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Capitolo 1. Chiaromonte, il territorio e la sua storia

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Academic year: 2022

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Capitolo 1

Chiaromonte, il territorio e la sua storia

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1.1 Inquadramento geografico

Il paese di Chiaromonte si trova nel sud della provincia di Potenza, in Basilicata, a 794 metri s.l.m. . Il nucleo urbano troneggia sul versante meridionale del Catarozzolo, la zona più alta del promontorio che separa le valli del Sinni e del Serapotamo. A sud-ovest di questo si trova il Massiccio del Pollino, che da 1988 è il cuore del parco naturale più grande d'Italia, il Parco Nazionale del Pollino (192.565 ettari). Anche Chiaromonte è uno dei 56 comuni, delle tre province, che fanno parte del Parco Nazionale: habitat naturale di centinaia di rare specie floristiche (come Pino Loricato, vari tipi di Orchidee, il Giglio rosso ecc.) e faunistiche (come l'aquila reale, gufo reale, capriolo di Orsomarso, Lupo appenninico ecc).

Il paesaggio visibile dalla cima del Catarozzolo comprende la quasi totalità delle valli solcate dal fiume Sinni, a sud, e dal suo affluente Serapotamo, a nord, e nelle giornate limpide è possibile seguire con lo sguardo le valli sino alle coste ioniche.

Per questa caratteristica è stato in passato luogo privilegiato per l'insediamento umano.

Il territorio circostante l'abitato è prevalentemente boscoso : faggi e cerri crescono rigogliosi nel Bosco di Magnano (650 mt slm), antico rifugio dei Briganti; Abeti e faggi lungo la sella Conochiello-Pollino, sempre più rada man mano che si sale fino al “nudo” monte Pollino (2248 mentri s.l.m.); Cerri e arbusti di Erica nel

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disponibilità dell'abbazia di Santa Maria del Sagittario; infine nel bosco di Cascianudo ,utilizzato per il “legno morto”, il pascolo e il “taglio”, dominano cerri e querce farnie.

Geologicamente esso composto di diverse successioni sedimentarie e da terreni argillosi. Morfologicamente è caratterizzata da forti dislivelli creste e fondovalli.

Così il geologo Giuseppe De Lorenzo nel 1937 descrive il territorio intorno al Sinni:

“Depositi pliocenici e pleistocenici, rappresentati da marne e argille turchine e da sabbie gialle, che pochi metri possono giungere fino a 500 e più metri di spessore. Qui gli ammassi uniformi delle argille turchine, argille sabbiose, sabbie gialle e conglomerati rossastri, che declinano con dolce pendio dall’entroterra di 1000 metri fino la mare, sono profondamente incisi e solcati da squallidi burroni a ripide pareti, in fondo a cui scorrono muggendo le acque fangose che portano novellamente al mare quei materiali, che dal mare stesso da poco tempo emersero.4

4G. De Lorenzo, Geologia e geografia fisica dell'Italia meridionale, Bari, G. Laterza, 1904.

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Nei periodi di maggiori precipitazioni sono frequenti i dissesti geologici, anche a causa del secolare disboscamento. Per il trasporto del legname in passato veniva usata la corrente del fiume Sinni che, prima della costruzione della “diga di Senise”, dopo essersi unito al fiume Bradano sfociava nello Ionio, non troppo lontano dall’antica colonia greca di Siris (oggi Policoro). Affluenti del Sinni sono il Frida, il S.Nicola, il Rubio e il Serapotamo.

Il Serapotamo confluisce nel Sinni all'altezza di Senise. Il toponimo probabilmente deriva dal greco xeros potamos, fiume secco, in quanto raccoglie solo le acque meteoriche.

I notevoli letti di entrambi i corsi d'acqua, Sinni e Serapotamo, si sono formati a causa del disboscamento dei pendii laterali che ne ha provocato la discesa dei ciottoli e il conseguente dilatamento.

1.2 Cenni storici

L'antichità dell'insediamento di Chiaromonte è testimoniato sia dai rinvenimenti archeologici sia dall'esame toponomastico (es. Xeros Potamos, Serapotamo).

L'archeologia ha accertato che l'insediamento ha origine nel IX sec. a.C. , nel passaggio tra età del Bronzo a età del Ferro, quando nell'Italia meridionale le

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Catarozzolo per difendere le loro provviste dalla razzia di altri indigeni rimasti alla condizione nomade-pastorale.

Nella fase più antica i rinvenimenti funerari indicano che la comunità era omogenea, i corredi tombali non sono differenziati né per classi né per genere:

l'economia era prettamente agricolo-pastorale.

Alla fine del IX sec. a.C. nascono le prime forme di organizzazione artigianale, e così le prime ceramiche locali.

