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SE L AMBIENTE NON RISPETTI, CHE FUTURO TI ASPETTI?

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Academic year: 2022

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SE L’AMBIENTE NON RISPETTI, CHE FUTURO TI ASPETTI?

Progetto a cura degli alunni delle classi:4F, 4G, 5F, 5G

Coordinamento:

Prof.ssa Lacava Elisabetta

LICEO “ROSA-GIANTURCO” Immagine a cura di:

Francesco Basentini -POTENZA-

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INDICE

• IL SISTEMA TERRA ………4

• I DISEQUILIBRI AMBIENTALI …….13

• L’IMPATTO DELLE ATTIVITA’ ECONO- MICHE SUL GEOSISTEMA ………17

• IL MONDO PROVA A DARSI DELLE RE- GOLE ………. 27

• CRESCITA ECONOMICA E SVILUPPO SO- STENIBILE ………. 43

• LE SCIENZE UMANE CI VENGONO IN- CONTRO…! ………. 50

• PETROLIO IN BASILICATA, TRA RIC-

CHEZZA E DISTRUZIONE ……… 54

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Veste tipografica a cura di:

Anna Colangelo, Luca Ostuni

Classe IV F

“Liceo Rosa - Gianturco”, Potenza

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IL SISTEMA TERRA

LE COMPONENTI DEL GEOSISTEMA

La Terra può essere considerata come un sistema che si au- toalimenta e vive grazie alle molteplici e complesse rela- zioni che legano le sue parti.

Tale sistema è stato denominato Geosistema o Gaia (dal nome con cui gli antichi greci chiamavano la Grande Madre Terra).

Le parti che formano il Geosistema sono chiamate sfere geochimiche e sono:

• La litosfera, formata dall’involucro solido e

roccioso che costituisce lo strato esterno del

pianeta;

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• L’idrosfera, composta da tutte le acque, su- perficiali e sotterranee, che si trovano sulla Terra;

• L’atmosfera, formata dall’involucro gassoso che avvolge il globo terrestre.

Accanto a queste, che rappresentano la componente non vivente, o abiotica, del nostro pianeta, vi è la biosfera. Essa non è semplicemente la componente biotica della Terra, formata cioè da tutti gli esseri viventi, ma comprende l’in- sieme di tutte le relazioni di scambio di materia e di energia che permettono la vita. Il ruolo degli esseri viventi per la sopravvivenza di Gaia è di fondamentale importanza. La componente biotica è così intimamente correlata a quella abiotica che l’intero geosistema può essere definito ecosi- stema terrestre. Qualunque mutamento si verifica in una delle sue componenti, finisce per ripercuotersi su tutte le altre.

ENERGIA PER IL PIANETA

Il Sistema Terra, per poter funzionare, richiede un continuo apporto di energia, la cui origine è data quasi esclusiva- mente dal Sole. Nella definizione di energia solare non si intende solo quella diretta, che entra nel sistema sotto forma di radiazione incidente, ma anche quella che si rende disponibile in forma indiretta: energia eolica, quella idrau- lica e il moto ondoso. Le fonti energetiche diverse da quelle solare hanno un ruolo marginale nel funzionamento del sistema terrestre: si fa riferimento all’energia di marea e all’energia geotermica.

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L’ATMOSFERA

L’involucro gassoso che avvolge il nostro pianeta costitui- sce l’atmosfera terrestre.

Essa è composta da una mi- scela di diversi tipi di gas.

Solo la parte più bassa dell’atmosfera rappresenta l’aria vera e propria, cioè quella particolare miscela di sostanze gassose che rende possibile la vita degli esseri viventi.

I cambiamenti nelle compo- sizioni chimiche dell’atmo- sfera sono divenuti molto più veloci nel corso degli ul-

timi due secoli parallelamente allo sviluppo delle attività agricole e industriali e al rapido incremento della popola- zione mondiale. La causa principale di questo fenomeno va ricercata nel massiccio ricorso ai combustibili fossili per la produzione di energia, insieme ad alcune pratiche indu- striali che prevedono lo smaltimento dei fumi nell’aria. A esse sono da aggiungere alcune attività agricole come l’al- levamento di bovini, che contribuisce all’aumento del gas metano, la combustione delle biomasse e la deforesta- zione. Le prime conseguenze di questo peggioramento della qualità dell’aria, genericamente definito inquina- mento atmosferico, si sono fatte sentire sul piano della sa- lute (sostanze inquinanti irritanti, velenose e causa di tu- mori). Particolarmente degradata è la qualità dell’aria nelle

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aree urbane, dove si sommano gli effetti del riscaldamento delle abitazioni con quelli del traffico automobilistico. Altra grave conseguenza dell’inquinamento atmosferico sono le piogge acide (precipitazioni con un PH molto più basso del normale).

L’IDROSFERA

Il 71% della superficie terrestre è costituita dalle acque.

L’acqua, non è solo il composto chimico più diffuso sulla superficie della Terra, indispensabile per ogni forma di vita, ma rappresenta la risorsa naturale più importante di cui di- sponga l’uomo. La disponibilità dell’acqua risulta molto va- riabile sulla superficie della Terra; nel mondo esistono Paesi in cui la disponibilità annua pro-capite è elevata, lar- gamente superiore alle effettive esigenze, e Paesi molto poveri di acqua, che a malapena possono coprire il loro fab- bisogno.

I problemi ambientali che derivano da un eccessivo di- spendio di acqua per l’irrigazione sono molteplici: abbassa- mento e contaminazione delle falde acquifere, prosciuga- mento di importanti bacini lacustri e salinizzazione dei suoli. Il maggior esempio di cattiva gestione della risorsa acqua è data dall’inquinamento idrico. La responsabilità del peggioramento della qualità dell’acqua è infatti soggetta a due fondamentali tipi di inquinamento: quello organico, derivante dalle deiezioni animali-umane e quello chimico, originato dalla dispersione dei rifiuti organi e dei processi industriali e agricoli.

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LA LITOSFERA

La risorsa suolo

Il suolo è quel sottile strato di terreno che ricopre gran parte delle terre emerse. Esso svolge un ruolo insostituibile nell’am- bito dell’ecosistema terrestre e può essere considerato una ri- sorsa rinnovabile; la rinnovabi- lità è comunque relativa ed è

fortemente compromessa dalle attività umane. Il suo ritmo di degrado si è oggi fortemente accelerato, con il conse- guente rischio di una progressiva diminuzione dell’esten- sione dei terreni destinati all’agricoltura.

Le risorse minerarie

Fin dall’epoca preistorica, l’uomo ha utilizzato le rocce mi- nerali presenti nella litosfera. La sua capacità di impiegare questi materiali è cresciuta di pari passo con il progresso della civiltà umana. Lo sfruttamento intensivo di queste ri- sorse è iniziato solo qualche secolo fa con l’avvento della rivoluzione industriale. Perché un minerale possa essere oggetto di sfruttamento economico è necessario che esso si trovi nei giacimenti. Una risorsa offerta dalla litosfera è il petrolio affiancato dal gas naturale e dall’energia nu- cleare che sono fonti di energia non rinnovabili.

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Le risorse energetiche

La litosfera offre all’uomo una grande varietà di materiali utili. Per gran parte della storia dell’umanità, il lavoro mu- scolare di uomini e animali è stata la principale fonte di energia, insieme alla forza del vento e a quello dell’acqua corrente. Fino alla prima metà dell’Ottocento la combu- stione della legna ha fornito energia alle abitazioni e alle prime attività industriali. Soltanto in seguito è stato utiliz- zato il carbone; nei decenni successivi ha preso il posto il petrolio, in seguito affiancato dal gas naturale e dall’ener- gia nucleare

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LA BIOSFERA

La vegetazione che ricopre la superficie delle terre emerse, unitamente alla fauna che la abita e ne trae alimento, è stata definita biosfera. Tuttavia con il termine biosfera si intende l’intero sistema geofisico di cui ne fa parte anche la crosta terrestre, il suolo superficiale e le acque correnti e così pure la troposfera, in cui si condensa gran parte della massa gassosa e nella quale si manifestano i fenomeni me- teorologici. Ma anche l’involucro superiore, la stratosfera, partecipa al grande maccanismo della vita. La biosfera quindi può essere immaginata quanto una sottile pellicola vivente compresa tra due strati, la litosfera, l’atmosfera che la proteggono e nel contempo regolano molteplici equilibri naturali, della cui efficienza dipende la “salute” di tutti gli esseri viventi.

