Luiss
Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli
Facoltà di Economia e Commercio Cattedra di Marketing (quarta annualità)
IL MARKETING INTERNO COME STRUMENTO VERSO LA LEARNING ORGANIZATION
RELATORE CANDIDATO Chiar. mo prof. Golinelli Gaetano Stefano Rossetto Matr. 083251
CORRELATORE
Chiar. mo prof. Caroli Giovanni Matteo
Anno Accademico 1998/99
Indice
INTRODUZIONE
CAPITOLO I: UN EXCURSUS DELLE PRINCIPALI FORME ORGANIZZATIVE
PREMESSA
LA BUROCRAZIA
IL RUOLO DEI FLUSSI DI INFORMAZIONI
UN BREVE EXCURSUS DELLE FORME ORGANIZZATIVE E RELAZIONI CON LA CULTURA AZIENDALE
L’IMPRESA RETE: CONDIZIONI STRUTTURALI E CULTURALI PER IL SUO SUCCESSO
RETI DI SCAMBI E RETI DI RELAZIONI: LA CULTURA AZIENDALE
CAPITOLO 2: LA TEORIA DEGLI STAKEHOLDER
PREMESSA
L’EVOLUZIONE DEI MODELLI INDUSTRIALI E LA NASCITA DEI SETTORI DI PRODUZIONE
IL RUOLO DELLA TECNOLOGIA DELL’INFORMAZIONE
IL CAMBIAMENTO NELLE ASPETTATIVE DEI CLIENTI
L’ESPANSIONE DELL’IDEA DI CLIENTE: IL PASSAGGIO DALLA CATENA DEL VALORE ALLA COSTELLAZIONE DEL VALORE
L’ATTENZIONE AL CLIENTE INTERNO: UNA NUOVA TEORIA DEGLI STAKEHOLDER
CAPITOLO 3: UN MODELLO DI MARKETING INTERNO
PREMESSA
LA MOTIVAZIONE DEL PERSONALE IL MARKETING INTERNO
UN MODELLO DI MARKETING INTERNO: I FATTORI ESTERNI
I CLIENTI ESTERNI L’OUTPUT PRODUTTIVO
L’IMPERATIVO È: SODDISFARE I BISOGNI
UN MODELLO DI MARKETING INTERNO: I MERCATI INTERNI
L’IMPORTANZA DELLE RELAZIONI
IL PRIMO TASSELLO: GLI INDIVIDUI IL SECONDO TASSELLO: I GRUPPI IL TERZO TASSELLO: I MANAGER L’ULTIMO TASSELLO: I LEADER
UN MODELLO DI MARKETING INTERNO: L’ORGANIZZAZIONE
I PRIMI TASSELLI: VISIONE, MISSIONE, VALORI IL SECONDO TASSELLO: LA STRUTTURA IL TERZO TASSELLO: I PIANI
L’ULTIMO TASSELLO: LE PRATICHE
IL MARKETING MIX INTERNO
DIFFERENZE E UGUAGLIANZE TRA MARKETING INTERNO E MARKETING ESTERNO
LE QUATTRO A DEL MIX DI MARKETING INTERNO; LA PRIMA A: L'ATTEGGIAMENTO (ATTITUDES)
LE QUATTRO A DEL MARKETING INTERNO; LA SECONDA A: CONSAPEVOLEZZA (AWARENESS) LE QUATTRO A DEL MARKETING INTERNO; LA TERZA A: ABILITÀ (ABILITIES)
LE QUATTRO A DEL MARKETING INTERNO; LA QUARTA A: INFORMAZIONI EFFETTIVE (ACTUAL INFORMATION)
GLI ELEMENTI DEL PROCESSO DI MARKETING INTERNO
LA CREATIVITÀ
LE INNOVAZIONI LA MARCA LA CONFEZIONE
COME LANCIARE I NUOVI PRODOTTI INTERNI
LA DISTRIBUZIONE DI UN PRODOTTO INTERNO LE ATTIVITÀ PROMOZIONALI INTERNE
CAPITOLO 4: MARKETING INTERNO E VALORE IN AZIENDA
CREARE VALORE ATTRAVERSO IL MARKETING INTERNO CREARE VALORE ED ESSERE UN CREATORE DI VALORE
LA PARTE DEI FORNITORI: CAMBIAMENTO DI CONSAPEVOLEZZA E ABILITÀ
LA PARTE DEI CLIENTI/FRUITORI: L’AUMENTO DI CONSAPEVOLEZZA DELLE PROPRIE NECESSITÀ E DI ABILITÀ E IL CAMBIAMENTO DEGLI ATTEGGIAMENTI
UNA NUOVA FRONTIERA SI APRE: LA SFIDA DEI DESIDERI NON SODDISFATTI
LO SCOPO ULTIMO DEL MARKETING INTERNO: LA CREAZIONE DI UNA LEARNING ORGANIZATION IL NUOVO RUOLO DELLA CONOSCENZA
CHE COS’È UNA LEARNING ORGANIZATION
UNA CLASSIFICAZIONE DELLE AZIENDE IN BASE ALLA LORO INTELLIGENZA ORGANIZZATIVA IL MARKETING INTERNO E IL SUCCESSO DI UNA LEARNING ORGANIZATION
CAPITOLO 5: UN CASO PRATICO DI COMUNICAZIONE INTERNA: IL GRUPPO ERG
PREMESSA: I MOTIVI DELLA SCELTA
IL GRUPPO ERG STRUTTURA SOCIETARIA
UNO SGUARDO AL BUSINESS DEL GRUPPO ERG
LA COMUNICAZIONE INTERNA IN ERG: COME È OGGI
LA COMUNICAZIONE INTERNA IN ERG: COME DOVRÀ ESSERE IN FUTURO
APPENDICE BIBLIOGRAFIA
NOTA REDAZIONALE:
INTRODUZIONE
L’ambiente in cui le imprese si trovano ad operare è sempre più turbolento, sempre più soggetto a cambiamenti repentini provocati da numerosi agenti. Tra questi, i più importanti sono sicuramente l’evoluzione tecnologica e la crescente complessità della domanda di beni e servizi. Le imprese, per non perdere competitività, sono costrette a fronteggiare un cambiamento che, in certi campi a più elevato sviluppo, assume le fattezze di un vero e proprio terremoto.
