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Academic year: 2021

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Le normative antinquinamento

1.1. Introduzione

I processi di ossidazione del combustibile che si svolgono all’interno di un motore a combustione interna comportano la trasformazione di energia chimica in energia termica e l’emissione in atmosfera di sostanze inquinanti.

Nei gas prodotti dalla combustione di un motore ad accensione comandata, sono contenute diverse tipologie di inquinanti:

• gli ossidi di azoto NO e NO2, indicati generalmente con NOx, i quali possono causare

danni alle vie respiratorie, smog o, in particolari condizioni, le cosiddette “piogge acide”; • gli idrocarburi incombusti (detti generalmente HC), derivanti dalla mancata o incompleta

decomposizione del combustibile, alcuni dei quali (come il benzene) sono cancerogeni ed altri sono tossici;

• il monossido di carbonio CO, ottenuto per la combustione incompleta degli idrocarburi ad alta temperatura e per l’assenza di ossigeno. E’ una sostanza altamente pericolosa per l’uomo, in quanto anche piccole concentrazioni possono provocare avvelenamento o addirittura la morte;

• i prodotti dell’ossidazione di impurità del combustibile, ad esempio lo zolfo che provoca le piogge acide;

• l’anidride carbonica CO2, che, pur non essendo dannosa per l’ambiente, potrebbe

contribuire nel lungo periodo ad apportare modifiche al clima a causa dell’effetto serra. Per contenere l’impatto ambientale, sono state introdotte dai principali Paesi industrializzati normative antinquinamento, le quali prevedono l’applicazione di limiti alle emissioni di CO, HC ed NOx che i veicoli devono rispettare al momento dell’omologazione.

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Il rilievo delle emissioni inquinanti è realizzato durante l’esecuzione di un ciclo rappresentativo del reale esercizio del motore.

Il ciclo è eseguito in una sala prove, su un banco dinamometrico a rulli e, durante il suo svolgimento, i gas di scarico sono aspirati da una pompa ed in seguito analizzati per effettuare il confronto con i limiti prescritti.

Fig. 1.1: schema di una sala prove per il rilievo delle emissioni

Per garantire che queste norme possano essere rispettate dai veicoli durante il loro normale funzionamento, la legislazione obbliga i costruttori a dotare le unità elettroniche di controllo di sistemi diagnostici, capaci di segnalare un eventuale malfunzionamento dei componenti o della stessa unità di controllo.

1.2. La normativa europea per la riduzione delle emissioni inquinanti

Con la direttiva ECE 91/441 del 1991 l’Unione Europea ha iniziato a fissare questi limiti, introducendo quattro diverse fasi di attuazione, denominate EURO, cui corrisponde l’abbassamento progressivo dei livelli tollerabili di emissione.

Da gennaio 2005 entrerà in vigore la fase EURO 4, che obbliga le case costruttrici a garantire una corretta funzionalità dei componenti introdotti per ridurre le emissioni per almeno 100000 km o cinque anni di vita. Per assicurare nel tempo il rispetto dei limiti imposti, i veicoli sottoposti al ciclo di prova devono avere già percorso 4000 km (“veicolo stabilizzato”), le emissioni sono poi moltiplicate per un “fattore di deterioramento”, pari al 20%, e confrontate con i valori tollerabili.

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CO [g/km] HC [g/km] NOx [g/km] HC+NOx [g/km]

EURO 1 2.72 - - 0.97

EURO 2 2.2 - - 0.5

EURO 3 2.3 0.2 0.15 -

EURO 4 1.0 0.1 0.08 -

Tab. 1.1: limiti previsti dalla normativa europea

La procedura attualmente impiegata dagli Stati europei prevede l’esecuzione di un ciclo denominato ECE-EUDC (Economic Commission for Europe - Extra-Urban Driving Cycle), costituito da una parte urbana ed una extraurbana. La direttiva 91/441 ed i suoi successivi emendamenti hanno modificato, oltre ai limiti di emissione, anche il ciclo di prova rispetto a quello utilizzato prima del 1991 (ECE-15), aggiungendo prima la parte extraurbana ed eliminando poi la fase iniziale di 40 secondi al minimo.

