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F O R T U N A RAPPRESENTAZIONE DRAMMATICA

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Academic year: 2022

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(1)

L A C A S A

DELLA

F O R T U N A

RAPPRESENTAZIONE DRAMMATICA

pel sacerdote B

O SC O G IO V A N N I

T O R I N O

T i p . d e l l ’ Or a t . d i s . F r a n c . d i Sa l e s .

1 8 6 5 .

(2)

p r o p r i e t à d e l le d i t o r e

(3)

CENNO STORICO

A ' p ie ’ delle alpi, a p oca distanza dal M on cen isio, viveva una onesta ed agiata fam iglia, Zaffiri ne era il padre.

Contento del suo stato esso rip on ev a la sua felicità nel coltivare le te r r e , assistere ad alcuni affari p riva ti, p ra ­ ticare i doveri del bu on cristian o, fare del ben e a quanti poteva. L ucrezia ap- pellavasi la figliu ola m aggiorenn e.

Presentatasi o cca s io n e di accasarla il g en itore voleva che sposasse un r ic c o

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e p io con ta d in o. Ma con tro al volere del padre ella preferì un giovanetto di onesto casato ma povero di ben i di fortuna di n om e Giustino.

Mia figlia, le diceva il padre, tu n on segui i co n sig li del tuo gen itore e la sbagli. R icord a ti ch e il cie lo n on b e ­ n e d ice chi op era co n tro al volere d e ’ g en itori.

Ciò n on ostante ella secon d ò il suo g e n io , e cele b rò il divisato m atrim o­

n io . D opo di ch e rin cre sce n d o le d i­

m orare in patria partì alla volta di T orin o in com p a g n ia del m arito c o l so lo danaro ricavato dalla dote pa­

terna. G iunsero in tem po m olto p ro ­ p izio per un genere di co m m e rcio da lo r o esercitato, laon d e c o ll’ eco n o m ia e co lle assidue fatiche riu sciro n o a p ro ca ccia rsi una p iu cch è m ed iocre fortuna. Ma un fallim ento, uno stagna­

m ento di a ffa ri, una lunga m alattia,

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ed un furto sofferto ridussero questa fam iglia n e ll’ in digenza. Giustino colla m og lie e con tre figliuoletti andò a d im ora re in P in erolo dove in ca p o a due anni cessò di vivere. La m adre allora colla fig lio la n z a recavasi a M on- calieri a fine di p rovved ere alle ne­

cessità della fam iglia c o l la v oro delle sue m ani. Giustina era la figliu ola p ri­

m o g e n ita : Ottavio ed E rnesto ch ia- m avansi i due fratelli. Ma un n o ­ vello in fortu n io co lp ì questa fam iglia.

La figliu ola m oriva di co lera l ’ anno 1854; p och i giorn i d op o la stessa m a­

dre era ezia n d io involata dal m orb o m icid ia le. A llora i due orfan elli Ottavio di 1 4 ed Ernesto di 9 anni ven nero consegnati ad un carrettiere perch è fos­

sero condotti presso u n o zio paterno.

Se non ch e il carrettiere m osso dalla sete del p o c o d a n a ro , ch e agli o rfa ­ n elli aveva la m adre la scia to, d o p o un

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tratto di strada n on gli volle p iù co n se e gli ab b a n d on ò. Ottavio ed Ernesto p ren d en d o il lo r o p ic c o lo baule anda­

ro n o a dim andare ospitalità nella prim a casa cam pestre ch e lo r o si parò da­

vanti, e qui fu ro n o ricevu ti in u n ’ aja co m e seg u e:

Eustachio, padrone di casa.

Franco

suoi nipoti.

Teodoro

Giovanni, detto Allegro, servitore.

P E R S O N A G G I

Ottavio Ernesto

Un Carrettiere. orfanelli.

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ATTO PRIMO

S C E N A P R I M A .

Gi o v a n n i Al l e g r o, Ot t a v i o, Er n e s t o.

Giovanni (con un badile sulle spalle):

— Io cred o di essere l’ u n ico u om o felice ch e vi sia in questo m on do.

È vero ch e m i tocca lavorare da m at­

tino a sera, m a questo n on im p orta, p erch è quanto più sudo e più la v oro, m i p r o c a c c io tanto m ig lio r appetito;

n è finora m an com m i cosa alcuna p er soddisfare ai m iei b isogn i. — In quale gran de in gan n o viv on o m ai

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c o lo r o ch e pensano essere n e ce s­

sario m olto danaro per vivere felice.

No, no, il danaro e le ricch ezze n on p osson o appagare il cu ore d e ll'u o m o , bensì il b u on uso delle m edesim e.

C iascuno pertanto si contenti del suo stato senza pretendere più di quanto gli abbisogn a. Un tozzo di pane, una fettina di polenta, un piattello di m i­

nestra mi bastano. Io son o sem pre al­

leg ro e per questo m otivo m ia m adre mi ch iam ava G iovanni l’ Allegro. Sì, n on ho m ai avuto fastidio p er i- spendere danaro perch è n on ne ho m ai; e p o i il dan aro essendo roba p e sa n te , io v o g lio la scia rlo a chi vuol darsi b rig a di p ortarlo. È vero ch e anche questo bad ile è pesante, ma esso alm en o è un b u on com p a g n o, esso lavora co n m e da m attino a se ra ; nè m ai cerca di riposarsi, se n on qu ando le m ie b ra ccia restano stanche e lo d ep on g on o. Evviva il m io bad ile, tu sei p ro p rio la m ia felicità.

(Mentre Allegro fa sventolare il ba­

dile, Ottavio ed Ernesto giungono portando un piccolo baule).

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Ern. — Dove siam o n o i, o ca ro Ottavio?

Ott. — N on lo so, n em m en o so c o m e si ch ia m i nè di ch i sia questa ca sa ; com u n q u e sia, dim andiam o qualche cosa p er carità.

Ern. — C onosci tu qu alch edun o?

Ott. - N on c o n o s c o nessuno, m a delle p erson e caritatevoli se ne in c o n ­ trano p er tutto il m on d o; prim a p er altro di parlare co n alcu n o d eb b o rico rd a rti l’ avviso d a toci dalla n o­

stra m adre, c io è di n on dire m ai il n ostro vero n om e se non qu ando avrem o in con tra to il n ostro avolo, p e r c iò . . . .

Ern. — P e rciò per quanto sarà p o ssi­

b ile la scierò sem pre te a parlare co n ch icch essia . Ma (sotto voce) guarda, Ottavio, là c ’ è un u o m o che tien e un fu cile in m ano. V orrà forse u c c i­

d e r c i? F uggiam o.

Ott. — N on fu ggire, n on aver paura;

non ha un fu cile; egli tien e in m ano la vanga ovvero ba d ile di cui servesi per lavorare; all’ apparenza m i sem ­ bra onesta persona. A vv icin ia m o ci, e p arliam ogli. — O b rav’ u o m o o

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b ra v ’ u om o, si pu ò parlare c o l si­

g n or pad ron e di questa v illeggia ­ tu ra ?

All. (stupito). — Chi siete v o i? razza di m on elli, don de venite, ch e cosa v o le te ? Qui n on c ’ è il sign or p a ­ d ron e, nè la villeggiatura. I soli villeggian ti di questa casa son o io e la fam iglia del m io padrone.

N em m eno qui avvi alcu n sign or padrone, il m io p ad ron e è soltanto un b u on con ta d in o, m a n on vu ole esser detto nè sign ore, nè m onsù...

Ma voi ch i siete ? Che cosa volete?

Ott. — N oi siam o due p overi giov a n i, abbiam o b iso g n o d 'a llo g g io p er que­

sta notte.

All. — E h ! m i p a r e . . . . m i pare che v oi siate vestiti da s ig n o r in i: e m ia m adre soleva dirm i ch e c o lo r o i quali son o vestiti da sig n ori, e d i­

m andano lim osin a, p er lo più son o la d ro n ce lli, ch e si veston o di rob a altrui, e dim andan o lim osin a qu ando n o n p o sso n o farla franca. A nzi ser- von si del pretesto di dom an dar li­

m osina e intanto s t u d ia n o , m e d i­

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tano il m od o di fare Sancte Raphael.

Mi s b a g lio ?