Naturalmente molte sono le strategie messe a punto dalle imprese a questo proposito: molte di esse richiedono però un sempre maggiore abbandono del modello di impresa burocratica, fondata sulla prevalenza della gerarchia su ogni altro aspetto dell’organizzazione, tanto che alcuni studiosi di management prevedono in futuro un totale appiattimento delle strutture burocratiche. Certamente si assiste ad un continuo abbandono di strutture rigide e formalizzate in ogni singolo aspetto.
Ci si può chiedere che relazione ci sia tra aumento della turbolenza ambientale e appiattimento delle strutture burocratiche; la
risposta sta nell’individuazione della variabile principale in gioco:
l’informazione. Saper gestire l’immensa quantità di dati e di informazioni parziali ed incomplete che arrivano all’impresa e saperle trasformare in informazioni corrette e coerenti con le richieste del mercato, significa essere vincenti.
Il mezzo attraverso il quale è più facile gestire le informazioni critiche per il business, in una struttura produttiva gerarchicamente più appiattita, è quello della ottimizzazione della comunicazione interna all’impresa.
Da questo punto di vista è agile comprendere come sarà più facile comunicare informazioni in quelle imprese che non creeranno ostacoli alla circolazione delle stesse. Il principale ostacolo organizzativo al libero e scorrevole flusso informativo è costituito dal sovraffollamento delle informazioni sul principale canale top-down che ogni organizzazione ha, vale a dire quello che segue la struttura gerarchica dell’impresa. In una struttura burocratica, ad esempio, le informazioni sui compiti e sulle caratteristiche estrinseche rispetto ad ogni singola posizione, arrivano dall’alto. Le posizioni superiori dell’organizzazione, devono quindi gestire un numero enorme di dati che poi andrà distribuito alle varie posizioni inferiori secondo una
serie di rigide norme, rischiando così di diventare un “collo di bottiglia”. Conseguenza di ciò è una serie di inaccettabili ritardi che minano la prestazione dell’impresa e che la rendono incapace di gestire la turbolenza ambientale.
La soluzione a questo problema è stata il decentramento nella gestione delle informazioni conseguenza di quello affermatosi nei processi di produzione dell’impresa:
• data l’immissione di tutti i dati in uno o più data base, la loro elaborazione e gestione verrà richiesta solo da chi ne ha effettivamente bisogno;
• data la necessità, a questo punto, di coordinare il proprio operato, più parti dell’impresa dovranno essere in grado di attivare un loro flusso di scambio che non passi per le canoniche vie burocratiche.
Dal punto di vista organizzativo si assisterà ad un passaggio dal modello divisionale a quello per progetti, a quello matriciale, fino ad arrivare all’impresa-rete. Ma la vera rivoluzione del processo, i passaggi testé ricordati possono essere visti come semplici step incrementali del medesimo processo di decentramento, si ha quando,
in primo piano rispetto al flusso di scambio individuato al secondo punto di cui sopra, vengono poste le relazioni tra gli elementi dell’organizzazione che comunicano attraverso quel dato flusso, piuttosto che lo scambio in se stesso.
Lo sviluppo delle relazioni intersistemiche, avendo come punto di riferimento il sistema impresa, sta diventando sempre più cruciale al fine del conseguimento di risultati positivi all’interno di qualsiasi business, basti pensare che anche nei mercati a minore tasso di sviluppo, o addirittura in declino, come quello alimentare, se ci si muove verso il settore della distribuzione, si assiste ad una vera e propria guerra combattuta a colpi di marketing, nella speranza di raggiungere meglio dei concorrenti l’attenzione del consumatore: un esempio cogente in tal senso è dato dalla rivoluzione che sta portando avanti, in questo settore la Grande Distribuzione Organizzata.
Ma al centro dell’azienda resta comunque il fattore umano, con tutte le difficoltà che ciò crea: atteggiamenti sbagliati o disfattisti, persone non in grado di gestire i compiti che gli sono stati affidati, difficoltà di comunicazione tra colleghi. Come a dire che, una volta fatta la tecnologia che permette, a qualsiasi livello di comunicare on-
line, bisogna trovare il modo di convincere le persone a comportarsi in
modo ottimo per l’impresa.
La motivazione diventa quindi centrale, come lo fu in passato per lo sviluppo della produzione, anche nel processo di miglioramento della comunicazione e delle interrelazioni tra risorse umane.
Migliorare le relazioni, allo stato attuale, può voler dire convincere un membro dell’organizzazione ad andare d’accordo con altri membri, avendo come obiettivo lo sviluppo del business aziendale. Politica che in pratica può presentare numerose difficoltà, dato il gran numero di vari interessi che ruotano attorno ad ogni struttura imprenditoriale specie se di grandi dimensioni. Sotto la nostra ottica, il conflitto tra stakeholder gravitanti intorno all’impresa non si risolve solamente nella classica contrapposizione proprietà/gestione. In un impresa rete, quest’aspetto può riguardare anche il conflitto tra diversi settori dell’impresa: pensiamo ad esempio al modo completamente diverso di intendere un business da parte di un ingegnere, a capo del nodo produzione, e del suo corrispondente di pari livello, laureato in economia, a capo del nodo marketing. Si potrà opporre a ciò che questi problemi esistevano anche in passato; nella nuova ottica organizzativa però la loro importanza è moltiplicata,
giacché i vari nodi dispongono di un’autonomia, rispetto ai vertici dell’impresa, sconosciuta alle strutture burocratiche.
Da questo punto di vista ci sarà utile anche una teoria, riadattata per le nostre esigenze, tendente a comprendere questi conflitti. Questa teoria dovrà darci anche lo spunto per adottare le politiche organizzative e comunicazionali adatte a risolverle.
Dato che ad entrare in gioco è soprattutto la comunicazione, pare chiaro che il passo successivo sarà il coinvolgimento di quel settore dell’azienda esperto nella gestione di questi problemi: il marketing.
Nasce così l’esigenza di un sistema di contrattazione interna volta all’ottimizzazione congiunta, a livello di impresa, degli aspetti motivazionali collegati ad ogni compito e posizione, ovvero, ad ogni singola risorsa umana presente all’interno dell’impresa, da un lato, e del business, dall’altro.
