblica di Roma dott. V. M. senza l'adozione di un formale provvedimento, ma attraverso una estromissione di fatto dal procedimento, mediante l'improprio utilizzo di una delega per singoli atti di indagine. La nota del dott. A. aveva originariamente formato oggetto di una pratica di prima Commissione, archiviata dal Consiglio -

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con trasmissione di copia degli atti appunto alla commissione Riforma - nella seduta del 6 luglio 1994.

La pratica n. 35/1998 scaturisce da nota del 3 febbraio 1998, con la quale il dott. L. R., all'epoca sostituto procuratore della Repubblica presso la Procura circondariale di Venezia, poneva al Consiglio una serie di quesiti riguardanti i rapporti tra il Procuratore della Repubblica ed il sostituto addetto all'ufficio, in relazione al compimento di specifici atti di indagine preliminare nell'ambito di procedimenti penali a lui delegati. In particolare, i quesiti vertevano sulla possibilità da parte del procuratore della Repubblica di imporre al sostituto delegato il compimento di un atto di indagine con modalità diverse da quelle ritenute congrue e, in caso di risposta positiva, se tale potere potesse essere esercitato anche in assenza di previe direttive di ordine generale, con determinazione afferente uno specifico procedimento penale. Si chiedeva, infine, di conoscere quali siano gli strumenti di tutela della posizione del sostituto che non intenda aderire alla determinazioni del capo dell'ufficio.

La pratica n. 366/96 nasce dalla nota del 9 dicembre 1996 con cui quale la dott.ssa E.C., sostituto procuratore della Repubblica presso la Procura di Firenze, formulava una serie di quesiti in relazione alla circolare emanata dal dirigente dell'ufficio per stabilire che taluni atti di rilevanza esterna, diretti ad altre Autorità (quali, richieste di autorizzazioni a procedere, informative sull'azione penale, corrispondenza con i Ministeri, il Consiglio superiore della magistratura, la Procura Generale della Repubblica), dovessero essere sottoscritti dallo stesso procuratore della Repubblica o, in sua assenza, dal procuratore aggiunto. Con un'ulteriore nota del 4 luglio 1997, la dott.ssa E.C. formulava ulteriori quesiti concernenti la materia dei contrasti tra pubblici ministeri, con particolare riguardo alla mancata trasmissione di atti (neppure in visione) da parte del Procuratore circondariale al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale che ne ha fatto richiesta per l'unione agli atti di altro procedimento pendente. Dopo aver segnalato che il Procuratore Generale investito del contrasto aveva dichiarato il non luogo a provvedere, vertendosi su modalità esecutive del principio di collaborazione di cui all'art. 117 c.p.p. agevolmente superabile con l'auspicabile trasmissione in visione degli atti richiesti, la dott.ssa E.C. chiedeva di sapere se il Procuratore circondariale abbia l'obbligo di trasmettere il fascicolo in unione e/o in visione, ovvero effettuare direttamente le copie richieste e di comunicare, inoltre, lo stato del procedimento, sollecitando il Consiglio ad individuare le iniziative di competenza del singolo sostituto funzionali all'esercizio del diritto-dovere di svolgere le indagine ritenute necessarie.

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Nella pratica n. 366/96 veniva allegato anche un quesito formulato in data 22 aprile 1996 dalla dott.ssa E.R., all'epoca sostituto procuratore della Repubblica presso la procura di Chieti, volto a conoscere se il pubblico ministero procedente debba o possa trasmettere direttamente tali informazioni al Consiglio superiore della magistratura, comunicandole per conoscenza al Procuratore della Repubblica e al Procuratore Generale, ovvero se sia tenuto a rispettare per l'invio di tali informazioni la via gerarchica.

La pratica n. 334/96 ha ad oggetto il quesito posto dal Procuratore della Repubblica presso la Procura circondariale di Trieste con nota dell’8 ottobre 1996 circa le modalità di comportamento che deve tenere il sostituto procuratore venuto a conoscenza di fatti di rilievo penale nell'esercizio delle sue funzioni, qualora si tratti di fattispecie criminose concorrenti o connesse con quelle costituenti l'oggetto dell'originaria designazione da parte del Procuratore della Repubblica: in particolare, si chiedeva se il sostituto procuratore potesse, nella fattispecie ipotizzata, in maniera del tutto autonoma, al di fuori di ogni valutazione e decisione conforme da parte del titolare dell'ufficio,

“procedere ad iscrivere sul registro di cui all'art. 335 c.p.p. nuovi reati, da lui supposti, dando ad essi qualificazione giuridico penale”.