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LE RISORSE

Un bene naturale diventa risorsa solo quando si creano le condizioni per il suo sfruttamento. Le risorse naturali costi- tuiscono un potenziale estremamente vasto e diversificato.

Una prima generale classificazione le divide in due gruppi:

rinnovabili e non rinnovabili. I minerali sono disponibili in una quantità fissa: il ritmo di consumo fin qui seguito de- termina la riduzione delle riserve se non il loro esauri- mento in tempi più o meno lunghi. Il sole, il calore interno della terra, il vento, l’acqua, le biomasse sono invece fonti rinnovabili che cioè si ricostituiscono continuamente. Poi- ché la domanda globale di materia e di energia cresce e le risorse non rinnovabili tendono comunque all’esauri- mento, da alcuni decenni, si è via via concentrata l’atten- zione sulle risorse rinnovabili.

SUL CONCETTO DI ESAURIBILITA’

La disponibilità della maggior parte delle risorse dipende quindi dalle scelte umane nello sfruttamento delle riserve, dai limiti delle fonti di energia e dal livello di tecnologia uti- lizzata da ciascun Paese. Inoltre l’uomo altera i cicli biogeo- chimici modificandoli in senso temporale e quantitativo; in questo modo limita, e a volte rende inutilizzabile, risorse altrimenti abbondanti come l’acqua e l’aria.

Una caratteristica importante dei fenomeni naturali è la loro ciclicità: il bilancio delle entrate e delle uscite è sem- pre in pareggio e non esistono sprechi. Le attività umane invece consumano le risorse troppo velocemente e altret- tanto velocemente producono sostanze che la natura non riesce a recuperare e a inserire nei suoi processi ciclici o

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che, disturbano in modo irreversibile l’equilibrio degli eco- sistemi.

L’atteggiamento di fiducia circa la capacità dello sviluppo scientifico e tecnologico di far fronte al problema dell’esau- ribilità delle risorse venne scosso, e non poco, quando, ne- gli anni Settanta del Novecento, le economie dei Paesi in- dustrializzati vissero con un cerco sgomento due periodi di crisi petrolifera. Sull’onda dell’emergenza fu data allora grande attenzione all’argomento esauribilità delle risorse, e, di conseguenza, alla durata che quella data risorsa avrebbe potuto avere.

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VERSO UNA NUOVA CONSAPEVOLEZZA

Negli anni Settanta e Ottanta del Novecento venne posto l’accento sulla vulnerabilità della qualità dell’ambiente e sulla stabilità dell’ecosistema planetario; l’attività umana provoca turbamenti agli equilibri e ai ritmi naturali che re- golano la vita degli ecosistemi, l’umanità consuma risorse e produce rifiuti che immette nell’ambiente superando la capacità di carico del sistema Terra e interrompe i cicli na- turali; le risorse sottratte sono più di quante ne ritornano all’ambiente e i rifiuti aumentano in modo tale che la na- tura non riesce più ad assimilarli: in questo modo il cerchio della natura non si chiude.

Il biologo americano Barry Commoner, nel suo celebre li- bro “Il cerchio da chiudere”, pubblicato nel 1971, riassunse efficacemente nelle sue quattro leggi dell’ecologia le av- vertenze necessarie perché il cerchio possa chiudersi: at- tenzione all’interdipendenza tra gli elementi dell’ecosfera;

attenzione all’aspetto ciclico dei flussi di materia e di ener- gia; rispetto delle leggi naturali; attenzione alle conse- guenze delle nostre azioni. La gestione delle risorse natu- rali risente di due carenze gravi: da un lato ci si comporta come se le risorse fossero illimitate, dall’altro non si esita a dissiparle attraverso i comportamenti ecologicamente scorretti. Di fatto, l’intelligenza che ha permesso all’uma- nità di intervenire sul proprio sviluppo non è stata abba- stanza abile da prevedere tutti gli effetti collaterali che avrebbero agito accelerando la crisi ambientale globale.

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I DISEQUILIBRI AMBIENTALI

I PROBLEMI AMBIENTALI GLOBALI

Oggi la nostra specie ammonta a 7 miliardi di individui e potrà raggiungere, entro i prossimi dieci anni, gli 8 miliardi.

L’incremento demografico è da ricondurre alla capacità

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mostrata dall’uomo di manipolare a suo vantaggio la na- tura. Per tutte le altre specie animali e vegetali, invece, l’ambiente agisce controllandone lo sviluppo, anche nume- rico. Questa nostra caratteristica deriva dalla capacità, pro- pria della specie umana, di costruire e utilizzare strumenti complessi, ma anche di trasmettere informazioni e cono- scenze da una generazione all’altra. E’ l’insieme di tutte le conoscenze, patrimonio della nostra specie trasmesso nel corso del tempo, che ci mette in grado di modificare l’am- biente in base alle nostre necessità. Si tratta, però, di un’impresa rischiosa: le alterazioni ambientali sono ormai su scala planetaria e sono spesso irreversibili. Il progresso scientifico e tecnologico della nostra specie ha sicuramente prodotto molti benefici, ma ha anche agito ignorando i de- licati equilibri che regolano il sistema Terra nel suo com- plesso e i suoi ecosistemi. Oggi è a rischio, per l’uomo, la possibilità di fruire nel prossimo futuro delle risorse del pia- neta e ciò impone pesanti vincoli alla nostra stessa soprav- vivenza.

LA QUESTIONE DEI RIFIUTI

Nel mondo si producono annualmente più di 5000 milioni di tonnellate di rifiuti (un centinaio solo in Italia). La loro crescita impressionante dipende dall’aumento della popo- lazione e dai consumi. Una corretta gestione dei rifiuti deve basarsi sulla loro riduzione all’origine e sul massimo recu- pero possibile:

- all’origine (imprese produttrici e distributrici) interve- nendo sui cicli produttivi, perfezionando le tecnologie;

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- a livello dei consumatori: raccolta differenziata dei mate- riali che possono essere valorizzati in qualsiasi modo, ridu- cendo al minimo le quantità finali degli scarti irrecuperabili da avviare in discarica o agli inceneritori.

I RIFIUTI SOLIDI URBANI

Si possono classificare i rifiuti solidi urbani sulla base della loro destinazione finale:

- rifiuti organici: 31%.... compostaggio - carta: 24% riciclaggio

- plastica: 13% riciclaggio parziale - vetro: 8% riciclaggio

- tessili e legno:7% riciclaggio - metalli: 4% riciclaggio

- scarti indifferenziati: 13% smaltimento in discarica o inceneritore

Dunque, generalizzando le raccolte differenziate dei rifiuti, si potrebbe, teoricamente, ridurre la frazione irrecupera- bile al 13%; in altre parole basterebbero 13 discariche a fronte delle 100 iniziali.

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16 LA RACCOLTA DIFFERENZIATA

La raccolta differenziata separa dai rifiuti i materiali suscet- tibili di essere valorizzati attraverso opportuni procedi- menti al termine dei quali diventeranno nuova materia prima. La frazione non recuperabile può essere utilizzata come combustibile per il recupero energetico nei termodi-

struttori, nelle centrali elettriche o nei cementifici.

