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Ricordo del Prefetto Carlo Alberto dalla CHIESA

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3.9.2018 - Corleone - Complesso Monumentale di Sant’Agostino

Ricordo del Prefetto Carlo Alberto dalla CHIESA

Intervento del Prefetto di Palermo Antonella De Miro

Vorrei premettere che è un onore per me portare un mio contributo a questo convegno, qui a Corleone dove il giovane capitano dalla Chiesa assunse, nello stesso giorno della sua morte, 33 anni prima, il 3 settembre 1949, il Comando della Squadriglia delle Forze di Repressione del banditismo.

Qui a Corleone dove una molto capace Commissione straordinaria ha fatto conoscere come sia possibile, anche in terra di alta mafia, affermare lo Stato, mostrarne il volto autorevole ma di grande rispetto per la comunità, realizzando un rapporto di alleanza e condivisione con la società civile. E che ringrazio anche per aver voluto intitolare al Prefetto dalla Chiesa la sala conferenze di questo bel complesso monumentale di Sant’ Agostino e per aver voluto organizzare la interessante mostra fotografica relativa al periodo storico 1949/1950.

Un onore la presenza del Sottosegretario del Ministro dell’Interno, senatore Stefano Candiani, e ringrazio il Generale di C.A. Luigi Robusto e il Generale di B. Riccardo Galletta per avere scelto Corleone per questa importante iniziativa di memoria.

Carlo Alberto dalla Chiesa è stato un eccezionale ufficiale dei Carabinieri, muore sì per tutta la sua vita, ma muore Prefetto della Repubblica a Palermo. E io desidero ricordare il Prefetto, e da Prefetto di Palermo lo ritengo un grande privilegio, ed è senz’altro un’emozione farlo in presenza del figlio, Professore Nando che saluto affettuosamente.

Permettetemi una mia notazione personale.

La notizia della uccisione del Prefetto dalla Chiesa mi lasciò sgomenta, fu per me uno scuotimento.

Era stato ucciso dalla mafia un Prefetto, ed io giovane consigliere alla Prefettura di Agrigento di una cosa ero certa, volevo essere all’altezza di quel Prefetto. Così, meno interessandomi la stesura di ripetitive relazioni di taglio descrittivo, ho cominciato a

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dedicarmi con passione ed interesse a tutti i temi della sicurezza, ispirandomi a quel Prefetto per rendere concreta, per quei tempi davvero inusuale in Prefettura, una voglia di conoscenza e di analisi della criminalità organizzata che non mi ha più abbandonato.

Dalla Chiesa era morto per incarnare i valori supremi di uno Stato di diritto, per questo non si poteva tradire la sua memoria.

Oggi, Prefetto di Palermo non potete immaginare l’emozione provata ad entrare a Villa Pajno, in quegli stessi ambienti in cui dalla Chiesa ha vissuto nei 100 giorni prima di morire, dove immagino talora muoversi con leggerezza Emanuela Setti Carraro.

Sento di vivere dentro la storia anche quando lo sguardo va verso quel piccolo locale cieco che si apre dalla camera da letto, dove è collocata nella parete, murata, la cassaforte che porta attorno alla maniglia ancora attaccati pezzetti di ceralacca rossa.

Essere immersa dentro una grande storia è una responsabilità che mi ha portato tra l’altro a ricordare e studiare il passato, a rileggere gli articoli di stampa che hanno accompagnato l’arrivo e il lavoro del Prefetto a Palermo ..le sue interviste.. ..i libri- documento che lo riguardano e a ricercare in Prefettura atti-resoconto del suo lavoro di Ufficio.

Tante le domande che mi affollano la mente.

Innanzitutto, il suo messaggio è ancora attuale come lo è stato allora per un giovane consigliere di Prefettura?

E la risposta è senz’altro sì .

Per lo spessore etico dell’uomo al servizio del Paese nelle diverse competenze e funzioni.

L’autorevolezza e lo spessore etico dell’uomo di Stato, salito nei vari gradi militari per indubbie, elevatissime capacità professionali nella lotta alla mafia, nella lotta al terrorismo, nella gestione di reparti, capace di dialogare con le massime autorità politiche e non solo, e di avere sempre come un faro guida il bene del Paese. Il potere è solo quello dello Stato, delle Istituzioni e della legge, dirà appena insediatosi ai Maestri del lavoro il 1° maggio 1982, ma è anche un verbo, come poter guardare in viso i nostri figli senza avere la sensazione di doverci rimproverare qualcosa.

