• Non ci sono risultati.

Capitolo 1 Elementi di biomeccanica dell'osso

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Capitolo 1 Elementi di biomeccanica dell'osso"

Copied!
16
0
0

Testo completo

(1)

Capitolo 1

Elementi di biomeccanica dell'osso

1.1

Le ossa e lo scheletro

Le ossa sono organi di varia forma e volume, hanno un colore bianco-giallastro ed una consistenza legnosa. Sono dotate di grande resistenza meccanica e costituiscono nel loro complesso lo scheletro. Il sistema scheletrico svolge importanti funzioni di sostegno e protezione: forma la gabbia toracica su cui convergono gli arti superiori, scarica il peso del corpo sugli arti inferiori grazie all'espansione del bacino, alcune ossa sono modellate in modo tale da formare delle cavità destinate ad accogliere organi essenziali alla vita dell'organismo, come le ossa craniche che proteggono il cervello, la gabbia toracica che isola il cuore e i polmoni, gli organi di riproduzione che trovano sede nel bacino, mentre la colonna vertebrale protegge il midollo osseo.

Lo scheletro umano può essere suddiviso in due parti principali, una detta assiale, comprendente il cranio, la colonna vertebrale e la gabbia toracica, e una detta appendicolare, comprendente gli arti superiori e quelli inferiori.

La colonna vertebrale è l'elemento determinante di tutto il nostro sistema scheletrico visto che tutte le ossa direttamente o indirettamente sono a essa collegate. Formata da 32 o 33 vertebre è in grado di garantire una gamma estremamente ampia di movimenti e flessibilità.

Figura 1.1: Schema dello scheletro umano

Lo scheletro è quindi formato da ossa che hanno la funzione principale di sostenere i tessuti molli dell'organismo consentendo anche il movimento mediante i giunti articolari che le connettono: le ossa si articolano tra loro e agiscono da leva per le masse muscolari che si inseriscono sulla loro

(2)

superficie, diventando così la parte passiva, ma essenziale, dell'apparato locomotore.

Le ossa considerate dal punto di vista della loro conformazione generale si dividono in tre grandi gruppi: ossa lunghe, ossa piatte e ossa brevi.

Il femore, oggetto di studio del presente lavoro di tesi, rientra nella classificazione delle ossa lunghe. Queste hanno la caratteristica di avere una dimensione (la lunghezza) maggiore delle altre due (larghezza e spessore) e si trovano prevalentemente negli arti.

Le ossa lunghe si possono suddividere in un corpo e due estremità: il corpo, chiamato anche diafisi, è per lo più prismatico e triangolare, talora irregolarmente cilindrico, e presenta al suo interno il canale midollare; le estremità o epifisi, generalmente più voluminose del corpo e distinte in prossimale e distale, presentano una o più superfici lisce per l'articolazione con le ossa vicine e, in prossimità di queste superfici articolari, sono presenti delle eminenze o delle cavità rugose per l'inserzione dei legamenti o dei muscoli.

Il tratto osseo compreso tra la diafisi e ciascuna delle epifisi viene detto metafisi.

Dal punto di vista della microstruttura si distinguono due tipologie di osso: l'osso trabecolare e l'osso compatto.

L'osso trabecolare, detto anche spugnoso o cancelliforme (Figura 1.2), si trova principalmente al livello delle ossa brevi, delle ossa piatte e dell'epifisi delle ossa lunghe: appare conformato come una spugna, con travature ossee dette trabecole, intersecate tra loro a formare cavità midollari che contengono midollo osseo ematopoietico, e variamente orientate secondo la direzione delle linee di pressione che si esercitano sull'osso risultando, quindi, differentemente architettate nelle diverse ossa dello scheletro.

Figura 1.2: Microscopie elettroniche di osso trabecolare

L'osso compatto, o corticale, è costituito da uno strato osseo apparentemente omogeneo, più o meno spesso, forma la porzione più superficiale delle ossa brevi, delle ossa piatte e delle ossa lunghe, nonché costituisce la diafisi di queste ultime. Esso è privo di cavità macroscopicamente evidenti. La struttura di base è costituita da strutture denominate sistemi Haversiani o osteoni.

Al centro di ogni osteone vi è un vaso (arterioso o venoso) che è contenuto in un canale chiamato canale di Havers (Figura1.3). Intorno ai canali di Havers sono disposte lamelle concentriche, costituite da fibrille di collagene sulle quali è depositata idrossiapatite, a formare strutture cilindriche che insieme ai canali prendono appunto il nome di osteoni.