La pratica n. 14/02 trae origine dalla nota in data 4 febbraio 2002 del sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli dott. V. P. il quale, in relazione ad un'ipotesi di dissenso tra sostituto e dirigente dell'ufficio in ordine ad una richiesta di archiviazione di un procedimento penale autonomamente avanzata dal primo, chiede di sapere se il Procuratore della Repubblica, cui l'atto sia pervenuto tramite il procuratore aggiunto incaricato in via generale di apporre il visto, dopo aver illustrato le proprie osservazioni contrarie a quelle del sostituto ed in caso di permanente dissenso sul merito del provvedimento, debba revocare la stessa con successiva diversa assegnazione, ovvero, possa richiedere di allegare al G.I.P. destinatario della richiesta le proprie personali valutazioni, chiedendo, inoltre, di essere informato dell'esito del procedimento. Si chiede, inoltre, di conoscere il parere dell'organo di autogoverno in ordine alla natura giuridica di tali eventuali osservazioni e se il GIP possa o debba prenderle in considerazione, avuto riguardo alla contraddittorietà di opinioni espressa dal medesimo ufficio. Si chiede, infine, di sapere se l'eventuale invio di osservazioni in dissenso rispetto alla tesi sostenuta dal sostituto non costituisca implicita revoca della designazione e quali siano, in tali ipotesi, le facoltà riservate al sostituto per far valere l'illegittimità della revoca.

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Infine la pratica n. 39/02 ha ad oggetto una serie di quesiti formulati sempre dal dott. V. P., sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli:

a) se sia legittimo l'esercizio di iniziativa di un potere ispettivo da parte del procuratore della Repubblica, avente ad oggetto, in modo generalizzato, tutti i procedimenti assegnati ad un singolo sostituto e/o i provvedimenti riconducibili ad una comune tipologia, volto a ricercare irregolarità, violazioni, difformità applicative o reati da segnalare agli organi istituzionalmente competenti;

b) se, in secondo luogo, l'esercizio di tale facoltà, ove riconosciuta, possa essere condotta in maniera riservata senza che il magistrato assegnatario dei procedimenti si veda garantita una qualche forma di contraddittorio;

c) se l'esito di tale impropria ispezione, ove siano accertate difformità dal dettato normativo, possa costituire oggetto di segnalazione disciplinare o non debba, invece, comportare l'esercizio del potere-dovere di revoca dell'assegnazione dei procedimenti, con conseguente obbligo di trasmissione del relativo provvedimento al C.S.M.;

d) se, infine, vi siano, e quali, strumenti a disposizione del sostituto per tutelare la propria indipendenza interna rispetto alle predette indagini interne del procuratore della Repubblica.

Il quadro normativo di riferimento.

Per una compiuta disamina delle questioni sottese alla pratica in esame, risulta ineludibile una, pur sintetica, ricostruzione del quadro normativo di riferimento.

Prendendo le mosse dalla normativa primaria, devono essere segnalate la direttiva n. 68 della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81; l'art. 70, commi 3-5, ord. giud., come modificato dall'art.

20 d.P.R. 22 settembre 1988, n. 449; l'art. 53 c.p.p.; l'art. 3 d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271; l'art. 5 d.lgs. 28 luglio 1989, n. 273.

La direttiva n. 68 della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81 per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale, ha espresso come criterio direttivo per il legislatore delegato la

"previsione che le funzioni di pubblico ministero in udienza siano esercitate con piena autonomia";

significativa, sul punto, la differente formulazione contenuta nella direttiva n. 61 della legge-delega 3 aprile 1974 n. 108, che prevedeva l'”eliminazione dell'incidenza gerarchica nell'esercizio della funzione d'accusa nella fase dibattimentale”. Dalla Relazione al progetto preliminare del nuovo c.p.p. risulta in termini univoci l'intento del legislatore del 1987 di "non ingenerare equivoci attraverso il riferimento alle incidenze gerarchiche, che, proprio per il fatto di essere espressamente escluse per il dibattimento, potevano a contrario affermarsi esistenti per le altre fasi del processo"

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In linea con la direttiva della legge-delega è stato, quindi, introdotto l'art. 53 c.p.p., ai sensi del quale "nell'udienza il magistrato del pubblico ministero esercita le sue funzioni con piena autonomia". Il capoverso di tale norma individua le ipotesi di sostituzione del magistrato.

Inoltre, deve ricordarsi il contenuto dell'art. 3 d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271, secondo cui “i titolari degli uffici del pubblico ministero curano che, ove possibile, alla trattazione del procedimento provvedano, per tutte le fasi del relativo grado, il magistrato o i magistrati originariamente designati”: tale disposizione, volta prevalentemente a sollecitare la predisposizione di modelli organizzativi che consentano, per quanto possibile, la conduzione del procedimento da parte dello stesso magistrato per tutto lo svolgimento di ciascun grado è stata considerata da taluno come espressione dell'esigenza di una stabilità del sostituto nella trattazione del procedimento per il quale è stato designato.