I principi di applicazione del marketing interno, la disciplina che si occupa del miglioramento degli aspetti motivazionali di una persona inserita all’interno di una struttura organizzativa imprenditoriale, si basano su un fondamentale cambiamento di ottica nell’esplicazione dei legami che tengono uniti uomo e impresa. A proposito si è notato, da parte di chi ha studiato fin dall’inizio questi problemi, che
miglioramenti essenziali nell’attivazione motivazionale di ogni singolo individuo si hanno se si smette di considerare ogni membro dell’organizzazione come un dipendente al quale ordinare un compito, e si inizia a considerarlo come un cliente al quale “vendere” un servizio. Servizio che poi, naturalmente, si sostanzierà in un compito che egli dovrà comunque svolgere.
Questo concetto diventa fondamentale in una società, come quella occidentale, fondata sull’immagine e relativamente poco bisognosa di soddisfare esigenze legate ai gradini inferiori della scala dei bisogni di Maslow. Diventa ancora più importante se si pensa che queste tecniche di “convinzione” non vengono utilizzate dall’impresa per quei soggetti che più di tutti dedicano alla stessa una parte rilevante del loro tempo e della loro fatica: le proprie risorse umane.
L’obiettivo di queste politiche sarà di creare, all’interno della struttura imprenditoriale, un ambiente user friendly, e comunque molto più tranquillo rispetto all’attuale ambiente burrascoso e conflittuale. Ma non solo. L’atteggiamento delle persone e la loro consapevolezza di operare in vista di traguardi comuni che significheranno maggiore benessere per tutti, sono solo alcuni degli aspetti su cui interverrà il marketing interno; altri, non meno
importanti, potranno essere lo sviluppo delle abilità e capacità personali di ogni singolo soggetto, oppure la sua capacità a comunicare ciò che è importante alla persona giusta, al momento giusto e nel modo migliore. Da qui si capisce che il marketing interno, più che essere una rivoluzione di metodi, è, prima di tutto, un cambiamento concettuale.
Comunicare all’esterno per un’impresa vuol dire farsi conoscere, ed è noto come un messaggio coerente con le richieste dei clienti potenziali possa significare la ricchezza dell’impresa. Ma una campagna di scambio comunicazionale strategicamente ben condotta, può avere effetti più positivi e duraturi su entrambi i soggetti implicati nel nostro ragionamento: il cliente viene integrato nel processo di produzione dell’output, e ciò significa per lui una crescita nella consapevolezza delle sue scelte, d’altra parte per l’impresa, dedicare una maggiore attenzione ai gusti del cliente significa una crescita ulteriore del business. Il passo culturale adottato, a livello di impresa, per ottimizzare quest’aspetto è stato infondere all’interno dell’intera organizzazione il principale contributo legato all’ottica di marketing:
l’attenzione al cliente. Lungi dall’essere un problema di facile risoluzione, ciò ha significato la “rieducazione” al marketing, con
metodi più o meno leggeri, di tutti lavoratori dell’impresa, anche di quelli con estrazione culturale completamente diversa. In futuro, sempre di più i manager dovranno operare questi cambiamenti cercando di evitare spiacevoli disturbi nell’ambiente lavorativo.
Quindi, nel momento in cui si individua la necessità di ampliare le funzioni del marketing fino ad occupare l’area culturale, dunque strategica dell’impresa, bisogna tenere anche conto delle esigenze di tutti coloro che lavorano all’interno dell’impresa.
CAPITOLO I: UN EXCURSUS DELLE PRINCIPALI FORME ORGANIZZATIVE
PREMESSA
Una delle maggiori necessità che hanno afflitto il sistema produttivo negli ultimi anni è stata quella di riorganizzare il proprio business per renderlo più simile alle richieste pressanti di una domanda sempre più complessa ed esigente sia in termini di qualità del prodotto o del servizio, sia in termini di timing di esecuzione della prestazione. Conseguenze di ciò sono state una necessaria e progressiva riduzione del time to market, un rilevante cambiamento dei processi di produzione dovuto all’aumento delle varianti di un singolo prodotto, un aumento dei servizi offerti all’acquisto e nelle fasi immediatamente successive, una crescente necessità di dare più importanza all’aspetto comunicazionale.
Dal punto di vista dell’organizzazione ciò ha significato dover gestire problemi e situazioni sempre più complessi in un intervallo sempre minore e sotto la pressione sempre più crescente di governo, sindacati, organizzazioni di categoria, organizzazioni di tutela del
consumatore, di tutela dell’ambiente. Il rischio, in certi casi divenuto amara realtà, era quello di rimanere schiacciati sotto il peso di tutti questi agenti, senza avere la forza di reagire in maniera soddisfacente.
Come si è detto quindi pressante è diventata l’esigenza di reengeneering della produzione, ma soprattutto del sistema
organizzativo. Le aspettative sono di rendere l’organizzazione più flessibile e strutturalmente più adatta ad affrontare le sfide che le vengono imposte dal mercato.
LA BUROCRAZIA
In concreto, ciò ha significato il progressivo abbandono di tutte quelle forme organizzative basate sulla supremazia della variabile burocratica su ogni altro aspetto.
Nel modello di organizzazione burocratica, tutto veniva strettamente formalizzato e sclerotizzato in procedure che restringevano, di molto se non del tutto, la libertà di azione di ogni individuo. L’immobilismo delle posizioni aziendali portava ad una specializzazione spinta dei compiti all’interno dell’organizzazione.
Questa si sostanziava poi nel timore di ogni individuo di venire
scavalcato dall’organizzazione: ecco che quindi l’unico metodo che il soggetto assegnato ad una determinata posizione aveva per dimostrare di essere utile ai propri superiori era quello di far rispettare, anche oltre i limiti del necessario, le regole e le formalità inerenti alla propria posizione. Ciò portava a diverse conseguenze: tra le principali vi erano il ritualismo, la trasposizione dei mezzi coi fini, il circolo vizioso (Fontana: “Il sistema organizzativo aziendale”; 1997, Franco Angeli).
Il ritualismo, dal suo canto, è inteso innanzitutto come un immobilismo dei compiti che determina un’incapacità organizzativa a gestire i cambiamenti che vengono dall’esterno, ma, ancora, esso si sostanzia nella necessità di far esperire ad ogni output organizzativo, un determinato iter, sempre uguale a se stesso e spesso coincidente con la struttura gerarchica, percui le informazioni relative all’output non arrivano mai tempestivamente a chi deve effettivamente gestirle all’interno dell’impresa.
Diversi effetti produce invece la trasposizione dei mezzi coi fini:
un’organizzazione burocratica, che quindi gestisce ritualmente le proprie operazioni, rischia di dimenticare, se non adeguatamente e continuamente edotta al riguardo, quelle che sono le proprie finalità.