I canali di Havers sono collegati tra di loro da canali trasversali detti canali di Volkmann.

Lungo i contorni delle lamelle sono presenti piccole cavità, dette lacune, ognuna contenente un osteocita (cellula dell’osso). Numerosi piccoli canali detti canalicoli connettono lacune adiacenti e si diramano preferenzialmente in direzione radiale dal canale di Havers verso la periferia dell’osteone.

(3)

Figura 1.3: Schematizzazione e sezione di tessuto osseo compatto raffigurante le strutture degli osteoni

Nelle ossa lunghe le epifisi appaiono come formate quasi esclusivamente da tessuto spugnoso, soltanto alla periferia il tessuto epifisiario è costituito da uno strato di osso corticale, o compatto, che si prolunga senza discontinuità a formare la diafisi.

La diafisi è invece essenzialmente costituita da tessuto compatto, che raggiunge il suo massimo spessore nella parte centrale dell'osso, occupandone però soltanto la zona periferica: al centro si trova una cavità longitudinale, il canale midollare, così chiamato perché accoglie il midollo dell'osso. Il midollo osseo è una sostanza molle, di consistenza polposa, che si trova in tutte le cavità del tessuto osseo, cioè sia nel canale centrale delle ossa lunghe, sia nelle areole del tessuto spugnoso. La sua funzione è quella di provvedere, insieme ad altri organi, al rinnovamento dei globuli rossi, delle piastrine e dei globuli bianchi, quindi degli elementi figurati o cellulari del sangue.

Figura 1.4: Sezioni di epifisi e del tratto iniziale della diafisi di un femore

1.2

Caratterizzazione delle proprietà meccaniche delle ossa

Le ossa sono tessuti connettivi mineralizzati nei quali la sostanza intercellulare è prevalentemente costituita da cristalli minerali, in prevalenza fosfato di calcio. La presenza di minerali, come pure la distribuzione delle componenti organiche della sostanza intercellulare, conferiscono a questo tessuto spiccate proprietà meccaniche di durezza e di resistenza alla compressione, alla trazione e alla torsione. Inoltre, dato il notevole contenuto in sali di calcio, il tessuto osseo rappresenta il principale deposito di ione calcio per le necessità metaboliche dell'intero organismo. La deposizione del calcio nell'osso e la sua mobilizzazione, finemente controllate da meccanismi endocrini, contribuiscono in modo sostanziale alla regolazione dei livelli plasmatici di questo ione.

(4)

L'ottimizzazione del tessuto osseo

Il tessuto osseo può essere considerato come un materiale composito costituito da una matrice organica e da una componente minerale i cui contributi al comportamento meccanico complessivo sono molto differenziati.

I cristalli di apatite sono molto robusti e rigidi: il loro modulo elastico presenta valori lungo l'asse intorno a 100-170 Gpa (valori che possono essere confrontati con quelli di materiali come l'acciaio pari a 200 Gpa e dell'alluminio, 70 Gpa).

Le fibrille di collagene hanno un modulo elastico intermedio tra quello delle molecole di collagene (2-3 Gpa) e quello delle fibre di collagene (0.5-1 Gpa).

Il modulo elastico complessivo dell'osso, rilevato in prove di trazione e compressione su campioni di osso umano femorale prelevati da osso compatto nella direzione dell'asse del femore, è pari a 10-20 Gpa, valore pertanto intermedio tra quello dell'apatite e del collagene e assai elevato per una struttura biologica.

Questa organizzazione corrisponde di fatto ad un criterio di ottimizzazione in quanto, se prendiamo in considerazione i suoi valori di resistenza a rottura, essi risultano superiori sia a quelli dell'apatite, sia a quelli del collagene.

Ciò è dovuto al fatto che la struttura di collagene preserva la rigida struttura di apatite dalla possibilità di rottura fragile intervenendo con la sua parziale cedevolezza a distribuire, anche a livello di microdettaglio strutturale, gli sforzi applicati in modo ottimale.

D'altra parte la rigida struttura fornita dall'apatite impedisce all'osso di deformarsi e di cedere sotto carico, come esso farebbe se dovesse fare conto soltanto sul collagene quale elemento di resistenza. È convinzione generale che il processo evolutivo ha prodotto un disegno ottimale per i vari tipi di ossa, ottimale secondo un criterio assai familiare all'ingegneria che studia la realizzazione di strutture leggere e resistenti come quelle aerospaziali.