Nel corso del VIII sec. a.C. gli scavi archeologici evidenziano i segni di una trasformazione sociale: nelle tombe maschili sono presenti le ceramiche e anche punte di lancia, pugnali e, in un caso, anche la spada; mentre nelle tombe femminili, soltanto, oggetti ornamentali in bronzo e utensili di uso domestico.

Sempre nello stesso periodo avviene l'affermazione di un artigianato specializzato nella lavorazione ceramica, al tornio, con decorazioni a “tenda elegante”.

Dall’esame del rito funerario, che è del modello “tombe a fossa”, e di corredi funerari, etnicamente il centro di Chiaromonte viene assegnato al gruppo protoitalico degli Enotri.

Alla fine del VII secolo in virtù del suo “dominio” sulla valle del Sinni intrattiene rapporti commerciali privilegiati con l'area magno-greca localizzata sulle coste ioniche e con l'area etrusca che controlla le coste tirreniche. Le condizioni di vita subiscono un notevole miglioramento come testimoniano i corredi funebri del periodo: nasce un'aristocrazia guerriera. Nel 1985 la Soprintendenza Archeologica

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della Basilicata porta alla luce 25 tombe del VI sec. a.C. e tra queste una ricca tomba di un principe-guerriero nel cui corredo oltre una spada c’era un elmo, uno scudo e vasi di matrice etrusca e coppe greche, a testimonianza dell'importanza che l'insediamento di Chiaromonte aveva assunto.

Verso la fine del VI secolo a.C. cade Siris, gli Etrusci perdono la loro egemonia in Campania e i Lucani invadono molta parte del territorio della Basilicata.

Chiaromonte vive un’evidente crisi per più di un secolo come testimonia l'assenza di corredi nelle sepolture.

Nonostante alcuni segni di ripresa, a seguito della conquista romana della Lucania, dopo le lotte con Pirro, nel corso del III sec. a.C l'abitato viene abbandonato. Probabilmente il paese aveva aderito alla causa di Pirro, come indicherebbero alcuni ritrovamenti di denti di elefanti. La popolazione sopravvive sparsa nelle campagne in fattorie e ville.

Solo con le invasioni barbariche, IV e V sec. d.C., il centro verrà potenziato e fortificato dalle genti della valle del Sinni in cerca di riparo dalle scorrerie degli invasori.

Dopo il 590 Chiaromonte passa sotto il dominio dei longobardi di Benevento e nel 849 con la divisione del Ducato di Benevento entra a far parte del Principato di Salerno.

Le lotte intestine al Ducato di Benevento e quelle tra Longobardi e Bizantini, che occupano varie zona dell'Italia meridionale, attirano i Saraceni di base a Tursi.

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Quest'ultimi sicuramente portarono diversi attacchi alla rocca di Chiaromonte, ma senza risultati.

I longobardi ebbero controllo definitivo su Chiaromonte dal 942, dopo aver sconfitto i Bizantini lungo il Bradano. Ma nella seconda metà del X sec. Niceforo Foca per contrastare la politica egemonica di Ottone I intraprese una guerra nel meridione che durò fino al 982. Anno in cui i longobardi di Salerno si schierarono con l'imperatore d'oriente, che recuperò quasi tutta l'Italia Meridionale. Il principato di Salerno fu ridotto a stato vassallo e Chiaromonte passo sotto l'influenza greca. L'attività di chiese greche e cenobi basiliani diviene più capillare, anche se il loro arrivo in questa zona si può far risalire al passaggio nel sud Italia di Belisario (535-553) e della politica iconoclastica di Leone Isaurico (730) che favori una forte emigrazione di monaci basiliani in tutto il meridione d'Italia.

Durante la dominazione dei Bizantini, nel IX secolo, l'abitato viene raso al suolo da un terremoto. Il disastro sismico portò al declino demografico del paese e le continue lotte per l'egemonia tra i Bizantini e l'imperatore di Germania produsse instabilità politica e favorì l'inserimento di piccoli nuclei di normanni.

Appoggiati dai Normanni i Longobardi occuparono Melfi, nel 1041, e sconfissero ripetutamente i Bizantini ponendo sotto il loro controllo gran parte della Puglia, la Basilicata e la Calabria. Nel 1047 e nel 1054 ottennero il riconoscimento delle loro conquiste rispettivamente dall'Imperatore Enrico III e dal Papa.

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I capi normanni erano Roberto il Guiscardo e Ruggiero d'Altavilla. Con i normanni arrivò nell'Italia meridionale una famiglia, i Clermont, della dinastia carolingia e imparentata con gli Altavilla, che ottenne il feudo di Chiaromonte.