Ossia, un individuo, inserito in una determinata posizione e costretto, da regole ferree, a compiere sempre le stesse operazioni sempre allo stesso modo, rischia di cominciare a confondere quelle regole, che poi sono i mezzi messigli a disposizione dall’organizzazione per poter raggiungere determinati obiettivi, come le finalità stesse del proprio lavoro. Questo può significare una perdita di identità tra gli obiettivi dell’organizzazione e quelli del singolo individuo, portato sempre di più a cercare di crearsi un suo spazio per poter giustificare la propria presenza in azienda. A tale proposito risulta utile un esempio: secondo un’analisi condotta alla fine degli anni ’80, i manager delle aziende americane passavano un terzo del proprio tempo lavorativo a giustificare la propria esistenza, un altro terzo a prevenire critiche, e solo il restante terzo a lavorare effettivamente per l’organizzazione (Thomson: “Marketing aziendale interno”, 1992, ETAS libri).
Lungi dall’essere finite qui le distorsioni del sistema burocratico, l’ultima, e forse la più pericolosa, è quella del circolo vizioso. Questo tipo di distorsione si giustifica se si pensa a ciò che è stato detto riguardo alla non coincidenza di vedute tra organizzazione ed individui che ne fanno parte. E può essere spiegata così:
un’organizzazione burocratica si dà delle regole ferree soprattutto per
ciò che riguarda il comportamento di ogni individuo all’interno di essa; queste regole portano alla discrasia di cui sopra, anche per effetto della sempre minore motivazione che spinge un individuo a ripetere sempre lo stesso compito per un tempo indefinito. Ciò comporta che esse vadano ricordate e fatte rispettare continuamente. Il mezzo più immediato che un’azienda burocratizzata ha per fare ciò è, alla luce di ciò che abbiamo detto fino adesso, la creazione di altre regole, possibilmente più stringenti delle precedenti. Il circolo vizioso, a questo punto, si ha ogni qual volta vengono create delle ulteriori regole per costringere gli individui a rispettare quelle già esistenti e disattese. Così, come nella famosissima miniera di gesso descritta da Gouldner, un’impresa si trova a dover sopportare il peso insostenibile di una serie di norme che ne minano l’efficienza.
Lo stesso Gouldner ci può essere d’aiuto per capire quelle che sono le finalità delle regole che un’azienda burocratizzata si dà; egli sostiene che la funzione delle norme, in questi casi, è triplice: una funzione di protezione o di trinceramento, una funzione di controllo da lontano, una funzione di spersonalizzazione dei provvedimenti (Gouldner: “Modelli di burocrazia aziendale”; 1970, ETAS libri; tratto da Fontana: op. cit., pag. 45, in nota)
A noi interessano soprattutto la prima e l’ultima di queste funzioni, per tentare di dare una giustificazione alle strutture burocratiche.
È noto che la principale richiesta di chi possiede un impiego è la relativa stabilità dell’impiego stesso, ossia la protezione della posizione nei confronti dei vari turbamenti che possono derivare dall’esterno. In sostanza l’idea è quella che si possa arrivare a gestire in maniera ottima l’ambiente lavorativo e quello circostante. Questo bisogno di sicurezza associato al bisogno di stabilità porta come conseguenza l’adozione di regole coercitive per far sì che i vari moti egoisti di ognuno non siano di danno per gli altri. Le norme, da questo punto di vista, rispondono ad entrambe le richieste: un capo che teme di essere scavalcato da altri promuoverà la creazione di regole per far sì che ciò non avvenga e, contemporaneamente, per dare una legittimazione super partes al proprio operato. L’impressione è come se l’organizzazione si desse una finalità di protezione da se stessa.
Non a caso, in certa letteratura si parla di strutture-bozzolo (“Strategor: politique générale d’entreprise”; 1997, DUNOD) al riguardo. Tutto ciò (la specializzazione, la formalizzazione spinta, il
bisogno di sicurezza) genera un potentissimo fattore d’immobilità e d’inerzia dell’organizzazione.
Si è detto prima che una struttura burocratica è incapace di gestire il cambiamento; approfondendo ulteriormente la questione, si può vedere che, in effetti, anche una struttura siffatta cambia, ma i suoi cambiamenti vengono gestiti dal management per crisi, ovvero, l’organizzazione non cambia fino a che non è la sua stessa esistenza ad essere messa a repentaglio.
IL RUOLO DEI FLUSSI DI INFORMAZIONI
È chiaro che un’organizzazione burocratica ha un suo senso, ed anzi risulta molto più efficiente di altre, quando ha a che fare con un ambiente circostante tranquillo quanto basta per poterle permettere di non cambiare. Ma tutto cambia nei mercati ad alto tasso di sviluppo, in cui rimanere indietro significa essere fuori mercato.
La domanda che ora ci si può porre è perché un’organizzazione burocratica è incapace di gestire normalmente un determinato cambiamento; la risposta è che una tale organizzazione è incapace di gestire l’enorme ammontare di dati ed informazioni che le derivano dall’esterno, ma anche dall’interno.
Infatti l’informazione gioca un ruolo chiave nel nostro discorso:
non riuscire a gestirla, vale a dire non saperla elaborare o non saperla comunicare, provoca un gap di conoscenza all’interno dell’impresa che può esserle letale.
Ai fini della nostra esposizione sarà presa in considerazione solo la difficoltà o la relativa impossibilità di esercitare, all’interno dell’impresa, un’efficace ed efficiente comunicazione.
Le caratteristiche di efficacia del processo comunicativo di una determinata informazione, altrimenti detto flusso informativo, sono essenzialmente la selettività, la flessibilità e la tempestività. Posto che ogni impresa oggi si possa dotare di strumenti tecnologici che permettano on-line di comunicare con ogni altro individuo presente nell’organizzazione (pensiamo ai sistemi di posta elettronica o alle moderne reti Intranet), il vero traguardo dell’organizzazione dovrà essere quello di far sì che gli individui non fungano da blocco al libero flusso informativo e soprattutto che ogni individuo sappia scegliere le informazioni necessarie da inviare ad ogni altro membro dell’organizzazione e sappia scegliere il timing esatto in cui effettuarlo. Questi fatti presuppongono due grandi verità del rapporto tra impresa moderna e informazione:
• è più economico far elaborare dati, per ottenerne risultati, solo da chi ha effettivamente bisogno di essi;
• le vie burocratiche dell’informazione non sono le più efficaci vie di comunicazione.
