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GIDM 23, 33-40, 2003

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G I D M

23, 33-40, 2003

La ricerca in Italia

L E LDL DIABETICHE INIBISCONO LA PROGRESSIONE DEL CICLO CELLULARE VIA STAT5B E P 21

WAF

MF Brizzi*, P Dentelli*, M Pavan*, A Rosso*, R Gambino*,

MG De Cesaris**, G Garbarino*, G Camussi*, G Pagano*, L Pegoraro*

*Dipartimento di Medicina Interna, Università di Torino;

**Dipartimento di Scienze Mediche, Università Piemonte Orientale, Novara

Journal Clinical Investigation 109:

111-119, 2002

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

La ricerca è stata svolta con lo scopo di studiare i meccanismi molecolari che sono alla base del danno endoteliale indotto dalla presenza di LDL qualitativamente modificate (glicate), quali possono essere quelle dei pazienti diabetici.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

È noto da studi epidemiologici longitudinali che il diabete comporta un aumento del danno vascolare su base aterosclerotica. Studi fisiopatologici hanno evidenziato nume- rose ipotesi interpretative, riguardanti il danno ossidativo, le glicazioni non enzimatiche, la presenza di iperlipidemie ecc. In particolare, alterazioni delle LDL circolanti (glicazio- ne, ossidazione, glicossidazione) sono state avanzate su base sperimentale, ma i mecca- nismi molecolari sono al momento solo in parte conosciuti. Il presente studio è stato impostato al fine di evidenziare le prime tappe del danno vascolare a livello endoteliale svolto dalle LDL di soggetti diabetici in cattivo compenso glicometabolico.

Sintesi dei risultati ottenuti

Le LDL isolate da soggetti diabetici in cattivo compenso glicometabolico (LDL-dm) (emoglobina glicata > 10,0%) si sono dimostrate caratterizzate da un rapporto coleste- rolo/apoB compreso tra 1,3 e 1,4 mg/mg e da un gradiente di densità ultracentrifugale compatibile con un pattern di tipo B rispetto a controlli sani e a diabetici in buon com- penso metabolico (emoglobina glicata < 7,0%). Quando le cellule endoteliali umane venivano trattate con le LDL isolate da questi pazienti si evidenziava un aumento del numero delle cellule in fase G1 del ciclo cellulare (indicatore di ridotta capacità di dupli- cazione). Sui possibili meccanismi molecolari responsabili di questo effetto sempre più numerose sono le osservazioni relative alla regolazione dell’espressione di proteine ciclo- correlate, come la proteina p21

waf

. L’espressione di questa proteina è risultata aumenta- ta nelle cellule endoteliali trattate con le LDL ottenute dai pazienti diabetici in cattivo compenso metabolico. Tale aumento può dipendere da meccanismi differenti, che includono quello trascrizionale. Per approfondire questa ipotesi, si è valutata la capacità delle LDL-dm di indurre la trascrizione di p21

waf

e il possibile ruolo di un fattore trascri- zionale come mediatore intermedio. I risultati ottenuti hanno dimostrato che la regola- zione trascrizionale della p21

waf

è operata dalla STAT5B, proteina che appartiene alla clas- se delle proteine STAT (signal transduction and activators of transcription), di cui sono noti, al momento, almeno 7 membri diversi. La conferma del ruolo determinante svolto da questo fattore trascrizionale nella regolazione di questo evento è stata ottenuta mediante trasferimento in cellule endoteliali di una proteina STAT5 mutata (funzional- mente inattiva: dominante negativo). I risultati di questo esperimento hanno chiara- mente dimostrato che l’assenza della proteina funzionalmente attiva aboliva l’effetto ini- bitorio indotto dalle LDL-dm sul ciclo cellulare. Una conferma in vivo del ruolo svolto dal fattore trascrizionale e dalla p21

waf

è stata ottenuta analizzando placche aterosclerotiche di pazienti ipercolesterolemici e diabetici. In questi campioni, ma non in quelli di sog- getti normali, si è dimostrata la presenza della proteina STAT5 attivata e l’espressione di p21

waf

nelle cellule endoteliali che delimitano i vasi neointimali.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguar- do al problema iniziale?