La capacità adattativa funzionale del tessuto osseo sembra essere il risultato di un processo evolutivo dettato da criteri di ottimizzazione.

Tali criteri includono: il disegno di una struttura che minimizza gli sforzi interni avendo il compito di trasmettere in specifici punti assegnate forze; la distribuzione del materiale che consente di ottenere un peso minimo della struttura, ovvero un volume minimo della struttura, oppure un ottimale compromesso tra queste due esigenze; la sicurezza per eventuali sollecitazioni impreviste. Alla base delle teorie del progetto ottimale di tipo ingegneristico, stanno molte considerazioni che ritroviamo nella struttura delle ossa.

Tra queste si possono citare: la teoria della resistenza uniforme, la quale suggerisce che ogni parte del materiale sia sottoposta allo stesso valore massimo di sforzo, quando sollecitato ai valori massimi di carico assegnati; la teoria dell'architettura spaziale per linee di forza suggerisce di disporre il materiale resistente solo secondo le linee di trasmissione degli sforzi lasciando vuote le altre zone.

(5)

Questi concetti, applicati alla geometria delle strutture ossee, sono ben noti da tempo e sono stati per la prima volta formulati come leggi evolutive da Wolff nel1892.

La prima è la legge generale della trasformazione ossea e stabilisce che ad ogni variazione funzionale corrisponde una variazione architetturale del tessuto.

La seconda, conseguenza diretta della prima, è la legge traiettoriale dell'osso trabecolare che stabilisce che la distribuzione e l'orientazione delle trabecole ossee dell'osso spugnoso si alterano dinamicamente al variare della storia di carico esterna e che, in condizioni di equilibrio, l'organizzazione delle trabecole riflette accuratamente la storia di carico media a cui quel volume di tessuto è soggetto.

Queste leggi sono state riformulate da Roux nel 1895 così da riflettere il ruolo attivo che l'osso è in grado di svolgere, introducendo così il concetto di rimodellamento osseo, secondo le due seguenti formulazioni:

-principio dell'adattamento funzionale, ovvero adattamento di un organo alla sua funzione attraverso l'adattamento conseguito nell'eseguire la funzione stessa e nel modificare la sua conformazione e/o struttura;

-principio del progetto minimax, ovvero progetto che ottiene la massima resistenza con l'uso minimo di materiale.

Occorre tenere bene presente che questi obiettivi sono perseguibili solo in quanto si venga a definire per la struttura biologica una ben precisa prestazione che essa deve fornire. Se diverse infatti sono le prestazioni che essa deve espletare, non potranno essere seguiti in modo ottimale questi 2 principi, ma la soluzione della struttura biologica generata dall'adattamento sarà una soluzione di compromesso tra le varie esigenze.

Un caso assai caratteristico di ottimizzazione della struttura dell'osso è costituito dalla struttura trabecolare della testa del femore come riportato in Figura 1.5.

In questo caso infatti le condizioni di progetto sono abbastanza univoche e ben definite: la testa del femore infatti deve sostenere il peso del corpo umano durante la locomozione trasmettendolo, attraverso il femore stesso, alle altre sottostrutture della gamba, secondo una linea di applicazione della forza ben definita e con valori della forza stessa identificabili e ripetitivi.

L'anisotropia dell'osso

Le ossa, come si può vedere nella Tabella 1.1, hanno proprietà meccaniche confrontabili a molti dei materiali utilizzati in ingegneria.

Tabella 1.1: Caratteristiche a confronto dell'osso corticale e dell'osso spugnoso

Le deformazioni massime sono piccole e ciò permette di utilizzare la definizione di deformazione infinitesimale. Esiste inoltre un ampio range di deformazioni per cui è possibile considerare, in

(6)

prima approssimazione, un comportamento pari a quello di un materiale elastico lineare: nel campo di deformazioni definito fisiologico (< 0.3%), ci si trova infatti in condizioni di piccoli spostamenti e deformazioni, in accordo con un modello di elasticità lineare.

In queste condizioni è possibile correlare sforzo agente e deformazione tramite due soli parametri, detti parametri costitutivi, come noto dalla scienza dei materiali.

Formalmente si può definire:  = E  in condizioni monoassiali e ij = Cijkl kl in notazione

tensoriale (con C grandezza tensoriale del quarto ordine chiamata matrice di elasticità o di rigidezza).