UN BREVE EXCURSUS DELLE FORME ORGANIZZATIVE E RELAZIONI CON LA CULTURA AZIENDALE
Le prime forme organizzative moderne, nell’ambito delle strutture produttive, sono state quelle funzionali. Le strutture funzionali sono anche le più rigide dal punto di vista burocratico e corrispondono ad un periodo storico in cui non era fondamentale saper ascoltare il cliente, poiché la domanda, maggiore dell’offerta, era strutturata in maniera molto semplice, ma era di rilevante importanza saper produrre a costi più bassi dei concorrenti ed in tempi minori. Era
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F i g u r a 1 : I l m o d e l l o f u n z i o n a l e A l t a D i r e z i o n e
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così necessario che ogni compito fosse semplificato al massimo con la conseguenza che ogni individuo all’interno dell’azienda svolgeva un compito unico, standardizzato e molto specifico.
La struttura funzionale, nella sua fattispecie più semplice prevede una struttura estremamente verticalizzata nella quale la comunicazione tra elementi del sistema avviene seguendo il principale canale discendente e ascendente: quello che segue le normali vie gerarchiche.
L’alta direzione resta l’unico organismo deputato a decidere su ogni aspetto della vita aziendale, d’altra parte ogni processo di feedback;
anche se parte dagli strati più bassi dell’organizzazione, raggiunge il vertice che deciderà sul da farsi. Un’evoluzione di questa struttura si ha quando alla direzione generale si aggiungono delle strutture integrative di staff che assumono il compito di coadiuvare le operazioni dirigenziali e, soprattutto, di gestire specificamente un particolare aspetto della vita organizzativa.
Il fatto che tutte le informazioni siano gestite centralmente e poi comunicate ai restanti membri dell’organizzazione implica che la comunicazione stessa sia altamente formalizzata. Ciò genera un passaggio ed un accumularsi continui di carte sulle scrivanie di persone che a quelle informazioni non sono assolutamente interessati,
ma che si trovano a fare da “chiusa” al flusso comunicativo: le conseguenze sono una serie di ritardi cronici nel passaggio delle informazioni. Secondo limite delle strutture funzionali è la specializzazione. Esse infatti vengono progettate in base alle tecnologie (intese, alla maniera di Abell, come metodologie di risoluzione dei problemi) esistenti, e tendono ad ottimizzare quelle tecnologie al fine di risparmiare sui costi e sui tempi. Ma arriva il momento in cui quelle tecnologie diventano obsolete; giunta a questo punto, l’organizzazione non riuscirà a riconvertirsi in maniera efficiente ed efficace, ma tenderà ad un immobilismo che può esserle letale.
Un tentativo di superamento delle difficoltà associate alle strutture funzionali, storicamente risultate totalmente incapaci di gestire business diversificati, è rappresentato dal modello divisionale.
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D i v i s i o n e A D i v i s i o n e B D i v i s i o n e C
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L’obiettivo di questo modello è quello di organizzazione del business per aree strategiche o per insiemi omogenei di aree strategiche. Il vantaggio sta nel fatto che l’alta direzione non viene più investita di tutte le informazioni riguardanti ogni singolo aspetto del business, ma fungerà da semplice organismo di controllo a livello globale e di coordinamento tra le varie aree. Una tipica struttura divisionale delega ai dirigenti delle divisioni il compito di formulare le azioni strategiche, tattiche ed operative relative alla propria area. Queste andranno naturalmente coordinate con le corrispondenti decisioni che arrivano dalle altre aree dell’organizzazione. Pare chiaro che ora la cosa importante è la gestione delle interdipendenze esistenti tra le varie business area. Per renderle più efficienti, queste strutture si sono dotate, al primo livello organizzativo di dipartimenti funzionali chiamati a gestire le possibili fonti di inefficienza della struttura: per esempio la funzione acquisti centrale può sfruttare più facilmente le economie di scala ordinando una stessa componente per più aree.
L’area marketing può coordinare le varie politiche comunicazionali e renderle coerenti con l’immagine che l’impresa si vuole dare. La struttura divisionale presenta un buon passo avanti verso l’efficacia delle comunicazioni: alla base del modello vi è infatti la convinzione
che non tutto deve essere affidato all’alta direzione, ma che è necessaria anche una certa misura di decentralizzazione decisionale.
Ma è ancora un passo troppo breve. In effetti, se poi si va a guardare le struttura delle singole divisioni, esse ripetono esattamente il modello funzionale. È così che a livello di singolo business si possono ripetere tutte le distorsioni che abbiamo già visto.
Ci si può chiedere, a questo punto, cosa succede se un’azienda deve gestire più prodotti talmente poco coordinabili da richiedere più criteri organizzativi e di gestione; ciò succede quando per esempio le imprese si danno obiettivi differenti (per mercati differenti) che non possono essere tra loro gerarchizzati, oppure che rispondono a logiche di crescita completamente diverse tra loro.
A questa domanda risponde quello che può essere definito come il mix tra le due strutture precedenti, vale a dire il modello matriciale.
Il modello matriciale unisce i vantaggi della specializzazione funzionale a quelli della decentralizzazione divisionale. Questo compromesso è ottenuto inserendo all’interno della struttura dei ruoli integrativi tipo product o brand o area manager nelle imprese di produzione oppure area o brand o category manager nelle imprese di distribuzione. Il ruolo che queste posizioni assumono, ai fini della
nostra analisi di flussi delle informazioni, è fondamentale. Infatti essi sono deputati al coordinamento di tutte le politiche relative ad un dato prodotto, una data area o marca o categoria. Ciò vuol dire che essi dovranno essere in costante contatto con le posizioni che all’interno dell’impresa si occupano di quelle stesse politiche. Quindi saranno notevolmente sviluppati canali di comunicazione orizzontali oltre che verticali. In questi casi la comunicazione ha lo scopo preciso di integrare tutte le azioni che le varie funzioni compiono riguardo ad un determinato business. Presa nel senso verticale, la comunicazione ha invece lo scopo di tenere differenziate le varie politiche a seconda dei prodotti.