Anche l'art. 70 ord. giud. ha subito profonde modifiche: l'originaria formulazione prevedeva, che “i procuratori generali, gli avvocati generali presso le sezioni distaccate di corte di appello e i procuratori della Repubblica esercitano le loro funzioni personalmente o per mezzo dei dipendenti magistrati addetti ai rispettivi uffici”; a seguito dell'entrata in vigore del nuovo codice di rito, con il D.P.R. 22 settembre 1988, n. 449, il testo attualmente vigente stabilisce che “i titolari degli uffici del pubblico ministero dirigono l'ufficio cui sono preposti, ne organizzano l'attività ed esercitano personalmente le funzioni attribuite al pubblico ministero dal codice di procedura penale e dalle altre leggi, quando non designino altri magistrati addetti all'ufficio” (comma 3). Nel comma 4 dell'art. 70 ord. giud. novellato si è riprodotta, nella sostanza, la formula dell'art. 53 c.p.p.: “nel corso delle udienze penali il magistrato designato svolge le funzioni del pubblico ministero con piena autonomia e può essere sostituito solo nei casi previsti dal codice di procedura penale”. Si precisa, inoltre, che “il titolare dell'ufficio trasmette al C.S.M. copia del provvedimento motivato con cui ha disposto la sostituzione del magistrato”. Nelle disposizioni di attuazione contenute nell'art. 5 d.lgs. 28 luglio 1989, n. 273, si dispone che tale segnalazione venga inviata in modo riassuntivo semestralmente, quando la sostituzione del magistrato all'udienza sia motivata da suo impedimento o da ragioni di servizio. Il magistrato e le parti possono, comunque ed in ogni momento, dare notizia al C.S.M. della avvenuta sostituzione.

Il quadro della normativa primaria attributiva dei poteri del procuratore della Repubblica contempla inoltre la disposizione di cui all'art. 16 co. 4 D. L.vo n. 511 del 1946, ai sensi della quale

“il procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinario, il procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni (…) esercitano la sorveglianza sui magistrati addetti ai rispettivi uffici”.

Sul piano delle modifiche all'ordinamento giudiziario, appare rimarchevole l'introduzione, da parte dell'art. 6 co. 1 lett. b) del D.L.vo 19 febbraio 1998 n. 51 sull'istituzione del giudice unico,

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di un nuovo terzo comma nel corpo dell'art. 7-ter O.G. del seguente tenore: “Il Consiglio superiore della magistratura determina i criteri generali per l'organizzazione degli uffici del pubblico ministero e per l'eventuale ripartizione di essi in gruppi di lavoro.” Con questa norma, che ha riproposto con riferimento all'ufficio inquirente quel dialogo tra Consiglio superiore e legislatore che ha condotto all'affermazione del sistema tabellare, la legge ha recepito l'orientamento consiliare - coevo all'introduzione del nuovo codice di rito - che aveva stabilito direttive per l'organizzazione degli uffici del P.M..

Per quanto concerne la normativa secondaria, l'orientamento del Consiglio si è stabilizzato attraverso una serie di risoluzioni (3 giugno 1992, 25 marzo 1993, 14 aprile 1993, 10 aprile 1996) e attraverso le circolari biennali sull'organizzazione degli uffici giudiziari. In estrema sintesi, l'orientamento adottato sulla base delle risoluzioni richiamate può essere sintetizzato nei termini di seguito esposti.

Come ha evidenziato la risoluzione del 25 marzo 1993, dalla quale devono considerarsi tratte le citazioni di seguito riportate, salvo diversa indicazione, nella successione delle due leggi di delega sopra citate, “è stato esplicitato l'abbandono di ogni incidenza gerarchica” nel rapporto tra il procuratore della Repubblica e gli altri magistrati addetti all'ufficio inquirente; tale rapporto, deve essere pertanto qualificato in termini di sovraordinazione quale conseguenza dei poteri di organizzazione e di direzione assegnati al dirigente dell'ufficio inquirente dall'art. 70 O.G. nella sua nuova formulazione. In buona sostanza, non è più configurabile il pregresso modello gerarchico, come testimoniato anche dalla sostituzione del concetto di delega con quello di designazione (art.

70, co. 3, ord. giud.), che meglio corrisponde al principio di eguaglianza dei magistrati tra di loro e conferisce al designato una propria competenza (intesa in senso ampio) nella distribuzione, interna all'ufficio, del lavoro.

Il sostituto è titolare di un'autonomia “piena” in udienza (artt. 53 c.p.p., 70, comma 4, ord.

giud., 5 d.lgs. 28 luglio 1989, n. 273), risultando sostituibile nei soli casi di cui all'art. 53 cpv. c.p.p.;

la nozione di udienza deve essere intesa come più ampia di quella di dibattimento e comporta che la piena autonomia che ad essa si ricollega possa svilupparsi anche nella fase delle indagini preliminari.