Questi ricostruirono e fortificarono il centro abitato dandogli – probabilmente – il nome di Chiaromonte, dal nome della loro famiglia Clermont.

Capostipite dei Clermont (o Chiaromonte) è Verelando, parente diretto dei dinasti Carolingi. Non vi sono notizie documentarie certe sulla presenza di Verelando a Chiaromonte, la documentazione più antica circa i Chiaromonte comincia con Ugo I, contemporaneo nonché vassallo di Roberto il Guiscardo.

Ugo I figura nei documenti del tempo per due donazioni, nel 1074 al Monastero di Carbone e nel 1088 al Monastero di S. Maria di Kirosimo.

Dei figli di Ugo I (Alessandro, Riccardo, Avenna e Albereda) Avenna sposo Alessandro di Senise, signore di Ronca; Abelarda sposò, in prime nozze, il signore di Policoro e Colubraro, Ruggiero di Pomerana (famiglia normanna con cui i Chiaromonte dividevano l'egemonia nelle vicine valli del Sinni e dell'Agri), morto Ruggero sposò, in seconde nozze, Roberto Siniscalco; Alessandro e Riccardo partirono crociati in Terrasanta.

Da Alessandro di Ronca e Avenna nacquero Ugo II (che mori giovanissimo), Alessandro II e Riccardo II. Morto Roberto Siniscalco, nel 1115, e Albereda, nel 1123(?), Alessandro e Riccardo tornati a Chiaromonte, nel 1123\1124 furono investiti delle terre di Colubraro, Policoro e Rotunda Maris. Questo fu il periodo di massima potenza per i Chiaromonte che possedevano feudi anche in Calabria e in Puglia.

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Con la partenza di Boemondo II per Antiochia (1127) Taranto e Otranto caddero nelle mani di Ruggero II Duca di Puglia, che affidò Taranto al figlio Tancredi, il quale confiscò i feudi dei Chiaromonte, e li mise al bando. Alessandro e Riccardo si schierarono con l'Imperatore Lotario chiamato in Italia da Innocenzo II (1137).

Riccardo cadde combattendo. Alessandro fuggì in Romania, passando nel 1145 in Germania dove Corrado III lo investì legato dell'impero a Costantinopoli.

Riccardo aveva due figli, Roberto e Ugo III. Ugo recuperò i feudi sicuramente prima del 1152, anno in cui diede inizio alla costruzione dell'importante Monastero del Sagittario. Da Ugo III nacquero Riccardo III e Agnese.

Quando nel 1194 l'egemonia del Meridione passò agli Svevi di Federico II Riccardo III Chiaromonte conservò i suoi feudi e divenne Giustiziere imperiale in Basilicata (1226).

Nel 1246 l'erede di Riccardo III, Ugo IV, per aver partecipato alla congiura promossa da Papa Gregorio IX contro Federico II, fu privato di tutti i feudi.

Riccardo IV e il figlio di Ugo IV si impadronirono dei castelli di Colubraro, Stellano, Bigianello, S.Arcangelo e Luino, ostacolando il progetto di unificazione di Federico II, e così persero nuovamente i feudi che poi saranno restituiti a Riccardo IV dopo la sconfitta di Manfredi con il titolo di Conte.

Nel 1268, durante la rivoluzione ghibellina, Riccardo si schierò con gli Angioini e nel 1277 divenne Cavaliere, con l'incarico di sovrintendere la costruzione dei vascelli della regia marina.

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Morì senza eredi e la contea passò a Giacomo, figlio di Federico, suo fratello.

Dei tre figli di Giacomo Ugo V morì senza eredi nel 1319, Odolina sposo il Conte di Caserta e Margherita, la maggiore, divenne moglie di Giacomo Sanseverino, che ereditò la Contea di Chiaromonte.

Con il passaggio della contea ai Sanseverino Chiaromonte entra a far parte della storia di una delle casate più nobili e importanti non solo della Basilicata ma del Meridione e dell'Italia Medievale e Moderna.

Discesi in Italia Meridionale con i Normanni al seguito di un nobile cavaliere, Turgisio, fedeli alleati di Roberto il Guiscardo ottennero come ricompensa la terra di Sanseverino nel Salernitano da cui prese il nome la casata.

Al tempo di Federico II i Sanseverino capeggiarono l'insurrezione promossa da papa Innocenzo IV, ma con la caduta di Staba e Capaccio furono trucidati tutti. Si salvo solo un fanciullo, Ruggero, che entrò sotto la protezione papale e fu reintegrato nei feudi dopo la morte di Federico II.