Fig. 1.2: ciclo ECE-EUDC

1.3. La normativa americana per la riduzione delle emissioni inquinanti

In California, circa venti anni fa, sono stati emanati una serie di provvedimenti volti a tutelare la qualità dell’aria. A causa della sua particolare collocazione geografica e dell’alta concentrazione di veicoli dotati di MCI [5], ancora oggi a tale stato è consentito promulgare leggi più restrittive di quelle federali, al punto che le case costruttrici fanno spesso riferimento alle norme del CARB (Californian Air Resources Board), piuttosto che a quelle del dipartimento americano per l’ambiente (EPA, Environmental Protection Administration).

Analogamente a quanto accade in Europa con la distinzione tra fasi di attuazione, anche negli Stati Uniti sono periodicamente varati programmi che fissano i limiti delle emissioni. Con riferimento alla California, fino al 2003 è rimasto in vigore il programma LEV (Low Emission

Vehicle), il quale è stato sostituito nel 2004 dal LEV II, che sarà completamente attivo nel 2007.

Nell’ambito di ciascun programma si individuano diverse categorie di veicoli che devono sottostare a specifici limiti di emissione. La definizione delle categorie dipende dal programma

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in cui si opera. Le normative californiane suddividono ulteriormente una categoria in varie sottoclassi:

• LEV: Low Emission Vehicle;

• ULEV: Ultra Low Emission Vehicle;

• SULEV: Super Ultra Low Emission Vehicle (introdotti dal programma LEV II, in considerazione del fatto che difficilmente potranno essere commercializzati entro il 2007 i veicoli ad emissioni zero);

• ZEV: Zero Emission Vehicle, veicoli ad emissioni zero (ad esempio elettrici o funzionanti con celle a combustibile).

NMOG1 [g/miglio] CO [g/miglio] NOx [g/miglio]

LEV 0.075 3.4 0.05

ULEV 0.04 1.7 0.05

SULEV 0.01 1.0 0.02

ZLEV 0 0 0

Tab. 1.2: limiti previsti dal programma LEV II

Anche nel ciclo di prova americano, denominato FTP 75, si impiega un veicolo stabilizzato che ha già percorso 4000 miglia. A differenza di quanto avviene in Europa, in cui è previsto un fattore di deterioramento costante, ad ogni costruttore è demandata la determinazione di questo coefficiente e della modalità di prova atta a definirlo. Attraverso questo coefficiente, è poi possibile estrapolare il valore delle emissioni alla metà ed alla fine della vita utile.

Fig. 1.3: ciclo FTP 75

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1.4. L’On Board Diagnostic

Nel 1988 sono state introdotte le normative CARB, che obbligano i costruttori all’inserimento di un sistema diagnostico (OBD I, On Board Diagnostic) all’interno delle unità di controllo motore. Il compito del sistema OBD è principalmente segnalare il malfunzionamento di uno dei sistemi antinquinamento e limitare, in presenza di una anomalia, l’aumento delle sostanze inquinanti emesse, attraverso opportune funzioni di controllo. Inoltre deve essere in grado di individuare l’area in cui si è verificato un guasto e di memorizzarlo sotto forma di codice di errore, che può essere rilevato attraverso un apposito strumento diagnostico.

Per segnalare la presenza di una anomalia, è utilizzata una spia arancione nel quadro strumenti, la MIL (Malfunction Indicator Lamp), una cui accensione obbliga il guidatore a riparare rapidamente il guasto, poiché in questa fase la centralina memorizza la distanza percorsa. Oltre ad essa, l’unità di controllo registra anche i codici di errore dei guasti per consentire una facile individuazione ed una rapida sostituzione dei componenti danneggiati.

In caso di avaria parziale, il sistema diagnostico deve adottare strategie di recovery per compensare il funzionamento difettoso e fornire i segnali necessari per consentire la marcia del veicolo in condizioni di emergenza (recovery mode), evitando un incremento delle sostanze inquinanti emesse.