Nei momenti diversi dall'udienza, il magistrato addetto all'ufficio di procura - non più

“dipendente” dal dirigente dell'ufficio - è titolare di un'autonomia che, pur non potendosi definire

“piena” come nei momenti procedimentali contrassegnati dalla partecipazione ad una udienza, connota la sottordinazione del singolo magistrato in “funzione unicamente” della potestà direttiva e di organizzazione del titolare. Tali potestà, da esercitarsi preferibilmente previo confronto con i

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magistrati addetti all'ufficio, si esprime nell'enunciazione di linee di indirizzo di carattere generale, dovendosi invece escludere direttive afferenti la conduzione del singolo processo (non solo nell'udienza, ma anche nella fase delle indagini preliminari): “(…) il potere di sovraordinazione spettante al Procuratore della Repubblica sull'attività processuale dei Sostituti deve esprimersi unicamente per linee di azione generali e non con direttive sul singolo processo, o con interventi sul caso specifico e sul merito di un determinato atto” (delibera 10 aprile 1996).

D'altra parte, la differenza tra la nozione di designazione e quella di delega non è solo terminologica, ma sostanziale, poiché, diversamente che per la prima, nel caso di delega “l'autorità delegante non si priva dei propri poteri in ordine all'attività che (globalmente o per l'emanazione di singoli atti) viene delegata”. Di contro, la nozione di designazione, per un verso, si traduce nell'attribuzione al designato di “un potere proprio” e, per altro verso, presenta “caratteri di maggiore stabilità rispetto alla delega”: “Se la delega (ora scomparsa) stava a significare che il delegante conserva un'ingerenza nell'attività del delegato (sotto forma di potere di direttiva, di sorveglianza e di avocazione), la diversa locuzione significa che queste caratteristiche non si presentano invariate nel nuovo modello di ufficio. La revoca della designazione rimane possibile, e continua a soggiacere all'obbligo della motivazione ma non ogni motivo rende legittima la revoca.”.

L'autonomia dunque riconosciuta al magistrato addetto all'ufficio di procura nelle fasi diverse dall'udienza comporta che la revoca della designazione resti possibile, ma debba essere non solo sottoposta all'obbligo di motivazione (secondo quanto, peraltro, già prescritto in forza della sentenza della Corte costituzionale n. 143 del 1973), ma anche giustificata da determinati presupposti: in questa prospettiva, “le divergenze tra magistrato designato e dirigente non autorizzano (…) il potere di avvicendamento nella designazione, con affidamento dell'incarico ad altro Sostituto, perché l'originaria attribuzione dell'affare consuma, in assenza di un espresso potere di ordinario avvicendamento orizzontale nella conduzione delle indagini, la possibilità di designare un Sostituto diverso da quello al quale l'affare venne a suo tempo affidato” (delibera 3 giugno 1992).

Per la individuazione dei casi di revoca della designazione, occorre dunque avere riguardo alla riconosciuta esistenza della potestà direttiva e di organizzazione del dirigente, nel senso che questi, nel concreto esercizio di detta potestà, può enunciare preventivamente, e possibilmente sentiti i componenti dell'ufficio, le linee di indirizzo e di comportamento alle quali ogni magistrato dovrà in linea di massima attenersi nelle varie materie e situazioni, specificando anticipatamente che l'inosservanza dei criteri enunciati potrà comportare la revoca della designazione; per converso, il magistrato designato, nell'ipotesi in cui non condivida i criteri, potrà chiedere di essere sollevato dalla trattazione del singolo procedimento al quale detti criteri non condivisi dovrebbero applicarsi;

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“il fatto che il magistrato del pubblico ministero sia pienamente autonomo in queste situazioni è coerente con l'esistenza di una potestà direttiva in capo al titolare dell'ufficio. In particolare, non può essere escluso che il dirigente (…) enunci preventivamente, sentiti i componenti dell'ufficio, le linee di indirizzo e di comportamento, sul piano organizzativo, alle quali ogni magistrato dovrà in linea di massima attenersi nelle varie materie e situazioni, specificando anticipatamente che l'inosservanza dei criteri enunciati potrà eventualmente comportare la revoca dell'assegnazione. In tal modo - specie se l'individuazione dei criteri sarà stata frutto di consultazioni e di concertazioni collettive - le situazioni di possibile revoca saranno in parte notevole ricollegate a situazioni predeterminate e tipizzate e l'autonomia del magistrato, che per ipotesi non condividesse i criteri, sarà fatta salva dalla sua potestà di chiedere di essere sollevato dalla trattazione del singolo procedimento al quale detti criteri non condivisi dovrebbero applicarsi. E più saranno diffuse ed abituali le consultazioni sulle linee di comportamento dell'ufficio, più si ridurrà l'area dell'incerto e quindi del possibile contenzioso tra dirigente e sostituto.”

Nella prospettiva delineata dalle delibere consiliari in esame, la revoca della designazione si ricollega alla potestà direttiva del dirigente, che, a sua volta “si esprime, appunto, nell'indicazione di linee di indirizzo a carattere generale, non nelle situazioni (come l'udienza) nelle quali prevale la specificità del singolo processo.” Discende da questo collegamento l'illegittimità di direttive relative al singolo procedimento: “se il sostituto gode di piena autonomia nell'udienza, anche nella fase delle indagini preliminari, non è concepibile una direttiva afferente il singolo processo nemmeno in questa fase. Sarebbe contraddittorio ipotizzare un vincolo a chiedere od a comportarsi in un dato modo davanti al giudice, quando poi nell'udienza il sostituto abbia a recuperare la piena possibilità di atteggiarsi liberamente.”