Ott. — Caro am ico, n on tem ete di n o i, n oi siam o p overi, m a onesti g io v a n i, la sola sventura ci ridusse n ello stato in cui ci troviam o. Ma diteci alm en o:

Com e si ch iam a questa ca sa ? All. — Questa casa si ch iam a La Casa

della fortuna ed ebbe un tal n om e perch è tutti c o lo r o ch e qui v e n g o n o , o ci abitano, son o sem pre stati fortu ­ nati. Ed io pure son o di questo n u ­ m ero.

Ern. — N on si p otreb b e parlare al pa­

dron e?

All. — N on si p otrebbe sapere ch e cosa volete dal p a d ro n e ?

Ern. — D im andargli del p a n e ; a b ­ biam o fam e.

All. — Pane.... fam e.... andate da chi ne ven de, ch è qui n on c ’ è nè a l­

b erg o, nè panatteria.

Ern. — N on si p otreb b e avere a llo g g io alm eno p er questa n o tte ?

All. — C’ è a n co r tem po, andatevi a c e r ­ care a llog g io altrove. Io ho b iso g n o di andare a dar da m angiare ai b u oi,

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ed aggiustare lo ro il g ia cig lio . Buona se ra ; e se mai foste la d ro n ce lli, e- m endatevi m entre siete an cora in tem po, altrim enti siete in gran p e ri­

c o lo di finir m ale.

Ern. — D eh ! abbiate com p a ssion e di n o i, p overi orfan elli; v oi diceste che tutti c o lo r o ch e ca p ita ron o in questa casa fu ron o tutti fortunati; deh! non fate che n oi siam o i p rim i ad essere in felici; se n on altro fate ch e p o s­

siam o parlare co l vostro padrone.

Ci dite ch e è tanto b u on o, forse avrà an che com p assion e di n o i.

All. — G iacché insistete cotanto, vi c o n ­ durrò dal m io p a d ro n e ; ma prim a v og lio ch e mi diciate ch i siete, ch e cosa avete fatto finora, e perch è vi trovate nella m iseria.

Ott. — Caro a m ico , n oi siam o due p o ­ veri orfan elli, che la sventura gettò in m ezzo di una strada. F in ora siam o sem pre andati a scuola.

All. — Ah! ah! andati a s c u o la ! son o andato an ch ’ io a scu ola! e d op o quat­

tro anni di p ro fo n d o studio h o im ­ parato a fare degli O più grossi e

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p iù tondi ch e il fon d o di un t i n o . . . Ho log ora to quattro catech ism i, e fi­

nalm ente son o riu scito ad im parare tutto il prim o capo. Mia m adre per altro trovò il m od o di farm i im p a­

rare il resto. Senza stancarsi in pa­

ro le m i d ic e v a : G ioan ni, se a m ezzo­

g io rn o n on avrai im parato la tua le ­ zion e, n on andrai a pranzo, e p er sola pietanza avrai due vergate. H o voluto qu alch e volta g iu oca re di testa m a le spalle e l'a p p etito mi avvisa­

ro n o ch e era m eglio m ettere testa a partito, e d ’ allora in p o i h o im p a ­ rato tutte le altre cose del catech ism o.

Ma voi che avete sem pre studiato che scu ola avete fatto?

Ott. — Io ho fatto le scu ole tecn ich e.

All. — S cu ole te-te-tich e, o ch e studi!

ma ch e lib ri portavi a scu o la ? Ott. — L ib ro di C osm ografia, G eogra­

fia, M ineralogia, Z o o lo g ia , M atem a­

tica, F isica , A stron om ia ...

All. — Oh! p er c a r it à , lascia, lascia ch è io non ca p isco nulla di tutte que­

ste cosa cce. I m iei studi fu ron o più sem plici. Potare, sm o cco la re , segare,

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m ietere, vangare, zappare, sarch iare, arare, appianare, vettureggiare, ven­

d em m iare, vin eggiare, e cco i m iei stu di...

Ern. (con forza). — Sig. a m ic o ; a b ­ biate pietà di n o i, io ho fa m e ; an­

date a dire al vostro padrone ch e m i d ia alm en o un tozzo di pane.

All. — P overo ragazzo, m i fai com p a s­

sion e. S ebben e io tem a m olto la so ­ cietà dei va g a b on d i, tuttavia sem ­ bram i aver nulla a tem ere sul con to v o stro ; p e rciò vado volen tieri ad an­

n u n cia rvi al m io p a d r o n e ; di p oi vi p orterò risposta.

SCENA SECONDA.

Ot t a v i o, Er n e s t o, Fr a n c o e Te o d o r o.

Ott. — Caro Ernesto, m entre atten­

diam o ch e quel brav’ u om o ci porti qualche risposta, m ettiam o in pratica l ’ avviso della nostra cara m adre, la quale d icev a ...

Ern. — Ma io h o fam e; dam m i del pane.

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Ott. — N on ne ho, ca ro Ernesto. A bbi pazien za, il cie lo ci assisterà; m et­

tiam o, d ico , in p ratica quanto n o ­ stra m adre soleva ra cco m a n d a rci, d i­

cen d o: Se vi troverete n el b isog n o o n ei p e r ic o li, alzate gli o c c h i al cielo e pregate. D io vi aiuterà. Sappi, o caro E rnesto, essere cosa certa ch e D io b e n ed ice chi ascolta padre e m a­

d re ; p e rciò n o i in g in o cch ia m o ci qui, e recitia m o la pregh iera che la buona anim a di nostra m adre ci ha in se­

gnato fin da fa n ciu lli. (si mettono in ginocchioni dicendo) O S ign ore, che siete n e ' c ie li; V oi ch e provvedete gli alim enti agli u cce lli d ell'a ria , ai pesci d ell'a cq u a , V oi ch e vestite di fiori i ca m p i, cop rite di frutta le piante so cco rre te ci; n on perm ettete ch e n o i vostre creature abbiam o a m orire di m iseria; ajutateci a trovare un tozzo di pane p er levarci la fam e, ed un sito per rip osa re alm eno in questa notte senza diven ir pasto di belve fe ro ci — (sul termine della pre­

ghiera entrano Franco e Teodoro saltellando).

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Fran. — Mi p ia cq u e tanto la lezion e di qu est'oggi. In quanti m odi m a- ra vigliosi Dio provvede ai b isog n i d e ll'u o m o ; fino a m andare un co rv o a portare del pane al profeta Elia sicco m e abbiam o studiato.

Teod. — Oggi appunto m entre p ra n ­ zava ho detto al nostro n on n o: potessi a n ch ’io essere un c o rv o m andato dal S ign ore a portar pane al santo p rofeta ! Il n on n o r is p o s e : F a una p icco la astinenza e risp arm ian d o qualche tozzo di pane puoi darlo a qu alch e poverello. Lo f e c i , ed il n on n o m e ne diede an cora altret­

tanto, ch e tutto tengo in serbo.

Fran. — Io pure h o risparm iato una d e ­ cin a di n o ci. Se v u o i le u nirò co l tuo pane e dom an i le darem o al prim o p overello ch e capiterà a nostra casa.

Teod. — Bene, b en on e. F a ccia m o così.

Ora andiam o a fare un p ò di ricre a ­ zion e n el prato.

Ern. — Datem i quel pane, di cu i par­

late (affannato e mesto).

Fran. — Chi siete? (maravigliato).

L 'o ra è ta rd a ; cercate q u a lch e d u n o ?

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Ott. — Noi siam o due p overi g io v a n i;

a b biam o sm a rrito la strada; il vostro servo ci disse che sarebbe andato a pregare il p a d ron e affinchè c i a l­

loggiasse alm eno per questa notte.

Ern. ( singhiozzando) — Ma io ho fam e.

Fran. — P ov ero g iov a n e! i o . . . m a non ti c o n o s c o , ed il n ostro n o n n o ci p r o ib is c e di trattenerci con c o m p a ­ gni n o n co n o sciu ti. Tanto più ch e alcu n i giorn i addietro passarono a n ­ ch e qua due ragazzi ch ie d e n d o l i ­ m o s in a ; m a p o c o d o p o fu ron o colti da’ ca ra b in ie ri, ed abbiam o p o i sa­

puto c h ’ era n o due fam osi tiraborse . Ott. — Oh! n on tem ete di noi:, siam o giovan i cristian i, sappiam o ch e chi fa bene, trova ben e, e sappiam o ezian dio ch e ch i fa m ale trova m ale. L’ u nica nostra colp a è l ’esser p overi.