Si sono approfonditi gli aspetti molecolari di un fenomeno altrimenti riconosciuto solo in maniera superficiale.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Sono stati successivamente studiati gli aspetti qualitativi delle alterazioni strutturali delle LDL-dm, il recettore implicato nell’induzione della risposta biologica, nonché la chinasi responsabile della attivazione del fattore trascrizionale STAT5. Il lavoro è in stampa su Diabetes 2002.

L A RICERCA IN I TALIA

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La ricerca in Italia

T HE EFFECT OF RALOXIFENE ON GLYCO -

INSULINEMIC HOMEOSTASIS IN HEALTY POSTMENOPAUSAL WOMEN : A RANDO -

MIZED PLACEBO - CONTROLLED STUDY

F Cucinelli*, L Soranna**, D Romualdi*, G Muzj*, S Mancuso*, A Lanzone**

*Dipartimento di Ginecologia e Ostetricia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma;

**OASI Maria SS Istituto di Ricerche, Troina (Enna) J Clin Endocrinol Metab 87:

4186-4192, 2002

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Valutazione del metabolismo glico-insulinemico in relazione al trattamento specifico.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Si tratta di uno dei primi lavori sull’argomento.

Sintesi dei risultati ottenuti

Miglioramento della secrezione insulinemica nelle pazienti iperinsulinemiche in meno- pausa.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguar- do al problema iniziale?

Si tratta di risultati nuovi rispetto alle conoscenze sul trattamento farmacologico.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Valutazione dei meccanismi biologici.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Personalizzazione della terapia.

L A RIDUZIONE DELLE LDL CON

SIMVASTATINA SI ACCOMPAGNA A UNA RIDUZIONE CORRELATA DELLA FORMAZIONE DI F

2

- ISOPROSTANI IN SOGGETTI IPERCOLESTEROLEMICI – N ESSUN EFFETTO AGGIUNTIVO DELLA VITAMINA E

LDL

LEVEL REDUCTION BY THE

3-

HYDROXY

-3-

METHYL

-

GLUTARYL COENZY

-

ME

-A

INHIBITOR SIMVASTATIN IS ACCOM

-

PANIED BY A RELATED REDUCTION OF

F

2

-

ISOPROSTANE FORMATION IN HYPERCHOLE

-

STEROLEMIC SUBJECTS

– N

O FURTHER EFFECT OF VITAMIN

E

R De Caterina, F Cipollone*, FP Filardo**, M Zimarino, W Bernini*, G Lazzerini*, T Bucciarelli°, A Falco*, P Marchesani*, R Muraro°°, A Mezzetti*, G Ciabattoni°°°

From the Chair of Cardiology, the Departments of *Medicine and Aging, °Biomedical Sciences,

°°Oncology and Neurosciences and °°°Drug Sciences, “G.

d’Annunzio” University, Chieti;

**Laboratory for Thrombosis and Vascular Research, CNR Institute of Clinical Physiology, Pisa, Italy Circulation 106: 2543-2549, 2002

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Chiarire se la riduzione della colesterolemia, ottenuta con una statina, determini una riduzione di indici sistemici di “stress ossidativo”, e se l’aggiunta di vitamina E possa apportare ulteriori vantaggi.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Era noto che l’ipercolesterolemia si accompagna ad aumentato stress ossidativo, misu- rato con vari indici. Si sapeva altresì che la vitamina E può ridurre efficacemente l’au- mentato stress ossidativo. Non era affatto noto se l’aggiunta di vitamina E a un’efficace riduzione della colesterolemia da parte di una statina potesse determinare vantaggi ulte- riori. Di fatto, la stragrande maggioranza degli studi clinici con vitamina E nella preven- zione della cardiopatia ischemica sono stati fallimentari.