I parametri costitutivi normalmente utilizzati sono il modulo elastico E o modulo di Young, e il modulo elastico tangenziale G, che rappresentano le costanti di proporzionalità tra sforzo applicato e deformazione nel caso si solleciti il materiale in direzione normale o tangenziale alla superficie. In alternativa a G è possibile utilizzare il parametro adimensionale  detto anche modulo di Poisson, esso varia in funzione della comprimibilità del materiale tra 0 (materiale perfettamente comprimibile) e 0,5 (materiale incomprimibile).

In realtà l'osso è un tessuto che per via della sua architettura ha un comportamento per molti versi assimilabile a quello, peraltro molto più facile da osservare e indagare, di un materiale composito di origine non biologica.

Come nel caso di molti materiali compositi, le proprietà meccaniche dell'osso sono funzione della direzione delle sollecitazioni applicate; si tratta di un materiale con comportamento meccanico anisotropo, un grado di complessità descrittiva che lo distingue da quei materiali microscopicamente o macroscopicamente omogenei per i quali il comportamento è tipicamente indipendente dalla direzione della sollecitazione applicata, ossia isotropo.

Una conseguenza diretta della presenza di strutture o architetture caratterizzate da direzioni preferenziali è la dipendenza della risposta del materiale dalla direzione di applicazione del carico, fenomeno che prende il nome dunque di anisotropia.

Il tessuto osseo è senza dubbio un materiale anisotropo, sia che si tratti dell'osso trabecolare, sia che si tratti dell'osso corticale.

Nel primo caso l'anisotropia è dettata dall'articolata disposizione spaziale e dall'orientamento delle trabecole ossee, nonché dall'elevata porosità che lo rendono difficilmente approssimabile ad un tessuto continuo e monofasico.

Nonostante ciò, a fronte dell'estrema complessità nella rappresentazione accurata della configurazione strutturale, si pongono spesso approcci semplificativi estremi: per ridurre il numero di variabili nell'analisi, specialmente se condotta numericamente, si considera che l'alto grado di disordine presente nella struttura non possa dar luogo ad altro se non ad un comportamento mediamente isotropo, assumendo quindi come elastica lineare e isotropa la risposta dell'osso trabecolare. Nel caso vengano introdotti opportuni limiti e condizioni, il grado di approssimazione introdotto risulta sufficientemente basso.

Nel secondo caso è legata all'orientamento ed all'architettura delle strutture base dell'osso compatto, ossia gli osteoni.

Partendo dalla generale condizione di anisotropia, l'identificazione di simmetrie nei materiali costituenti permette di ridurre il numero di costanti indipendenti, in quanto si va a considerare solo le forze normali alle superfici di un ipotetico elemento cubico:

(7)

Ottenendo semplificazioni della legge costitutiva con C che diventa un tensore del secondo ordine composto da 36 elementi, che esplicitato è del tipo:

i

= C

ij

j con

C

ij

=

Essendo l'osso costituito prevalentemente da due elementi, si può semplificare il tensore come segue, con due blocchi, A che corrisponde all'idrossiapatite e B che corrisponde al collagene, costituiti da 18 elementi:

=

Procedendo con opportune ipotesi semplificative vediamo che applicando una forza, le facce del cubo risultano comportarsi in maniera uguale a 2 a 2 opposte, quindi è possibile semplificare il tensore e renderlo triangolare:

Essendo inoltre l’idrossiapatite un componente fondamentale del tessuto, si possono sfruttare le sue proprietà cristallografiche (cristallo del tipo CCC) per ottenere una prima semplificazione del tensore: c'è simmetria nelle diagonali del cristallo, si ottiene perciò una matrice diagonale perchè C31=C13, C21=C12 e C23=C32.

(8)

Inoltre sul collagene si può ottenere una condizione di ortotropia che richiede la determinazione di solamente 3 coefficienti corrispondenti ai moduli radiale, circonferenziale ed assiale.

La matrice di rigidezza risulta dunque essere formata da soli 6 parametri indipendenti:

Misure sperimentali sull’osso corticale hanno supportato, tenendo conto delle influenze di fattori esterni, la definizione di un modello ortotropo del comportamento meccanico, caratterizzato da tre assi di simmetria, che trovano analogia anatomica nelle diafisi delle ossa lunghe nelle direzioni longitudinale, radiale e circonferenziale rispetto alla sezione della diafisi sul piano orizzontale. Esiste una unanime concordanza riguardo al fatto che ci sia una dipendenza delle proprietà dell'osso dalla direzione del carico e, precisamente, c'è differenza se il carico viene applicato in direzione longitudinale piuttosto che trasversale.