La struttura matriciale rappresenta già un grande passo avanti nella gestione dell’impresa, secondo un’ottica di ottimizzazione della comunicazione. In effetti, i ruoli integrativi sono deputati a coordinare
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tutte le informazioni specifiche relative al proprio settore di appartenenza e ad elaborarle in modo che esse possano essere comunicate alle varie funzioni. Si evita così di sovraccaricare inutilmente tutta la direzione su questioni meramente operative.
Dovendo poi gestire specificamente una serie di determinati problemi tutti relativi ad un determinato output e non essendo assolutamente incaricata di ciò l’alta direzione, tutta la struttura risulterà più flessibile e più pronta al cambiamento. A questo punto l’alta direzione dovrà solo dare le coordinate entro le quali si dovranno mantenere i gestori del business affinché l’immagine dell’azienda non risulti incoerente nelle sue parti. Questa flessibilità ridurrà anche al minimo i rischi di ritualismo, giacché, affrontare problemi sempre differenti significa dover cercare soluzioni sempre differenti.
Anche la struttura matriciale ha alcuni difetti importanti per ciò che riguarda il modo di comunicare, fino ad arrivare alla cultura d’impresa vera e propria. Questi difetti si spiegano pensando che, in effetti ogni posizione dell’organizzazione è soggetta ad un doppio comando: uno funzionale e l’altro derivante dal ruolo integratore che sta al livello superiore. Se l’impresa non è abbastanza forte da imporre i propri valori e la propria cultura, potranno sorgere dei conflitti
sull’utilizzo di una determinata risorsa da parte dei due individui di livello gerarchico superiore, o ancora la stessa risorsa potrà approfittare dell’occasione del conflitto tra di essi per poter perseguire i propri interessi contrastanti con quelli dell’organizzazione. In effetti il passaggio verso una struttura matriciale impone la riconsiderazione di tutto l’impianto culturale precedente dell’azienda: comincia in questo caso ad affacciarsi, soprattutto agli alti livelli e a quelli intermedi lo spettro della deverticalizzazione che si sostanzia nell’accettazione di un comando condiviso e non assoluto sui propri subordinati. D’altronde, perché non venga snaturata l’essenza stessa dell’impresa, è necessario che le varie parti, nonostante la loro relativamente ampia autonomia, collaborino al fine di raggiungere quel grado di interdipendenza necessario a far sì che l’impresa non venga distrutta dalla concorrenza meglio organizzata oppure non venga vista all’interno come un coacervo di parti tra loro incoerenti e conflittuali. Ciò perché l’unico collante che tiene insieme, in un’impresa siffatta, business area spesso totalmente diverse tra loro è la possibilità che, nel lungo periodo, il potenziale comune esprimibile dall’impresa unita sia maggiore del potenziale singolo che ogni business può esprimere da solo, ossia che l’organizzazione funga da
goodwill necessario per lo sviluppo e il mantenimento ad alti livelli del singolo business.
L’IMPRESA RETE: CONDIZIONI STRUTTURALI E CULTURALI PER IL SUO SUCCESSO
Le tendenze attuali delle organizzazioni riguardano la decentralizzazione di responsabilità e competenze, la deverticalizzazione delle strutture burocratiche, l’esternalizzazione di processi non core per l’impresa, la coordinazione e l’integrazione flessibile fra parti diverse effettuata per lo più attraverso varie forme contrattuali. Ognuna di queste impone una presa di coscienza sull’importanza fondamentale che ormai ha assunto la variabile comunicazione nell’ambito imprenditoriale. Al fine di gestire meglio questo aspetto e per far sì che diventi un vero e proprio vantaggio competitivo per l’impresa, in un numero sempre maggiore di casi si ritiene opportuno il passaggio ad un altro modo di concepire la struttura imprenditoriale: il modello a rete.
Si tratta di una rivoluzione nei vari meccanismi di scambio tra le diverse aree dell’impresa, oppure tra diverse imprese collegate orizzontalmente o verticalmente. L’unione tra più parti, quando viene
ben coordinata, rappresenta un punto di forza perché permette di raggiungere traguardi impensabili se perseguiti in solitario (pensiamo ad esempio alla alta capacità di penetrazione di un prodotto che consentono le moderne forme di distribuzione organizzata).
Più parti di una stessa organizzazione imprenditoriale o più imprese tra loro coordinate interagiscono attraverso scambi. Così due imprese, anche se potenzialmente concorrenti, possono porre in essere dei contratti che assicurino scambi reciproci vantaggiosi sia in termini di prodotti o semilavorati o servizi (pensiamo al tipico keyretsu giapponese), sia in termini di informazioni.
Ciò che è messo in causa da questo nuovo approccio organizzativo è soprattutto l’organizzazione verticale del lavoro. La distinzione tra lavoro di concetto (svolto ai gradi superiori) e lavoro
F i g u r a 4 : I l m o d e l l o a r e t e N o d o A
N o d o B
N o d o C
N o d o D
N o d o E
N o d o F V e r t i c e A z i e n d a l e
esecutivo (svolto ai gradi inferiori), oggi comincia a vacillare, dato che i procedimenti produttivi sono largamente automatizzati e che, con i nuovi software, l’esigenza di ruoli come quello della segretaria è sentita sempre di meno (si fa veramente prima a scrivere qualcosa al computer che a scriverla a mano per poi darla da riscrivere) e così via.
Ma rinnegare l’approccio verticale all’organizzazione significa anche un’altra cosa: evitare gli effetti nefasti della spirale ingrandimento-burocrazia-ingrandimento…
Il rischio maggiore, che poi è anche il più grande fattore di flessibilità dell’organizzazione, sta nella precarietà quasi strutturale che è data ai legami collaborativi: nell’organizzazione a rete non esiste un legame che sia statico e duraturo, ma tutti i legami sono temporanei, anche legati ad un unico affare, comunque riattivabili in qualsiasi momento e, una volta riattivati, possono avere un oggetto diverso rispetto al precedente legame. Si vede da qui che il nodo di un’impresa a rete, assimilabile concettualmente alla divisione vista nei modelli precedenti, gode di una libertà sconosciuta ai suoi predecessori. Il problema sarà allora coordinare tutte le azioni poste in essere dai vari nodi per poterle poi indirizzare verso un traguardo che sia comune. In effetti la differenza tra la struttura matriciale e la
struttura a rete starà nella capacità richiesta ai manager di nodo di generare comportamenti auto-gestionali (Strategor: op. cit.), che dovranno derivare da una conoscenza approfondita del manager stesso dell’ambiente in cui l’impresa si trova ad operare. È qui che si affaccia il concetto di integrazione multipla contrapposto al concetto di gerarchia multipla (che nella struttura matriciale generava numerosi e complessi problemi). Tale concetto si fonda sulla considerazione che non deve esserci per forza un sopravvento del ruolo dei coordinatori rispetto a quello che svolgono coloro che compiono ruoli operativi, semplicemente essi compiono funzioni diverse necessarie entrambe allo sviluppo del business.