Sintesi dei risultati ottenuti

La simvastatina ha ridotto efficacemente indici sistemici di stress ossidativo come l’e- screzione urinaria di F

2

-isoprostani, a livelli simili a quelli riscontrabili in soggetti norma- li. L’aggiunta di vitamina E non ha ulteriormente modificato questi livelli. L’escrezione di F

2

-isoprostani è risultata molto ben correlata con i livelli di colesterolo LDL.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguar- do al problema iniziale?

Questi risultati indicano chiaramente che gli antiossidanti (come la vitamina E) hanno possibilità di essere efficaci solo in condizioni di aumentato stress ossidativo, e che le sta- tine hanno un effetto importante di riduzione dello stress ossidativo, forse indipendente dalla riduzione del colesterolo. La vitamina E somministrata quando lo stress ossidativo è già ridotto a valori “basali” da un altro trattamento efficace in questo senso non ha pre- supposti logici per apportare ulteriore beneficio.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Sarà importante chiarire se questo effetto della statina si verifichi indipendemente dalla sua efficacia ipocolesterolemizzante.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Questo studio consente di interpretare almeno parzialmente il fallimento degli studi cli- nici con vitamina E nella cardiopatia ischemica, spesso condotti su soggetti ipercoleste- Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Questo studio riconosce in un meccanismo molecolare la responsabilità di un evento

biologico non permettendo pertanto una ricaduta clinica immediata. Tuttavia, identifi-

ca e caratterizza una tessera che permetterà, un giorno forse non troppo lontano, di rico-

struire il mosaico completo dei meccanismi fisiopatogenetici implicati nella accelerata

aterogenesi che caratterizza la storia naturale della malattia diabetica.

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La ricerca in Italia

A SSESSMENT OF ASYMPTOMATIC CORONARY ARTERY DISEASE IN APPAREN -

TLY UNCOMPLICATED TYPE 2 DIABETIC

PATIENTS

C Gazzaruso, A Garzaniti, S Giordanetti, C Falcone, E De Amici, D Geroldi, P Fratino IRCCS Fondazione Maugeri, UO Medicina Interna; Istituto di Cardiologia, Università di Pavia Diabetes Care 25: 1418-1424, 2002

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Lo studio si inserisce nel dibattito sullo screening dell’ischemia silente nel diabetico.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

La lipoproteina(a) e il polimorfismo dell’apo(a) come potenziali predittori di ischemia silente nei diabetici non erano mai stati indagati.

Sintesi dei risultati ottenuti

Lo studio ha dimostrato una forte associazione del polimorfismo di apo(a), della microal- buminuria, del fumo e della lipoproteina(a) con la presenza della coronaropatia asinto- matica angiograficamente documentata.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguar- do al problema iniziale?

I nostri risultati suggeriscono l’opportunità di inserire nuovi marcatori tra i fattori di rischio attualmente consigliati dalle linee guida per l’identificazione dei diabetici da avviare a screening per ischemia silente.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

La ricerca futura dovrebbe identificare nuovi marcatori di ischemia silente con l’obietti- vo di creare un panel di fattori di rischio. Si potrà così creare uno scoring system per stra- tificare il rischio globale per ischemia silente e identificare i diabetici da avviare a screen- ing.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

I nostri risultati dovrebbero essere confermati. Dovrebbero poi essere standardizzate le metodiche di laboratorio per Lp(a) e polimorfismo di apo(a); è poi necessario stabilire un cut-off del polimorfismo di apo(a) per uso clinico. Tuttavia, i nostri dati suggeriscono che la presenza di elevati livelli di Lp(a) e/o di fenotipi di apo(a) a basso peso molecolare insieme ad almeno un altro fattore di rischio cardiovascolare potrebbero costituire indi- cazione allo screening per l’ischemia silente nel paziente diabetico di tipo 2.