Il tessuto presenta un modulo elastico in direzione longitudinale maggiore di circa il 40% rispetto al modulo elastico rilevabile in direzione trasversale.

Questo comportamento riflette la specializzazione della struttura ossea che si è evoluta al fine di rispondere in modo ottimale ai carichi nella direzione tipica di sollecitazione.

Se si considera il comportamento a rottura è viceversa possibile notare nell'osso corticale umano una differenza significativa tra il comportamento a compressione e quello a trazione, come mostrato nella Tabella 1.2.

Tabella 1.2: Confronto dei valori di sforzo (Mpa) e deformazione a rottura a trazione e a compressione in direzione longitudinale e trasversale

(9)

Qui vi sono riportati i valori di Reilly e Burstein e quelli di Cowin: in entrambi gli studi è stato notato come a compressione lo sforzo a rottura risulti più elevato.

Nel caso longitudinale, la deformazione a rottura a compressione risulta inferiore mentre nel caso trasversale essa è maggiore. Questo significa che la capacità di assorbire energia (intesa, in termini specifici, come l'area sottesa alla curva sforzo-deformazione del materiale) a trazione e a compressione risulta confrontabile in direzione longitudinale, mentre nel caso trasversale è decisamente maggiore a compressione.

Se si considera il caso di applicazione lenta di carichi la resistenza risulta superiore nel caso di compressione in entrambi i casi in ragione del maggior valore di sforzo a rottura.

La densità apparente

L'osso spugnoso è un particolare tipo di osso lamellare e la sua struttura è caratterizzata da lamelle ossee orientate a formare una sorta di travatura reticolare che ottimizza il rapporto tra il peso e la capacità di sopportare carichi.

Come mostrato nella Tabella 1.1, la densità dell'osso compatto e dell'osso spugnoso è uguale, mentre varia la densità apparente per effetto della presenza di vuoti tra le trabecole.

La frazione volumetrica di tessuto osseo contenuta in un dato volume può essere definita appunto densità apparente e riflette la misura del volume di un campione di osso trabecolare cui sia sottratto il volume dei pori.

Come conseguenza le proprietà meccaniche risultano fortemente influenzate dal rapporto pieni-vuoti della struttura trabecolare: si ha un andamento crescente del modulo elastico con l'aumentare della densità apparente.

Altri fenomeni rilevanti che possono influenzare la stima delle proprietà meccaniche sono inoltre la velocità di applicazione del carico, l'eterogeneità delle proprietà meccaniche in funzione del sito di estrazione del campione osseo in analisi, l'età e il sesso del soggetto da cui l'osso proviene e le condizioni di prova (umidità e temperatura).

La velocità di deformazione

L'osso, come tutti i tessuti biologici esprime un comportamento tipico di un materiale viscoelastico in quanto le sue proprietà dipendono anche dalla velocità di deformazione.

Figura 1.6: Dipendenza del comportamento meccanico dalla velocità di deformazione di osso compatto umano; la velocità di deformazione è qui definita come rapporto tra allungamento percentuale e tempo

(10)

La Figura 1.6 illustra il fatto che un osso, sollecitato ad alte velocità di deformazione, è caratterizzato da un'ampia zona di elasticità lineare, con una ridotta tendenza allo snervamento e carico di rottura superiore ai 30 Mpa; quando invece è sottoposto alla sollecitazione in tempi molto più lunghi, l'osso riesce a raggiungere allungamenti più che doppi, dopo aver subito un'importante deformazione plastica e aver ridotto lo sforzo di rottura ad un terzo.

Dipendenza dal sito anatomico di estrazione

Nel caso dell'osso corticale le proprietà meccaniche risultano tendenzialmente indipendenti dal sito anatomico da cui viene estratto il provino da analizzare.