Fran. — L ’ e sser p ov ero non è una colp a.

Il nostro Salvatore era anche p o v e ro , ed era il più santo di tutti.

Teod. — Se volete ch e an diam o tutti nel prato; là vi darò il m io pane e fa re­

m o in siem e un p o c o di ricrea zion e.

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Fran. — Io vi darò le n o ci. Intanto a- spetterem o ch e A llegro p orti la r i­

sposta del n on n o. N ostro n on n o è m olto b u o n o ; ch i sa ch e n on vi dia da m an giare, da d orm ire, e ch e vi tenga qu i co n n o i; p er m e sarei contento.

Teod. — Io contento n e, e c o s ì avrem o due com p a g n i di più p er fare r i­

creazion e.

Ern. — Io ho fam e.

Teod. — A n d iam o n el g ia rd in o e ti da­

rem o da m angiare.

SCENA TERZA.

Eu s t a c h i o e Al l e g r o.

Eust. (solo). — A lleg ro venne a par­

larm i di due ragazzi ch e giu n sero qui a n o t t e , e n on ved o nissuno. Che sia di lo r o avvenuto co m e ai due m on elli di alcu n i g iorn i s o n o ? È vero ch e A lleg ro m i disse ch e gli s e m ­ bravan o m olto b u on i, e ch e dal lo ro con teg n o, dai lo ro abiti parevano a p ­

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partenere ad on orata fam iglia. Ma io posso con tar p o c o sul giu d izio di A l­

legro. Egli g iu d ica sem pre ben e di tutti. P ochi g iorn i son o diceva ezian ­ dio di due giovanetti ch e g li sem ­ bravano m olto b u on i, e fu poi saputo ch e erano due la d ron celli. Ad ogn i m od o il dar da m angiare ai poveri affamati è un op era di m isericord ia , e finché vivrò non v o g lio m ai che a lcu n o parta da casa mia colla fam e.

Ma intanto n iuno v ie n e , anzi non ved o n em m en o i m iei n ip oti. Non vorrei ch e si fossero associati con quei due scon osciu ti, p e rcio cch é p o ­ trebbero in un m om en to im parare cattive m assim e. O A llegro, o A lle ­ g ro, dove s e i? ch e fa i?

All. ( correndo) — H o veduto tutto.

Eust. — Ma q u e’ ragazzi dove son o ? All. — Nel giardino.

Eust. — Soli?

All. — Con T e o d o ro e F ranco.

Eust. — V a subito a ch iam are T e o d o ro e F r a n c o , d icen d o lo r o ch e ven­

gan o qui im m ediatam ente. Io n on v o g lio ch e p er nessun m otivo del

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m o n d o trattino con giova n i s c o n o ­ sciuti.

All. — V ado subito; ma ascoltate, qu ei due forestieri sem brano m olto bu on i.

Eust. — Ti sem bravano an che b u on i quei due m on elli di alcuni giorn i son o, d o p o a b biam o saputo c h e erano due celeb ri tiraborse. — Ora non parlarm i più d 'a ltr o , va tosto dove ti m ando.

All. — A scoltate solam ente queste p o ­ che p a r o le : appena fattavi la c o m ­ m ission e, io voleva tosto ven ir qui, ma giu n to nella stalla h o veduto dalla finestra q u e ' d u e giovanetti ch e rico rd a v a n o p ian gen d o la m em oria di lo ro m adre, di p oi s ’ in g in o cch ia ­ ro n o in un an golo d ell’aja, e fe ce ro una pregh iera al S ign ore su p p lican ­ d o lo di ven ire in lo r o ajuto. M entre pregavano giu n sero saltellando T e o ­ d o ro e F ra n co, ma veduto il più g io - vane di qu e’ ragazzi ch e piangeva per fa m e , li con d u ssero am bidue n el gia rd in o p er dar lo r o u n o il pane serbato p ei p o v e r i, l'altro le sue n oci. Queste cose danno a con oscere

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che quei giovanetti hanno una b u o ­ na ed u ca zion e. . . .

Eust. — E si trovano veram ente trava­

gliati dalla fam e.

All. — E ch e hanno r e lig io n e ; p erch é taluno trovan dosi in tale m iseria sarebbesi m esso a b e s te m m ia r e , e n on a pregare. Ad o g n i m od o se b ­ bene io sia solito a sospettare di tutti, tuttavia questa volta m i sento p orta to a dire ch e q u e ’ ragazzi siano buoni.

Eust. — A desso adunque dove s o n o ? All. — S on o nel g ia rd in o e cred o

ch e fa ccia n o m erenda.

Eust. — Va a chiam arli e co n d u cili qu i, d esid ero di ved erli (Allegro parte).

SCENA QUARTA.

Eu s t a c h i o, Al l e g r o, Ot t. e d Er n.

Eust. (solo) — Q u ell’A lleg ro è vera­

m ente un bu on servo, è u bbidien te, fedele, lavora, ma è un p o ’ c a p r ic ­

cio so . Q uando si ficca qualche cosa

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in ca p o, v u ole fare a m od o suo. In fon d o per altro è b u o n o , e qu alch e cosa b isog n a tollerare in tutti. Ora son o an sioso di vedere qu e’ ragazzi e mi s ento portato a far lo r o del ben e anche prim a di co n o sce rli. Oh! se i m iei n ip oti fossero in m ezzo ad una strada, n on sarei con ten to che qu al­

ch ed u n o li aju tasse? Dunque fa c­

cia m o agli altri qu ello ch e vogliam o ch e gli altri fa ccia a n oi. Ma prim a di far lo ro qu alch e favore v og lio sapere chi s o n o , e se hanno carte com m en d atizie.

All. (introducendo Ott. ed. Ern.) . — E cco q u e’ due ragazzi ch e vi d im a n ­ dan o pane ed a llog g io per q u esta notte.

Eust. — M iei cari g io v a n i, io son o p ron to a darvi osp ita lità , ma prim a d esid ero di sapere ch i siete. Ditem i pertanto : d o n d e venite?

Ott. — N oi presentem ente ven iam o da M oncalieri.

Eust. — V ostra patria?

Ott. — T o rin o .

Eust. — Che co s a avete fatto finora?

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Ott. — F in ora siam o sem pre andati a scuola.

Eust. — I vostri g en itori dove s o n o ? Ott. — O sign ore, i nostri g en itori n on

vivon o p iù , son o m orti am bidue.

Eust. — D ove m orì vostro p a d r e ? Ott. — Nostro padre m o rì in P in e -

rolo.

Eust. — V ostra m a d re ? Ott. — A M oncalieri.

Eust. ( tra se). — Nati in T o rin o , il p adre m orì a P in e ro lo , la m adre m orì a M on calieri. (Rivolto dipoi ad Ottavio e ad Ernesto dice): Quale avventura vi portò qui in casa m ia ?

Ott. — D opo la m orte di nostra m a­

dre fum m o affidati ad un carrettiere ch e doveva con d u rci da un n ostro zio ch e d im ora a p o ca distanza dal M on cen isio, ma a m età strada co l pretesto di volere a lleg g erire il c a r ­ rettone, egli m ise n oi e il nostro p ic c o lo co rre d o in m ezzo alla strada e ci ab b a n d on ò! Noi allora non sapen do ch e fare siam o venuti qui a ch ied erv i carità.

Eust. — Qual è il vostro n o m e ?

(24)

Ott. — Io m i ch ia m o Ottavio, m io fra­

tello Ernesto.

Eust. — Il vostro c o g n o m e ? Ern. — Il n ostro c o g n o m e . . . .

Ott. — T a c i , tu n on sai a spiegarti.

Il nostro co g n o m e è F arin elli.

Eust. — Sapreste dirm i ch e cosa fa­

cessero i vostri gen itori ?.