Ultima enorme differenza concettuale tra l’impresa a rete e le forme che l’hanno preceduta sta nel modo completamente diverso di intendere la formalizzazione. In effetti, in precedenza, era la formalizzazione dei compiti a dare una struttura ed una giustificazione gerarchica all’impresa: un direttore di funzione si trovava ad un determinato livello perché doveva svolgere determinati compiti.
L’ambiente in cui è legittimo aspettarsi uno sviluppo dell’impresa tramite il modello a rete, è un ambiente completamente diverso da quelli che hanno visto fiorire i modelli funzionale,
divisionale o persino matriciale. Le differenze sono sì inquadrabili nell’ambito della maggiore complessità dei mercati di sbocco, nella rivoluzione apportata dalle nuove tecnologie, nell’importanza drammatica che oggi assume la variabile informazione come forza neg-entropica, cioè tendente a ristabilire l’ordine delle cose. Ma non solo. Le differenze che possiamo inquadrare come cause di questo cambiamento si notano soprattutto all’interno del corpo imprenditoriale. E fanno leva su ciò che all’inizio abbiamo chiamato bisogno di certezza, di stabilità e di omogeneità da parte degli individui inseriti nel mondo lavorativo. È per questo che alla base della nuova forma organizzativa vi è un cambiamento culturale estremamente grande. L’impresa a rete può essere vista infatti come reazione organizzativa a tutte quelle variabili destabilizzanti descritte, ma può esserlo solo se l’organizzazione comprende che bisogna assecondare continuamente il cambiamento e non cercare di contrastarlo. Questo implica il definitivo abbandono del concetto della one best way. Accettare il fatto che se un legame riesce a soddisfare
determinati requisiti oggi, non è detto che soddisfi altri requisiti domani, rappresenta l’accettazione della necessaria contingenza della struttura. Ciò implica il definitivo abbandono della convinzione di
possedere sempre e comunque un’informazione perfetta o comunque esaustiva e l’abbandono forzato di una visione statica dell’ambiente di riferimento, per abbracciare una visione che implichi il dinamismo, spesso sfrenato, dello stesso.
Il disegno dell’organizzazione, allora, non starà nella ricerca di una combinazione ottima di elementi in grado di gestire il business sempre, ma nella ricerca delle basi sulle quali individuare una funzione combinatoria in grado di adattare rapidamente l’impresa secondo le sue esigenze.
L’impresa rete è formata da poli (i cosiddetti «nodi»
organizzativi) tra loro uniti da diversi tipi di legami spesso anche contemporaneamente: burocratici (per ora non è immaginabile un’impresa totalmente deverticalizzata), economici, operativi, culturali, informativi,… Tutti questi legami saranno più o meno formalizzati e più o meno omogenei tra loro. I gradi di formalizzazione e di omogeneità dei legami tra i nodi, determineranno anche i gradi di altre tre variabili fondamentali nella struttura di un’impresa a rete:
• la coesione: vale a dire il tipo di rapporto, più o meno forte, derivante da una maggiore o minore coincidenza di ideali e obiettivi;
• il potenziale combinatorio: vale a dire il numero delle combinazioni possibili che si possono creare all’interno dell’organizzazione (all’estremo: se in un’impresa a rete esisteranno solo legami gerarchico-burocratici, essa coinciderà con una struttura funzionale) ;
• il potere d’attivazione: vale a dire l’effettivo grado di libertà ed autonomia nell’ambito della creazione di comportamenti auto-gestionali.
Il potere di attivazione può essere più o meno distribuito all’interno della rete. In base all’effettiva sua distribuzione avremo:
reti strategiche ad attivazione comandata, ad attivazione controllata, ad attivazione distribuita.
Le reti ad attivazione comandata e ad attivazione controllata presuppongono ancora una forte predominanza delle sommità organizzative dell’impresa; nel primo caso, l’alta direzione attiverà i legami tra i diversi nodi secondo le vie che le sembrano più consone.
È chiaro che l’alta direzione non interverrà assolutamente nelle operazioni susseguenti all’attivazione di questi legami, altrimenti snaturerebbe la stessa idea di rete che, di fatto, si basa sull’attivazione motivazionale e sulla responsabilizzazione di tutti i membri. Nel secondo caso l’alta direzione lascerà una certa libertà ai nodi di creare dei legami strategici, limitandosi a controllare se questi ultimi seguiranno un’unica logica coerente con la cultura e con gli obiettivi imprenditoriali. La rottura tra questi due modelli di impresa rete e le sue progenitrici sta nella sparizione di qualsiasi logica gerarchica alla base delle posizioni organizzative intermedie, per cui i rapporti di forza che di volta in volta si creeranno tra i nodi dipenderanno dalle competenze che ogni nodo possiede e dalla sua capacità di risoluzione di un dato problema.
Il modello ad attivazione distribuita va oltre e propone una seconda e più profonda spaccatura: la sparizione del vertice strategico che comanda o controlla. In sostanza i nodi si danno dei codici di comportamento ed attivano legami in base a quelle poche regole.
Le condizioni di successo di un’impresa rete stanno in una serie di cambiamenti culturali profondi che devono essere messi in atto.
Partiamo dal contesto. Innanzitutto, in un’ottica reattiva, un’impresa
rete riesce a fare efficacemente da cuscino a tutti i cambiamenti possibili derivanti dall’ambiente, data l’estrema semplicità di attivazione e di scioglimento dei vari legami e quindi la possibilità di interagire on-line con il soggetto giusto al momento giusto. In un’ottica proattiva, l’impresa rete supera di gran lunga le altre forme di organizzazione, data la libertà di scelta, e quindi la libertà di creare situazioni completamente nuove, che è lasciata ai suoi membri.
Ancora, sarà fondamentale porre in essere meccanismi di controllo, a posteriori, fondati sull’attenzione ai risultati e non ai mezzi attraverso i quali questi risultati vengono ottenuti.