A capo delle milizie pontificie Ruggero Sanseverino diede un contributo determinante per la vittoria di Carlo d'Angio a Benevento (1266). Per questo il re gli confermò lo stato di Marsico con il titolo di Conte e lo inviò Vicerè in Palestina nel 1278.

Il suo successore Tommaso si sposò tre volte, dalla terza moglie , Sveva d'Avezzano, figlia di Grimoaldo di Tricarico, ebbe 4 figli, tra cui Giacomo.

Quest’ultimo sposando Margherita Chiaromonte aggiunse ai titoli di Conte di

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Da Margherita ebbe tre figli: Ruggiero, primogenito; Ugo che divenne conte di Potenza, Anglona e Saponara; e Tommaso Conte di Montescaglioso.

A Ruggero successe Vencislao, il quale per il sostegno dato a Luigi I d'Angiò fu creato Duca di Venosa (1390) e Conte di Amalfi, in aggiunta ai titoli di Conte di Tricarico e Chiaromonte. Inflisse una dura sconfitta a Ladislao in Calabria, ma dopo la partenza di Luigi II d'Angio si riconcigliarono. Nel 1403 pero Vencislao promosse una rivolta dei baroni Napoletani contro il re – Ladislao – che era in Ungheria. A Vencislao successe Ruggiero, unico scapato alla seconda strage dei Sanseverino, attuata da Ladislao, che confisco alla famiglia, la contea di Montescaglioso, la contea di Potenza e quella di Terranova, oltre Tricarico e Chiaromonte. Morto Ladislao nel 1414, la regina Giovanna II reintegrò Ruggero nei feudi paterni.

Nel 1430 la contea passo ad Antonio Sanseverino e alla sua morte al figlio. Luca nelle lotte tra Giovanni d'Angiò e Ferdinando d'Aragona si schierò con gli Aragonesi e nel 1465 ai titoli della casata aggiunge, comprandolo, anche quello di Principe di Bisignano. Erede di Luca fu Girolamo che nel 1472 perse i feudi per essersi fatto coinvolgere nella rivolta dei Baroni, appoggiata dalla Chiesa e dagli Angioini di Provenza, contro gli Aragona. Dopo la pacificazione tra il Papa e Ferdinando I i ribelli, tra cui molti esponenti della famiglia Sanseverino, vengono attirati con un tranello a Napoli e incarcerati a vita. Mondella Gaetani, moglie di Girolamo, mette in salvo i 4 figli rifugiandosi a Roma.

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A partire dal 1488 le terre di Chiaromonte, insieme alle terre di Teana, Francavilla, Carbone ed Episcopia, sono amministrate da una funzionario Regio, Antonio de Ricca.

Nel 1494 le stesse terre passano, per volontà di re Alfonso II a Giovanni Borgia già duca di Gandia.

Nel frattempo Bernardino Sanseverino recatosi in Francia, presso il cugino Antonello Sanseverino, convince Carlo VII a tentare la conquista del Regno di Napoli e ottiene il comando di 3000 fanti.

Entrato vittorioso a Napoli nel 1495 Carlo VIII gli riconosce tutti i feudi e i privilegi confiscati e le città di Cassano e Strongoli e la contea di Lauria.

Intanto Carlo VIII ritorna in Francia e Bernardino al comando di un reparto di cavalleria e quattro di fanteria sconfigge sul fiume Sele Ferdinando II, che però riesce comunque a scacciare i francesi dall'Italia. Nonostante lo scontro sul Sele il re riconferma i tantissimi titoli a Bernardino, e, anche, la contea di Chiaromonte.

A Bernardino successe nel 1519 Pietrantonio che acquisì il titolo di Grane di Spagna di prima Classe, con la facoltà di tenere una compagnia di armati.

Nel 1562 salì al principato di Bisignano Nicolò-Bernardino, che sposò la figlia del duca di Urbino, Isabella Feltri della Rovere. Per il suo amore per il lusso Nicolò- Bernardino lasciò alla sua morte un'alta quantità di debiti. Non avendo eredi diretti si innescò una lite giudiziaria che durò 16 anni, durante i quali Chiaromonte fu amministrata da un reggente, Montoya, che la mise in vendita per pagare i

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Cesare Gesualdo, il quale sua volta nel 1612 la rivendè a Carlo Sanseverino. Nel 1646 a seguito di un'istanza di crediti pregressi fu avviata un'indagine tavolare, per poter di quantificare il valore della “Terra di Chiaromonte”.