Differente è il discorso per l'osso trabecolare come investigato da Morgan e Keaveny nel 2001. Questo comportamento è essenzialmente legato all'architettura delle trabecole dell'osso considerato. È facilmente osservabile dalla Tabella 1.3 la marcata differenza che può intercorrere tra ossa spugnose, differenza non imputabile solamente alla densità ossea apparente del campione analizzato. Osservando la tabella è infatti possibile notare come ossa dalla densità sostanzialmente uguale, quali il grande trocantere e la tibia prossimale, abbiano proprietà meccaniche molto diverse. La differenza statisticamente significativa relativa al limite di deformazione elastica indica una maggiore deformabilità a compressione dell'osso spugnoso e quindi una maggiore capacità a resistere a gli urti o in altri termini ad assorbire energia senza rompersi.

Tabella 1.3: Confronto delle proprietà meccaniche di ossa spugnose estratte da differenti siti anatomici

Dipendenza dalla percentuale di umidità

Le caratteristiche di resistenza delle ossa dipendono fortemente dalla presenza di acqua all'interno delle stesse.

In condizioni biologiche l'osso è imbibito d'acqua ricca di sali (acqua della ECM) la quale facilita gli adattamenti della struttura di collagene e permette pertanto di realizzare una ottimale distribuzione degli sforzi.

(11)

Figura 1.7: Comportamento dell'osso secco e umido

Nella Figura 1.7 si riconosce chiaramente che l'osso in condizioni disseccate presenta un modulo elastico più elevato e non mostra scostamento da un comportamento elastico lineare.

L'osso in condizioni fisiologiche invece presenta un modulo elastico più basso in quanto, come già accennato, la maggiore adattabilità delle strutture interne lo rende più cedevole nei confronti degli sforzi applicati.

Più interessante ancora è il comportamento ad elevati sforzi.

L'osso umido può cedere nei confronti dello sforzo in modo assai più marcato dell'osso secco, anche se i valori di massimo carico sopportabile sono del tutto analoghi in quanto dipendono dalle caratteristiche di resistenza della apatite.

Si può quindi comprendere che l'osso idrato in condizioni biologiche è più in grado di sostenere urti o eccessi di sollecitazione senza giungere alla rottura in quanto è facile valutare da questi stessi diagrammi che l'energia assorbibile da un osso idrato è almeno pari a 5 volte quella assorbibile da un osso secco.

È qui importante notare come la presenza dell'umidità alteri non solo e non tanto il valore assoluto dello sforzo, ma anche e soprattutto l'intero regime di deformazione che passa decisamente da un comportamento elastico lineare per l'osso secco ad uno stato di deformazione plastica non reversibile generata dalla presenza delle molecole d'acqua che rende possibili scorrimenti viscosi nella rigida struttura dell'osso.

(12)

1.3

Il femore

Figura 1.8: Viste anteriore sinistra e posteriore destra di un femore

L'oggetto di studio del presente lavoro di tesi è, come precedentemente anticipato, il femore, l'osso più lungo dello corpo umano.

L'importanza di una sua corretta caratterizzazione strutturale e modellazione agli elementi finiti, potrebbe portare ad una efficace predizione del rischio di frattura, soprattutto in zone di particolare interesse come il collo anatomico del femore, e quindi un concreto contributo nella prevenzione contro le fratture nei casi di pazienti affetti da osteoporosi.

Il femore è l'osso più voluminoso del corpo e costituisce lo scheletro della coscia.

Andando a studiare come sia anatomicamente strutturato, si osserva innanzitutto che prossimalmente è articolato con l'acetabolo dell'osso dell'anca, mentre distalmente con la tibia e la patella.

Esso presenta una forma geometrica tipica indipendente dall'individuo nella quale è possibile individuare delle zone anatomiche di riferimento: è formato da un corpo e da due estremità prossimale e distale e nella stazione eretta è inclinato in basso e medialmente.

Il corpo del femore presenta una convessità anteriore e ha una sezione prismatica triangolare in cui si possono descrivere una faccia anteriore, una faccia posterolaterale e una posteromediale.

(13)

Le facce sono lisce e separate da tre margini laterale, mediale e posteriore.

I primi due sono smussi mentre quello posteriore è rugoso ed è detto linea aspra. La linea aspra è formata da un labbro laterale e da uno mediale che sono accostati nella parte centrale del corpo e che divergono in prossimità delle due estremità.

Prossimamente la biforcazione laterale della linea aspra forma la tuberosità glutea che dà inserzione al muscolo grande gluteo; la biforcazione mediale è la linea pettinea per l'inserzione del muscolo omonimo.

Distalmente la biforcazione laterale e quella mediale continuano con le linee sopracondiloidee, laterale e mediale, che terminano al livello degli epicondili dell'estremità distale e delimitano la faccia poplitea. Lungo la linea aspra è presente il foro nutritizio.