Al di fuori della individuazione dei casi di revoca della designazione operata per il tramite della elaborazione e della definizione delle linee di indirizzo generali dell'ufficio inquirente, residua una sfera di operatività della revoca desumibile dalla richiamata normativa codicistica: “anche nelle situazioni nelle quali è assicurata la piena autonomia rimane, in capo al titolare dell'ufficio, una potestà di sostituzione, e quindi di revoca della designazione, in presenza di “rilevanti esigenze di servizio” (art. 53 co. 2 c.p.p., e, per rimando, art. 70 co. 4 ord. giud.). Ne discende che queste esigenze di servizio rendono di per sè giustificata la revoca quando attengono, appunto, all'organizzazione del servizio, e cioè quando sono intese al miglior funzionamento dell'ufficio. Ma tali esigenze debbono essere riconosciute anche quando sia in gioco il merito della singola vicenda giudiziaria, peraltro nella circoscritta ipotesi in cui il magistrato designato abbia formulato, o intenda formulare, richieste oggettivamente insostenibili sul piano tecnico, esulanti dal campo dell'opinabilità e manifestamente ingiustificabili, ovvero ancora allorquando il magistrato si

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discosti, senza alcuna giustificazione, da quelle direttive di indole generale, previamente emanate, nelle quali si sostanzia la potestà direttiva del titolare dell'ufficio. Solo in questo ambito, chiaramente più ristretto della mera divergenza di opinioni sulla conduzione dell'indagine o sull'esercizio dell'azione penale, appare giustificata la revoca della designazione. Opinare diversamente equivarrebbe ad assegnare al solo titolare dell'ufficio la gestione dell'azione penale nel singolo caso, con una sorta di personalizzazione concentrata nella sua figura.”

Sui rapporti tra procuratore e sostituti è riconosciuto al Consiglio superiore della magistratura un ruolo attivo che si sostanzia, anche ai sensi del disposto dell'art. 5 d.lgs. n. 273/89, nel potere-dovere di vagliare la legittimità del provvedimento di revoca del titolare dell'ufficio, di raccogliere le eventuali controdeduzioni degli interessati, di comunicare al predetto le proprie osservazioni. Qualora si dovesse accertare l'illegittimità della revoca, l'organo di autogoverno valuterà caso per caso se informare i titolari dell'azione disciplinare ovvero se ricorrano gli estremi per l'apertura di una procedura di trasferimento d'ufficio, ai sensi dell'art. 2 L.G..

Con riferimento alla portata del potere di sorveglianza, “l'identità di formulazione normativa rinvenibile tra il comma 1 ed il comma 4 del citato art. 16” segnalata dal parere dell'Ufficio Studi n.

221/03 consente il richiamo - nella parte che viene in rilievo ai fini della presente pratica - della risposta ad un quesito concernente i “limiti del compito di sorveglianza del procuratore generale sui magistrati e sugli uffici delle procure della Repubblica” deliberata dal Consiglio nella seduta del 14 aprile 1993; con tale delibera, il Consiglio affermò che “oggetto dell'attività di sorveglianza possano essere solo comportamenti inerenti ai doveri di ufficio e le relative modalità di esplicazione. Ciò si può configurare sotto due punti di vista. Da un lato il Procuratore Generale può controllare e rilevare dati formali e quantitativi, quali la dovuta presenza in udienza, i dati statistici di lavoro, i tempi di espletamento, ecc., dall'altro può prendere in considerazione quei comportamenti dovuti la cui omissione può essere causa di provvedimenti disciplinari o connessi ad eventuali incompatibilità. In tali comportamenti, secondo l'insegnamento della Suprema Corte, rientrano anche alcuni aspetti dell'attività giudiziaria vera e propria e le modalità di espletamento della stessa.” Dunque, anche da questo punto di vista, il rapporto tra dirigente dell'ufficio inquirente e magistrati addetti allo stesso ufficio assume i connotati della sovraordinazione in funzione dell'esercizio di un determinato potere, il potere di sorveglianza i cui profili sono stati delineati dalla delibera del Consiglio ora richiamata.

Il quadro della disciplina secondaria fin qui tratteggiato, deve essere arricchito attraverso l'esame delle direttive contenute nelle circolari biennali sull'organizzazione degli uffici giudiziari, direttive che, anche in forza del nuovo terzo comma dell'art. 7-ter O.G., hanno contribuito ad un significativo consolidamento dell'assetto dei rapporti tra procuratore della Repubblica e magistrati

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addetti all'ufficio inquirente delineato dalle normative richiamate. Nell'economia delle determinazioni afferenti la presente pratica, è sufficiente una breve ricognizione della disciplina dettata dalla circolare sull'organizzazione degli uffici giudiziari per il biennio 2004/2005 (delibera del 18 dicembre 2003).