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L’IMPATTO DELLE ATTIVITA’

ECONOMICHE SUL GEOSISTEMA

L’ALTERAZIONE DELL’ATMOSFERA

Nel corso della storia della Terra il clima globale del pianeta ha subito radicali cambiamenti, spesso verificatisi anche in tempi molto brevi. L’elemento che porterebbe ad un gra- duale innalzamento della temperatura media del pianeta è il ben noto effetto serra; in base ad esso la parte consi- stente della radiazione termica infrarossa emessa dal pia- neta non si perde nello spazio, ma rimane intrappolata nell’atmosfera grazie

alla presenza di compo- sti gassosi denominati gas-serra. La pericolo- sità del fenomeno nasce dal fatto che attual- mente in relazione alle attività umane (attività

agricole, mezzi di trasporto, impianti di refrigerazione, fab- bricazione di impianti di condizionamento) questi gas sono in forte aumento. Negli ultimi cento anni la temperatura media mondiale è aumentata di circa 0,6 gradi. Mante- nendo lo stesso ritmo si teme che nel corso del XXI secolo, la Terra si possa riscaldare di altri 2-2,5 gradi ( o addirittura 5,5 secondo le visioni più pessimistiche). Queste previsioni sono state realizzate dagli esperti dell’IPCC (International Panel On Climate Change), l’organismo internazionale

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delle Nazioni Unite creato allo scopo di studiare i cambia- menti climatici provocati dall’uomo. Le conseguenze di un innalzamento della temperatura media del pianeta potreb- bero essere molteplici. Per effetto della riduzione dei ghiacci continentali, soprattutto antartici, il livello medio del mare potrebbe aumentare da 0,5 a 1,5 m nell’arco di un secolo; ciò provocherebbe uno sconvolgimento del pro- filo costiero di interi continenti. Un aumento delle tempe- rature, inoltre, potrebbe accrescere enormemente il ri- schio di invasione di insetti durante i periodi caldi. Oltre che arrecare gravi danni alle aree naturali e coltivate, molti in- setti possono rappresentare un pericolo per la salute dell’uomo, perché portatori di pericolosi virus. Ancora più gravi sarebbero le conseguenze di ordine meteorologico e climatico: molto probabilmente il riscaldamento della Terra finirebbe per alterare la distribuzione e la struttura della circolazione atmosferica del pianeta. Altra conse- guenza dovuta alla prolungata siccità, è la desertificazione, Infine, il riscaldamento delle acque degli oceani aumenta il numero e la forza dei fenomeni temporaleschi e degli ura- gani tropicali. Un’altra grave forma di inquinamento dell’aria, che esercita pesanti conseguenze di carattere cli- matico, è quella nota come buco nell’ozono. Il fenomeno consiste in una riduzione del quantitativo di ozono (O3 os- sigeno a molecola triatomica) presente nella stratosfera, che esercita l’importante funzione di filtrare la parte più energetica e pericolosa della luce solare, la radiazione ul- travioletta.

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L’INQUINAMENTO ATMOSFERICO NEI CENTRI UR- BANI

Il crescente sviluppo degli agglomerati urbani, dell’indu- strializzazione e del traffico cittadino, specialmente in al- cuni Paesi in via di

sviluppo, ha ag- gravato i feno- meni di inquina- mento atmosfe- rico. Questi, in- sieme all’aumento dell’effetto serra, rappresentano un

grave pericolo per gli equilibri climatici e per la salute dell’uomo. La presenza di composti gassosi nell’aria, deter- mina l’aumento dell’acidità delle piogge; altra grave conse- guenza dell’inquinamento atmosferico sono le piogge acide (si tratta di precipitazioni che hanno un pH molto più basso del normale, fino al valore 2, contro la norma di 5 o 6). Il problema che fino a pochi anni fa interessava soltanto le aree industrializzate dei Paesi avanzati, è oggi invece presente anche in molti Stati in via di sviluppo. I principali responsabili dell’inquinamento atmosferico nelle aree ur- bane sono i gas di scarico dei mezzi di trasporto. A partire dal 1950, il numero delle autovetture circolanti nel mondo è passato da 50 a 650 milioni di unità; secondo le proiezioni il dato si è raddoppiato in questi primi decenni del XXI se- colo.

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L’ALTERAZIONE DELL’IDROSFERA

L’uomo vive in un pianeta d’acqua, ma questa preziosa ri- sorsa è distribuita molto irregolarmente sulla Terra. Il flusso medio di acqua “utile” che scorre sui continenti abi- tanti è di circa 14000 km. Un quantitativo eccezionale, che basterebbe a soddisfare i bisogni domestici, industriali e agricoli di almeno il doppio dell’attuale popolazione mon- diale. Invece oggi centinaia di milioni di persone faticano a procurarsi quei pochi litri di acqua necessari nella quoti- diana sopravvivenza. Cento clienti di un hotel di lusso con- sumano in 55 giorni circa 15000 litri di acqua. Con la stessa quantità è possibile irrigare per un anno un ettaro di risaia, soddisfare per due anni le esigenze idriche di 100 famiglie che vivono in città e per 4 anni quelle di 100 famiglie rurali o, ancora, dissetare per 3 anni 100 nomadi con 400 capi di bestiame. Queste poche ma significative cifre dimostrano con drammaticità lo squilibrio dei consumi di questa risorsa sul nostro pianeta. Un recente rapporto della FAO, l’Orga- nizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agri- coltura, ha identificato almeno 80 nazioni (nelle quali vive il 40% della popolazione mondiale) dove esiste una situa- zione molto critica per quanto riguarda le riserve di acqua dolce. Numerosi Paesi africani e del Medio Oriente sono vi- cini alla soglia minima di disponibilità idrica e alcuni ne sono già al di sotto. Entro il 2025 si prevede che altri Paesi, tra cui alcuni europei come il Belgio e la Polonia, avranno serie difficoltà per l’approvvigionamento di acqua dolce.

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L’INQUINAMENTO DELLE ACQUE DOLCI

Otre al problema della maldistribuzione delle acque, molto rilevante è il problema dell’inquinamento delle stesse. I fiumi sono le principali vie inquinanti, perché scorrendo, ri- lasciano sostanze tossiche per tutto il loro corso, culmi- nando con l’arrivo in mare; tali sostanze derivano dalla quantità di rifiuti prodotti dalle attività umane, immessi nelle acque, e dalle stesse acque piovane che sciolgono e trasportano pesticidi e fertilizzanti utilizzati nell’agricol- tura. L’inquinamento dei fiumi è causato anche dall’atmo- sfera, attraverso le piogge acide che dilavano i suoli e im- mettono nei corsi d’acqua sostanze chimiche che atten- tano ai loro ecosistemi; vi è poi il problema delle aree ad allevamento intensivo, dove i nitrati liberati dal letame si infiltrano nelle falde e inquinano le acque superficiali. La situazione dei laghi non è certo migliore: migliaia di bacini lacustri nel mondo sono soggetti ad acidificazione delle ac- que e a processi di eutrofizzazione (l’immissione di grandi quantità di sostanze organiche produce un’eccessiva cre- scita di alghe). L’inquinamento di un bacino idrico non di- pende solo dalla densità di popolazione e dalla quantità di rifiuti prodotti dalle attività umane, ma anche dalle misure di trattamento e di depurazione delle sue acque; uno dei trattamenti più avanzati e auspicabili è la fitodepurazione.

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LA CONTAMINAZIONE DI MARI E OCEANI

I prodotti del dilava-

mento dei suoli, i rifiuti degli insediamenti co- stieri e gli idrocarburi che fuoriescono dalle petroliere costituiscono quella enorme quantità di sostanze, circa 20 mi- liardi di tonnellate di

materiali in soluzione e in sospensione nell’acqua, che rag- giunge i mari e ne mette in grave pericolo gli ecosistemi.

Sono proprio le coste e le zone di mare poco profondo che oggi corrono i rischi maggiori a causa dell’inquinamento.

Dalle zone costiere, i rifiuti e le sostanze tossiche vengono trasportate al largo delle correnti oceaniche. Il 1998 è stato dichiarato dall’ONU l’”Anno degli oceani”. Tutti i Paesi del mondo sono stati chiamati a porre fine al degrado e allo sfruttamento indiscriminato delle acque del nostro pianeta costruendo una rete di collegamento che coordini tutte le attività di ricerca e di studio volte alla salvaguardia dei grandi bacini di acque salate. Tra gli obiettivi da raggiun- gere vi è la stesura di una “Carta degli oceani” ispirata alla Carta della Terra sottoscritta alla Conferenza di Rio del 1992.

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L’ALTERAZIONE DELLA LITOSFERA

La degradazione del suolo

La prima forma di degrado dei suoli è il cedimento, ossia la progressiva compattazione del terreno, che provoca la ri- duzione della circolazione di aria e acqua e una difficoltà di sviluppo delle radici delle piante; una volta privati della co- pertura vegetale, i suoli sono soggetti a rapida erosione.