L'estremità prossimale del femore presenta la testa del femore, un'eminenza rivestita da cartilagine ialina, che corrisponde a circa 2/3 di sfera e si articola con l'acetabolo dell'osso dell'anca (Figura 1.9).

Figura 1.9: Vista del tratto prossimale del femore e dell'acetabolo

La testa del femore è un esempio anatomico di accoppiamento sferico, essendo in questo modo consentiti al femore tre gradi di libertà: tre rotazioni che producono i movimenti di intra e extrarotazione, abduzione e adduzione, flessione ed estensione.

Nella testa è presente la fossetta della testa che è priva di cartilagine e dà inserzione al legamento della testa del femore (o legamento rotondo). La testa termina in corrispondenza di un segmento cilindrico appiattito, il collo anatomico del femore, che presenta numerosi piccoli fori nutritizi. L'asse della testa e del collo forma con l'asse del corpo del femore un angolo di circa 130° (angolo di varo/valgo), presenta inoltre un angolo di torsione anteriore di circa 12° (angolo di antiversione). Alla base del collo sono visibili due grossi rilievi: lateralmente e in alto il grande trocantere, inferiormente e medialmente il piccolo trocantere. I trocanteri, che danno inserzione ai muscoli, sono uniti, anteriormente dalla linea intertrocanterica, posteriormente dalla cresta intertrocanterica (Figura 1.8).

Medialmente al grande trocantere si trova la fossa trocanterica. Subito distalmente al piccolo trocantere si trova il collo chirurgico del femore che corrisponde al limite tra diafisi ed epifisi.

(14)

L'estremità distale del femore è voluminosa e formata da due grosse masse convesse di forma ovalare a maggior asse anteroposteriore, i condili del femore laterale e mediale.

I condili, che sono rivestiti da cartilagine più estesa posteriormente, si articolano con la tibia e in avanti continuano con la faccia patellare per l'articolazione con la patella. Posteriormente i condili sono separati da una profonda depressione, la fossa intercondiloidea, che è separata dalla faccia poplitea mediante la linea intercondiloidea. Sopra ai condili sono visibili due rilievi, l'epicondilo laterale e mediale che danno inserzione ai legamenti; sopra all'epicondilo mediale è presente un altro rilievo, il tubercolo dell'adduttore, sul quale si inserisce il muscolo grande adduttore.

Tra il condilo e l'epicondilo laterale è visibile il solco popliteo per il tendine del muscolo omonimo.

1.4 La frattura del femore

Le fratture dell'estremo prossimale del femore sono frequenti nelle persone anziane a causa di cadute sul grande trocantere in presenza di osso osteoporotico e sono causate da traumi spesso anche modesti.

Il paziente affetto da tale frattura accusa vivo dolore all'anca traumatizzata, anche a riposo, ed insufficienza funzionale completa dell'articolazione coxo-femorale (Figura 1.10).

Figura 1.10: Viste anteriore e posteriore dell'articolazione coxo-femorale

Questa è un'articolazione mobile che si forma tra l'acetabolo dell'osso dell'anca e la testa del femore. La testa del femore, rivestita da cartilagine, corrisponde a circa 2/3 di sfera, mentre la cavità dell'acetabolo è meno estesa.

La superficie della testa del femore rivestita da cartilagine articolare corrisponde alla faccia semilunare mentre la fossa dell'acetabolo è riempita da un cuscinetto adiposo e non tutta la cavità entra in articolazione con la testa del femore.

In caso di frattura si può notare un'alterazione del profilo anatomico della regione trocanterica che appare risalita e più sporgente. L'arto risulta accorciato e atteggiato in extrarotazione e adduzione.

(15)

Queste lesioni possono essere divise rispetto alla sede anatomica della rima di frattura in due grandi gruppi:

1. fratture mediali; 2. fratture laterali.

1. Le fratture mediali hanno difficoltà di guarigione perché nel trauma possono venire lesi vasi arteriosi che irrorano la testa femorale, e inoltre il frammento prossimale può essere irrorato solo dai vasi metafisari, per cui la frattura crea le condizioni per la necrosi ischemica dell'epifisi prossimale. La testa femorale infatti è irrorata nella sua porzione intracapsulare dall'arteria arciforme anteriore e dall'arteria arciforme posteriore nettamente più grande e importante dell'arteria del ligamento rotondo che molto spesso, dopo i 45 anni, spontaneamente si oblitera.