Ott. — Mio padre e m ia m adre eran o m e rca n ti; m a d o p o alcu n i anni di prosperità fecero m ale i lo r o a f­

fari e dovettero ritirarsi a c on d u r vita privata. Il m io p ov ero padre m orì di d o lo r e in P in e ro lo , e m ia m adre non avendo più m ezzi con cui p rovved ere pan e p er sè e per n oi an dò ad abitare in M on calieri. Colà fatican do da m attino a se ra , co n gran de stento e colla più rigorosa e co n o m ia ella p otè m an darci a s c u o la , nè m ai c i la sciò m an care c o s a alcuna. Ma il co le ra m icid ia le fra le sue vittim e m ietè m ia so ­ rella G iustina; m ia m adre la v olle assistere fino a ll'u ltim o resp iro. Ma c h e ? L o stesso m alore p o c o d op o c o lp ì ezia n d io la nostra cara m a­

(25)

dre, e co lla su a m orte n oi ca d em m o in ab b a n d on o e restam m o preda della più squallida m iseria. O m a­

dre c a r a , o sem pre amata m adre, p erch è co s ì presto ci a b b a n d on a ­ ste? Deh! alm eno tu ci protegga dal c ie lo ( Qui Ott. ed Ern. s i pon- gono a piangere).

Eust. (molto commosso) : — La figliale affezion e, ch e p ortate a vostra m a­

dre, è segn o che avete b u on cu ore.

Date tregua ai vostri a ffa n n i; chi sa ch e la casa della fortuna n on sia anche una fortuna p e r voi? Intanto tu, A lleg ro , co n d u ci questi giovanetti n el g ia rd in o, e m andam i qui F ra n co e T eod oro. Di' lo ro ch e ho b is o ­ gn o di trattenerm i un m om ento co n essi, d ip oi ritorn era n n o a far r ic r e ­ azione.

All. — S on o c o n te n to ; ne ho in d o v i­

nata u n a ; andiam o.

(26)

SCENA QUINTA.

Eu s t a c h i o . Fr a n c o e Te o d o r o.

Eust. (solo). — P ov eri giovan etti, fanno veram ente com p a ssion e. Che disgra­

zia è m ai trovarsi p rivi di p adre e di m adre in co sì tenera e p e r i­

cola n te età! A bbandon ati così a se stessi ch i sa quale ne sarà la fine....

Ma in questo istante n asce in cu o r m io un tacito presen tim ento.... Ma n o.... tem o di essere illu so.... Mia figlia L u crezia si m aritò co n un certo B uonafine; dal M on cen isio e - g lin o a n d a ron o a T o r in o ; so ch e i lo r o affari a n d a ron o b en e per qu a lch e tem po, m a d a cch é il lo ro co m m e rcio andò fa llito n on h o più potuto sapere n otizie di lo ro . Sa­

ran n o essi vivi o m o r t i? P arm i di ravvisare in questi ragazzi certi m o d i di p arlare, certe piegature di labbra, ch e rico rd a n o la m ia L u ­ crezia qu ando era fan ciu lla. A llora ch e il più p ic c o lo si m ise a p ia n ­ gere m i parve p ro p rio di v ed ere

(27)

lei m edesim a. In oltre O ttavio n o n v oleva ch e il p ic c o lo E rnesto p ar­

lasse, ed an ch e qu i tra ved o un m i­

stero. S pero di p oter sapere q u a lch e cosa di più da F ra n co e T e o d o r o ; p e rcio cch é trastullan dosi o s ch e r­

zando forse avranno lasciato sfug­

gire qu alch e cosa ch e a m e ten­

n ero celata.

Fran. — Buon g io rn o , ca ro n o n n o , siete b en e in salute?

Eust. — B uon ragazzo, è v ic in a la notte, e tu m i auguri il b u o n g io r n o , dim m i piuttosto: b u on a notte. Ma la scia m o queste ce lie a parte, d ite m i: dove s iete stati ?

Fran. — Nel g ia rd in o a fare r ic r e a ­ zio n e co n due p o v e re lli ch e c i sem ­ b ra n o tanto b u o n i.

Eust. — A vete fatto m ale ad a ssocia rvi co n fan ciu lli ch e a n co ra n on c o ­ n oscete. Saranno b u o n i, co m e dite, m a ch i ve lo a s s icu ra ? A ltron d e ce ne son o di q u elli ch e sanno fin­

gere co sì b en e, ch e in g a n n ereb b ero il più a cco rto del m on d o.

Teod. — Ma di co sto ro cred o ch e n on

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abbiam o nulla a tem ere; son o r i­

spettosi, prega n o v olen tieri, parlan o tanto b en e di lo r o m a d re , rip eton o sem pre i co n sig li ch e lo r o dava.

Eust. — H anno an che detto il n om e della m a d re?

Teod. — Ottavio n on lo ha m ai d etto;

solam ente E rnesto, p arlan d o di una lettera scritta a suo n on n o, d iceva ch e d oveva n o essere con d otti da un certo B uonafine. D ette appena q u e­

ste parole Ottavio lo rim p ro v e rò e ch ia m a n d olo ig n ora n ta ccio lo fece ta c e r e , e disse ch e il co g n o m e di sua m adre era F arin elli.

Eust. — Avete veduto qu alch e lo r o scritto?

Teod. — N on a b biam o veduto niente, m a E rnesto disse che hanno una lettera sigillata da p orta re al loro n on n o ch e essi n on sanno dove d i­

m ori. Dovevan o essere m enati presso un lo r o z io ch e g li avrebbe p re ­ sentati al n on n o, m a da quel p er­

v erso carrettiere gettati in m ezzo alla strad a, n o n rico rd a n o p iù nè il n om e, nè il lu o g o della dim ora

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d ello zio. Ottavio fa un segreto di tutto, nè mai v u ole ch e E rnesto n e p a r li, anzi v u ole sem pre trovarsi co n lui p er tem a ch e sveli qu alch e cosa. Tuttavia in un m om en to ch e Ottavio parlava co n A lleg ro nel g ia r ­ d in o , n o i a b b ia m o potu to sapere queste co se da E rnesto.

Eust. (tra se). — Io ra vviso un m istero.

O che questi due ragazzi son o fu r ­ fanti inseguiti dalla giustizia, o ch e son o giova n i appartenenti ad illu ­ stre casato, ch e n on v o g lio n o p a ­ lesare. (di poi volto ai nipoti): A n ­ datem i a ch iam are Ernesto m a che venga egli so lo ; d ip o i v oi andrete a con tin u are la vostra ricre a zio n e nel g ia rd in o fino all’ ora di cena.

SCENA SESTA.

Eu s t a c h i o, Er n e s t o e d Ot t a v i o.

Eust. (tra se). — Si fa o g n o r più se n ­ tita la persu asion e ch e in quei due giovanetti vi si n a scon d a n o fanciulli

(30)

d ’ illustre casato. I lo r o m od i c o r ­ tesi e g e n t ili, la lo r o istruzion e, l’aria m o d e s ta , tutto co n co rre a farm i dubitare. Q ualche cosa di più h o già capito da F ra n co e T e o d o r o ; ora v og lio parlare co n Ernesto so lo , p erch è essendo più g iova n e forse svelerà più facilm en te c iò ch e essi ten gon o segreto. Ma c h e ? H o fatto solta n to ch iam are E rnesto e li v ed o ven ir tutti due. C o m e ? T u , Ottavio, va pure a far ricre a z io n e c o i m iei nipoti. R im an ga qui il so lo Ernesto.

Ott. — Ma E rnesto n on sa spiegarsi;

d ic e , d is d ic e , s 'im b r o g lia , quindi n on è ca p a ce di so d d isfa rv i; anzi tem o ch e fin isca p er perdervi il dovuto rispetto.

Eust. — N on darti pen a di ciò , c o n o ­ sco che cosa son o i ragazzi e so anche com p a tirli qu ando d ic o n o p a ­ ro le scon ven evoli. Tu va nel g ia r­

d in o.

Ott. — Ma n on sarebbe m eg lio ch e ci fossi a n ch ’ i o , tan to più ch e se ci son o io, E rnesto p arla co n m aggior cora g g io.

(31)

Eust. — Non fare altra d iffico ltà : h o b iso g n o di trattenerm i un m om ento co n E rn esto; tu va nel giard in o.

(tra se) N on so darm i ra g ion e perch è n on v oglia lasciar so lo E r­

nesto.

Ott. (partendo) — P ov ero m e; s ia ­ m o n egli im b ro g li. (ad alta voce):

E rnesto, attento a qu ello ch e d ici.