In punto di definizione dei criteri di assegnazione degli affari, la circolare prevede, innanzi tutto, la regola della predeterminazione, una regola estesa anche agli affari che il dirigente intende riservare a sé stesso: da una parte, dunque, “I criteri di organizzazione del lavoro devono precisare anche quelli predeterminati di assegnazione degli affari, ivi compresi quelli che il Procuratore intende riservare a sé stesso.” (punto 65.1); dall'altra, “l'assegnazione degli affari rientra nella responsabilità del dirigente dell'ufficio, ma non possono ritenersi ammissibili parametri genericamente equitativi o che realizzano una discrezionalità incontrollata del dirigente.”(punto 65.2).

La circolare prescrive poi l'obbligo della motivazione nei casi di deroga agli indicati criteri di assegnazione degli affari (“in presenza di esigenze di servizio ovvero in considerazione della specifica professionalità richiesta dalla trattazione di singoli affari”) e nei casi di auto-assegnazione da parte del procuratore della Repubblica di determinati affari (punto 65.3). Inoltre, nel corso delle indagini preliminari, il provvedimento di sostituzione del magistrato deve essere congruamente motivato e, qualora la sostituzione non sia stata richiesta o condivisa dal sostituto designato, deve essere immediatamente trasmesso al Consiglio superiore della magistratura corredato delle osservazioni dei magistrati interessati e del parere del Consiglio giudiziario (punto 67.2).

La rapida rassegna della circolare sull'organizzazione degli uffici giudiziari per il biennio 2004/2005 può essere conclusa ricordando le disposizioni di cui al paragrafo n. 66 che definiscono le funzioni - ulteriori rispetto alla trattazione dei procedimenti ad essi assegnati - attribuite ai procuratori aggiunti: coordinamento delle sezioni e relativa assunzione di responsabilità dinanzi al procuratore; designazione dei magistrati che all'interno delle sezioni devono occuparsi dei singoli procedimenti secondo i criteri dell'ufficio; assicurazione di un'uniformità di indirizzo attraverso la predisposizione di protocolli di indagine e la promozione di riunioni periodiche; informativa al procuratore sui procedimenti per i quali è stato previsto che i sostituti debbano tenere informato il procuratore aggiunto. Nell'individuazione dei compiti assegnati al procuratore aggiunto, la circolare non include quello relativo al potere di revoca della designazione, che, pertanto, deve considerarsi attribuito al solo dirigente dell'ufficio: è questa una conclusione in linea, per un verso, con il ruolo del procuratore aggiunto delineato dalla normativa secondaria richiamata, un ruolo di coordinamento del lavoro dei sostituti e di collegamento tra gli stessi e il dirigente; e, per altro verso, con la più volte richiamata fisionomia giuridica della revoca della designazione, strettamente

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riconducibile ai poteri attribuiti al procuratore della Repubblica dall'art. 70 O.G. nella sua nuova formulazione.

Completa il quadro della disciplina secondaria dei rapporti tra procuratore della Repubblica e magistrati del pubblico ministero il riferimento – peraltro, generalizzabile a tutti gli uffici giudiziari – ai rapporti redatti dai dirigenti degli uffici nei casi previsti dalla legge e dalle disposizioni generali del Consiglio superiore della magistratura (quali la circolare consiliare sui pareri dei Consigli Giudiziari n. 1275 del 22 maggio 1985, modificata di recente con delibera del 30 luglio 2003, e quella sul passaggio dalle funzioni requirenti a quelle giudicanti e viceversa n. P- 5157/2003 adottata con delibera del 13 marzo 2003), nonché nei casi di richieste specifiche del Consiglio stesso.

Le questioni oggetto della pratica

Così delineato il quadro della normativa di riferimento, è possibile affrontare le diverse questioni oggetto della pratica.

Gli approfondimenti delle questioni relative ai rapporti tra procuratore della Repubblica e sostituti sollecitati dalla nota dei consiglieri Marconi e Patrono (pratica n. 181/1993) e da quella dei consiglieri Mura, Patrono e Zuccarelli (pratica n. 364/1996) devono ritenersi sufficientemente sviluppati alla luce del consolidamento dell'assetto dei rapporti tra procuratore della Repubblica e magistrati addetti all'ufficio inquirente delineato, come si è visto sopra, dall'introduzione del terzo comma dell'art. 7-ter O.G. e della normativa di cui alle circolari consiliari sull'organizzazione degli uffici giudiziari.

Il Consiglio, peraltro, ha avuto modo di recente di svolgere approfondimenti e valutazioni sull'assetto ordinamentale del pubblico ministero - anche con riferimento ai rapporti tra dirigenti e magistrati addetti all'ufficio inquirente - in occasione dei pareri resi sul disegno di legge recante

“Delega al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario e disposizioni in materia di organico della Corte di cassazione e di conferimento delle funzioni di legittimità” (delibera del 12 giugno 2002) e sugli emendamenti al medesimo disegno di legge approvati dal Consiglio dei Ministri (delibera del 22 maggio 2003).