Altre forme di deterioramento del suolo sono: l’idromor- fia, l’alcalinizzazione, salinizzazione. Particolarmente grave è l’inquina-

mento del suolo deri- vante dall’emissione nel terreno di so- stanze di rifiuto, so- stanze chimiche, con- cimi, pesticidi ed erbi- cidi. Un’ulteriore forma di degrado è la

cementificazione cioè, una sottrazione di terreni alle prati- che agricole. A causa della siccità, si ha il fenomeno della desertificazione che consiste nell’espansione delle zone in cui il suolo e la vegetazione vanno incontro a un degrado.

La migliore arma contro la desertificazione è la preven- zione attuata con metodi naturali, come la creazione di barriere di vegetazione che limitano l’erosione eolica e la coltivazione di piante ricche di cere e gomme. Gli inter- venti sul territorio sono stati numerosi, tra questi in Kenia sono stati costruiti invasi per raccogliere l’acqua piovana utile per l’irrigazione nella stagione arida; lo scavo nel ter- reno indurito dalla siccità, di piccole trincee ha portato ad

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un rimboscamento della vallata. Gli eccezionali risultati ot- tenuti hanno dimostrato che i processi di desertificazione possono essere sconfitti.

L’ALTERAZIONE DELLA BIOSFERA

Le deforestazioni

Attualmente le foreste naturali ricoprono circa un quarto della superficie complessiva dei continenti. Le foreste na- turali possono essere: tropicali, tipiche di climi caldi e umidi; e quelle boreali diffuse in territori dal clima freddo.

Le foreste tropicali sono considerate la maggiore riserva naturale del globo, perché oltre a produrre ossigeno, svol-

gono un ruolo indispensabile nel ciclo dell’acqua. Oggi le foreste tropicali sono sottoposte a un processo di defore- stazione, causata dalla pressione demografica che co- stringe l’uomo a tagliare la foresta per ricavarne terreni agricoli. Le foreste boreali si trovano in una situazione meno critica di quelle tropicali, perché la pressione demo-

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grafica è scarsa e lo sfruttamento del legno avviene in ma- niera controllata. Le foreste temperate sono uso di sfrut- tamento industriale. Nella fascia subtropicale la situazione è più preoccupante a causa degli incendi. Un pericolo per queste foreste è rappresentato dalle piogge acide, che danneggiano gravemente la vegetazione ma, alcuni organi- smi internazionali stanno finanziando diversi progetti di ri- forestazione.

La perdita della biodiversità

La biodiversità è il frutto di un processo evolutivo; nel corso di questo lungo periodo migliaia di specie sono apparse, mentre altre prima si sono diffuse e poi hanno iniziato ad estinguersi. In questo periodo della storia si ha un feno- meno chiamato “estinzione di massa”, il cui principale ar- tefice è l’uomo. La situazione è pertanto preoccupante per- ché non possiamo evitare l’estinzione di specie di cui non sappiamo nulla; una soluzione della conservazione della biodiversità consiste nel tenere costantemente sotto con- trollo gli organismi che più ci sono noti. La principale atti- vità di controllo delle specie viventi è oggi svolta dall’UICN, che si occupa dello stato di salute delle risorse ambientali del nostro pianeta. Per garantire una vera protezione della biodiversità il WWF ha cominciato a individuare le cosid- dette ecoregioni aree geografiche dove è necessaria l’isti- tuzione di zone protette; recentemente alcune ecoregioni sono state localizzate nel Nord - America.

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Sinodo dei Vescovi per l’Amazzonia, 6-27 ottobre 2019

Dal 6 Ottobre 2019, a Roma, si è tenuto il primo Sinodo sull’Amazzonia, che da oltre trent’anni è un’emergenza ambientale. Tuttavia, non è solo una questione di piante che bruciano, ma è altresì importante il ruolo delle popola- zioni che vivono in quelle foreste. Un ruolo chiave nella tu- tela della foresta amazzonica e, dunque, nella salvaguardia del pianeta. Sono oltre trenta milioni gli abitanti della co- siddetta Pan Amazzonia, estesa sugli Stati sudamericani per più di 7,5 milioni di Km2; si tratta di più di 350 popola- zioni diverse, ciascuna con la propria lingua, con i propri costumi e stili di vita. Ci sono popolazioni di raccoglitori, di cacciatori, alcune di agricoltori; vi sono, inoltre, indios che hanno scelto l’isolamento volontario, altri che si sono spo- stati verso le città: un universo culturale dentro e intorno al polmone verde del pianeta. Secondo l’antropologa A. Ca- sella si tratta di comunità che hanno stili culturali, econo- mici e di convivenza completamente lontani dal modello che noi conosciamo; sono popoli con tradizioni millenarie, ma non per questo definibili come primitivi. Sono, piutto- sto, popoli contemporanei, che hanno problemi tipici del mondo contemporaneo. Infatti sono i primi a rendersi conto delle trasformazioni ambientali, dell’inquinamento, della siccità, della qualità delle acque; poiché vivono di na- tura, evidentemente sono i primi ad accorgersi che la qua- lità della vita è danneggiata e compromessa. Per cui la bio- diversià a rischio è anche culturale. Sempre secondo l’an- tropologa A. Casella: “accentuare il processo di desertifica-

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zione dell’Amazzonia, significa ledere il diritto di questi po- poli a vivere secondo un modello che per loro ha senso”.

Per cui “perdere le popolazioni dell’Amazzonia significa an- che perdere sentinelle ambientali insostituibili”.

(tratto da TG LEONARDO, puntata del 7/10/2019. Rai 3)

IL MONDO PROVA A DARSI DELLE REGOLE

DA RIO DE JANEIRO A JOHANNESBURG…

ALL’AGENDA 2030

Il primo intervento mondiale a favore della conservazione della biosfera risale al 1971, quando venne varato dall’UNESCO il Progetto Uomo e Biosfera: per la prima volta un organismo internazionale proclamò che l’uomo non doveva essere considerato più un estraneo distruttore degli equilibri naturali, bensì un importante elemento rego- latore integrato armonicamente nella biosfera.

Da quel momento, i congressi, le conferenze e i progetti a favore della tutela ambientale e per la conservazione del pianeta terra si sono moltiplicati, confermando come l’eco- logia, rappresenti un approccio alla realtà naturale ad alto valore sociale.

Nel 1985 fu sottoscritta la Convenzione di Vienna per la protezione dello stato di ozono, che tuttavia non vincolava le nazioni firmatarie a ridurre l’emissione di CFC.

Occorrono due anni per giungere ai Negoziati di Montreal nel 1987: nei colloqui vennero coinvolti i governi dei paesi

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poveri e degli stati industrializzati e il protocollo che con- cluse i lavori venne sottoscritto da 24 nazioni e dalla Comu- nità Europea. L’accordo ha messo in moto numerose inizia- tive da parte di tutti i governi per limitare la produzione e il consumo dei pericolosi gas, bandendoli dall’ uso nelle bom- bolette spray e limitandone l’utilizzo nell’industria dei frigo- riferi.

Il lungo cammino per la conservazione del pianeta ha con- dotto le nazioni del mondo a partecipare al secondo incon- tro internazionale dedicato all’ambiente. Nel mese di Giu- gno nel 1992 si è tenuta a Rio de Janeiro la Conferenza mondiale delle Nazioni Unite per l’ambiente, dal titolo

“Ambiente e sviluppo”, un incontro che ha rappresentato una tappa di grande importanza nella storia di questo se- colo

Nel 1995 la CFC era già diminuita del 76% rispetto al picco raggiunto nel 1988. I Negoziati di Montereal sono stati se- guiti dagli accordi di Copenaghen del 1992 che hanno preso in considerazione l’azione degli idroclorofluorocarburi, so- stituti dei CFU ma altrettanto pericolosi per l’ozono, tanto da spingere i paesi industrializzati alla decisione di ridurli entro il 2020 e di eliminarli completamente entro il 2030. Il tour più recente di revisione si è svolto nel Novembre del 1995 a Vienna, dove è stata decisa l’eliminazione, entro il 2010, di un altro pericoloso nemico dell’ozono, il bromuro di metile.