C ONCOMITANT IMPAIRMENT OF GH

SECRETION AND PERIPHERAL SENSITIVITY IN OBESE PATIENTS WITH OBSTRUCTIVE SLEEP APNEA SYNDROME

L Gianotti, S Pivetti, F Lanfranco, F Tassone, F Navone, E Vittori, R Rossetto, C Gauna,

S Destefanis, S Grottoli, R De Giorgi, V Gai, E Ghigo, M Maccario

Divisione di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, Dipartimento di Medicina Interna, Università di Torino;

Divisione di Medicina d’Urgenza, ASO San Giovanni Battista, Torino

J Clin Endocrinol Metab 87: 5052-5057, 2002

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Valutare la funzionalità dell’asse GH/IGF-I in pazienti obesi con sindrome dell’apnea ostruttiva notturna (OSAS), confrontandola con quella di soggetti con obesità semplice (OB) e di soggetti normopeso (NS). La sindrome, analogamente a quanto osservato nel- l’obesità semplice, è caratterizzata da numerose alterazioni endocrine, tra cui modifica- zioni dell’attività dell’asse GH/IGF-I.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Precedentemente al nostro studio era nota l’esistenza di livelli basali di GH e IGF-I ridot- ti in OSAS, ma non era mai stata valutata la capacità secretoria ipofisaria di GH né la sen- sibilità periferica al GH stesso.

Sintesi dei risultati ottenuti

I livelli basali di GH in OSAS sono risultati simili a quelli in OB e in entrambi i gruppi signi- ficativamente inferiori a quelli in NS. La risposta di GH a GHRH + arginina in OSAS si è dimostrata significativamente inferiore a quella in OB che, a sua volta, è risultata marca- tamente inferiore a quella in NS. I livelli basali di IGF-I in OSA sono risultati inferiori rispet- to a quelli in OB che sono risultati inferiori rispetto a NS. In OSA la somministrazione di rhGH non ha modificato significativamente i livelli di IGF-I mentre ne ha indotto un signi- ficativo incremento in OB e in NS.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguardo al problema iniziale?

I risultati ottenuti hanno dimostrato che, rispetto ai pazienti con obesità semplice, i

pazienti obesi con OSAS presentano una più spiccata compromissione della secrezione

rolemici già trattati con statine. Questo studio è un ulteriore incentivo a ridurre gli ele-

vati livelli di colesterolo LDL nella cardiopatia ischemica, di per sé correlati con aumen-

to di produzione di specie reattive dell’ossigeno.

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somatotropa e della sensibilità periferica al GH, suggerendo l’ipotesi che l’OSAS in sé comprometta l’attività dell’asse GH/IGF-I, indipendentemente dall’adiposità. La pato- genesi di queste peculiari alterazioni può essere ricercata nelle alterazioni qualitative e quantitative del sonno e nell’ipossia.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Valutare la possibile correzione delle alterazioni funzionali dell’asse GH/IGF-I dopo ven- tilazione assistita, indipendentemente da variazioni ponderali.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

La correzione del disturbo ventilatorio può essere in grado di correggere, almeno in parte, la ridotta attività dell’asse GH/IGF-I che ostacola il calo ponderale e influenza negativamente il profilo metabolico.

La ricerca in Italia

L IVER VOLUME AND VISCERAL OBESITY IN WOMEN WITH HEPATIC STEATOSIS UNDERGOING GASTRIC BANDING

L Busetto*, A Tregnaghi**, F De Marchi***, G Segato***, M Foletto***, G Sergi*, F Favretti***, M Lise***, G Enzi*

*Department of Medical and Surgical Sciences; **Institute of Radiology; ***Department of Surgical and Oncological Sciences, University of Padova, Italy

Obesity Research 10: 408-411, 2002

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

L’obesità viscerale si associa caratteristicamente ad anomalie multiple del metabolismo, nel quadro della sindrome metabolica. La steatosi epatica è più frequente nell’obesità viscerale e pure associata ad alterazioni metaboliche. Le relazioni tra obesità viscerale, sindrome metabolica e steatosi epatica sono complesse e in gran parte ancora non chia- rite.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Secondo una linea interpretativa, l’obesità viscerale causa alterazioni metaboliche in quanto il tessuto adiposo viscerale, che è drenato dal sistema portale, invia i suoi prodotti metabolici direttamente al fegato. Il conseguente iperafflusso epatico di acidi grassi cau- serebbe iperproduzione di VLDL, stimolerebbe la gluconeogenesi epatica e inibirebbe la clearence epatica dell’insulina, causando iperinsulinemia periferica. L’infiltrazione epato- citaria di trigliceridi, ovvero l’equivalente istologico della steatosi epatica, è risultato direttamente correlato allo sviluppo di insulino-resistenza a livello epatico.