Eust. — Mettiti un m om en to a sedere, ca ro E rnesto, io v o g lio parlare con te in con fid en za ; e v orrei ch e tu non mi facessi alcun m istero. S on o d i­

sposto a fare del b en e a te e a tuo fratello, m a h o b iso g n o di sa­

pere le cose pel p ro p rio n om e. R i­

sp on d im i a d u n q u e: Qual è il tuo vero n o m e ?

Ern. — Il n om e m io è Ernesto.

Eust. — Il n om e di tua m a d re ? Ern. — Ma m io fratello n on v u ole

ch ’ io parli di queste cose.

Eust. — P erch è?

Ern. — P erch è m ia m adre m oren d o ci ra cco m a n d ò un s e g r e t o , e ci diede una lettera lu n g a , ch e non v u ole sia ad altri con segnata se non

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a su o padre, se pur avrem o la bella ventura d i poterlo trovare.

Eust. — Sai tu quale sia questo segreto?

Ern. — Sì ch e lo so, m a se lo d ic o voi lo sapete.

Eust. — D im m i solam ente q u a lch e cosa, e sta sicu ro ch e n on m e ne servirò giam m ai ad altro se n o n per farvi del bene.

Ern. — Il gran de segreto di m ia m a­

dre consiste nel n on m ai dire ad altri le cose ch e ella c i ha dette in confidenza.

Eust. — Quali son o queste cose ? Ott. (di dietro la quinta). — Attento

Ernesto, silen zio.

Ern. — Se ve lo d ico, v oi lo sap ete, e m io fratello m i sgriderà. O Ot­

tavio, Ottavio, vien i an ch e tu qui.

Ott. — E cco, sig. E ustachio, ve l'h o detto che m io fratello n on sa s p ie - garsi. Vi d irò le cose più ch ia ra ­ m ente.

Eust. — M iei cari giovan etti, perch è volete farm i un m istero di cose ch e io d esid ero di sapere per vostro ben e ? P arlate ; ditem i il vostro vero

(33)

nom e e vi a ssicu ro c h e sarete c o n ­ t enti.

Ern. — Io n on so ch e r is p o n d e r e ; d i' tu, Ottavio.

Ott. — P ov ero m e! V orrei appagare il sig. E ustachio ch e ci dim ostra tanta bon tà, e d ’ altra parte nostra m adre c i ha ord in a to il segreto.

Eust. — A s co lta te , o ca ri giovan etti, io rispetto trop p o i segreti di v o ­ stra m a d re; ditem i solam ente q u ale sia la m a teria del vostro s e g r e t o , di p o i n on ve ne p a rlerò più.

Ern. — Questo, ca ro Ottavio, p ossia m o d ir lo , tanto più ch e il sig. Eusta­

ch io c i dim ostra tanto affetto.

Ott. — L o d irò; nostra m adre m o re n ­ d o ci la sciò nella m is e r ia , e p re­

veden do ch e sarem m o stati costretti a vivere ch ied en d o lim osin a ci disse di n on m ai dire il n ostro v ero n om e, p er n on far d ison ore ai nostri p a ­ renti. V oi, ella ci disse, vi ch ia m e­

rete F a r in e lli, p erch è vostra m a­

d re ha un p ic c o lo n e g o zio di farina, e di altri co m m estib ili, m a il vostro vero n om e n on lo direte ch e a m io

(34)

padre p u rché abbiate la b u on a ventu­

ra di p oterlo an cora ritrovare in vita.

Eust. — Vi ha detto ezian d io il n om e di suo padre ? D item elo, ch i sa ch e io n on sappia ad d ita rvelo?

Ott. — Sì, ce lo disse, m io padre, ella d ic e v a , è un r ic c o con ta d in o ch e u na volta dim orava a piè delle A l­

pi, m a so che ha com p ra to a l­

trove alcu n i stabili e qu in di a ven d o can giato d im ora ig n o ro dove sia.

Quando m i son o m aritata l ’ h o d i­

sgustato, e d acch é i nostri affari co m in cia ro n o andar m ale, n o n ho p iù osato dim andare di lui.

Eust. (commosso e volto altrove) — Il pianto m i soffoca le parole. Il cu or m i d ice ch e co s to ro son o fig liu oli della m ia povera L ucrezia. Che ella sia m o rta ? Che sia stata ridotta a l­

l’ in d ig e n z a ...? Se questo m io p e n ­ siero è realtà, questi giovanetti n on saranno più poveri.

Ern. — Ma, ca ro sig. E u sta ch io, vi fa d isp iacere qu ello ch e Ottavio vi ha detto? E gli n on aveva inten­

zion e di offendervi, p erd on ateci.

(35)

Eust. — Cari fan ciu lli, la vostra p re­

senza m i rico rd a i figli di una m ia figliu ola, ch e n on so p iù dove d im o ­ rin o, n em m en o so se sian o in vita o già alla tom ba. Ma ditem i a n c o r a : il cog n om e di vostra fam iglia era forse B uonafine ?

Ott. ed Ern. (agitati). — Il n ostro c o ­ g n om e . . . M a .. e . . . e c c o . . . b isogn a ch e sappiate... N oi eravam o...

P e rd o n a te ci, vi d irem o p oi tutto questa sera.

Eust. — Io n on v og lio per ora sapere di più, son o con ten to ch e m i d iciate p o i il resto d op o cen a. Intanto parte­

cipate a nessuno quanto a b b ia m o detto tra n o i, andate nel g ia rd in o e dite ad A llegro ch e venga qui perch è h o b iso g n o di parlargli.

Ott. (partendo). — Quanti rin g ra zia ­ m enti d o b b ia m o farvi p er la bontà ch e ci usate.

Ern. — Sia sem pre benedetto Id d io, ch e ci ha fatto ritrova re un sì grande benefattore.

(36)

SCENA SETTIMA.

Eu s t a c h io e d Al l e g r o.

E ust. (da se). — Che questi giovinetti siano i miei n ip o ti? Che l a m ia p o ­ vera Lucrezia sia stata ridotta alla m is e ria ? Chi sa? Che ella non viva p iù ? Che sia morto suo m a rito ? La speranza ed il timore agitano i miei pensieri, e mi commovono profon­

damente. L’o ra per altro (guarda l’o­

rologio) è già tarda, perciò voglio che questi ragazzi vadano a cena, dopo spero che si piegheranno con m ag­

g ior facilità a svelarmi totalmente il loro segreto.

A ll. (giunge correndo col capello in m a n o dicendo): — Mi sem bra d 'a v e r e scoperto qualche cosa intorno la co n ­ dotta di questi giovanetti, non è per m orm orare, ma per dirvi tutto. Temo che essi siano due piccoli impostori.

Hanno parlato molto con Franco e con Teodoro, m a dando sem pre a ve­

dere d’aver cosa a dire che non vo­

gliono svelare ad alcuno. Forse io ho interpretato questo segreto. Temo

(37)

che sia un furto o qualche altra b r i c ­ conata, quindi vi sia qualche ordine d 'a rre sto .

E u s t.— Nol credo: il loro contegno,la loro schiettezza, la loro età mi ga­

rantiscono che non sono giovani di questa fatta, e poi io ho un presenti­

mento — basta, saprai tutto a suo tempo.

A ll. — Sarà come voi d ite ; tuttavia quelli che vengono dalle città sono molto furbi, ed io sarei di p arere di d ar loro un tozzo di pane con un poco di minestra. Ma per do rm ire io vor­

rei chiuderli bene nella stalla, e d i­

mani di bu o n ’ora si facciano il fa­

gotto, e levino tosto il trotto.

E u st. — Deponi ogni timore, o Allegro, facciamo sem pre del bene al nostro prossimo, quando possiamo. Perciò questa sera voglio che ristoriam o bene questi due ragazzi che da tanto tempo patiscono fame e sete. Una bottiglia del m iglior vino, un buon piatto di m accheroni, u n pollo che poco fa venne colto nell 'aja, con qualche altra pietanza ecc.

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A ll. — Io farei diversamente. Ma c’è u n proverbio che dice: conduci sem­

p re il padrone dove vuol l’asino, e non la sbagliera i; perciò se a voi piace così, così sia fatto. (tra se) Se stanno allegr i tutti gli altri, vi sarà anche qualche cosa p e r me.

E ust. — Va a dare l’ordine che la cena sia sollecitata, e quando tutto sarà apparecchiato, verrai a chiam arci.