L'irrorazione della testa femorale pertanto è di tipo terminale, per cui la frattura interrompe anche il flusso vascolare dell'epifisi prossimale della metafisi femorale.

Le fratture mediali (di maggior interesse per questo lavoro di tesi) a seconda del livello anatomico della rima di frattura si dividono in:

1) sottocapitate; 2) mediocervicali; 3) basicervicali.

Figura 1.11: Schema di metafisi superiore del femore con linee di frattura mediali del collo femorale 1) sottocapitata, 2) mediocervicale, 3) basicervicale

Mentre a seconda dell'andamento della rima di frattura vengono divise in: a) fratture per abduzione;

b) fratture per adduzione.

Figura 1.12: Schemi di metafisi superiore di femore con rima di frattura del collo femorale. In (a) con angolo inferiore di 50°, in (b) con angolo superiore di 50°.

(16)

Nelle fratture per abduzione il prolungamento della rima di frattura forma con la tangente tracciata sull'apice della testa parallela al suolo un angolo inferiore a 50° e ciò rende stabile la riduzione della frattura e facilita la guarigione perché l'asse di carico non forma delle forze di taglio sul focolaio di frattura.

Le fratture per adduzione con angolo da 50° a 70° ed oltre sono estremamente instabili per le forze di taglio che agiscono sui monconi di frattura.

Il trattamento di queste fratture mediali è cruento e può essere eseguito con diversi mezzi di sintesi a seconda della grandezza del frammento prossimale.

La guarigione della frattura avviene in circa 3 mesi. La deambulazione con carico differenziato di 20-30 Kg può essere concessa dopo pochi giorni dall'intervento (10-15 giorni) nelle fratture più vicine al grande trocantere (basicervicali), in cui possono essere adoperati mezzi di sintesi più validi dal punto di vista meccanico, mentre nelle fratture sottocapitate il carico differenziato può essere concesso dopo 2 mesi.

2. Le fratture laterali, non considerando le fratture del grande e piccolo trocantere che non necessitano di trattamento ma solo di riposo a letto per 2-3 settimane, interessano la metafisi superiore del femore e sono rappresentate dalle fratture pertrocanteriche od intertrocanteriche.

Figura 1.13: Schema frattura pertrocanterica

Le fratture laterali devono essere trattate sempre chirurgicamente e il tempo di guarigione è molto più breve (2 mesi) rispetto alle fratture mediali (3 mesi). Anche la stazione eretta e il carico differenziato vengono anticipati già dopo il primo mese dell'osteosintesi.

Figura

Figura 1.2: Microscopie elettroniche di osso trabecolare
Figura 1.3: Schematizzazione e sezione di tessuto osseo compatto raffigurante le strutture degli osteoni
Figura 1.5: Immagini delle linee di forza dell'osso spugnoso della testa del femore
Tabella 1.1: Caratteristiche a confronto dell'osso corticale e dell'osso spugnoso
+6

Riferimenti

Documenti correlati

I piccoli equini folivori dell’Eocene nel Miocene lasciano il posto a forme più grandi con meno dita (più veloci) e denti più alti (per masticare erba silicea) in relazione alla

Di comune riscontro nel diabete tipo 1 è anche lo sviluppo di sarcopenia, definita come la riduzione della forza e della quantità o qualità della massa muscolare. La tecnica

Nel foro centrale delle VERTEBRE, lungo tutta la colonna vertebrale, passa il MIDOLLO SPINALE da cui partono i NERVI che si diramano in tutto

Allo stesso modo, la volontà da parte del governo giapponese di diventare uno stato normale sta aumentando sempre più, facendolo optare (come sta avvenendo con Abe) per

- ADULTI LA CUI MORFOLOGIA PROGREDISCE OLTRE QUELLA DEI PROPRI ANTENATI (SVILUPPO DIRETTO) TRAMITE:. 1) RALLENTAMENTO DELLA MATURAZIONE

Le epifisi sono formate perlopiù da tessuto osseo spugnoso, avvolto da un sottile strato di osso compatto. Hanno una forma pressoché cuboidale ed una struttura simile

Ossa lunghe Ossa piatte Ossa brevi Ossa irregolari.

guarigione e di recupero associati a una frattura, una frattura iniziale aumenta significativamente il rischio di fratture successive e può innescare una spirale negativa