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L’uomo Capitano, Colonnello e poi Generale ed infine Prefetto si è lasciato ispirare da valori superiori per la tutela della sicurezza, della libertà, della democrazia, tutto in nome del popolo italiano, come titola un bel libro scritto dal figlio Nando.

dalla Chiesa, al massimo del prestigio personale, lui il Generale che aveva sconfitto il terrorismo ed era per questo oggetto di ammirazione e di stima da parte di tutti, accetta di scendere a Palermo, stravolgendo la sua vita personale, ben sapendo che andava non per sconfiggere, come lui stesso ebbe a dichiarare, ma al massimo per contenere la mafia, sempre che avesse ricevuto i poteri per farlo.

Accetta l’incarico, sapendo che potrebbe uscirne sconfitto, e lo fa da uomo che dinanzi all’emergenza che vive Palermo ( decine di morti insanguinavano all’epoca il territorio), non può tirarsi indietro, lo fa nonostante il turbamento che confida nel suo diario all’amata moglie Dora, prematuramente scomparsa qualche anno prima. Il suo senso dell’onore non glielo consentirebbe.

Mi affascina la figura di un uomo che non si sottrae alle sfide, non cerca la vita comoda, coraggioso, colto, raffinato, con un fortissimo senso del dovere e dell’onore, un uomo tutto d’un pezzo, capace di una smisurata passione civica, ma anche marito e padre amorevole, premuroso, riconoscente per i sacrifici ed i turbamenti che ha fatto patire alla famiglia a cagione del suo lavoro.

E ancora c’è tanta attualità nel del profilo professionale che esprime la grande capacità di analisi delle situazioni che si trova ad affrontare.

dalla Chiesa punta ad avere una visione di insieme, come esprime nella veste di Comandante della Legione Carabinieri di Palermo, attraverso quella sapiente elaborazione della mappatura delle famiglie mafiose nei diversi mandamenti, mettendo insieme per la prima volta nomi e interessi economici di ciascuna di esse.

Un rapporto, elaborato grazie alla collaborazione dell’allora capitano dei Carabinieri Giuseppe Russo, che poi sarà ucciso nell’agosto del 1979 a Ficuzza, e che il Colonnello dalla Chiesa illustrerà in sede di audizione presso la Commissione Parlamentare Antimafia.

Per quei tempi mostra una straordinaria capacità di mettere a sistema le notizie e di fare analisi in funzione prospettica, per capire ciò che accade in cosa nostra e fermarne le successive azioni criminali; vuol conoscere lo spessore delle famiglie mafiose e le dinamiche al loro interno, le relazioni di affari, gli interessi economici,

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gli investimenti, il loro proiettarsi in nuove attività, al tempo rappresentato dal settore ben lucroso dei pubblici appalti.

E nel breve periodo che resta alla guida della Prefettura, in una Palermo insanguinata da tante morti volente, più volte ebbe a dichiarare: non mi interessa conoscere i killers, mi interessa conoscere le ragioni di un fenomeno.

E’ uomo di grandi visioni il Prefetto Dalla Chiesa come lo era stato da capitano, da colonnello e poi da Generale dell’Arma dei Carabinieri.

Comprende che la mafia che investe il danaro proveniente dalla droga, rispetto ai primi anni ’70, ha fatto il salto di qualità, ha sviluppato nuove e più ampie alleanze, quelle alleanze che si cementano in nome degli affari, e che in nome del danaro e di nuovi scenari di investimento cosa nostra ha già travalicato la stretta dimensione regionale.

Il suo pensiero e la sua strategia sono ben espressi nell’intervista rilasciata a Giorgio Bocca pubblicata il 10 agosto: “La mafia, dichiara, ormai sta nelle maggiori città italiane dove ha fatto grossi investimenti edilizi, o commerciali e magari industriali.

A me interessa conoscere questa accumulazione primitiva del capitale mafioso ma mi interessa ancora di più la rete mafiosa di controllo che attraverso imprese e commerci passati a mani insospettabili sta nei punti chiave, assicura i rifugi, procura le vie di riciclaggio, controlla il potere. La lotta alla mafia si fa in modo globale……..Oggi mi colpisce il policentrismo della mafia anche in Sicilia, è finita la mafia geograficamente limitata alla Sicilia occidentale, oggi la mafia è forte anche a Catania. Con il consenso della mafia palermitana le quattro maggiori imprese edili catanesi oggi lavorano a Palermo. Lei crede che potrebbero farlo se dietro non ci fosse una nuova mappa del potere mafioso?”

