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L’organizzazione di Cosa Nostra

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Narrare i gruppi. Prospettive cliniche e sociali. Anno 1, Vol. II, Luglio 2006

interventi

L’ORGANIZZAZIONE DI COSA NOSTRA Daniele Amendolito

1. Premessa

In questa sede ci occuperemo di analizzare alcuni dei processi psicologici che sottendono all’organizzazione di “Cosa Nostra”, con particolare riferimento all’influenza che il gruppo di appartenenza a cui ci riferiamo ha sugli individui, e alle dinamiche psicologiche che si instaurano e che permettono la diffusione e il mantenimento della cosiddetta “cultura mafiosa” in Sicilia.

2. Il concetto di “psichismo mafioso”

In un’ottica gruppoanalitica (Lo Verso, 1998), è stato definito il costrutto di

“psichismo mafioso”, intendendo con esso una matrice di pensiero che permea molti aspetti della propria vita quotidiana, ovvero una specifica forma di organizzazione antropo-psichica con determinate caratteristiche, che configurano Cosa Nostra.

Il concetto di “psichismo mafioso”, è stato ampiamente discusso nella letteratura di riferimento: utilizzando questo concetto come cornice di riferimento, possiamo considerare l’appartenenza alla mafia attraverso tre dimensioni fondamentali (Testoni, 2006): il sentire mafioso, il pensare mafioso e la mentalità mafiosa.

Con il termine sentire mafioso vogliamo intendere le componenti emotive e sentimentali legate all’agire mafioso, e dunque il modo in cui le dimensioni tipiche della cultura mafiosa si intrecciano nei vissuti di coloro che desiderano appartenere a questa organizzazione. Il pensiero mafioso si estende attraverso la dimensione della razionalità, le quali permettono l’elaborazione delle informazioni attraverso la logica della sfera cognitiva, sebbene, tuttavia, il mondo degli affetti influenza il pensiero in modo rilevante. Per ultima, definiamo mentalità mafiosa il rapporto che si crea tra il pensiero individuale e il pensiero sociale, tra la soggettività e l’appartenenza all’organizzazione.

3. L’identità dell’uomo d’onore

Nell’universo simbolico che definiamo “psichismo mafioso” la matrice identitaria dà senso ad una cornice di significato la cui valenza e conoscenza sono fondamentali se si vuole comprendere il tipo di “narrazione” presente nel sentire e pensare mafioso.

L’identità è un qualcosa che l’individuo negozia nel campo relazionale in cui è inserito, dunque attraverso il rapportarsi agli altri per lui significativi, ai

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contesti normativi in cui è inserito, ai ruoli impersonati e le specifiche situazioni affrontate. Dunque, volendo rileggere il significato del concetto di identità inserito nel contesto “mafia”, è importante considerare prima di tutto come il contesto culturale in cui essa si inserisce ha un ruolo primario nel definire valori, sentimenti, convinzioni tipiche del sentire e pensare mafioso.

Attraverso l’interazione con l’ambiente, l’individuo “costruisce” la propria realtà e si “rappresenta” per mezzo dei sé più funzionali e coerenti con l’identità riconosciuta dal comune sentire e pensare mafioso.

In funzione del ruolo assunto, il ruolo unico di mafioso, il comportamento e le azioni dell’individuo si interfacciano attraverso il sistema normativo- simbolico di riferimento nell’interazione con gli altri, influenzandosi reciprocamente, in un processo in cui vengono approvati,e, di conseguenza, reiterati i comportamenti più vicini al significato condiviso. In questa cornice, dunque, l’adeguatezza di un comportamento non appartiene al comportamento in sé, ma a quanto esso corrisponde alle regole implicite ed esplicite condivise nel contesto socio-normativo in cui gli individui sono inseriti. Viceversa, dimensioni o rappresentazioni di sé “devianti” rispetto al percorso condiviso con Cosa Nostra, non sono altrettanto accettate e non corrispondono ad un rispecchiamento sociale, per cui si estinguono a vantaggio della rappresentazione dei sé maggiormente riconosciuti.

L’interiorizzazione dei codici normativo-simbolici proposti dalla famiglia

“acquisita”, fa sì che ogni individuo negozi il proprio senso di identità attraverso i propri sé e i ruoli impersonati, modificando le proprie azioni in funzione della nuove rappresentazioni di sé significative per l’organizzazione a cui decide di appartenere.

I ruoli impersonati dipendono di volta in volta dalla situazione, ovvero vengono preordinati in base al sistema normativo di riferimento.

Inoltre, la condivisione con l’organizzazione di appartenenza fa sì che il comportamento stesso del mafioso si rappresenti come pro-sociale, poiché il sentire mafioso, attraverso un processo nel quale l’identità individuale e quella collettiva si intrecciano, produce un universo comune di senso e di significato. Le regole condivise all’interno del gruppo rivelano dunque norme e valori costitutivi di un certo concetto di sé, il quale soggettivamente determina ruoli e rappresentazioni di sé costitutivi del proprio senso di identità e autostima.