Il Protocollo di Kyoto firmato nel Dicembre del 1997, impe- gna i paesi industrializzati e quelli caratterizzati da un’eco- nomia in transizione a ridurre del 5% le emissioni, entro il 2010 e precisamente nel periodo compreso tra il 2008 e il

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2012. Questi gas, detti “gas serra” sono: biossido di carbo- nio, metano, protossido di azoto, esafluoro di zolfo, perfluorocarburi, fluorocarburicloro idrati. La riduzione del 5% non è però uguale per tutti i paesi; nessun tipo di limi- tazioni viene previsto per i paesi in via di sviluppo, perché un tale vincolo, era già stato discusso a Rio nel 1992, ral- lenterebbe o condizionerebbe il loro cammino verso lo svi- luppo economico-sociale. Per la riduzione delle emissioni, il Protocollo individua come prioritari alcuni settori: l’energia di processi industriali, agricoltura e rifiuti.

Agenda 21

Agenda 21 è un documento di intenti ed obiettivi program- matici su ambiente, economia e società sottoscritto da ol- tre 170 paesi di tutto il mondo, durante la Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo (UNCED) svoltasi a Rio de Janeiro nel giugno 1992.

Tale documento è formato da 40 capitoli e suddiviso in 4 sezioni: dimensioni economiche e sociali, conservazione e gestione delle risorse per lo sviluppo, rafforzamento del ruolo delle forze sociali e strumenti di attuazione.

Il Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile (WSSD), tenu- tosi a Johannesburg dal 26 agosto al 4 settembre 2002, ha rappresentato un'importante occasione per rilanciare l'im- pegno degli Enti locali. Nei documenti finali del Summit il governo locale ha ottenuto il riconoscimento della comu- nità internazionale per il suo ruolo di attore chiave nell'at- tuazione dell'Agenda 21.L'obiettivo per il prossimo decen- nio è di passare dall'Agenda 21 all'Azione 21 e di adottare Piani d'azione "concreti e realistici".

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30 Convenzione sul clima

Nel 2001 si riunì il Comitato Intergovernativo sui Cambia- menti Climatici delle Nazioni Unite (IPCC) che ha stabilito in un rapporto l’ obiettivo da raggiungere entro il 2010: sta- bilizzare la concentrazione di biossido di carbonio non oltre il 30% dei livelli attuali. In Europa tale obiettivo si sarebbe dovuto raggiungere tale entro, però, il 2012. Questo vin- colo indusse gli stati membri a fissare regole comuni per ridurre le emissioni e aumentare l’efficienza energetica;

inoltre l’Unione Europea fu chiamata anche a penalizzare con misure fiscali l’impiego di combustibili fossili , a pro- muovere l’impiego di fonti rinnovabili e, dal punto di vista pratico, ad aumentare il risparmio energetico, a ristruttu- rare le centrali responsabili del 30% dell’inquinamento e ad introdurre le prime ecolabel (etichette ecologiche certifi- canti il basso consumo energetico di oggetti di uso comune come gli elettrodomestici).

Nel 2002 si è tenuta una Conferenza a Johannesburg ri- guardante lo sviluppo sostenibile. L’evento ha riscosso una certa risonanza per la bellezza della città ospitante, ma si è rivelato deludente quanto ai risultati pratici conseguiti.

Nel 2015 si è tenuta a Parigi una conferenza a livello mon- diale da cui è scaturito l’Accordo di Parigi, nel quale 195 Paesi hanno adottato il primo accordo universale e giuridi- camente vincolante sul tema ambientale. L’Accordo defini- sce un piano d’azione globale finalizzato a “rimettere il mondo sulla buona strada” e ad evitare cambiamenti cli- matici pericolosi attraverso il controllo delle emissioni e la limitazione del riscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi.

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31 POSIZIONI CONTRARIE

Proprio nei primi anni del nuovo Millennio si è però regi- strato un passo indietro o quantomeno un arresto del cam- mino percorso fino a quel momento. Nel 2001, infatti, ci fu il ritiro degli Stati Uniti dal Protocollo di Kyoto, annunciato dalla stessa Casa Bianca; nel 2003 anche il Governo di Mo- sca dichiarò di sospendere a tempo indeterminato qual- siasi impegno previsto dal Protocollo. Queste defezioni hanno influito in modo significativo sul mancato raggiungi- mento degli obiettivi prefissati pochi anni prima.

L’AGENDA 2030

L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sotto-

scritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi mem- bri dell’ONU. Essa ingloba 17 Obiettivi per lo Sviluppo So- stenibile; guidando il mondo sulla strada da percorrere nell’arco dei prossimi 15 anni: i Paesi, infatti, si sono impe- gnati a raggiungerli entro il 2030.

Tutti i Paesi sono chiamati a contribuire allo sforzo di por- tare il mondo su un sentiero sostenibile, senza più distin- zione tra Paesi sviluppati, emergenti e in via di sviluppo, anche se evidentemente le problematiche possono essere

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diverse a seconda del livello di sviluppo conseguito. Ciò vuol dire che ogni Paese deve impegnarsi a definire una propria strategia di sviluppo sostenibile che consenta di raggiungere gli SDGs, rendicontando sui risultati conseguiti all’interno di un processo coordinato dall’Onu.

La Carta di Rio

Preparata con un dibattito internazionale di straordinaria ampiezza e dai lavori della Commissione WCED e dal rap- porto "Our Common Future" da essa pubblicato nel 1987, si svolge a Rio de Janeiro nel 1987 il Summit della Terra, UNCED, che resta un punto di riferimento per lo sviluppo sostenibile. riconfermando la Dichiarazione della Confe- renza delle Nazioni Unite sull’Ambiente umano, adottata a Stoccolma il 16 Giugno 1972, e cercando di considerarla come base per un ulteriore ampliamento, con l’intento di stabilire una nuova e equa cooperazione globale mediante la realizzazione di nuovi livelli di collaborazione tra Stati, settori chiave delle società e persone, operando per rag- giungere accordi internazionali nel rispetto degli interessi di tutti per proteggere l’integrità del sistema ambientale e di sviluppo globale, prendendo atto della natura integrale e interdipendente della Terra, nostra casa.

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Principio I

Gli esseri umani sono al centro delle problematiche per lo sviluppo sostenibile. Essi hanno diritto a una vita sana e produttiva in armonia con la natura.

Principio II

Gli Stati, in conformità alla Carta delle Nazioni Unite e ai principi delle leggi internazionali, hanno il diritto so- vrano di sfruttare le proprie risorse in funzione delle rispet- tive politiche ambientali e di sviluppo e hanno la responsa- bilità di assicurare che tali attività nel loro ambito di com- petenza o di controllo non provochino danni all’ambiente di altri Stati o territori oltre i confini della giurisdizione na- zionale.

Principio III

Il diritto allo sviluppo deve essere deve essere attuato in modo da soddisfare equamente i bisogni di sviluppo e am- bientali delle generazioni presenti e future.

Principio IV

Nel quadro della realizzazione dello sviluppo sostenibile,

la tutela ambientale costituirà parte integrante del processo

di sviluppo e non potrà essere considerata separatamente da

questo.

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Principio V

Tutti gli Stati e le persone collaboreranno al compito fon- damentale di sradicamento della povertà come requisito in- dispensabile per lo sviluppo sostenibile, al fine di ridurre le disparità dei livelli di vita e soddisfare meglio i bisogni della maggior parte della popolazione mondiale.

Principio VI

Una speciale priorità deve essere accordata alle condizioni e ai bisogni particolari dei Paesi in via di sviluppo, soprat- tutto di quelli meno sviluppati e più vulnerabili sotto l’aspetto dell’ambiente. Gli interventi internazionali nel campo dell’ambiente e dello sviluppo devono essere rivolti anche agli interessi e ai bisogni di tutti i Paesi.

Principio VII

Gli Stati devono cooperare in uno spirito di collaborazione

globale per conservare, tutelare e ripristinare l’integrità e la

salute dell’ecosistema della Terra. Nel quadro dei diversi

contributi al degrado ambientale globale, gli Stati avranno

responsabilità comuni, ma differenziate. I Paesi svilup-

pati prendono atto della propria responsabilità nel perse-

guimento internazionale dello sviluppo sostenibile, consi-

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derando le pressioni che le loro società esercitano sull’am- biente globale e le tecnologie e delle risorse finanziarie che essi controllano.

Principio IX

Gli Stati devono collaborare per rafforzare la formazione endogena di competenze per lo sviluppo sostenibile, pro- muovendo il sapere scientifico attraverso scambi di cono- scenze scientifiche e tecniche e favorendo lo sviluppo, l’adattamento, la diffusione e il trasferimento di tecnologie, incluse quelle nuove e innovative.