E’ uomo che si interroga, il Prefetto dalla Chiesa. Vuol sapere cosa ci sta dietro i nuovi comportamenti, i nuovi delitti, e vuol comprendere le ragioni di nuove alleanze e di nuovi equilibri.

Il metodo dell’uomo intelligente, acuto, profondo. Come si può pensare di combattere un nemico senza la piena conoscenza della sua personalità, delle sue mire, delle sue azioni, senza cioè una strategia di attacco?

Una raffinata capacità di analisi unita ad una già ampiamente dimostrata capacità operativa ed organizzativa .

E’ questo che ha fatto così tanta paura alla mafia?

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Mi sono sempre chiesta perché muore il Prefetto dalla Chiesa, con una incredibile accelerazione, prima ancora di ottenere i tanto auspicati poteri.

Quanta paura doveva fare questo Prefetto, uomo tutto d’un pezzo, che nelle azioni quotidiane, nelle dichiarazioni pubbliche dava ad intendere che era sceso per fare sul serio?

Quanta paura doveva fare questo Prefetto che conosce i mafiosi, conosce gli interessi e gli intrecci di taluni esponenti della politica con cosa nostra, di cui aveva parlato in Commissione Parlamentare Antimafia, in un’audizione coperta da numerosi omissis?

Ricordo pure che i parlamentari Terranova e La Torre, firmatari della relazione di minoranza, erano già stati barbaramente uccisi da cosa nostra, e così il Procuratore Costa audito ancor prima dalla Commissione.

Il 1° settembre il Ministro delle Finanze Formica scende a Palermo insieme al Comandante Generale della Guardia di Finanza per un vertice e valutare il seguito da dare all’indagine sul patrimonio di numerosissimi mafiosi ma anche di industriali e professionisti.

Titola L’Ora : “ In corso a Palermo il vertice tra Formica, dalla Chiesa e il Comandante della Finanza”.

E’ una radiografia sull’attività economica svolta da uomini e da imprese di mafia … è la mafia imprenditrice nel mirino, false fatture, contributi facili, la mafia in doppio petto…scrive Bolzoni.

E’ pericoloso risalire ai soldi ed agli investimenti della mafia.

Tutto ciò in un periodo in cui lo Stato sembrava svegliarsi a Palermo: Squadra Mobile e Nucleo Operativo del Gruppo Carabinieri, leggasi il vice questore Antonino Cassarà, tre anni dopo ucciso anche lui, ed il Cap. Angiolo Pellegrini, presentano in luglio al Giudice istruttore Giovanni Falcone il rapporto contro Michele Greco + 160,

con il quale gli investigatori spiegano la meccanica della guerra scoppiata il 30.4.1981 con l’assassinio di Stefano Bontade, boss di Villagrazia, una disamina accurata dei numerosi fatti di sangue verificatisi nei due anni precedenti, i contorni dei nuovi assestamenti e aggregati mafiosi, la natura degli obiettivi illeciti da loro perseguiti, le responsabilità emerse a carico dell’associazione o da ciascuno dei componenti di essa non solo in ambito siciliano ma anche in ambito nazionale.

Un rapporto, come è scritto, che ha cercato riscontri alle ipotesi investigative negli accertamenti patrimoniali bancari e finanziari che hanno evidenziato altresì gli

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incredibili arricchimenti, con il coinvolgimento diretto ed indiretto, volontario, coartato, consapevole e non, di altri ambienti e strutture sociali, economiche, politiche, amministrative e finanziarie. Gli enormi profitti derivanti dalla raffinazione e commercio dell’eroina concretizzati in un fiume di dollari pervenuti attraverso strade diverse nella città di Palermo hanno trovato riscontro negli investimenti immobiliari e nell’improvviso sorgere di varie imprese edilizie ”

Il rapporto, davvero coraggioso, riconduce la potenza dell’organizzazione mafiosa non soltanto alla capacità militare ma anche alle ramificate commistioni che è riuscita a realizzare con il tessuto connettivo sociale ed economico cittadino fondendosi con esso e avvalendosi in tal modo di un’ampia zona grigia. Come è scritto un orrido innesto.