Sintesi dei risultati ottenuti

In un gruppo di 6 donne pre-menopausali con obesità viscerale e steatosi epatica sono stati studiati con RMN total-body la distribuzione del tessuto adiposo e il volume epati- co prima e dopo intervento chirurgico di bendaggio gastrico regolabile. Alla valutazione iniziale, il volume epatico è risultato positivamente correlato con il volume del tessuto adiposo viscerale, ma non con il volume adiposo sottocutaneo totale o distrettuale. Nelle prime 8 settimane dopo l’intervento, in associazione con un calo ponderale di circa 10 kg, venivano osservate sia una riduzione preferenziale del volume del tessuto adiposo viscerale sia una riduzione significativa del volume epatico (–12%). La riduzione nei livel- li di insulina osservata dopo calo ponderale è risultata correlata sia alla riduzione del volu- me del tessuto adiposo viscerale, sia alla riduzione del volume epatico.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguar- do al problema iniziale?

La relazione tra tessuto adiposo viscerale e volume epatico e la relazione tra riduzione del grasso viscerale, riduzione della massa epatica e miglioramento dell’iperinsulinemia sup- portano un rapporto causa-effetto tra sviluppo di obesità viscerale, steatosi epatica e insulino-resistenza.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Potrebbe essere interessante valutare questi fenomeni in condizioni diverse da quelle chi- rurgiche o con l’uso di farmaci specificamente sviluppati per produrre una riduzione del tessuto adiposo viscerale.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Dal punto di vista pratico, le ricadute immediate sono in campo chirurgico.

L’epatomegalia e l’obesità viscerale costituiscono frequenti motivi di conversione alla via

aperta in intervento di bendaggio gastrico per via laparoscopica. La loro riduzione

durante al prima fase del calo ponderale potrebbe consigliare una riduzione ponderale

pre-operatoria in pazienti con obesità viscerale e steatosi epatica severa.

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La ricerca in Italia

P ATIENTS WITH MULTIPLE SCLEROSIS AND RISK OF TYPE 1 DIABETES MELLITUS IN

S ARDINIA , I TALY : A COHORT STUDY

MG Marrosu, E Cocco, M Lai, G Spinicci, MP Pischedda, P Contu

Centro Sclerosi Multipla, Dipartimento di Neuroscienze, Ospedale Binaghi, Cagliari The Lancet 359: 1461-1465, 2002

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Partendo dall’evidenza che la Sardegna è una delle aree a maggior prevalenza di sclero- si multipla (SM) e diabete insulino-dipendente (T1D), abbiamo voluto studiare se nella popolazione Sarda affetta da SM il rischio di T1D fosse più elevato rispetto alla popola- zione generale.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

La co-associazione tra SM e T1D è stata in precedenza descritta solo in casi clinici singo- li e in piccoli studi epidemiologici. Non era mai stato descritto un aumento della preva- lenza di T1D in pazienti affetti da SM né tanto meno era mai stato valutato il rischio di ammalare di T1D in questa popolazione.

Sintesi dei risultati ottenuti

La prevalenza di T1D nei pazienti con SM è risultata essere rispettivamente 3 e 5 volte superiore rispetto ai loro fratelli sani e rispetto alla popolazione Sarda generale. Il rischio di ammalare di T1D risulta essere maggiore negli individui (sia malati di SM sia fratelli sani) che presentano altri parenti di primo grado affetti da SM oltre al paziente indice.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguar- do al problema iniziale?