Questo processo può avvenire sin dall’infanzia, laddove cioè gli individui iniziano a condividere col gruppo di appartenenza norme e valori culturali.

Gli universi individuali si intrecciano con gli universi collettivi influendo sullo sviluppo della propria identità soggettiva.

4. Il “Noi” come modello di riferimento

E’ a partire dall’intreccio tra il “noi collettivo” e l’identità soggettiva che il senso di appartenenza all’organizzazione “Cosa Nostra” arriva ad avere la priorità sull’appartenenza alla famiglia d’origine. Difatti è norma condivisa che le famiglie di provenienza dei cosiddetti mafiosi debbano sottostare alle regole della famiglia di appartenenza, al fine di salvaguardare primariamente

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l’equilibrio dell’organizzazione stessa mafiosa. Ne sono un esempio le situazioni nelle quali un uomo d’onore si trova a dover accettare l’omicidio di un proprio familiare senza poter esprimere alcun tipo di disappunto.

L’importanza della famiglia di appartenenza non riguarda soltanto i comportamenti e le azioni degli uomini di mafia, ma influenza anche le dimensioni cognitive e affettive di coloro che si costruiscono un’identità mafiosa. L’organizzazione ha un potere sull’individuo tale che il “noi” del modello di riferimento si sovrappone quasi totalmente all’ “io” e alla soggettività dell’individuo. Dunque, l’interesse e la volontà dell’organizzazione hanno la priorità sulla soggettività dell’individuo, ridimensionando la sua identità in una sorta di “psiche fondamentalista”.

L’io soggettivo viene dunque rifiutato, così come non vi è riconoscimento per il diverso da sé; il mafioso pensa solo ciò che cosa nostra consente di pensare (Giorgi, Lo Verso, 2006).

Tale “fondamentalismo” pervade la psiche dell’individuo (in particolare nel caso dei figli maschi) sin dai primi percorsi di crescita; l’individuo pensato dalla famiglia come futuro mafioso si identificherà e sarà portato ad idealizzare i membri della famiglia già appartenenti alla mafia, e sarà educato a proseguire una certa strada secondo gli schemi e i copioni proposti dalla famiglia. Nel caso, invece, delle figlie femmine, esse saranno educate come figlie, madri e mogli di mafiosi, e tale rappresentazione pervaderà la loro esistenza.

All’interno di tale “fondamentalismo” e prevalenza del “noi”, si modifica anche il senso soggettivo della colpa per i reati commessi, poiché essa viene giustificata in nome del senso di appartenenza alla collettività mafiosa, e il concetto del bene e del male si tramuta nell’identificazione del “noi” inteso come il bene, e il diverso inteso, invece, come il male. La non accettazione del diverso, tipica del pensiero della cultura di riferimento, rende il mafioso consapevole che, nel caso dovesse “deviare” dai principi dell’organizzazione a cui appartiene, egli incorrerà in punizioni severe, modalità utilizzata da Cosa Nostra con un fine “pedagogico”; la violenza acquista un significato

“rieducativo” nei confronti di chi, nell’ottica della mafia, si è allontanato dal fare il bene per essa. L’organizzazione prevede una serie di norme da rispettare, tra cui ricordiamo “non desiderare la donna di altri uomini di onore”, “non uccidere altri uomini, salvo in caso di assoluta necessità”,

“mantenere con gli estranei il silenzio assoluto su Cosa Nostra” (l’omertà), (Falcone, Padovani, 1995); tali comandamenti, oltre a fungere da norme sociali, divengono un vero e proprio codice con valenze di tipo emotivo, accompagnando i sentimenti e le azioni del mafioso nell’arco della propria vita.

La mafia controlla l’adesione dei nuovi adepti attraverso una sorta di triangolazione, nella quale ognuno di essi è affiancato da una figura cosiddetta ausiliaria, il padrino. Tale figura ha un ruolo di mediatore tra il mafioso e il gruppo sociale di appartenenza; lo scopo della presenza di tale figura è quello di controllare la condotta e l’identità di ogni nuovo affiliato, salvaguardando il pensiero tipico di Cosa Nostra e il modo attraverso il quale

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esso si “rinarra” nei pensieri e nelle azioni degli affiliati all’organizzazione.

E’ interessante rilevare che, nell’ottica mafiosa, il nucleo familiare viene ampiamente considerato, seppure tale importanza sia in realtà solo di tipo formale, poiché appare evidente il senso di controllo e coercizione che l’organizzazione stessa esercita su essa.

Attraverso l’adesione a Cosa Nostra, si sviluppa un processo di tipo transpersonale, nel quale il soggetto più che essere qualcuno appartiene a qualcosa, e produce rappresentazioni di sé il cui significato è viene condiviso attraverso le narrazioni che dall’esterno lo riconducono ad una dimensione familiare in cui potersi rispecchiare. Il risultato di tale processo può essere immaginato come una struttura o un’impalcatura, che permette agli individui mafiosi di esistere attraverso la dimensione di un “Noi”

interiorizzato dall’individuo.