Redatta nel 1660 da un tecnico, Giuseppe Gallarano, la tavola – censuaria – della

“Terra di Chiaromonte”, reca molte informazioni sullo stato dell'abitato e dei territori della contea. Le informazioni che si possono trarre dal documento sono varie e vanno dall'uso del terreno e la produttività (seminativi o a pascolo, giardini o boschi, vigne o oliveti), alla presenza o meno di palazzi pubblici o di casata nell'abitato e nel fondo, ai molini, ad informazioni circa le strade di collegamento con gli altri centri abitati vicini, al valore delle entrate feudali.

Il figlio di Carlo Sanseverino, Giovanni, acquisì il titolo di Conte di Chiaromonte e sposò la cugina Delia Sanseverino aggiungendo al suo titolo quelli di Principe di Bisignano e conte di Saponara, dove dimorò e ingrandì il castello. Erede di Giovanni fu Carlo Maria che sposando Anna Maria Fardella ed ebbe in dote il feudo di Paceco. Carlo Maria in onore della moglie chiamò Fardella la borgata edificata nel 1693, poco distante da Chiaromonte. Principe di Bisignano e conte di Chiaromonte, fu successivamente Giuseppe Leopoldo Sanseverino, che passò i titoli al figlio Luigi, quindi al figlio Pietrantonio. Nel 1759 conte di Chiaromonte – principe di Bisignano, ecc – divenne Tommaso Sanseverino, nominato nel 1807 Consigliere di Stato da Giuseppe Bonaparte.

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L'abolizione dei diritti feudali con la riforma promossa da Giuseppe Bonaparte nel 1806 distrusse il patrimonio dei Sanseverino, che di tutto il territorio feudale conservarono solo una vigna.

Morto Tommaso nel 1814 i titoli, ormai solo nominali, passarono a Pientrantonio che fu deputato del Magistrato di Sanità del Regno delle due Sicilie dal 1809 al 1815. Nel 1865 il Principato di Bisignano, quindi il titolo conte di Chiaromonte e gli altri innumerevoli titoli passarono a Luigi Sanseverino che non ebbe figli maschi. Con lui si estingue il ramo principale. I titoli passarono a Luigi Costa- Sanseverino (1823-1888) figlio di Maria Antonietta Sanseverino e del marchese Francesco Costa. Ma oramai ai titoli non corrispondeva nessun tipo di legame amministrativo con i territori e Chiaromonte, come tutti gli abitati del Regno delle Due Sicilie fu incorporato nel sistema delle circoscrizioni amministrative, quindi divenne Comune e gli organi di governo locale, dall'ottobre del 1806, furono il decurionato e il sindaco.

Il comune fu dotato di proprio mezzi con l'assegnazione dei bene ecclesiastici, furono istituiti l'ufficio del catasto, il giudice di pace, l'ufficio postale e la scuola pubblica. Incluso nei comuni di seconda classe, per la sua importanza Chiaromonte fu designato capoluogo del circondario, facente capo a Lagonegro, capoluogo di distretto, entrambi inclusi nell'unica provincia della Basilicata il cui capoluogo era Potenza.

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Qualche tempo prima, nel gennaio 1799, in occasione della proclamazione della repubblica Partenopea i Chiaromontesi insorsero, quindi parteciparono ai moti Giacobini sotto la guida di Deodato Leo e Giovanni Giura, che piantarono nella piazza del paese “l'albero della libertà” e avviarono le elezioni democratiche per eleggere la Municipalità.

Il moto di Chiaromonte ebbe una partecipazione elitaria, così senza il supporto della popolazione e di aiuti dall'esterno svanì rapidamente con l'arrivo in zona delle milizie regie al comando del Commissario Regio Filippo Antonio Durante. Il 4 marzo 1799 la Municipalità democratica fu sciolta e l'albero della libertà abbattuto. Con la successiva caduta della Repubblica Napoletana, il 19 giugno, e con la costituzione di una Giunta di Stato in Basilicata, con il compito di individuare e punire i ribelli filo-francesi, Giovanni Giura e Deodato Leo, insieme ad altri insorti chiaromontesi, furono condannati al carcere.

Gli anni tra 1806 e 1815 videro alla guida del Regno di Napoli Giuseppe Bonaparte, e dal 1808 Gioacchino Murat. Bonaparte e Murat attuarono la soppressione dei diritti feudali e la riorganizzazione dello stato. Ma, come in molte località della Basilicata, a Chiaromonte la nuova organizzazione, con la coscrizione obbligatoria, l'espropriazione di beni ecclesiastici e feudali e l'esclusione della massa popolare dalla divisione dei terreni , creò malumori, che cavalcati dalle classi maggiormente toccate dal nuovo ordine, scoppiò in un clima da guerra civile.