A mio avviso l’azione nuova del Prefetto appare così già dirompente anche senza i poteri speciali di coordinamento per la sua autorevolezza, la sua profonda conoscenza del fenomeno mafioso, la sua espressa volontà di accompagnare l’azione di controllo del territorio e di prevenzione con una forte spinta a servirsi delle indagini bancarie della Guardia di Finanza, a supporto di ogni azione investigativa.

Gli Spatola e gli Inzerillo, arricchitisi con i fiumi di eroina raffinata a Palermo e spedita negli Stati Uniti, uccisi dai corleonesi di Totò RIINA, dove hanno messo i loro soldi? e così i Bontade e Pippo Calò? E comunque che fine hanno fatto quei dollari?

Rileggendo i giornali del tempo mi è tornato alla memoria l’attentato consumato il 27.4.1982 contro Roberto Rosone, vice direttore del Banco Ambrosiano dichiarato insolvente 25.8.1982 per un dissesto finanziario di dimensioni colossali. Dagli atti dell’inchiesta, si legge che gli ispettori della Banca d’Italia acclararono i rapporti tra Roberto Calvi, Michele Sindona e Monsignor MarcinKus che avevano fondato nel 1971 la Cisalpine Overseas BanK, cui giunsero dall’Ambrosiano all’atto della costituzione 240 milioni di dollari, poi diventati ben 465,9 milioni nel 1977. Di questi, soltanto 254 risultarono provenire da consociate estere del Gruppo Ambrosiano, mentre i restanti 211,9, un’enorme massa monetaria, risultarono provenire da non meglio precisati “altri” che non furono mai individuati.

E sappiamo oggi, anche grazie alle dichiarazioni di collaboratori di giustizia che Sindona riciclava i soldi per conto di Bontade ed Inzerillo, mentre Calvi era al servizio di Gelli e Pippo Calò, accomunati da spregiudicatezza ed ambiguità delle loro operazioni finanziarie. Calvi muore suicidato il 18.8.82. Un maledetto 1982.

Dopo morirà avvelenato pure Sindona.

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Orbene, questo era il periodo storico in cui si muoveva il Prefetto dalla Chiesa che dichiarava di voler colpire non solo il livello basso dell’organizzazione mafiosa, ma anche la testa, fino a giungere alle collusioni, senza guardare in faccia a nessuno, e che puntava su accertamenti della Guardia di Finanza che avrebbero potuto portare ai referenti di cosa nostra.

E’ questa dichiarata ferma volontà di cercare i soldi che ha massimamente fatto paura al potere mafioso?

Comunque sia, le ragioni dell’omicidio stanno tutte in quella capacità eversiva dell’ordine democratico che il potere mafioso ha espresso ferocemente negli anni tra la fine del 1970 ed il 1993, per controbilanciare e colpire quell’altrettanto forza rivoluzionaria espressa da uomini nuovi delle Istituzioni, cresciuti nei valori della nostra Costituzione e che puntavano a scardinare ogni possibile convivenza tra mafia e Stato.

A Palermo, dove una Squadra Mobile e l’Arma dei Carabinieri lavoravano insieme in sinergia, attenti a sviluppare analisi sui fenomeni criminali aiutati dalla innovativa strategia di ricerca dei dati bancari e finanziari, il Prefetto Dalla Chiesa costituisce un’ importante ma pericolosa presenza che, saldandosi con le altre Istituzioni statali, avrebbe potuto rappresentare una forza istituzionale eversiva dell’esistente sistema di potere mafioso.

In un momento storico in cui lo Stato è pronto ad accordargli i poteri di coordinamento e la Guardia di Finanza, su sollecitazione dello stesso Ministro delle Finanze, ha iniziato a guardare dentro improvvisi arricchimenti.

Ed ancora dalla Chiesa esprimeva una nuova volontà e capacità di aggregare consenso in maniera sistemica per creare un fronte unito di lotta alla mafia.

Il Prefetto sa di avere sconfitto il terrorismo anche con il favore della gente, e per questo è convinto che la lotta alla mafia ha parimenti bisogno del sostegno e della condivisione dei cittadini. Consapevole che occorre promuovere un processo di crescita culturale, si reca presso le scuole a parlare con i giovani del Gonzaga e del liceo Garibaldi; interviene a un’assemblea della Lega contro la droga, va anche ai cantieri navali a parlare con i sindacati e gli operai, una gran bella provocazione dato che in area portuale comandava cosa nostra.

