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CARLO ALBERTO DALLA CHIESA

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Academic year: 2022

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CARLO ALBERTO DALLA CHIESA

Palermo, 3 settembre 1982: alle ore 21.15, la A 112 bianca sulla quale viaggia il Prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, viene affiancata in via Isidoro Carini da una BMW dalla quale partono alcune raffiche di Kalashnikov che uccidono il Prefetto e la moglie.

Nello stesso momento l'auto con a bordo l'autista e agente di scorta, Domenico Russo, che segue la vettura del Prefetto, viene affiancata da una motocicletta, dalla quale parte un'altra raffica che uccide Russo.

MA CHI ERA CARLO ALBERTO DALLA CHIESA?

Figlio d'arte, Carlo Alberto dalla Chiesa (Saluzzo,27/09/20-Palermo 03/09/82), entra nell'Arma dei Carabinieri nel 1942, come ufficiale di complemento (non farà mai l'Accademia).

Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, entra nella Resistenza, operando in clandestinità nelle Marche, dove organizza gruppi armati per fronteggiare i tedeschi.

Nel dicembre 1943 viene inviato a Roma, poi a Bari, dove si laurea e conosce Dora, l'amore della sua vita.

Seguono destinazioni ad altre sedi, altri incarichi nei quali si distingue sempre per intelligenza e coraggio. C'è però una costante nel suo percorso, lungo tutta la sua carriera: ogni volta che realizza un'operazione brillante, il Comando Generale dell'Arma lo trasferisce, come se la sua bravura dispiacesse a qualcuno o fosse 'pericolosa' per qualcun altro.

In Sicilia, nel '49 da capitano, indaga sulla scomparsa del sindacalista Placido Rizzotto, giungendo ad incriminare il boss emergente Luciano Liggio (1950).

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Pochi giorni dopo la stesura del rapporto sull’omicidio Rizzotto, il Comando Generale dell’Arma lo trasferisce d'urgenza, senza una motivazione ufficiale.

L’ordine è di rientrare a Firenze.

Dopo la Toscana, per il capitano comincia una serie di trasferimenti, persino quattro in un solo anno. Dalla Chiesa vive come un’ingiustizia i continui, ingiustificati cambiamenti di sede. Chiaramente qualcuno, molto potente, lo detesta, lo vede come un corpo estraneo nell'Arma. Al Comando Generale circola la voce che sia un “tipo pericoloso”.

Dal 1966 al 1973, è di nuovo in Sicilia da colonnello, al comando della Legione carabinieri di Palermo. Qui inventa un nuovo metodo d’indagine.

Parte dagli alberi genealogici, per ricostruire il potere delle famiglie: famiglia per famiglia, paese per paese, provincia per provincia. Risultato di queste indagini sono decine di arresti dei boss e, per coloro i quali non sussiste la possibilità dell'arresto, scatta il confino, ma non al Nord, come infaustamente si era fatto nei decenni precedenti, bensì nelle isole di Linosa, Asinara e Lampedusa.

Promosso nel '73 Generale di Brigata, nel 1974 dalla Chiesa diventa Comandante della Legione Militare di Nord-Ovest, con giurisdizione su Piemonte, Valle d'Aosta e Liguria. Si trova così a dover combattere il crescente numero di episodi di violenza ad opera delle Brigate Rosse ed il loro crescente radicarsi negli ambienti operai. Nel maggio 1974 il ministro Taviani, in contrasto con il comando dell'Arma, fa propria la sua proposta di costituire il Nucleo Speciale Antiterrorismo. Questo dà una grande autonomia d'azione al generale, che può così utilizzare i metodi che ha già sperimentato in Sicilia, infiltrando alcuni uomini all'interno dei gruppi terroristici. I risultati sono clamorosi, ma la polemica sulla spregiudicatezza del Generale divampa. Nel 1976 il Nucleo Speciale Antiterrorismo è smantellato e dalla Chiesa sollevato anche dal Comando della Brigata.

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Nel 1977 è nominato Coordinatore del Servizio di Sicurezza degli Istituti di prevenzione e pena e, da par suo, inventa le cosiddette “supercarceri”, vere fortezze per i capi delle Brigate Rosse (Favignana, Fossombrone, l'Asinara, Cuneo, Trani, Novara, Termini Imerese, Pianosa e Nuoro).

Nel 1978 una tragedia personale ( il 19 febbraio muore d'infarto l'amatissima moglie Dora, un durissimo colpo per il Generale) e una tragedia pubblica: il 16 marzo le Brigate Rosse rapiscono il presidente della DC Aldo Moro, che verrà ritrovato cinquantacinque giorni dopo cadavere nel bagagliaio di una Renault, nel centro di Roma. E’ un momento drammatico per il Paese.

Nella primavera 1978 viene ricostituito il Nucleo Speciale Antiterrorismo.

Dalla Chiesa deve rispondere solo ad Andreotti, capo del governo, e al ministro degli Interni Rognoni.

Sceglie 150 uomini. E si rivolge loro con queste parole:

“Da oggi nessuno di voi ha più un nome, una famiglia, una casa. Da adesso dovete considerarvi in clandestinità. Io sono il vostro unico punto di riferimento. Io vi darò una casa, io vi ordinerò dove andare e cosa fare. Il Paese è terrorizzato dai brigatisti. Da oggi saranno loro che devono cominciare ad avere paura di noi e dello Stato”.

Promessa mantenuta. Le Brigate Rosse vengono smantellate.

Alla fine del 1981 dalla Chiesa diventa vicecomandante dell'Arma, la massima carica per un ufficiale dei Carabinieri.