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La collusione di nicchie filo-borboniche e di ex-soldati del regno, unitamente all'appoggio di Clero, Borboni e Inghilterra (che forniva le armi), diedero vita a bande armate che si proponevano di rovesciare il regime Napoleonico. Nel 1810 Chiaromonte viene assediata dalle «bande - dei briganti – Scarola, Taccone, Peppino, La Petina, Fiore e Gitaniello; unitesi alla Banda del brigante calabrese Carmine Antonio... ...che sarebbero passate al saccheggio se del paese se non fossero intervenute numerose truppe francesi da Lagonegro e Senise»5.

Fino al 1812, anno in cui le drastiche misure del Gen. Manhes posero fine al Brigantaggio, i Briganti Taccone, Peppino e Fiore, saccheggiarono e terrorizzarono a lungo i paesi intorno Chiaromonte.

Nel maggio del 1815 viene restaurato il Governo Borbonico. Che sebbene intransigente ad ogni forma di liberalismo e costituzionalismo, non modifico l'assetto giuridico e amministrativo introdotto dai francesi. In questo periodo, di persecuzioni poliziesche e cospirazioni portate avanti da sette segrete,nel paese le vendite carbonare erano organizzate da Luigi (sacerdote) e Leonardo Dragonetti e Domenico Giura (sacerdote), i quali parteciparono attivamente ai moti del 1820\21. Nel luglio del 1820 il Cancelliere Nicola Viola viene arrestato mentre fomenta la popolazione vestito con il tricolore inneggiando alla costituzione.

5 F. Elefante, Chiaromonte : economia, amministrazione pubblica, cultura, Chiaromonte, Arti

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Il movimento liberale di Chiaromonte aderì al programma mazziniano e nel 1839

“Giosuè e Giuseppe Giura, Emanuele Spaltro, Michelle Cascella e Luigi e Leonardo Dragonetti furono denunziati per cospirazione contro lo Stato, con la costituzione della società segreta S. Pellegrino de Liguori”.

Anche nel 1848 il paese vide alcuni suoi cittadini partecipare ai moti di liberazioni che pervasero l'Italia e l'Europa intera. In quest'occasione i ribelli furono tradotti davanti alla Gran Corte Criminale Speciale di Basilicata, che li condannò, con sentenza del 20/02/1852, con l'accusa di:

« aver formato nell'aprile del 1848 nel comune di Chiaromonte un circolo costituzionale di cui fanno parte in qualità di presidente il sacerdote Domenico Giura, Giuseppe giura (capitano della Guardia nazionale), Francesco Leo (Tenente), Saverio Papaleo (tenente), Giovanni Spaltro e Giuseppe Allegretti (alfieri), Gerardo Viola e altri. Costoro esaltati per l'ultra liberalismo si mostrano avversi al Governo, di talchè eccitavano le Guardie Nazionali, Giura Domenico finanche in Chiesa lo arringava... mandavano agitatori nei paesi vicini... »6.

Il 1860 vide una parziale adesione dei chiaromontesi al movimento liberale unitario: da una parte vi era lo schieramento capeggiato dal Vescovo Acciardi, che vedeva minacciati gli interessi della Chiesa ravvivati nel periodo Borbonico; da un'altra il movimento liberale, che dopo aver aderito al movimento insurrezionale vide i suoi suo esponenti estromessi dalla vita politica, in ragione della politica del nuovo Regno d'Italia che preferiva governare attraverso le elitè, spesso estranee alle richieste delle masse. Il proclama di Francesco II del 4 febbraio del 1861

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diretto a fomentare l'insurrezione e la restaurazione Borbonica, nonostante gli sforzi del Vescovo Acciardi, a Chiaromonte ebbe un seguito molto modesto, limitato all'esposizione di una bandiera borbonica.

L'instaurazione del governo Sabaudo trasformò il “movimento politico” del Brigantaggio, atto alla restaurazione borbonica, «in movimento di lotta sociale e ribellione contro le ingiustizie e i soprusi della nuova classe dirigente »7. Nell'interland chiaromontese le località in cui i Briganti si nascondevano e da cui partivano per le loro rapine “vetturali” erano il Bosco di Magnano e quello di Battifarano. Il capo brigante che operava nella zona era Alessandro Marino, che aveva al suo comando 5 individui. Marino era dichiaratamente Borbonico e prometteva ai suoi sottomessi la restaurazione del regime Borbonico quindi il prossimo “perdono”

del Re Francesco II. Alla compagnia di Marino si aggiunse quella di Antonio Franco di Francavilla. Molti sono i processi contro i Briganti nella zona della Valle del Sinni ma altrettanto numerosi sono i processi intentati contro i loro sostenitori, tra cui Michele Dursi, Il Barone di Battifarano Camillo Villano, il Vescovo Acchiardi ed anche i liberali Emanuele e Luigi Spaltro, che esclusi dalla nuova classe governante parteggiavano per i ribelli armati. Emanuele era stato uno dei fautori della società segreta S. Pellegrino de Liguori nel '39 e Luigi aveva presieduto la giunta insurrezionale a Chiaromonte nell'agosto 1860, al fine di organizzare le forze liberali.