Principio X

I problemi ambientali vengono affrontati al meglio con la

partecipazione di tutti i cittadini interessati, ciascuno a se-

conda del proprio livello. A livello nazionale ogni individuo

dovrà avere idoneo accesso alle informazioni riguardanti

l’ambiente in possesso delle autorità pubbliche, comprese le

informazioni su materiali e attività pericolose nelle loro co-

munità, e dovrà avere la possibilità di partecipare ai pro-

cessi decisionali. Gli Stati dovranno facilitare e incorag-

giare la consapevolezza e la partecipazione dei cittadini

rendendo ampiamente disponibili le informazioni. Dovrà

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essere garantito un accesso effettivo ai procedimenti giudi- ziari e amministrativi, comprese le iniziative di riparazione e di rimedio.

Principio XI

Gli Stati dovranno attuare un’efficace legislazione am- bientale. Gli standard ambientali, gli obiettivi e le priorità di attuazione dovranno riflettere il contesto ambientale e di sviluppo cui si riferiscono. Gli standard applicati da al- cuni Paesi possono risultare inadatti e con inaccettabili co- sti economici e sociali per altri Paesi, in particolare per quelli in via di sviluppo.

Principio XII

Gli Stati devono collaborare per promuovere un sistema

economico internazionale aperto e di sostegno che possa con-

durre a una crescita economica e allo sviluppo sostenibile in

tutti i paesi, al fine di affrontare meglio i problemi del de-

grado ambientale. Le misure di politica commerciale per

scopi ambientali non dovranno costituire uno strumento di

discriminazione arbitraria o ingiustificabile o una restri-

zione occulta nel commercio internazionale. Dovranno es-

sere evitate le iniziative unilaterali per affrontare le sfide

ambientali al di fuori della giurisdizione del paese importa-

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tore. Le iniziative ambientali concernenti i problemi am- bientali transnazionali o globali devono, per quanto possi- bile, essere basati su un consenso internazionale.

Principio XIII

Gli Stati devono elaborare leggi nazionali riguardanti la responsabilità civile e l’indennizzo delle vittime dell’inqui- namento e di altri danni ambientali. Gli Stati devono anche cooperare in modo più incisivo e determinato per emanare ul- teriori leggi internazionali riguardanti la responsabilità ci- vile e l’indennizzo per gli effetti nocivi dei danni ambientali provocati nell’ambito della loro giurisdizione o del loro con- trollo su zone al di fuori della loro giurisdizione.

Principio XIV

Gli Stati devono cooperare efficacemente per scoraggiare o

prevenire il dislocamento e il trasferimento ad altri Stati di

ogni attività e di ogni sostanza che provochi grave degrado

ambientale o che sia riconosciuta nociva alla salute delle per-

sone.

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ASSOCIAZIONI DI PROTEZIONE AMBIENTALE

WWF - World Wide Fund of Nature.

(1961) Più grande organizzazione mondiale per la tutela della natura e dell’ambiente.

GREENPAECE - Organizzazione mondiale che si occupa di proteggere l’ambiente, promuovere la pace e (1971) incoraggiare le persone a cambiare abitudini.

Quest’organizzazione indaga, denuncia e affronta i crimini ambientali.

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LEGAMBIENTE – E’ un’associazione ambientalista italiana erede dei primi nuclei ecologisti e del movimento (1980) antinucleare che si sviluppò in Italia e in tutto il mondo occidentale nella seconda metà degli anni settanta.

TOURING CLUB – Si occupa della produzione del turismo sul territorio italiano e quindi del suo patrimonio (1894) artistico culturale e ambientale.

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LEGA ANTIVIVISEZIONE – Si occupa della difesa e della tu-

tela degli animali, senza alcuna distinzione tra (1977) specie.

FONDO AMBIENTALE ITALIANO – Ha come obiettivo di tutelare e valorizzare l’ambiente e la cultura italiana.

(1975)

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MAREVIVO – E’ un’associazione che si batte per la difesa del mare e delle sue risorse. Le sue attività, i progetti e le campagne in difesa dell’ambiente marino, puntano a susci- tare intere consenso. 1985

AGRIAMBIENTE – Struttura impegnata nella prevenzione e nelle informative ambientali.

.

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ANTA – Associazione che si impegna a promuovere il mi- glioramento della qualità della vita, dell’esistenza e del be- nessere dell’uomo attraverso la salvaguardia degli habtat- naturali

SIGEA – Associazione culturale, senza fini di lucro, per la promozione del ruolo delle scienze della terra nella protezione della salute e della sicurezza del genere umano.

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CRESCITA ECONOMICA E SVILUPPO SOSTENIBILE

L’EQUILIBRIO SPEZZATO

L’uomo ha dimostrato, nel corso della sua evoluzione, di sapersi appropriare delle risorse naturali e di trasformarle per adattarle ai propri bisogni. L’ambiente è stato trattato per secoli come una riserva infinita di risorse, molte delle quali, sono invece esauribili. Inoltre, la relazione tra am- biente naturale, attività produttiva e consumo è stata ca- ratterizzata da un rilascio incontrollato di rifiuti.

Conseguenza principale dell’agire umano è stata la pro- gressiva alterazione dell’ambiente. Con l’emergere di al- cuni fenomeni ambientali, si è diffusa sempre più la consa- pevolezza che il modello di vita che gli uomini si sono dati, o a cui ambiscono se ancora non l’hanno raggiunto, e l’at- tuale ritmo di consumo delle risorse distruggono irrepara- bilmente la possibilità di benessere per le generazioni fu- ture. La biosfera non è più capace di assorbire gli effetti dell’attività umana e l’ambiente si sta degradando in modo irreversibile. Se continueranno le tendenze attuali, le gravi difficoltà che riguardano popolazioni, risorse e ambiente aumenteranno visibilmente. Il punto fondamentale non è la mancanza di risorse, ma come esse verranno gestite per garantire alle prossime generazioni, del Sud come del Nord del pianeta, uno standard di vita al di là della soglia di po- vertà.

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SUL DISEQUILIBRIO TERRITORIALE

Quando il normale funzionamento di un sistema, econo- mico-sociale o territoriale che sia, rischia di venire compro- messo dalla presenza al suo interno di situazioni anomale di una certa gravità, allora si parla di disequilibrio territo- riale.

Due sono le forme prevalenti: la prima abbraccia ogni forma di ritardo: ha riguardato quasi tutti i Paesi, compresi quelli ad avanzato sviluppo economico-sociale, poiché dif- ficilmente lo sviluppo procede in maniere tanto armonica da evitare divari tra una regione e l’altra o tra una fascia sociale e l’altra.

La seconda forma di disequilibrio economico-sociale ri- guarda il Sud della Terra e definisce il fenomeno del Sotto- sviluppo. Invece di parlare di semplice ritardo, introdu- ciamo il concetto di sottosviluppo, perché il divario tra il Nord e il Sud della Terra si presenta coi caratteri peculiari della distorsione. Il sottosviluppo, dunque, non è solo po- vertà, misurabile col metro quantitativo del reddito ma comprende variabili naturali della popolazione come il tasso di natalità e di mortalità infantile, la durata della vita media, l’età media della popolazione, e la dinamica demo- grafica sociale espressa attraverso l’inurbamento, il feno- meno del gigantismo urbano e i flussi migratori dal Sud verso il Nord del mondo.

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SOTTOSVILUPPO INSOSTENIBILE

A dieci anni dalla Conferenza di Rio, Johannesburg ha mo- strato tutte le contraddizioni di un pianeta spaccato in due, dove 2,8 miliardi di persone continuano a vivere sulla base di un reddito che non supera i due dollari al giorno. E se null’ultimo mezzo secolo le cose sono andate migliorando in parte dell’Asia e dell’America latina, la situazione dell’Africa sub-sahariana si è aggravata senza attenuanti.