Questi risultati indicano che geni comuni contribuiscono alla predisposizione alla SM e a T1D in Sardegna.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Ricerca di geni coinvolti nella predisposizione genetica comune alle due malattie o alla autoimmunità in generale.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Maggior attenzione nei confronti delle malattie autoimmuni associate alla SM.

E NDOCRINE ACTIVITIES OF CORTISTATIN -14 (CST) AND ITS

INTERACTION WITH GHRH AND GHRELIN IN HUMANS

F Broglio, E Arvat, A Benso, C Gottero, F Prodam, S Grottoli, M Papotti, G Muccioli, AJ van der Lely*, R Deghenghi, E Ghigo Medicina Interna, Università di Torino; *Erasmus University of Rotterdam, The Netherlands J Clin Endocrinol Metab 87:

3783-3790, 2002

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Valutare possibili attività endocrine di CST nell’uomo ed eventuali interazioni con ghre- lina e GHRH.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

CST è un neuropepetide corticale con elevata omologia con la somatostatina (SS), di cui lega tutti i sottotipi recettoriali, pur non possedendo attività completamente sovrappo- nibili. Diversamente da SS, CST lega anche il recettore di ghrelina.

Sintesi dei risultati ottenuti

Nell’uomo, al pari di SS, CST inibisce la secrezione spontanea di GH e insulina e la secre- zione di GH stimolata da ghrelina o GHRH.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguar- do al problema iniziale?

È stato per la prima volta dimostrato che nell’uomo CST condivide le attività endocrine di SS.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Studiare il significato biologico del legame di CST con il recettore di ghrelina.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Saranno da valutare l’ipotetico utilizzo diagnostico e terapeutico di CST al posto di o

complementare a quello di SS.

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La ricerca in Italia

I NFLUENZA DEL SOLO GRASSO IN ECCESSO SU MORFOLOGIA E FUNZIONE CARDIACA : STUDIO NELL ’ OBESITÀ NON COMPLICATA

G Iacobellis, M Ribaudo, G Leto, A Zappaterreno, E Vecci, U Di Mario, F Leonetti Endocrinologia, Dipartimento Scienze Cliniche, Università La Sapienza, Roma

Obesity Research 10: 767-773, 2002

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Valutare se l’obesità non complicata, senza intolleranza glucidica, diabete, dislipidemia e ipertensione, si associ realmente ad alterazioni morfo-funzionali cardiache.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

L’obesità è sempre stata associata a ipertrofia ventricolare sinistra, disfunzione diastolica e sistolica.

Sintesi dei risultati ottenuti

Nessuna differenza nella massa ventricolare sinistra indicizzata negli obesi non compli- cati rispetto ai soggetti normopeso. I pazienti obesi presentano solo l’atrio sinistro e la radice aortica ingranditi. Queste alterazioni morfologiche sono associate a modificazio- ni funzionali: alterata diastole e sistole ipercinetica. I pazienti con obesità di grado seve- ro non mostrano differenze significative nella massa ventricolare sinistra rispetto ai pazienti con obesità lieve e intermedia.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguar- do al problema iniziale?

Rigida selezione di pazienti obesi non complicati.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Ruolo dell’insulino-resistenza sui parametri cardiaci e intervallo QT nell’obesità non com- plicata.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

L’eccesso di grasso di per sé, anche se in misura severa e di lunga durata, non si associa a una vera cardiopatia, ma determina solo alterazioni funzionali o morfologiche a queste ultime correlate. L’obesità non complicata può forse rappresentare un minor rischio car- diovascolare.