Il 17 marzo 1861 viene proclamata l'Unità d'Italia e Chiaromonte, come tutti i paesi e le città lucane ed italiane, entra a far parte di un organismo complesso e

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unificante, lo Stato Italiano, che, prescindendo dai particolarismi locali che hanno dominato la storia della nostra nazione dalla caduta dell'Impero Romano all'Unità d'Italia, non solo attua un programma di omogeneizzazione delle strutture amministrative e di governo, ma include insieme ad esse la storia di tutto il territorio italiano nella storia più generale della Repubblica Italiana.

Pochi sono dall'Unità ad oggi gli episodi di rilevanza storico-locale che hanno inciso sulle condizioni della comunità di Chiaromonte - e di molti paesi della Basilicata . Con la caduta dei Borboni e l'espansione dell'egemonia del Piemonte sabaudo, il Meridione, già fortemente escluso dalle dinamiche storico-politiche- economiche italiane ed europee, assume un ruolo ancor più marginale, sia per la mancanza di investimenti economici e culturali sia per la generale condizione di

“arretratezza” con cui molta parte del meridione ha inaugurato l'ingresso nella nazione Italiana. Tutto questo ha creato un'immagine stereotipata del sud Italia e della Basilicata, in particolare, bollandola – come indica Faeta in Fotografi e Fotografie – con l'esotica raffigurazione delle “Indie Quaggiù”: immagine che ha appesantito senza risolverla del tutto l'annosa “questione meridionale”. Questione che ha in sé i dati della storia di quasi tutto il meridione di Italia che, ormai, da 150 anni vive avvinghiato ai suoi reali o esotici problemi.

Ed è in questo ambito che si colloca a Chiaromonte una delle ricerche più interessanti e controverse nel – e sul – Meridione Italiano. É la ricerca condotta nel 1955 da Edward C. Banfield a Chiaromonte, presentata nel 1958 in “Le Basi Morali di Una Società Arretrata”.

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I pochi eventi significativi che in qualche modo hanno modificato l'organizzazione e le condizioni della comunità di Chiaromonte nell'ultimo secolo sono:

- il trasferimento della cattedra ambulante d'Agricoltura del Ministero, da Lagonegro a Chiaromonte nel 1907, con lo scopo di migliorare la produttività e l'organizzazione delle terre contivate;

- l'incorporazione dei Comuni di Teana e Fardella nel Comune di Chiaromonte dal 1928 (fino 1947 per Teana);

- la costruzione dell'Ospedale di Chiaromonte, avviata nel 1950 e ultimata nel 1969;

- l'istituzione del Parco Nazionale del Pollino nel 1988 e l'avvio delle attività del Parco tra il 1992 e il 1994.

Chiaromonte fu il primo Comune della Basilicata dopo la Seconda Guerra Mondiale a dotarsi di un moderno Palazzo Municipale. I lavori iniziarono nel 1953 e l’inaugurazione avvenne nel 1954 con il Sindaco De Judicibus.

Negli ultimi decenni la posizione geografica e territoriale che ha permesso, per secoli, la salvaguardia del paese è stata una delle cause della emigrazione e dello spopolamento. Oggi Chiaromonte conta 2.000 abitanti (censimento 2011) contro i 3.400 del 1961 e i 3.200 del 1871.

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1.2.1 La società chiaromontese negli anni 50: lo studio di Banfield

Tra il 1954 e il 1955 per soli nove mesi Edward C. Banfield (1916–1999) soggiorna a Chiaromonte insieme a sua moglie, Laura Fasano, e i suoi due figli.

Durante la permanenza lo studioso consulta i dati dei censimenti, raccoglie memoriali, autobiografie, libri di conti che aveva chiesto di compilare ad alcuni contadini e sottopone buona parte delle popolazione ai TAT, tests di appercezione tematica. Nel 1958 pubblica il libro “The Moral Basis of a Backward Society”, in cui attraverso l'analisi dei dati raccolti nel paese lucano propone la tesi del

“Familismo Amorale”.

La domanda da cui parte è: qual è la causa dell'arretratezza del Meridione Italiano e in particolar modo del piccolo centro di Montegrano (nome con cui viene identificato Chiaromonte nel libro)?

La sua analisi si concentra su tre ambiti della vita del paese: l'economia, quindi l'occupazione lavorativa e il rapporto produzione-risorse; l'attività politica, quindi il rapporto storico tra questa e la popolazione; e la condizione culturale.