Spesso, per offrire un’opportunità di sopravvivenza e di reddito nelle aree rurali dei Paesi meno sviluppati sono suf- ficienti interventi apparentemente banali, di portata locale e dai costi assai contenuti. Lo dimostrano alcuni progetti avviati dagli istituti di ricerca riuniti nel Consultative Group on International Agricultura Research, un’istituzione indi- pendente con sede a Washington di cui sono membri più di 50 Paesi e organizzazioni. La chiave sta, innanzitutto, nel favorire azioni cooperative, in cui le scarse risorse di cia- scuno possono contribuire al benessere di tutti. Purtroppo, però, spesso le iniziative rischiano di restare isolate e, per modificare questa realtà, è necessario mettere in gioco le risorse più diverse, dai finanziamenti per lo sviluppo alle ri- cerche sulle politiche agricole, dai piani di microcredito fino ai programmi di educazione. E ognuno deve fare la sua parte perché il complesso degli interventi confluisca nella medesima direzione.

L’International Food Policy Research Institute si prepara a gestire un investimento di un miliardo di dollari nei pros- simi dieci anni per il sostegno delle politiche agricole nell’Africa subsahariana. L’iniziativa partirà dall’Uganda e coinvolgerà un massiccio lavoro di ricerca per favorire lo

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sviluppo di colture più produttive, che possono garantire un reddito e uno sfruttamento razionale delle terre. Ma la scommessa sarà vinta solo quando politiche di sviluppo ru- rale come queste saranno portate sul campo, a risolvere i problemi di una quotidianità incerta e a concretizzare quella formuletta che gli anglosassoni chiamano food secu- rity, sicurezza alimentare.

L’IDEA DI SVILUPPO SOSTENIBILE

Agli inizi degli anni Settanta si era aperto un ampio dibat- tito internazionale sul tema del rapporto tra uomo e am- biente. Tra i saggi pubblicati in questi anni, uno in partico- lare si pose al centro dell’attenzione: quello prodotto nel 1972 dal MIT (Massachusetts Institute of Technology) inti- tolato I LIMITI DELLO SVILUPPO. Le tesi di fondo di questo rapporto si basavano su una serie di asserzioni:

-la crescita della popolazione mondiale segue un ritmo molto più alto rispetto all’aumento delle risorse disponibili;

-l’elevato tasso di incremento demografico degli ultimi de- cenni ha influito negativamente sul territorio, attraverso interventi che giungono ad alterare i fondamentali equilibri ecologici;

-come conseguenza dell’aggravarsi di questi due problemi, il sistema mondiale va incontro ad un inevitabile collasso, previsto per la metà del XXI secolo;

-la crisi globale sarà preceduta da catastrofi settoriali e a carattere regionale;

-questi eventi traumatici sono inevitabili, a meno che nel frattempo non si voglia intervenire a livello planetario sul

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controllo della domanda di risorse e sulla loro disponibilità.

In assenza di qualsiasi cambiamento lo sviluppo in atto di- verrebbe ben presto insostenibile. Una quindicina di anni più tardi, promossa dalle Nazioni Unite, venne creata la Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo (WCED), che nel 1988 pubblicò il suo rapporto in un libro dal titolo “Il futuro di noi tutti”; in quest’opera veniva intro- dotto e sostenuto un nuovo concetto, quello dello sviluppo sostenibile: “uno sviluppo che soddisfi i bisogni dell’attuale generazione, senza compromettere la capacità delle gene- razioni future di soddisfare i propri”.

Si tratta dunque non di bloccare, bensì di promuovere la crescita socioeconomica, purché essa sia compatibile con la disponibilità finita delle risorse dell’ambiente. Nel fare questo occorre prendere come punto di riferimento il va- lore dell’equità: equità tra i diversi popoli del mondo, ma anche equità tra le generazioni attuali e quelle future.

Con l’intento di ovviare all’ enorme sperequazione tra i po- poli ricchi e poveri, la WCED pone al primo posto:

-rapida crescita del reddito pro- capite nel terzo mondo;

questi ritmi di crescita potrebbero risultare ambiental- mente non sostenibili, a meno che le nazioni industrializ- zate facciano la loro parte, riducendo dal canto loro l’uti- lizzo di materie prime e perseverando nelle politiche di ra- zionalizzazione dei consumi energetici.

-la WCED indica poi la necessità di contenere quanto più possibile la crescita della popolazione mondiale, diffon- dendo le conoscenze e i mezzi per il controllo demografico.

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-altro obiettivo è quello di strutturare la crescita in modo tale da limitarne al massimo l’impatto ambientale.

-altro imperativo è quello di promuovere politiche di ri- sparmio energetico e di avviare il progressivo abbandono dei combustibili fossili.

Ad introdurre in maniera scientifica il concetto di sviluppo sostenibile fu, nel 1987, la World Commision On Environ- ment and Developument delle Nazioni Unite. L’esigenza di dar vita ad uno sviluppo sostenibile trovò un primo riscon- tro nel 1992 a Rio de Janeiro.

OBIETTIVI DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE:

- conservare l’integrità dell’ecosistema

- utilizzare le risorse naturali in modo da soddisfare i bisogni della popolazione attuale senza compro- mettere quelli delle generazioni future

- garantire la conservazione dei beni ambientali - realizzare l’equità sociale

UNA PRESA DI COSCIENZA

Obiettivo principale della politica dello sviluppo sostenibile è la tutela dell’integrità dell’ecosistema. Oggi, l’idea che l’ambiente possa tranquillamente sottostare alle altera- zioni è ormai tramontata, così come ci si deve preoccupare della velocità con cui la società umana consuma risorse na- turali non rinnovabili. Con l’avvio del nuovo secolo alcune

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consapevolezze si sono ormai consolidate. Il nostro si- stema economico e produttivo è un sistema aperto; con- suma energia e materie prime, libera rifiuti e inquinanti in un sistema naturale, più ampio e chiuso, di cui fa parte e grazie al quale vive. I processi di crescita provocano danni sociali e ambientali i cui costi sono divenuti intollerabili, mentre la crescita stessa non è più correlata a un aumento generale del benessere, come avveniva pochi decenni fa.

Se per il progresso tecnologico non è più preoccupante la limitatezza delle risorse disponibili, ciò che comincia ad al- larmare è la riduzione della capacità dei sistemi naturali di produrre risorse, sopportare l’impatto dei sistemi econo- mico-sociali e assorbire i rifiuti prodotti.

L’idea di sviluppo sostenibile, ha introdotto un altro ele- mento: il concetto di equità. In senso sociale. Si ha equità quando sono garantiti i diritti naturali soprattutto la libertà personale e viene assicurata a tutti la possibilità di espri- mere liberamente le proprie capacità. In senso ambientale, il concetto di equità sottintende che ogni persona deve po- ter utilizzare le risorse dell’ecosistema.

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LE SCIENZE UMANE CI VENGONO INCONTRO…!

S. Latouche: “La teoria della decrescita

L’autore si occupa degli squilibri sociali e ambientali dell’economia globalizzata, mettendo in discussione i pre- supposti su cui essa si regge, attraverso la teoria della de- crescita.

Si tratta di una teoria economica che sostiene la decre- scita, basata su principi ecologici, anticonsumistici, sociali

e culturali. La teoria della decrescita parte dal presupposto che il concetto di sviluppo su cui si fonda la società indu- striale contemporanea sia viziato da un equivoco di base, ossia la tendenza ad assumere la crescita del PIL come il parametro più significativo. Il PIL è un dato puramente nu- merico, che indica la quantità di beni e servizi prodotti in un certo Stato, in funzione dei consumi dei cittadini; il suo aumento quindi non equivale necessariamente a benes- sere. Secondo i teorici della decrescita, un modello di svi- luppo che persegua il forsennato aumento della produtti- vità non compromette soltanto la qualità della vita, ma ne mette oggettivamente in pericolo le fondamenta. Un tale

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modello espone infatti il pianeta a uno sfruttamento sel- vaggio, insostenibile, sia in termini di capacità di rigenera- zione della biosfera, sia in termini di distribuzione equili- brata delle risorse. In tale prospettiva è necessario pro- porre un modello economico alternativo, basato sulla ridu- zione dei consumi e sul ridimensionamento del ruolo del mercato nel soddisfacimento dei bisogni umani. Si tratta di un programma che richiede l’impegno di tutti e che può es- sere intrapreso anche nella nostra quotidianità, grazie a comportamenti critici e responsabili, come il riciclaggio, il riutilizzo degli oggetti, l’autoproduzione dei beni, l’attiva- zione di scambi non mercantili.