L A SUPPLEMENTAZIONE DI VITAMINA E

RIDUCE I LIVELLI CIRCOLANTI

DI VASCULAR CELL ADHESION MOLECOLE

(VCAM)-1 E DI FATTORE VON

W ILLEBRAND ED AUMENTA LE CONCENTRAZIONI PLASMATICHE DI OSSIDO NITRICO NEI PAZIENTI CON IPERCOLESTEROLEMIA ISOLATA . G Desideri, MC Marinucci, G Tomassoni, PG Masci, A Santucci, C Ferri Dipartimento di Medicina Interna e Sanità Pubblica, Università di l’Aquila

Journal of Clinical Endocrinology

& Metabolism 2002;

87: 2940-2945

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Lo studio è stato finalizzato a valutare il comportamento dei livelli circolanti della fra- zione solubile di VCAM-1, riconosciuto marker di attivazione endoteliale, nei pazienti ipercolesterolemici e gli effetti negli stessi pazienti della somministrazione esogena del- l’antiossidante vitamina E sulla attivazione endoteliale aterogena.

Quale era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

L’attivazione endoteliale svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo e nella progres- sione dell’aterosclerosi. Il nostro studio è stato il primo a) ad investigare il comporta- mento della frazione solubile di VCAM-1 in pazienti ipercolesterolemici accuratamente selezionati per essere liberi da altri fattori di rischio cardiovascolare ed esenti da lesioni aterosclerotiche già sviluppate, b) a valutare gli effetti della supplementazione dietetica con vitamina E sui livelli circolanti di questo marker di attivazione endoteliale.

Sintesi dei risultati ottenuti

L’ipercolesterolemia isolata è risultata associata ad aumentati livelli circolanti della fra- zione solubile di VCAM-1 e ridotta biodisponibilità di ossido nitrico. Tali alterazioni sono state efficacemente corrette dalla supplementazione esogena di vitamina E.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguardo al problema iniziale?

Il nostro studio ha fornito una chiara dimostrazione di come nel paziente ipercolestero- lemico sia presente una precoce attivazione endoteliale aterogena, suscettibile di esse- re efficacemente corretta dalla somministrazione di vitamina E.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Valutare se l’effetto protettivo della vitamina E nei confronti della attivazione endotelia- le nel paziente ipercolesterolemico senza evidenza di malattia aterosclerotica manifesta possa tradursi in una efficace prevenzione primaria degli eventi cardiovascolari.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

La supplementazione esogena di vitamina E a dosaggi adeguati potrebbe rappresenta-

re un prezioso strumento di protezione vascolare nell’ipercolesterolemia isolata.

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G I D M Rassegna

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I NFLUENZA DEL SOLO GRASSO IN ECCESSO SU MORFOLOGIA E FUNZIONE CARDIACA : STUDIO NELL ’ OBESITÀ NON COMPLICATA

G Iacobellis, M Ribaudo, G Leto, A Zappaterreno, E Vecci, U Di Mario, F Leonetti Endocrinologia, Dipartimento Scienze Cliniche, Università La Sapienza, Roma

Obesity Research 10: 767-773, 2002

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Valutare se l’obesità non complicata, senza intolleranza glucidica, diabete, dislipidemia e ipertensione, si associ realmente ad alterazioni morfo-funzionali cardiache.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

L’obesità è sempre stata associata a ipertrofia ventricolare sinistra, disfunzione diastolica e sistolica.

Sintesi dei risultati ottenuti

Nessuna differenza nella massa ventricolare sinistra indicizzata negli obesi non compli- cati rispetto ai soggetti normopeso. I pazienti obesi presentano solo l’atrio sinistro e la radice aortica ingranditi. Queste alterazioni morfologiche sono associate a modificazio- ni funzionali: alterata diastole e sistole ipercinetica. I pazienti con obesità di grado seve- ro non mostrano differenze significative nella massa ventricolare sinistra rispetto ai pazienti con obesità lieve e intermedia.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze riguar- do al problema iniziale?

Rigida selezione di pazienti obesi non complicati.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Ruolo dell’insulino-resistenza sui parametri cardiaci e intervallo QT nell’obesità non com- plicata.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

L’eccesso di grasso di per sé, anche se in misura severa e di lunga durata, non si associa

a una vera cardiopatia, ma determina solo alterazioni funzionali o morfologiche a queste

ultime correlate. L’obesità non complicata può forse rappresentare un minor rischio car-

diovascolare.

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