SCENA OTTAVA.

(M entre Allegro vuole andare in cucina suona un cam panello; tu tti si ra d u ­ nano p e r la cena).

A ll. — Tutto è preparato, andiamo.

Questa sera facciamo un vero c a rn e ­ vale. Pel passato in casa del mio p a ­ drone non fu mai pranzo u g u a le a questa cena. Non ne capisco la r a ­ gione; ma viviamo alla buona ven­

tura, purché si stia allegro. (tra se) Sono Allegro di nome, se sto ancora allegro a tavola sarò due volte a l ­ legro.

E u st. — P rim a che andiam o e cena, vo-

(39)

glio darvi ragione dell’allegria che provo in questo momento. Voi, Teo­

doro e Franco, e tu, Allegro, dovete sapere che io ho u n a figliuola, m a­

dre di tre fanciulli; non so dove essi ora si tro vino; io godrei g r a n d e ­ mente che altri usasse loro bontà. E- gli è p er dare uno sfogo al mio cuore che voglio fare del bene a questi r a ­ gazzi. Oh quanto mai desidererei s a­

pere che cosa sia avvenuto della povera mia Lucrezia e de’ suoi tre fi­

gliuoli, sarebbe p er me la più g ra n d e consolazione; dopo me ne andrei vo­

lentieri alla tomba.

A ll. (da se) — A me piace più sapere queste cose e poi an d a re a cena, e n o n alla tomba.

E u st. A mensa poi affinché possiamo meglio discorrere, tu, Ottavio, sarai alla mia destra, tu, Ernesto, alla si­

nistra.

Teod. — Ma e chi sono... (suona p iù forte il cam panello della cena).

E u st. — Andiamo, saprete poi tutto.

(U n cuoco si avanza suonando un cam~

panello p o i dice): La cena è p re p a­

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rata, siete tutti pregati di venire cia­

scuno a p re n d e re il proprio posto.

A ll. — Andiamo, quando avremo ben mangiato e meglio bevuto rito rn e ­ remo a fare insieme ricreazione e ne racconterem o u n a più bella del­

l ’altra.

ATTO SECONDO

SCENA PRIMA.

Ca r r e t t i e r e, d i p o i Al l e g r o. Carr. (d i lontano avvicin an dosi). ~

Ohimè! ajuto, pietà, m isericordia.

Ai ladri, agli assassini. (giunge sul palco). Niuno viene in mio ajuto, do ­

vrò dunque m o rire abbandonato? O voi, che abitate in questa casa, soc­

corretemi. Ma chi sa che questa non sia l’abitazione de’ miei assassini.

Dovrò fuggire? Ma dove a n d r ò ? Che farò?

A ll. (con un triden te in m ano). — Che c’è, che c ’è, chi chiam a, chi g rid a ?

(41)

Carr. — O abbiate pietà di un infe­

lice.

A ll. — Chi siete voi ? perchè venite a di­

sturbare tutto il m ondo m entre siamo a c e n a?

C arr. — Abbiate pazienza, io sono u n povero infelice.

A ll. — Che cosa avete, chi siete, che cosa volete?

C arr. — Io sono u n povero carrettiere assalito ed inseguito dai ladri. Qui dove mi trovo?

A ll. — Voi vi trovate alla casa della Fortuna.

C arr. — Fosse vero che io fossi alla casa della Fortuna, giacché sono ve­

ram ente sfortunato. Ne siete voi il p adrone?

A ll. — Io sono soltanto il padron servitore di questa casa; ma non tem ete; qui siete in luogo s ic u ro , e con onesta g e n te , niuno vi d i ­ sturberà. Mio padrone è un galan­

t u o m o , non è s ig n o r e , m a è uno di que' contadini che fanno del bene a tutti quelli cui possono, e non mai del male. Ma voi siete

(42)

tanto affannato, e mi sem brate assai stanco, e tutto grondante di sudore.

Carr. — Sono grondante di sudore e di sangue.

A ll. — I ladri vi hanno fatto qualche colpo?

C arr. — Altro che un colpo, è p ro ­ p rio u n miracolo se non fui t r u c i ­ dato. (sente qualche rum ore, e si m ette d i nuovo a gridare) I miei assassini sono lì, per carità aju- tatemi.

A ll. — Datevi pace; gli assassini non vengono qui, perchè se mai venis­

sero per assassinare, resterebbero assassinati. Non sapete che con q u e ­ sto tridente io ne infilzo mezza doz­

zina p er colpo? State adunque in pace. Anzi rallegratevi che siete alla casa della F o rtu n a dove ogni infe­

lice trova sollievo. Voglio darvene u n esempio. Questa sera verso notte giunsero qui due ragazzi che sem­

bravano due vagabondi. Lo crede­

re s te ? Mio padrone parlò un m o ­ mento con loro, ne ebbe co m p as­

sione, li volle con sè a m e n s a , e

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adesso ha stabilito di tenerseli sem ­ p re seco. Ma voi avete bisogno di qualche ristoro, io vado a prendervi un bicchierino di rattafià d ’Olanda che vi farà molto bene. È u n li ­ q u o re che fo io stesso. È rim edio efficacissimo p e r tutti i m a l i , m a specialmente per le t u r b a z i o n i, le ag itazioni, convulsioni e spaventi.

Aspettate un m om ento e sarò di nuovo da voi.

SCENA SECONDA.

Ca r r e t t i e r e, Al l e g r o, d i p o i Fr a n c oe Te o d o r o.

C arr. (da se). — Che stato infelice è mai il mio! I ladri mi assalirono, mi m assacrarono e mi presero le poche sostanze che aveva. Ora che sarà di m e ? Questo servo mi dice che il suo p adrone è persona d a b ­ b e n e , m a soggiunse che è a cena con due ragazzi giunti qui sul far della notte. Che siano forse quei due ragazzi che io non ho più vo­

luto con d u r meco? Non sarà forse

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il cielo che perm ise queste scia­

gure in castigo della crudeltà d a me usata a que’ due poveri orfanelli?

A ll. — P rendete, bevete un bicchie­

rino di questo rattafià, e vi darà vita e coraggio. Si chiam a rattafià d’Olanda, perchè lo fo coll’uva di u n a vigna che ha questo nome. Qua­

lunque m ale io mi senta, ne bevo u n bicchierino, e sono sull’istante guarito. Se sono m alin co n ico , i n ­ vece di un bicchierino ne bevo due e sono subito due volte Allegro;

se poi ne bevo tre, io divento l’uomo più ricco del mondo. Prendete, b e ­ vete, animo, allegria.

Carr. (bevendo). — È u n a bibita eccel­

l e n t e ; mi dà il respiro.

A ll. — È v ero; ed io sono persuaso che se i morti bevessero di questo m io rattafià acquisterebbero il r e ­ spiro; e il mio padrone mi h a detto più volte che il mio rattafià farebbe bere un morto.

C arr. — Io vi ringrazio della bontà che mi usate. Ma p o tr e i parlare col vostro p a d r o n e ?

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A ll. — Appena egli sia cenato verrà a prendere un po' di fresco nel- l'aja. Ci sono già i suoi nipoti, a m om enti giungerà anc h’esso. Que­

sti ragazzi mi piacciono tanto. Sono due perle. Io li accarezzo, li sgrido, qualche volta do anche loro qu al­

che scopolotto, tuttavia m i vogliono sem pre bene. Io p rocuro divertirli ra cc o n ta n d o varie storielle, ed essi le ascoltano sem pre v o le n tie ri, ed ogni m om ento libero desiderano passarlo in com pagnia di Allegro, Teod. — Buona sera, Allegro, quando

vai a term inare la tua c e n a ? Ma chi è costui? (guardando il ca rret­

tiere).

A ll. — Non ispaventatevi, costui è un povero uomo che facendo strada fu assalito e spogliato dai ladri. Ora è qui p er d o m andare alloggio per questa n o t t e , e vorrebbe p arla re con Eustachio vostro avolo e mio amato padrone.

Teod. — Povero uomo, quanto mi sem ­ brate spaventato! vi hanno fatto del male? vi han n o percosso? Oh!

(46)

state pure tranquillo, nostro avolo è molto b u o n o , non vi rifiuterà certam ente pane ed alloggio p e r questa sera.

C arr. — Poiché questo vostro nonno è tanto b u o n o , desidererei di po­

tergli parlare.