Molteplici quesiti oggetto delle pratiche in esame attengono ai rapporti tra il procuratore della Repubblica e i sostituti con riguardo alle assegnazione degli affari, agli eventuali contrasti insorti nel corso delle indagini preliminari e, più in generale, ai limiti delle potestà direttiva ed organizzatoria del dirigente: essi trovano adeguate risposte nel quadro normativo sopra descritto.

Per quanto concerne i quesiti formulati dal dott. L.R. (pratica n. 35/1998) e dal dott. V.P.

(pratica n. 14/2002), va ribadito che - fermo restando il riconoscimento, per un verso, della piena

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legittimità di direttive generali adottate preventivamente dal procuratore e, per altro verso, del potere di revoca della designazione nei limiti e con la modalità sopra indicate - deve essere esclusa la legittimità di prescrizioni impartite dal procuratore in relazione al singolo procedimento, prescrizioni che si porrebbero in contrasto con la sfera di autonomia attribuita al sostituto in forza della designazione alla trattazione del procedimento. Come si è sopra messo in evidenza a proposito del potere-dovere del Consiglio di vagliare la legittimità del provvedimento di revoca della designazione adottato dal titolare dell'ufficio, analogo potere-dovere dell'organo di autogoverno ed analoga facoltà di sollecitazione in capo ai sostituti devono essere a fortiori riconosciuti con riferimento ad atti che - pur non concretizzandosi nella revoca della designazione - sono idonei a minare la sfera di autonomia del sostituto nella trattazione del procedimento.

Discende in particolare da queste considerazioni, la qualificazione in termini di illegittimità di atti provenienti dal dirigente che - in assenza di revoca della designazione - contengano valutazioni difformi da quelle operate dal titolare del procedimento o comunque idonee ad interferire con le sue determinazioni.

Le questioni sollevate dal dott. V.P. in punto di determinazioni del G.I.P. rivestono, invece, natura strettamente processuale e, come tali, esorbitano dalle attribuzioni del Consiglio. Al riguardo, con riferimento alla vicenda dalla quale ha tratto origine il quesito in esame, può essere utile inoltre ribadire quanto già il Consiglio ha avuto modo di affermare con la risposta ad una serie di quesiti formulati da due magistrati addetti alla procura circondariale di Napoli (delibera del 12 luglio 1994): al quesito circa l'inclusione o meno nel fascicolo del pubblico ministero della corrispondenza intercorsa tra il Procuratore ed i sostituti, tale delibera non diede risposta, essendo stata qualificata la questione come avente natura processuale.

Per quanto riguarda la nota del dott. A., devesi osservare innanzi tutto che l'epoca alla quale risale la vicenda del contrasto insorto tra il sostituto e il procuratore dott. V.M. se rende superfluo un intervento del Consiglio sul merito specifico della vicenda stessa, non esclude l'opportunità della valutazione dei profili generali sottesi al quesito. Rispetto ad essi, devesi osservare che la trattazione congiunta da parte del procuratore e di un sostituto di un determinato procedimento ben può essere assicurata attraverso lo strumento della coassegnazione (disciplinato dal punto 65.4 della circolare sull'organizzazione degli uffici giudiziari), con conseguente applicazione della disciplina sopra descritta. Deve ritenersi, invece, non in linea con l'assetto giuridico dei rapporti procuratore/sostituti sopra delineato una delega ad acta da parte del procuratore che - fuori dei casi di assoluto impedimento del titolare del procedimento ad adottare provvedimenti indifferibili e urgenti - si risolverebbe in una forma di assegnazione degli affari - ovvero di specifici segmenti procedimentali - contrastante con la previsione di cui all'art. 70 O.G..

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Per quanto concerne le note delle dott.sse E.C. e E.R. (pratica n. 366/96) ed il quesito posto dal procuratore circondariale di Trieste (pratica n. 334/96), va osservato innanzi tutto che le questioni attinenti al contrasto intervenuto tra gli uffici del P.M. (nota della dott.ssa E.C. del 4 luglio 1997) sono già state vagliate dal Consiglio con la delibera assunta nella seduta del 22 gennaio 1998. In secondo luogo, va sottolineato che, come sopra evidenziato, la potestà organizzativa e direttiva del procuratore “si esprime, appunto, nell'indicazione di linee di indirizzo a carattere generale”: attraverso direttive generali il procuratore della Repubblica può dunque disciplinare profili dell'attività del P.M. con riferimento a determinati tipologie di atti e, dunque, anche con riferimento ad atti che, per la loro particolare rilevanza, debbano essere preventivamente sottoposti al vaglio del dirigente; resta ferma, peraltro, la necessità che sia preservata la sfera di autonomia riconosciuta al sostituto nel corso delle indagini, autonomia che risulterebbe evidentemente vulnerata in relazione ad atti anche di rilevanza esterna - quali ad esempio la delega d'indagine - per i quali la previsione dell'intervento del procuratore risulterebbe obiettivamente lesiva della dignità delle funzioni esercitate dal magistrato inquirente. D'altra parte, va ribadito che se in relazione alla trattazione di un determinato procedimento insorgono divergenze tra il procuratore e il sostituto è consentita al primo la revoca della designazione nei limiti e con la modalità già analizzati. È da escludersi tuttavia che tali direttive generali possano precludere al sostituto titolare delle indagini l'adempimento del dovere di informazioni da rendere al C.S.M. ai sensi delle circolari consiliari del 13 gennaio 1994, 28 settembre 1995 e 17 gennaio 1996; come ha rilevato il Consiglio con la delibera del 19 giugno 1996 di risposta al quesito della dott.ssa E.R. sopra richiamato, “titolare del dovere di informativa di cui alle circolari del Consiglio del 13.1.1994, 28.9.1995 e 17.1.1996 è il P.M. procedente e che in nessun caso può considerarsi modalità imposta quella dell'inoltro di detta informativa per le vie gerarchiche”.