Biografia: Serge Latouche è un economista e filosofo fran- cese. È uno degli animatori della Revuedu MAUSS, presi- dente dell'associazione «La ligne d'horizon», nonché pro- fessore emerito di Scienze economiche all'Università di Pa- rigi XI e all'Institut d'études du developpement économique et social di Parigi.

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D.Goleman: “Intelligenza emotiva”

Nonostante la sensibilità ecologica sia più diffusa, al giorno d’oggi, di quante non lo fosse in passato, manca spesso la

consapevolezza del fatto che il nostro agire quotidiano può incidere in positivo o in negativo sul benessere dell’ecosi- stema terrestre. Lo studioso statunitense Daniel Goleman, noto per aver promosso l’importanza di una corretta edu- cazione all’intelligenza emotiva, introduce, in “Coltivare l’intelligenza emotiva. Come educare all’ecologia”, testo del quale è coautore, oltre ai costrutti di intelligenza emo- tiva e intelligenza sociale, una terza forma di intelligenza, collegata alla prima, l’intelligenza ecologica: se l’intelli- genza sociale ed emotiva incrementa l’abilità di vedere la realtà adottando la prospettiva altrui e di empatizzare, l’in- telligenza ecologica si identifica con l’applicare queste ca- pacità alla comprensione dei sistemi naturali e fonde le ca- pacità cognitive con l’empatia.

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“Coltivare l’intelligenza emotiva. Come educare l’ecologia”

si compone di una serie di storie di buone pratiche educa- tive, raccontate attraverso la voce dei protagonisti, si tratta di storie, tratte dalla realtà americana contemporanea, che narrano dell’importanza di salvaguardare l’ambiente e la natura intesa come fonte di vita, contrastando le iniziative che, al contrario, creano, il nome di interessi economici, un danno all’ecosistema.

Biografia: Daniel Goleman nacque a Stockton il 7 marzo 1946 ed è uno psicologo, scrittore e giornalista statuni- tense. Goleman ha studiato all'Amherst College. Qui è stato allievo di Alfred F. Jones. In seguito si è laureato ad Har- vard, specializzandosi in "psicologia clinica e sviluppo della personalità".

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Petrolio in Basilicata tra ric- chezza e distribuzione

La regione Basilicata è una delle regioni d’Italia più ricche di petrolio ed è anche la più sfruttata in questo senso. Su tutto il territorio regionale sono presenti 126 pozzi: 44 in provincia di Potenza, di cui 37 attivi nel solo territorio della Val d’Agri, e 82 in provincia di Matera. Le società petroli- fere attive sul territorio (ENI, SHELL E TOTAL) hanno inve- stito costruendo 2 Centri Oli, dove avviene un primo trat- tamento della materia estratta che viene poi inviata tra- mite un oleodotto alla raffineria di Taranto. Il primo, non- ché il più famoso di questi centri, è quello di Viggiano (Val d’Agri) che, gestito dall’ENI, produce circa 80.000 barili giornalieri. Si tenga conto che è la Valle stessa a fornire la materia prima, estraendo circa l’80% del petrolio italiano.

Ogni anno la regione ha oltre 140 milioni di euro di entrate (pari al 6% delle entrate regionali), con cui vengono pagati i sussidi alla sanità e al diritto di reddito. Le royalties in Ba- silicata costituiscono il mezzo più potente per convincere le amministrazioni e l’opinione pubblica che il petrolio è vita: ad avvalorare questa tesi è il tema dell’occupazione;

ENI sostiene infatti di occupare circa 3000 persone, inclu- dendo trasportatori e operatori (che nella maggior parte dei casi provengono da fuori regione), sebbene i lavoratori impiegati siano solo 300. Accanto a questi pochi benefici, ci sono lati negativi, che portano all’allarmante conclusione che il petrolio non è vita, ma porta con sé morte e distru- zione.

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L’antropologia, rigorosamente fondata, è discorso contro il potere e anche pratica “politica”; è il caso della analisi del professor Enzo Alliegro, antropologo che insegna alla Fede- rico II di Napoli ma vive in Val d'Agri, che si allunga fino alle radici storiche e culturali del fenomeno del petrolio in Ba- silicata..

Alliegro è autore del volume “Il Totem Nero. Petrolio, svi- luppo e conflitti in Basilicata. Antropologia politica di una provincia italiana”, Cisu, Roma, 2012, vincitore del premio Carlo Levi.

Il totem sembra essere diventato un vero "mostro", a cui da una parte si obbedisce per paura e dall'altra si aborrisce e si combatte. E’ questa l' ipotesi suggestiva che percorre il testo di Alliegro, dove “ la mostruosità assume un volto ben preciso, incarnandosi in quello delle acque reflue, definite, radioattive, che si insinuano nel nostro sottosuolo ri- schiando di compromettere la tenuta dell'intero sistema

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ambientale, e quello delle emissioni in atmosfera, alta- mente tossiche, che raggiungono le nostre abitazioni pe- netrando nei nostri corpi”.

Ci si chiede come hanno fatto le compagnie a penetrare così in profondità in Basilicata; “il successo - secondo le pa- role del Professore - è dovuto ad una serie di variabili: un apparato legislativo permissivo; sistemi di controllo piutto- sto fragili; diffusi e radicati bisogni di occupazione; aspet- tative di sviluppo di più ampio raggio; relazioni corte con poteri locali. In tale quadro le multinazionali hanno proce- duto all'insegna della mistificazione, sostenute da istitu- zioni che hanno invece soffiato sul fuoco della politica della speranza e della rassicurazione”.

“Gli esiti di azioni industriali così impattanti risultano chiari: perdita di fiducia, svalutazione del settore primario, indebolimento della coesione sociale, aumento della con- flittualità, stigmatizzazione identitaria, sono soltanto al- cuni dei pedaggi sinora pagati. Per quanto riguarda gli im- patti ambientali e sanitari, sebbene tuttora non del tutto chiari, effettivamente potevano essere preventivati, se si considera che tale accanimento petrolifero, senza eguali in Europa, non si è abbattuto in un deserto, ma in un'area molto delicata, antropizzata, altamente sismica, dagli equi- libri ecologici assai precari, ricchissima di un ingente patri- monio idrico e naturalistico, sede, non a caso, di un Parco Nazionale”.

Il petrolio, ormai parte della Basilicata, ha prodotto cam- biamenti anche nell'immaginario collettivo, che richia- mando Il Totem Nero, il Professore Alliegro, sintetizza con una frase e quattro parole.” La frase: la petrolizzazione ha

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determinato un radicale mutamento degli assetti identitari che insistono sul rapporto delle comunità con i territori e le istituzioni. Le quattro parole: danno, rischio, furto, of- fesa. I lucani ritengono che i diversi contesti sociali, politici e culturali, oltre che quelli propriamente ambientali e sani- tari, siano stati danneggiati. Consapevoli, da sempre, di vi- vere in un'area povera ma sana, oggi i lucani sono sempre più convinti di abitare un luogo "danneggiato", altamente a "rischio", un territorio "derubato" e saccheggiato, "of- feso", in cui, in cambio di promesse e non di reale occa- sione di lavoro e di sviluppo, sono state sottratte, in cambio di pochi spiccioli, enormi ricchezze poste a servizio dei mer- cati finanziari”.

Le istituzioni locali, a tutti i livelli, sono state del tutto ina- deguate ad affrontare l'era del petrolio, per sottovaluta- zione, per interessi diversi da quello pubblico e altro. Se- condo l’autore de Il Totem Nero, si è trattato di un fatto eccezionale al quale si è reagito in maniera ordinaria e tra- dizionale. “Un apposito pacchetto di leggi regionali sa- rebbe stato utile per garantire la massima sicurezza alle po- polazioni ed ai territori in materia di trasparenza, di parte- cipazione, di tutela della salute. Così come sarebbe stato decisivo pensare ad un ufficio di programmazione”… “Nulla di realmente incisivo è stato sinora prodotto in Basilicata, né sul piano infrastrutturale, né su quello produttivo. Nulla che faccia di questa terra il luogo della sperimentazione di nuovi modelli di sviluppo e di partecipazione politica e ci- vile. Nulla che andasse seriamente a valutare la sostenibi- lità e la compatibilità ambientale e socio-culturale dell'in- dustria petrolifera”.

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