5. Saturazione del pensiero

IL sistema perpetuato dalla mafia riproduce una rigidità nella struttura del pensiero degli individui, per il quale gli eventi e le situazioni vengono lette e interpretate sull’asse dicotomico bianco-nero, secondo sfaccettature ben definite, escludendo una visione aperta e accettante dei punti di vista altrui.

Nell’ottica di Cosa Nostra non è contemplata la possibilità che un uomo di mafia diventi “uomo comune” senza che questo venga considerato un tradimento. Coloro che entrano a far parte di un clan non potranno avere incertezze o fare scelte contrarie a quelle mafiose. In altre parole, una volta definita una certa identità non è possibile che essa possa essere rinegoziata attraverso percorsi più vicini all’ “Io” dell’individuo piuttosto che al “Noi”, producendo un processo di saturazione del pensiero che non ammette alcun tipo di diversità e divergenza. Tale forma di saturazione non rende possibile una significazione della realtà differente da quella condivisa con il sistema di appartenenza e con la famiglia mafiosa. Si viene a creare una sorta di modello di “dipendenza” dalla famiglia di appartenenza, in quanto essa soddisfa bisogni di protezione e accudimento, e dunque si perpetuano gli unici valori e codici di significazione possibili e accettati.

Il “pentirsi” comporta una modificazione non solo in termini di affiliazione all’organizzazione, ma anche a livello intrapersonale nel processo di dare senso e significazione attraverso i propri codici affettivi di riferimento al proprio agire mafioso. Dunque, chi si pente ritraduce e risignifica la propria identità alla luce di un nuovo senso di sé, si riappropria della soggettività individuale e si riconfigura attraverso ruoli differenti e diverse rappresentazioni di sé. Riteniamo utile ricordare, a tal proposito, che, mentre il cosiddetto “collaboratore di giustizia” non rinnega del tutto il proprio passato e può agire mosso da interessi legati alla propria famiglia di appartenenza, e dunque in definitiva tale atteggiamento collaborativo non corrisponde necessariamente ad un cambiamento nel proprio senso di identità, viceversa è il cosiddetto “pentito” che modifica i propri valori di riferimento e con essi si modifica necessariamente il proprio senso di identità e il modo di rappresentarsi all’interno della comunità.

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6. Gli interessi dell’organizzazione

L’obiettivo fondamentale dell’agire mafioso è legato al potere economico, inteso come arricchimento in termini di denaro e possedimenti, perseguendo modelli di sviluppo fondati su rapporti di interesse e collaborazione, nei quali è inevitabilmente coinvolto il potere politico. La paura, la corruzione, l’omertà, sono alcuni degli aspetti che contribuiscono a creare quella forma di controllo del territorio attraverso il quale la mafia alimenta le sue stesse forze, appoggiandosi a sistemi indotti a colludere con queste forme di prevaricazione, e dunque condividendo i valori mafiosi che sostituiscono quelli sociali. Gli attori coinvolti in questo processo non sono soltanto gli appartenenti alle famiglie cosiddette mafiose, ma sono anche i cittadini stessi che non si sentono in condizione di venir meno al sistema, sia perché non vogliono incorrere in eventuali ritorsioni del potere mafioso, sia perché possono a loro volta trarre vantaggi economici perpetuando e rigenerando il sistema stesso corrotto. La paura indotta da Cosa Nostra nei confronti dei cittadini, ha funzione di inibire le iniziative e le situazioni in cui la progettualità di individui esterni alla mafia potrebbero scontrarsi con gli interessi economici, e non solo, dell’organizzazione criminosa; strumento attraverso il quale viene alimentato tale sistema è la violenza, sia psicologica che fisica. La “cultura mafiosa” influenza in modo determinante l’agire collettivo, ristrutturando il senso della sicilianità da un punto di vista culturale e psico-antropologico, e facendo sì che la mafia si appropri di valori tipici della cultura siciliana, riutilizzandoli per scopi di tipo criminoso.

(Giorgi, Lo Verso, 2006). Ad esempio, le istituzioni e le organizzazioni pubbliche risentono di una visione sociale che le tramuta in un “Noi familiare”, e fonda un terreno sul quale Cosa Nostra può innescare quei meccanismi che le sono propri, e cioè fondati sul favoritismo e la non- meritocrazia. Di Maria (1998) parla di “cultura materna”, cioè una cultura nella quale la soggettività è soffocata e impedita a svilupparsi, e la politica è considerata esclusivamente richiesta o offerta di protezione laddove non vi è responsabilità soggettiva. Possiamo concludere affermando che questi meccanismi impediscono la possibilità di una politica intesa come partecipazione plurale della collettività, poiché gli interessi di Cosa Nostra contrastano quelli della popolazione che non si identifica col pensiero mafioso.

Bibliografia

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Anno 1, Vol. 1, Marzo 2006.

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