Un maggior approfondimento è richiesto dalle questioni relative alla pratica n. 39/02.

Come si è più volte segnalato, il rapporto tra dirigente dell'ufficio inquirente e magistrati addetti allo stesso ufficio si configura in termini di sovra-ordinazione in funzione dell'esercizio dei poteri di direzione e di organizzazione dell'ufficio (art. 70 co. 3 O.G.) e di sorveglianza (art. 16 co.

4 L.G.), nonché con riferimento ai rapporti del dirigente nei casi sopra indicati. In particolare, per quanto riguarda l'esercizio del potere di sorveglianza il già illustrato richiamo alla delibera del 14 aprile 1993 consente di evidenziare come “oggetto dell'attività di sorveglianza possano essere solo comportamenti inerenti ai doveri di ufficio e le relative modalità di esplicazione. Ciò si può configurare sotto due punti di vista.” In questa prospettiva, l'esercizio del potere di sorveglianza deve essere indirizzato, per un verso, alla verifica dei dati formali e quantitativi espressivi

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dell'adempimento da parte del sostituto dei suoi doveri di diligenza ed operosità e, per altro verso, alla verifica, di “quei comportamenti dovuti la cui omissione può essere causa di provvedimenti disciplinari o connessi ad eventuali incompatibilità. In tali comportamenti, secondo l'insegnamento della Suprema Corte, rientrano anche alcuni aspetti dell'attività giudiziaria vera e propria e le modalità di espletamento della stessa.”

Così delineato il profilo dei poteri attribuiti al procuratore della Repubblica, deve ritenersi, sulla scorta delle condivisibili considerazioni di cui al parere dell'Ufficio Studi n. 221/03, che in relazione al quesito oggetto della pratica in esame, “una iniziativa del Procuratore della Repubblica che si proponga di esaminare tutti i procedimenti assegnati ad un magistrato dell'ufficio ovvero di visionare tutti i provvedimenti dallo stesso emessi all'esito della trattazione dei procedimenti conclusi con richiesta di archiviazione (o di rinvio a giudizio) non rientri nei ricordati poteri di direzione, di organizzazione o di sorveglianza del titolare dell'ufficio, così come definiti dalle norme di ordinamento giudiziario lette alla luce delle numerose delibere consiliari sull'argomento.

Escludendo qualsivoglia riferimento ai poteri di direzione ed organizzazione (…) resta, invero, da individuare se un'ispezione generalizzata sul merito delle scelte investigative e processuali del sostituto possa trovare qualche sostegno nell'esplicazione del potere di sorveglianza definito dall'art.

16 comma 4 dell'ordinamento giudiziario. La verifica tra l'attività di ispezione svolta ed i parametri individuati nella normativa secondaria del Consiglio sembrano orientare per una soluzione negativa.

Ed, invero, l'esame diretto dei fascicoli da parte del titolare dell'ufficio, senza una preventiva richiesta di trasmissione in visione che ne illustri i motivi e ne individui le concrete finalità di accertamento, non risponde ai canoni di esercizio del potere di sorveglianza indicati dal Consiglio nella delibera del 14 aprile 1993, in quanto non consente di effettuare alcun controllo di congruità della verifica rispetto alla possibile violazione da parte del magistrato assegnatario dei procedimenti di norme di comportamento. Nè appare conforme alle linee generali della risoluzione del 25 marzo 1993 che, come si è visto, traccia un quadro di rapporti tra Procuratore capo e sostituto caratterizzato dalla assenza di qualunque rapporto di tipo gerarchico nonché dal richiamo pressante alla necessità che ogni intervento del titolare dell'ufficio si muova nell'ambito di criteri predeterminati di carattere generale (non su singoli procedimenti o, peggio, nei confronti di singoli sostituti) a garanzia della autonomia del magistrato del pubblico ministero che deve essere tutelata anche con riguardo alla fase delle indagini preliminari.”»

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