Teod. — Questa sera la cena andò un po’ più a l u n g o , egli n o n finisce p iù di c h ia c c h e ra re con due poveri ragazzi, che egli dice essere nostri amici. S arà tutto vero, ma adesso egli sem bra voler più bene a loro che a noi.

Carr. — Come si chiam ano quei r a ­ gazzi? Donde vengono?

Teod. — Si chiam ano Ottavio l’uno, l’altro Ernesto. Essi facevano strada ed u n crudele carrettiere gli ab­

bandonò in mezzo alla v ia ; perciò vennero qui chiedendo pietà; ed il nostro avolo ha dato loro da cena e li alloggia almeno per questa notte.

P erchè vi turbate? avete anc ora pa­

ura dei la d ri? Qui certam ente non verranno, m a se mai venissero, Al­

legro sarebbe capace di farli fuggir

(47)

tutti. Oh ! Allegro è forte come un gigante, coraggioso come u n lione.

A ll. — Ci fossero anche tutti i briganti del Missisipi, io non ho p a u r a , e li farei tutti fuggire. A dirla schietta avrei anche piacere di potermi un a volta m isurare con questi l a d r i , con questi assassini, perchè si vedrebbe quello che Allegro è buono a fare.

Ora venite presto nella s t a l l a , vi riposerete u n momento, vi pulirete u n poco gli abiti, di poi parlerete al mio padrone. Andiamo tosto.

F ran . — Zitti e presto. La v’è l'avolo che viene. Questa sera è molto di buon um ore, egli viene discorrendo con quei f a n c iu lli, e ne conduce uno per caduna mano. Sem bra che non ci sia più niente di bello al mondo che loro due; tutte le ca­

rezze, tutti i rig u ard i per l o r o , e noi siamo guardati com e forestieri.

SCENA TERZA.

Eu s t a c h io, Ot t a v io e d Er n e s t o. E u st. — Ora che facciamo qui la no­

stra ricreazione voglio che adem -

(48)

piate la vostra promessa svelandomi il mistero che mi avete finora s e r ­ bato.

O tt. — Alla bontà che ci avete usato, ai tanti favori conceduti noi non possiamo più nulla nascondervi. Ci m ettiamo nelle vostre m a n i , vi a- priam o il nostro cuore e vi diciamo tutto. Di poi fate quello che volete di noi.

E u st. — Parlate pure sinceram ente, e troverete in me l'a m o re di un p a ­ dre che ardentem ente desidera il vostro bene. Ditemi adunque: Qual era il cognome di vostro p a d re ? O tt. — Il cognome di nostro padre...

il suo vero cognome è Buonafi ne.

E ust. (commosso, tr a se). — Buonafine..

O cielo! che sia mio g e n e r o . . . ? Il nome di vostra m a d re ?

O tt. — Lucrezia.

E ust. (vie p iù commosso tra se). — Dio buono, costoro sono i miei nipoti.

Ma diceste che avete un a lettera la quale volete dare solamente a chi l ’ha indirizzata vostra m adre; qual n e è l ’indirizzo?

(49)

O tt. — Questo indirizzo è come segue:

Al sig. Zaffiri. . .

E u st. — Come! Zaffiri! dunque voi siete i figliuoli di m ia figlia Lucrezia, dunque voi, o cari, siete i miei n i­

poti, che da tanto tempo desidero di ritro v a re ?

O tt. — Siete voi dunque Zaffiri geni­

tore di nostra m ad re , che noi a n ­ diamo cercando?

E u st. — Sì, miei cari, io sono Zaffiri, voi siete i miei n i p o t i , voi non siete più poveri. Venite a questo seno. In questo momento io d im en ­ tico tutte le lacrim e sparse p er la povera m ia figlia e p e r la sua fa­

miglia. Io sono un padre felice.

Giunga p u r quando che sia per me l ’ultim a ora di vita, io vado v o le n ­ t i e r i alla tom ba, perchè ho trovato chi da tanto tempo formava l ’og­

getto de' miei pensieri, chi poteva re n d ere paghi i miei voti.

O tt. ed E rn . ( accarezzando il loro nonno)

— Ma perchè non sapere il vostro cognom e? Chiamand ovi solamente col nom e di Eustachio non ci sa-

(50)

remm o giam m ai im m aginati che voi foste il nostro nonno. Quanto è grande la divina b o n tà ! Sia b e ­ nedetto I d d i o , che ci ha fatto r i ­ trovare il nostro n o n n o , il nostro secondo p adre che ci vuole tanto bene.

E u st. — Io a d u n q u e vi avrò per miei cari nipoti. P ro cu rate soltanto di tenere bu o n a condotta. Coll’u b b i­

dienza, coll’esattezza nei vostri do ­ veri, e specialmente n e ’ doveri re li­

giosi, potete fare del bene a voi, ed essere a me di grande consolazione.

Dovete anche sapervi regolare con Teodoro e F r a n c o , essi sono miei nipoti al pari di voi. Teodoro è più s tu d i o s o , più am ante de’ suoi do­

veri; m a F ranco è assai pigro. P e r­

ciò im itate il p rim o , e date dei buoni consigli al secondo senza se­

g uirne l’esempio. La m adre di q u e ­ sti due nipoti m ancò quando essi erano in ten era età. Il loro padre, mio amato figliuolo, moriva m ili­

tare in Lom bardia nel 1849 colpito da palla nem ica in cam po di bat­

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taglia. Mi rim aneva anc ora un fi­

glio vivente che u n a lunga e d o ­ lorosa m alattia portava alla tomba.

Padre infelice! Io rim asi con q u e ­ sti miei due nipoti che furono e sono l 'oggetto delle mie c onsola­

zioni. Dio p e r altro mi volle conso­

lare col c o n d u r voi tra le mie b ra c ­ cia.

O tt. — Chi l ’ avrebbe mai detto, che le crudeltà usate dal ca rre ttiere do­

vessero essere p er noi sorgente di tanto b e n e ?

SCENA QUARTA.

C a r r e t t i e r e , A l l e g r o e d e t t i .

Carr. (spaventato e riconoscendo i due orfanelli). — Povero me, che farò?

Dove a n d r ò ? Chi mi salverà?

E u st. — Chi c’è, chi è costui c h e è cotanto co stern ato ?

A ll. — Costui è un povero c a rre ttie re assalito dai ladri; è fuggito qui p er salvarsi ed o ra dim an d a allog­

gio. Io l’ho condotto nella stalla, l ’ho

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ristorato u n poco col mio rattafià.

Gli ho puliti gli abiti, lavata la fac­

cia; egli era tutto insanguinato.

O tt. (sotto voce ad Eustachio) — Co­

stui mi sem bra il carrettiere che ci gettò in mezzo alla strada.

E rn . — Ohimè! Costui è il carrettiere, fuggiamo, egli... egli...

E u st. — Non temete. Qui niuno tenterà di farvi del male, state quieti. La­

sciate che io sappia tutto, poi ag­

giusterò ogni cosa. Ditemi, b ra v 'u o - m o , come avvenne questa vostra disgrazia?

Carr. — Questa mia d is g ra z ia , che vale il dissim ularlo? è un castigo del cielo. Io fui crudele verso gli altri, ed altri lo furono verso di me.

Io fui il tiranno e l 'a s sa s sin o di questi due fanciulli. (gettandosi a i loro p ie d i) Mi p erd o n ate?

O tt. — Non te m e te , noi vi abbiamo già perdonato, anzi noi siamo molto desolati p er lo stato in cui vi tro­

vate. Ma diteci: quale disgrazia vi avvenne?

C arr. — Io vorrei p a r l a r e , ma non

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oso, conducetemi in disparte, e poi vi dirò quanto volete.

E u st. — Non abbiate alcun tim o re , qui siete con amici. Non vogliamo farvi alcun male, desideriam o sol­

tanto di sapere qual cosa vi abbia spinto a gettare questi due fanciulli in mezzo di una strada.