A marzo 1982 Il capo del governo Giovanni Spadolini gli chiede di tornare in Sicilia, dove è in corso una sanguinosa guerra di mafia. Dalla Chiesa, inizialmente perplesso, si lascia convincere dal ministro Virginio Rognoni, che gli promette poteri fuori dall'ordinario per contrastare la guerra tra le cosche, che insanguina l'isola.

“Tra me e La Torre in un paio di anni le cose più importanti dovremmo riuscire a farle”, dice alla figlia Rita appena nominato. Ma dopo qualche settimana, il

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30 aprile, il giorno stesso in cui dalla Chiesa arriva a Palermo, La Torre viene assassinato con l’autista Rosario Di Salvo.

La Torre, Segretario regionale del PCI, aveva proposto un disegno di legge che prevedeva per la prima volta il reato di associazione mafiosa con pene detentive esemplari e la confisca dei patrimoni ai mafiosi.

La Palermo in cui dalla Chiesa arriva è una città mattatoio.

Insediatosi in città, lamenta più volte la carenza di sostegno da parte dello Stato. Emblematica la sua amara constatazione: "Mi mandano in una realtà come Palermo con gli stessi poteri del prefetto di Forlì".

Intanto, oltre a indagare il mondo criminale in attesa di quei poteri eccezionali che gli permetteranno di agire, si rivolge agli studenti, agli operai, ai genitori dei tossicodipendenti, ai sindaci dei paesi più mafiosi. Conosce bene infatti l’egemonia della mafiosità sulla società siciliana, la cultura mafiosa che la pervade e sa che per disgregarla, oltre all'azione repressiva, è indispensabile una tenace azione educativa. A tutti parla di diritti. Quelli che la mafia traduce in favori.

Ma a Roma continuano a tergiversare. Dalla Chiesa è sempre più solo in una città ostile. Abbandonato da Roma, osteggiato in tutti i modi dai diversi poteri in Sicilia, il generale decide di rilasciare al grande giornalista Giorgio Bocca un'intervista, che uscirà su la Repubblica il 10 agosto. E' un documento lucido e spietato, sulla Sicilia, sulla mafia catanese e palermitana, sul suo potere pervasivo anche nelle città del Nord, sulla rinuncia dello Stato a combattere.

E poi quasi una profezia: ”Credo di aver capito la nuova regola del gioco. Si uccide il potente quando è diventato troppo pericoloso, ma si può ucciderlo perché è isolato”. E lui è il potente, troppo abile e quindi pericoloso, non solo per la mafia, ma anche per chi, in quanto rappresentante delle Istituzioni, lo dovrebbe difendere, ma con la mafia condivide il potere, a Palermo come a Roma.

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Il 3 settembre 1982 Carlo Alberto dalla Chiesa viene assassinato con la giovane moglie Emmanuela Setti Carraro. La cassaforte del Generale sarà misteriosamente svuotata. Cosa c'era nella cassaforte del generale? Quali documenti segreti? Le ultime indagini sulla mafia di Palermo? Gli accertamenti sui grandi costruttori mafiosi catanesi, che lavorano anche a Palermo, o sugli esattori di Salemi? Vecchie carte dell’Antiterrorismo? Carte del memoriale di Aldo Moro?

L’assassinio del prefetto-generale rimane ancora oggi oscuro per quanto riguarda il movente e i reali mandanti. Dalla Chiesa, infatti, era da troppo poco tempo a Palermo per avere attivato un piano punitivo della mafia che di norma rifugge da iniziative non sufficientemente ponderate: come ha ben rilevato Tommaso Buscetta “non aveva ancora fatto niente” che la mafia gli potesse personalmente addebitare. Buscetta era orientato a credere, come del resto, un giornalista romano, il direttore della rivista scandalistica O.P., Mino Pecorelli – che dalla Chiesa “era a conoscenza di segreti che infastidivano l’on. Andreotti”.

Ai funerali, cui partecipa una folla immensa, i politici vengono contestati al limite dell'aggressione fisica, solo il Presidente della Repubblica Sandro Pertini viene risparmiato. Le parole dell'omelia del cardinale Pappalardo, liberatorie per la folla, imbarazzanti per le autorità, fanno il giro dei telegiornali: “Mentre a Roma si pensa sul da farsi, la città di Sagunto viene espugnata dai nemici (citazione di un passo di Tito Livio)… e questa volta non è Sagunto, ma Palermo. Povera la nostra Palermo”.

Dieci giorni dopo la morte di Carlo Alberto dalla Chiesa, il Parlamento italiano approva la legge Rognoni-La Torre, che per la prima volta definisce il reato di associazione mafiosa, con controllo dei patrimoni, pene detentive esemplari, esproprio e confisca dei beni. In qualche modo l'assassinio del generale

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da Pio La Torre che, all’art. 416 bis così definisce, per la prima volta nel diritto italiano, il reato di associazione mafiosa: “l’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri”.

La vicenda umana di Carlo Alberto Dalla Chiesa, nella sua drammaticità è molto significativa. È un uomo duro, forte, autoritario, investigatore scaltro e implacabile, adorato dai suoi uomini, fedele ai valori repubblicani. Con il suo comportamento testimonia in prima persona i valori che proclama e di cui si fa portatore. Ha un forte senso del dovere e dello Stato. Un grande amore per i propri cari e per il prossimo. Crede fermamente nelle Istituzioni e si impegna attivamente a diffondere la cultura del rispetto, dei diritti, della dignità.

Capisce che la lotta alla criminalità passa anche attraverso l’educazione alla legalità e alla cittadinanza attiva. Impegnandosi nel risvegliare le coscienze di tutti cittadini. Dalla Chiesa è un grande interprete e sostenitore della giustizia sociale.

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