Per quanto riguarda la distribuzione del lavoro evidenzia il fatto che i 3\4 degli abitanti sono contadini o braccianti e la maggior parte di loro coltiva piccoli appezzamenti di terreno, che non forniscono sufficienti risorse da permettere un livello di vita che non sia miseria.

Circa il rapporto e l'azione della politica verso la comunità pone l'accento su due fatti. Il primo è la totale diffidenza della popolazione verso coloro che fanno

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attività politica e il secondo è l'assenza di promozione dell'associazionismo da parte della politica e anche dei componenti delle classi abbienti e del clero: quindi l'assenza di leaders capaci di raccogliere intorno a loro – anche – “clientele”, con il fine di promuovere azioni comunitarie.

L'ambito culturale viene chiamato dal Banfield “Ethos”. Termine con cui egli intende “l'insieme di modelli che hanno poca attinenza con la pratica”, cioè come, secondo i montegranesi, si dovrebbe agire e come essi agiscono nella vita quotidiana, sulla base di “sentimenti, valori, credenze e idee che sono in armonia con l'Ethos”.

Su questo fronte emerge il “Familismo Amorale”, cioè l'atteggiamento secondo cui le categorie del bene e del male esistono solo in rapporto alla famiglia nucleare e sono del tutto assenti nei rapporti esterni ad essa, anzi al di fuori il bene e il male sono tali solo in rapporto di convenienza con essa:

... coloro che sono fuori dalla stretta cerchia familiare sono per lo meno competitori potenziali, e quindi anche nemici potenziali. Il solo atteggiamento verso coloro che non fanno parte della famiglia è il sospetto.8

Secondo Banfield la principale causa-conseguenza del Familismo Amorale è la concezione culturale della vita in rapporto alla distribuzione delle risorse, a cui consegue la totale assenza di azioni comuni volte al bene comune.

La frammentazione della proprietà, la poca produttività del terreno, l'assenza di capi, quindi la totale diffidenza della popolazione nelle istituzioni, nella politica e nelle azioni comunitarie, partecipano alla “costruzione” del Familismo Amorale,

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catastrofici che facilmente potrebbero mettere in crisi un sistema basato sulla famiglia nucleare.

Nel nono capitolo lo studioso propone alcuni espedienti per superare la radicalizzazione dell'individualismo - o familismo - amorale:

“ … i pianificatori dispongono di due possibili approcci alternativi: uno, eliminare le condizioni che producono le caratteristiche negative dell'ethos del familismo amorale. … L'altro approccio è l'intervento, non sulla situazione di fondo, ma sugli attori stessi: questa è tecnica “tradizionale”

dell'educazione. La migliore educazione per la gente di Montegrano sarebbe costituita dalla presenza in mezzo a loro, per venti o trenta anni almeno, di una trentina di famiglie delle media o alta borghesia... che fungessero, in modo più o meno consapevole, da maestri e leaders.9

Anche se nella conclusione di quest'ultimo capitolo lo studioso palesa la consapevolezza che espedienti del genere non è certo che producano un cambiamento positivo dell'ethos e che il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione di Montegrano deve partire dalla promozione dell'associazionismo da parte delle istituzioni, che devono “ incoraggiare le iniziative locali... e impedire la corruzione”. Quindi, lascia intendere Banfield, più che famiglie dell'alta borghesia come insegnanti i Montegranesi avrebbero bisogno di una squadra di calcio o di un giornale locale, i quali creerebbero “un senso di appartenenza alla medesima comunità”, dando sempre meno spazio o indirizzando diversamente l'Individualismo (o Familismo) Amorale.

L'affermazione che ha consacrato il Familismo Amorale come caratteristica tipica della Lucania e del Meridione Italiano è quella che Banfield fa all'introduzione del

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libro e che forse è quella che meglio descrive gli intenti e i risultati di buona parte degli studi condotti nel dopo guerra nel Sud Italia:

“... tuttavia sembra possibile affermare che, per taluni aspetti che interessano questo studio, Montegrano è abbastanza “tipico” per Sud, cioè per il resto della Lucania, per gli Abruzzi e la Calabria, per le zone interne della Campania e per le coste Siciliane”10.

Al di là delle considerazione sul Familismo Amorale l'opera di Banfield è un ottimo repertorio del periodo che prende in considerazione, in cui si possono trovare informazioni sia sulla composizione della società chiaromontese negli anni '50, sia spunti sulla situazione del Meridione nel dopoguerra, sia “fotografie” della storia dell'emancipazione dalla piccola proprietà dei contadini meridionali.

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