Ha rapporti di amicizia con il Cardinale Pappalardo che sostiene, nella drammaticità del susseguirsi degli eventi delittuosi in quei tragici mesi, una Chiesa che vuole prendere posizione contro la mafia. E, infatti, la domenica dell’Assunta i parroci del

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triangolo della morte, Altavilla Milicia/ Casteldaccia/ Bagheria, 11 morti in agosto nel giro di 5 giorni, leggono dal pulpito una lunga omelia in cui usano parole dure, parlano di peccato sociale della mafia, di collusioni e della complicità degli amministratori pubblici e dichiarano “Non possiamo assistere come cristiani a questa feroce carneficina mafiosa che insanguina le strade dei nostri paesi, né possiamo abituarci a questa logica di morte”.

I documenti trovati in archivio:

Il carattere dell’uomo Generale Prefetto dalla Chiesa trova conferma in tutta interezza in tre documenti rinvenuti in Prefettura, e di cui vorrei consegnare copia ai figli: un verbale del Comitato Provinciale Ordine e Sicurezza Pubblica del 31.5.1982, un articolato appunto al Sig. Ministro datato 30.6.1982, e la bozza contenente la circostanziata relazione della riunione del Comitato provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica tenutasi il 7.8.1982. Di questi tre documenti l’unico firmato è il verbale del 31.5.1982 e non vi nascondo l’emozione nel leggevi apposta la firma autografa del Prefetto dalla Chiesa.

In quella riunione, come scritto in verbale, il Prefetto dichiara “premesso che la mafia non è soltanto criminalità organizzata e che essa presenta collegamenti con vari gruppi ed apparati compreso quello statale…per combattere la mafia occorrono più che mezzi straordinari unitarietà di intenti, intelligenza e fantasia…Esistono molti punti in comune negli ultimi omicidi di stampo mafioso, Mattarella, Terranova, Costa, La Torre, e avanza l’ipotesi che quei delitti possano trovare una spiegazione tenendo conto di due dati di fatto: 1) la zona corleonese continua a dare linfa vitale alla mafia; 2) le iniziative economiche che stanno sorgendo attorno alla base missilistica di Comiso, la presenza di importanti imprese appaltatrici catanesi a Palermo corrispettivo dell’inserimento agevole di palermitani nel ragusano”.

“..E’ necessario, continua il Prefetto, un colloquio costruttivo fra tutti coloro che sono chiamati a concorrere alla lotta alla mafia con impegno e senza alcun desiderio di primeggiare l’uno sugli altri, è meglio essere mezzofondisti che centometristi.

Solo così potranno raggiungersi risultati positivi e sarà possibile così restituire fiducia ai cittadini ed accrescere la credibilità dello Stato”.

Il Prefetto dalla Chiesa sa che cosa nostra uccide in nome di una strategia volta a farle conquistare in un territorio posizioni di dominio sugli uomini e sugli affari, vittime

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ed affari vanno a braccetto e per questo il Prefetto punta sulla importanza delle indagini bancarie.

Così, nella riunione del 31 maggio esorta i rappresentanti della Guardia di Finanza ad affiancare, per ora, limitatamente agli ultimi importanti delitti di mafia l’attività investigativa della Questura e dei Carabinieri, fornendo a questi organi di Polizia quanto dalle indagini della Finanza possa essere utile ai fini penali.

Una visione di straordinaria attualità: gli affari come movente delle dinamiche criminali e delle collusioni e la necessaria compattezza degli Organi dello Stato, che deve essere visibile e concreta per valorizzare l’azione di contrasto ma anche per dare fiducia al cittadino che deve credere nelle Istituzioni e nella volontà e capacità di risposta alla tracotanza mafiosa. Ad una strategia unitaria di morte deve corrispondere una strategia unitaria di contrasto.

Oggi è così, e a Palermo non potrebbe essere altrimenti. Unitarietà significa valorizzare i momenti del coordinamento per favorire lo scambio e la circolarità delle informazioni, evitare inutili sovrapposizioni e concorrere ogni Amministrazione, Ufficio e Comando, secondo le proprie specifiche competenze e funzioni, a rendere coerente e massimamente efficace l’azione dello Stato nella prevenzione e nella repressione. Questa unitarietà di intenti e di azione ha reso forte lo Stato contro cosa nostra.