Le normative per l’OBD I fornivano ai costruttori solo indicazioni di carattere generale sull’implementazione del sistema di diagnosi, consentendo a ciascuno di essi l’adozione dei propri codici di errore e della propria strumentazione diagnostica. Oltre all’assenza di una standardizzazione, ulteriori svantaggi erano costituiti dal fatto che gli errori rilevabili erano un numero abbastanza ristretto e non restituivano informazioni sulla natura dei guasti. Le funzioni diagnostiche erano relativamente semplici e non consentivano di individuare una eventuale modalità di funzionamento incoerente dei sensori (“plausibilità del segnale”).

Per ovviare a questi limiti, negli Stati Uniti le normative sono state estese nel 1994 (OBD II, diagnosi di bordo di seconda generazione). In seguito esse sono state assunte come punto di riferimento per lo sviluppo di quelle europee (EOBD, European On Board Diagnostic), introdotte dalla direttiva 98/96 CEE.

Per quanto riguarda le modalità operative e la codifica dei guasti rilevati dalla ECU, la normativa americana e quella europea sono abbastanza simili tra loro e prevedono principalmente:

• la standardizzazione della presa diagnostica e del protocollo di comunicazione per tutti i costruttori (protocollo KWP2000);

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• l’emissione obbligatoria di codici diagnostici unificati a quattro cifre che iniziano con la cifra “0”, i quali possono essere rilevati, per qualunque tipo di veicolo, attraverso uno strumento diagnostico universale (Scan tool);

• l’autoadattatività del segnale sostitutivo in caso di malfunzionamento, cioè il suo adeguamento alle condizioni di funzionamento del motore, per contenere l’incremento delle emissioni entro il 50% dei valori previsti durante la fase di progetto;

• un aumento del numero dei codici di errore e l’introduzione di nuove funzioni di diagnosi che riguardano catalizzatore, sistema di alimentazione combustibile, misfire e sonde lambda;

• la possibilità di individuare il tipo di guasto, per esempio circuito aperto o cortocircuito, e non più solo l’area interessata, consentendo una più rapida riparazione;

• la possibilità di verificare la plausibilità di un segnale, ad esempio un segnale di massa aria aspirata troppo basso rispetto al regime del motore e alla posizione della valvola a farfalla;

• la disattivazione della diagnosi in alcune condizioni particolari, per evitare la trasmissione di falsi allarmi al guidatore.

Fig. 1.4: presa diagnostica standardizzata

Alcuni codici OBD II, riguardanti il potenziometro della valvola a farfalla, sono P0121 (plausibilità), P0122 (segnale basso, possibile cortocircuito a massa) e P0123 (segnale alto, possibile cortocircuito alla tensione di alimentazione).

L’adozione di questo sistema diagnostico ha portato all’introduzione di una seconda sonda lambda, a valle del catalizzatore, con un duplice scopo. In primo luogo verificare il grado di efficienza del sensore posto a monte, dalla cui risposta dipende la quantità di combustibile iniettata: con l’invecchiamento, la sua risposta diventa sempre più lenta e, mediante il secondo sensore, è possibile realizzare un confronto tra i segnali ed individuare eventuali riduzioni di efficienza. In secondo luogo può essere utilizzata per valutare la capacità di conversione del catalizzatore. L’azione di un catalizzatore in buone condizioni porta ad una riduzione

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dell’ossigeno contenuto nei gas di scarico e quindi ad un segnale della sonda a valle meno ampio per la minore percentuale di O2. Al ridursi dell’efficienza, i segnali provenienti dalle due sonde

lambda tendono invece ad avere un andamento simile.

Fig. 1.5: buona efficienza di conversione del catalizzatore

Figura

Fig. 1.1: schema di una sala prove per il rilievo delle emissioni
Tab. 1.1: limiti previsti dalla normativa europea
Fig. 1.3: ciclo FTP 75
Fig. 1.4: presa diagnostica standardizzata
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