Carr. — L’ ingordigia del danaro fu quella che mi spinse a questo ec­

cesso. La m adre loro trovandosi vi­

cina a m orte mi chiamò al suo letto e disse: « Io muoio e lascio orfani due poveri fanciulli. Appena io sia spirata, voi venderete le p o ­ che mie sostanze, pagherete le spese di mia sepoltura, la pigione di casa, e le spese che occorrono pel tr a ­ sporto de’ miei figli fino a mio fra­

tello. Giunti colà voi consegnerete al medesimo quel danaro che a n ­ cora vi rim a rrà . » Io tutto promisi, m a a m età strada cedetti all'ingorda b ra m a dell’oro, e sotto allo specioso pretesto che quei ragazzi non mi potevano pagare la spesa del viag­

gio, gettai a terra il piccolo baule,

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e respinsi eglino stessi in mezzo alla via. Gridavano essi, e chiedendo pietà si avvincolavano al scellerato mio braccio, ma io mi m ostrai in ­ sensibile. P e r distaccarmeli diedi loro un urtone con due s fe rz a te , di poi eccitati i cavalli continuai il cammino. Ora vo i, Ernesto ed O ttavio, mi perdonate questa c r u ­ d eltà? Ve ne dom ando perdono per am or del cielo, per quel cielo che sono indegno di rim ira re .

O tt. ed E rn . — Sì, sì, vi abbiam o già perdonato. Noi vi abbiam o anche dato dei dispiaceri, e nel trasporto della collera vi abbiam o eziandio im precato, e voi ci perdonerete a n ­ che, n o n è vero?

C arr. — Miei cari, voi non avete b i ­ sogno di perdono, p erchè non avete offeso alcuno. Io sì, io ho bisogno della vostra pietà.

O tt. — Ma come m ai cadeste nelle m ani degli assassini?

Carr. — La m ia scelleratezza non po­

teva rim a n e re impunita. Aveva già percorso u n tratto di strada s e m ­

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p re travagliato da crudele rim orso, e mi sem brava che t e r r a , m are e cielo gridassero vendetta contro di me. Quando in uno svolto di strada, in luogo solitario, fiancheggiato da alberi fronzuti e da selva o s c u r a, odo g rid are: fermati, fermati o sei morto. A quelle g rida spaventato, do u n a forte sferzata p er far levare il galoppo ai cavalli; m a uno sco­

nosciuto corre, s’im padronisce delle briglie dei gium enti, e ne im pedi­

sce il corso. In quell’istante dim en­

ticando me stesso, mi lanciai contro costui e con due colpi di bastone lo gettai stram azzone a terra. Q uan­

do ecco u n ’ardente fiamma m i ab­

baglia gli occhi, ed è lo sparo di un a pistola che passandomi ra sen te i c a p e lli, mi portò via di capo il berrettino. Faccio allora uno sforzo p er f u g g i r e , ma uno di dietro mi stringe al collo, un altro alle m ani, m entre un terzo mi im m erge tre volte il coltello nel cuore dicendo:

Ne hai abbastanza. In quel momento cado com e morto ai loro p ie d i;

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eglino mi strascinano nel fosso della strada, mi p re ndono il denaro con u n vecchio orologio, di poi persuasi che io fossi morto, m ontano tutti sul c a r r e t t o n e , sferzano con vio­

lenza i cavalli, ed a passo sforzato proseguono il cammino. Per mia som m a ventura io non era morto, giacché q u e ’ colpi di coltello colla punta andarono tutti a passare so­

pra questa m edaglia della S. Ver­

gine che p er mia grande fortuna portava in dosso. Sebbene pesto sulla persona mi sentii ancora in forza da levarm i di terra, e m e n ­ tre pensava a qual partito a ppi­

gliarmi odo spaventosamento g r i ­ d a re : O birbante, è ancor v i v o ; ed in ciò dire mi si fa u n altro colpo di pistola, che soltanto mi ferì l e g ­ germente questo braccio. Allora mi posi a co rrere senza sapere dove a n d a s s i , e portato dal pericolo e dallo spavento corsi fin qui, e mi trovai...

O tt. — Vi siete trovato dove erano già Ottavio ed Ernesto.

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A ll. — Vi siete trovato alla casa di buona gente, alla casa della F o r ­ tuna.

E ust. — Questo fatto è spaventoso, e se voi siete anc ora in vita, lo do­

vete p roprio ad u n a speciale be- nedizion del cielo.

E rn . — Alla medaglia della B. Ver­

gine ch’egli portava in dosso.

E u st. — Io osservo che questa per voi e per tutti è u n a terribile lezione.

Non dim entichiam o mai esservi un a Provvidenza la quale veglia sul de­

stino degli u o m in i; e spesso per­

mette che cadano sopra l’uomo quei mali stessi che egli fa, o vorrebbe fare ad altri. Dovete eziandio n o ­ tare che il furto, la ro b a altrui non rendono mai felici coloro che la possedono. Tuttavia non di rado avviene che la malvagità degli u o ­ m ini si cangi in loro bene. Voi u- saste crudeltà a questi due ragazzi, ed il cielo vi ha punito, ma nel tempo stesso faceste la loro fortuna, perciocché così poterono trovare il loro avolo che essi cercavano, quel­

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l’avolo che cotanto desiderava di vederli.

C arr. — Come! Lucrezia è vostra fi­

glia? Ottavio ed Ernesto vostri n i ­ poti? O Cielo! Deh! n o n vendicate l'oltraggio loro fatto, perdonate la m ia crudeltà, e voi, Eustachio, ti­

rate u n velo sulla m ia iniquità.

E u st. — Datevi pace. La vendetta è dei vili, il perdono è proprio dei C r i ­ stiani. Datevi pace. Tutto è p e r d o ­ nato. I miei nipoti ora sono felici perchè sono con me e loro non m an­

ca più nulla. Voi per altro (rivolto al ca rrettiere) dovete riconciliarvi con Dio, che colle vostre male azioni avete oltraggiato. La cosa che a n ­ cora ardentem ente desidero si è di sapere notizia degli ultimi m om enti della mia povera Lucrezia.

O tt. — Prendete, o caro avolo, ecco la lettera che mia m ad re mi rac- c omandò di dare a niun altro che a v o i , appe na avessimo la bella ventura di potervi trovare. Credo che qui saranno scritte le cose che voi desiderate.

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SCENA QUINTA.

E n tran o F ranco e Teodoro saltellan do, e scherzando con un pallone in m ano, e resiano a tto n iti al vedere i su d d etti.

A ll. — Voi siete sem pre ragazzi, e que­

sto vi fa degni di com patim ento, altrim enti questo disturbo vi m e ri­

terebbe quattro scopolotti.

Teod. — P e rd o n a te c i, non sapevamo che ci fossero forestieri.

A ll. — Ora che lo sapete state quieti, e tacete.

E u st. — State a t t e n t i , Teodoro e Franco, sono cose che rig u a r d a n o anche voi. Poiché ho finalm ente avuto notizie della vostra zia Lu­

crezia; questi due fanciulli, cui di­

ceste p o rta r tan ta a ffez io n e, sono suoi figliuoli, vostri cugini e miei cari nipoti.

Teod. — Come! voi nostri cugini, fi­

gliuoli della nostra zia L u crezia!

quanto mai io sono contento. Così rim arrem o sem pre in siem e, e ci a- juterete a studiare ed a fa rci buoni.

F ran. — Io sono co n ten to n e . Avremo

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due com pagni di più p er fare r i ­ c re a z io n e , e vivere allegramente.

E u st. — Andate adunque a fare un a mezz’o ra di ric re a z io n e ; divertitevi pure m a guardatevi dal farvi del male. Tu poi, o F ranc o, fa in m odo di non r in n o v ar e la comm edia di jeri. Volevi fare il gradasso, ed in

vece hai fatto u n bel giuoco.

F ra n . — Voleva fare il valoroso stando ritto in piedi sul ca rre tto m e n tre Teodoro lo t i r a v a , e sono caduto giù u rtando col capo sopra Teo­

doro in guisa che siamo caduti am- bidue a gam be levate l ’ un sopra l’altro a terra. P er questo fui b u r­

lato tutta la sera. Spero che n o n mi accadrà p iù ; p er altro se s ie te contento, noi staremo qui con voi ed ascolteremo con piacere le cose che rig u ard an o la n ostra cara zia Lucrezia, che Ottavio ed Ernesto ci dicono essere stata ta n to buona.

E ust. — Vi perm etto di r im a n e r qui p u r ­ ché serbiate il dovuto contegno e fac­

ciate attenzione a quello che si dice senza distubare. Intanto prim a che

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