Nell’appunto al Sig. Ministro ritrovo il Prefetto nell’interezza delle sue funzioni. Da una parte il Prefetto autorità provinciale di P.S., orientato a sviluppare analisi sullo stato della criminalità organizzata, e dall’altra il Prefetto delle funzioni amministrative, competente anche al rilascio delle patenti.

L’appunto al Signor Ministro contiene 3 documenti allegati:

Allegato 1 – concernente la proposta di potenziamento dell’organico degli agenti della Polizia di Stato e il rientro in sede del contingente di 150 uomini del Battaglione dei Carabinieri impiegati in Calabria dal 16.11.1976.

Allegato 2 – concernente il coordinamento sul piano regionale dei Prefetti della Sicilia, con richiamo all’avviata serie di contatti …onde dar luogo ad un primo scambio di idee sulla presenza mafiosa nell’Isola…. E’ assolutamente necessario che il dialogo si apra tra persone che parlano lo stesso linguaggio, che siano animate dallo stesso intento penetrativo, conoscitivo e costruttivo, aliene da qualsivoglia timore conservativo.

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Allegato 3 - Relazione sul numero delle pratiche arretrate in materia di patenti e pensioni in favore delle categoria protette e proposte di soluzione.

Infine, il terzo documento concernente la bozza di verbale relativo alla riunione di Comitato del 7 agosto 1982 .

“VERTICE in Prefettura”, scrive l’Ora che riporta la nota diffusa al termine dell’incontro. E’ il Comitato convocato in relazione alla recrudescenza dei delitti di stampo mafioso consumati nelle zone di Altavilla, Casteldaccia e Bagheria. Il 4 agosto i morti in provincia sono 79 e comincia la strage di Casteldaccia, il 7 agosto i morti sono già 86, nel circondario di Casteldaccia 11 in cinque giorni.

“Divertitevi a guardare dentro la 127 rossa”, telefona una voce alla Stazione dei Carabinieri e la 127 è lì proprio fuori con i cadaveri di Cesare Manzella e Ignazio Pedone, incaprettati legati ai polsi e alle caviglie.

Per la prima volta cosa nostra usa il linguaggio delle brigate rosse. E’ una provocazione al Prefetto Generale? L’Operazione dalla Chiesa non è ancora conclusa.

Scrive Attilio Bolzoni su l’Ora del 9 agosto…Una vera e propria sfida…E’ una vera prova di forza e di terrore. Il quadro generale allucinante…un concentrato di morte.

L’11 agosto i morti sono già 93, a ferragosto 95.

La bozza del verbale della riunione dà conto dell’intervento forte del Prefetto che sviluppa tutta una serie di indicazioni operative, disponendo in particolare di rarefare la presenza delle probabili vittime che dovranno essere identificate, convocate tra uffici della Polizia di Stato e Arma CC…….investire massicciamente la zona con presenza di uomini e i mezzi e posti di blocco curati anche dalla Guardia di Finanza, per creare un clima psicologico in tutto particolare con il continuo vorticare di uomini in divisa, onde creare momenti di inquietudine tra delinquenti ed organizzazioni delinquenziali.

Il 26 agosto i morti ammazzati sono 100….. Il Ministro dell’Interno Rognoni assicura che il 7 settembre il Consiglio dei Ministri prenderà la decisione finale sui poteri di coordinamento.

Il 1° settembre arriva a Palermo il Ministro delle Finanze Formica con il lavoro di schedatura di mafiosi e colletti bianchi arricchitisi velocemente.

Il 3 settembre il Prefetto dalla Chiesa muore e con lui la moglie Emanuela e l’agente Domenico Russo, uccisi barbaramente lo stesso giorno in cui, nel lontano 3.9.1949, il

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capitano dalla Chiesa si insediava al Comando della Squadriglia delle Forze di Repressione del banditismo di Corleone.

Il Prefetto muore odiato da Totò Riina e perché vuol far sul serio, non punta solo sul rafforzamento dei posti di blocco e del controllo del territorio, ma vuol seguire i soldi e trovandoli colpire i santuari mafiosi, le collusioni e le coperture. Muore, ucciso dalla stessa arma che nel maggio 1981 aveva ucciso Totò Inzerillo.

Del resto, tutti coloro che hanno cercato quei soldi sono morti o moriranno.

IL PREFETTO ( De Miro)

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