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Discrimen » La natura soggettiva dell’aggravante ex art. 416-bis.1 c.p.: criteri rivelatori e conoscenza da parte del concorrente

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L

A NATURA SOGGETTIVA DELL

AGGRAVANTE EX ART

. 416-

BIS

.1

C

.

P

.:

CRITERI RIVELATORI E CONOSCENZA DA PARTE DEL CONCORRENTE

Edoardo Benato

Lo scorso 4 marzo è stata pubblicata la sentenza 5848 del 2020, con cui le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, rispondendo al quesito posto dalla Seconda Sezione penale con ordinanza di rimessione 40846 del 2019, hanno stabilito che

“l’aggravante agevolatrice dell’attività mafiosa prevista dall’art. 416-bis.1 c.p. ha natura soggettiva ed è caratterizzata da dolo intenzionale; nel reato concorsuale si applica al concorrente non animato da tale scopo, che risulti consapevole dell’altrui finalità”.

Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Firenze, con decisione del 14 marzo 2014, riteneva C. responsabile dei reati di usura, tentata estorsione ed abusiva attività finanziaria, aggravati dalla finalità di agevolazione mafiosa in favore del Clan dei Casalesi. C. proponeva appello, che la Corte d’Appello di Firenze respingeva con sentenza del 27 novembre 2018. C. ricorreva in Cassazione, deducendo precipuamente due questioni:

a) le due sentenze di merito, pur convergenti nell’esito, avevano rispettivamente attribuito all’aggravante ex art. 416-bis.1 natura oggettiva e soggettiva;

b) i giudici di merito avevano accertato da un lato il collegamento di R. e T. – partecipi dei reati con C. – con il clan dei Casalesi, del quale gli stessi non facevano parte, dall’altro i rapporti di C. esclusivamente con R. e T., senza alcuna connessione con i componenti dell’associazione di stampo mafioso.

Attesa la divergenza intercorrente fra le decisioni di merito, la Seconda Sezione rimetteva la questione alle Sezioni Unite, che hanno articolato la loro argomentazione secondo due direttrici: l’esame degli orientamenti interpretativi circa la natura dell’aggravante e la sua relazione con l’istituto del concorso di persone nel reato.

In passato la Cassazione si è occupata più volte della natura dell’aggravante di

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cui all’art. 416-bis.1 c.p., pur senza giungere ad una decisione capace di darne una definizione coordinata rispetto alle diverse componenti. Invero l’orientamento giurisprudenziale si è dimostrato piuttosto ondivago, onde la formulazione di due opposte tesi.

Secondo la prima, l’aggravante atterrebbe ai motivi e all’intensità del dolo.

Essa avrebbe pertanto natura soggettiva e richiederebbe il dolo specifico, ossia il fine, in capo al singolo agente, di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa1. Troverebbe applicazione, di conseguenza, l’art. 118 c.p., a norma del quale le circostanze soggettive operano solo con riguardo alla persona cui si riferiscono. Ciò non toglie che, secondo questa impostazione, sarebbe altresì necessaria l’idoneità della condotta ad agevolare l’associazione mafiosa, la quale tuttavia non costituirebbe un elemento strutturale dell’aggravante2, rivestendo un valore solamente probatorio del dolo.

Per la seconda impostazione, invece, l’aggravante riguarderebbe le modalità dell’azione3, essendo quest’ultima “rivolta ad agevolare un’associazione di tipo mafioso”. Essa avrebbe dunque natura oggettiva ex art. 70 c.p. e potrebbe applicarsi anche ai concorrenti del reato4, alla condizione che sussista il dolo specifico in capo ad almeno uno dei concorrenti.

Ad avviso delle Sezioni Unite il dato testuale della norma deporrebbe a favore della natura soggettiva dell’aggravante, inerente al motivo a delinquere e fondata sulla necessità del dolo specifico o intenzionale in uno dei partecipi. Tale conclusione non escluderebbe, però, la necessità di valorizzare alcuni indici misuratori dell’offensività, in grado di scongiurare regressioni verso il diritto penale del tipo d’autore5.

Tanto premesso, in merito all’operatività dell’art. 118 c.p., le Sezioni Unite ritengono che, qualora si rinvengano elementi di fatto suscettibili di dimostrare che

1 Tale teoria trova fondamento in numerose sentenze della Corte di Cassazione tra cui si ricordano SS.UU., sent. n. 10 del 28/3/2001, Cinalli, Rv. 218378 e SS.UU., sent. 337 del 18/12/2008, Antonucci, Rv. 241575.

2 La concezione che ritiene l’elemento oggettivo costitutivo della fattispecie aveva indotto i giudici della Sezione Seconda a ritenere che l’elemento psicologico richiesto dall’aggravante fosse quello del dolo generico, non ponendosi il problema della copertura volitiva di un fine ulteriore.

3Ex multis Cass. pen., Sez. II, sent. n. 24046 del 17/1/2017, Tarantino, Rv. 270300 e Cass. pen., Sez. VI, sent. 19802 del 22/1/20099, Napolitano, Rv. 244261.

4 Le Sezioni Unite segnalano l’esistenza una terza teoria (c.d. intermedia), secondo la quale la natura dell’aggravante dipenderebbe da come la stessa si atteggia in concreto e dal reato cui accede.

5 Cfr. Cass. pen., Sez. VI, sent. n. 28009 del 15/5/2014, Alberti, Rv. 260077.

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l’intento dell’agente sia stato riconosciuto dal concorrente, e tale consapevolezza non abbia dissuaso quest’ultimo dalla collaborazione, non vi sarebbero ragioni per escludere l’estensione della circostanza, posto che lo specifico motivo a delinquere verrebbe in tal modo reso oggettivo, sulla base degli specifici elementi rivelatori che – come anticipato – devono accompagnarne la configurazione, per assicurare il rispetto del principio di offensività.

Sicché, il concorrente che non condivida con il coautore la finalità agevolativa, ben potrebbe rispondere comunque del reato aggravato tutte le volte in cui egli sia consapevole della finalità del compartecipe, secondo la previsione generale dell’art.

59, secondo comma, c.p., che attribuisce all’autore del reato gli effetti delle circostanze aggravanti da lui conosciute. Viceversa, la funzionalizzazione della condotta all’agevolazione mafiosa da parte del compartecipe non potrebbe essere imputata agli altri concorrenti sulla base del mero sospetto, poiché in tal caso si porrebbe a carico dell’agente un onere informativo di difficile praticabilità concreta6.

6 Analogamente a quanto già affermato, per esempio, in tema di premeditazione da Cass. pen., Sez.

I, sent. n. 6182 del 28/4/1997, Matrone, Rv. 207997, che ha ritenuto del tutto insufficiente la mera conoscibilità della premeditazione altrui.

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