Terzo, sarà importante puntare su una serie di mezzi atti a sviluppare l’attivazione motivazionale degli individui e ad incoraggiare in loro la nascita di comportamenti secondo l’ottica della responsabilizzazione e dell’accettazione del rischio. Tra questi sistemi annoveriamo di diritto la pratica del marketing interno.
RETI DI SCAMBI E RETI DI RELAZIONI: LA CULTURA AZIENDALE
Il terzo degli elementi culturali ora ricordati, oggi assume una valenza critica che, se possibile è destinata ad aumentare nel futuro soprattutto nella parte riguardante l’attivazione motivazionale.
Abbiamo già ricordato l’importanza della comunicazione all’interno dell’organismo imprenditoriale. Ora, all’interno della impresa rete essa è fondamentale, dato che tramite essa ogni genere di processo viene attivato. Questa forma organizzativa prende spunto da tutta una serie di rivoluzioni nel sistema produttivo, distributivo e sociale fino a pochi anni fa inimmaginabili: politiche di outsourcing, forme organizzative sempre più snelle e sempre più concentrate su quei processi core a più alto valore aggiunto per l’impresa. Tutto ciò ha portato alla riconsiderazione di tutti i rapporti tra l’impresa e gli altri organismi con cui essa entra in contatto, infatti la logica fino ad ora vigente della massimizzazione del profitto della singola impresa potrebbe non essere la via migliore per gestire un business organizzato in maniera così complessa. Se ognuno dei soggetti coinvolti nell’affare interpretasse lo stesso come un modo per sfruttare il suo corrispondente per guadagnare di più, la collaborazione sarebbe destinata a durare poco e ad essere poco proficua. E proprio qui sta il
vero cambiamento: nel considerare, come aspetto principale della collaborazione, il mantenimento di relazioni positive e costruttive tra le imprese della rete e non lo scambio di merci o di servizi.
Focalizzarsi sulle relazioni è anche essenziale per l’impresa rete, giacché necessariamente si dovrà instaurare un rapporto di collaborazione ottimale tra i vari nodi.
Ciò non toglie che le modalità attraverso le quali si collabora, anche all’interno della stessa impresa, vadano contrattate e non lasciate alla mercé di uno dei contendenti. Il modo migliore per iniziare a tracciare gli estremi di una relazione tra due nodi, sta nel definire le capacità e le competenze di entrambi; in effetti la mancanza di questo impegno la si sentiva pienamente nelle organizzazioni burocratiche nelle quali, indipendentemente dalle capacità di ognuno, le decisioni erano prese da un unico soggetto, e lo stile delle relazioni era quantomeno brusco. Passare ad un insieme di relazioni strutturate da entrambi i soggetti protagonisti dello scambio, significa evitare i fenomeni di alienazione con tutte le conseguenze che essi portano.
Perché ciò sia possibile, bisogna che ogni persona all’interno del nodo, chiamata a dialogare all’esterno del nodo stesso, concepisca questo contatto come un modo di offerta di un determinato servizio
alla controparte, la quale poi risponderà offrendo un altro servizio al proprio cliente interno. Queste idee si sono affermate prima come soluzione ai problemi d’interfaccia impresa-mercato e sono state risolte passando ad un approccio di marketing relazionale, e quindi di più lungo periodo rispetto a quello classico basato sul singolo scambio. Il problema però ora si affaccia drammaticamente anche all’interno dell’organizzazione, e quindi è necessario ricostruire la base di tutti i rapporti.
La costruzione di una rete di relazioni amichevoli tra i sottosistemi dell’impresa può notevolmente migliorare l’ambiente lavorativo e può rendere tutti più consapevoli dell’obiettivo comune al quale bisogna tendere.
Una cultura d’impresa forte e condivisa rappresenta l’obiettivo necessario a cui tendere affinché le singole cellule lavorino in collaborazione con le altre e quest’ultima necessità è condizione necessaria ad ottenere successi di lungo termine.
La condivisione della cultura deve essere prima di tutto accettata ai livelli alti dell’organizzazione per poi essere diffusa anche verso il basso.
È chiaro che per poter diffondere un insieme di valori, bisogna prima di tutto mettersi d’accordo sulle modalità di trasmissione degli stessi. Creare linguaggi, codici che possano essere compresi da tutti all’interno dell’organizzazione è il primo passo verso la creazione di una rete di relazioni proficue. Per far ciò è necessario che, prima di tutti, i manager imparino a gestire i colloqui interni meno importanti al fine di creare, con i propri interlocutori, quella familiarità e quella fiducia essenziali nel momento del bisogno. Spesso, quando devono essere prese decisioni importanti, non si ha il tempo per mettersi a discutere sulle possibili soluzioni, e tanto meno si ha il tempo per mettere d’accordo le varie caratteristiche personali dei componenti del gruppo. Evitare fin dall’inizio spiacevoli situazioni in cui, a causa della pressione del tempo, il manager deve far ricorso alla sua autorità, anche se mal gestita, è il modo migliore per poter creare un ambiente professionale estremamente amichevole. Il segreto di un’efficace rete di relazioni sta nel gestire i colloqui come dialoghi di comprensione e non come momenti di sopravvento sulla controparte (Roos, J. & Von Krogh G.: “Il principio di ogni cosa è il verbo”; in, Il Mondo: “Il nuovo management” n°20).
È importante poi arrivare sempre a capire chi ci si trova davanti e come egli reagirà ai vari stimoli che lo investiranno dall’esterno.
Spesso, ideologia e personalità sono i componenti più forti del comportamento umano, a prescindere dalle caratteristiche biologiche o genetiche e dalle convinzioni culturali. Questo vuol dire che si può creare una relazione proficua con una persona di sesso, razza, religione, educazione e classe sociale diverse, purché la relazione stessa sia approntata in modo da rispettare ideologia e identità caratteriale del collaboratore (Denfeld Wood, J. “È questione di teste”;
in Il Mondo: “Il nuovo Management” n°7). Da questo punto di vista i caratteri su cui fare più attenzione sono:
• emozionalità,
• estroversione,
• apertura,
• buona disposizione,
• coscenziosità.
Questi cinque caratteri (Big Five) sono le dimensioni rilevate dalla maggior parte degli studi di psicometria applicati all’ambiente di lavoro. Questi studi, d’altra parte non sono stati usati a fondo nella
maggior parte delle aziende. Spesso vengono utilizzati come discriminanti a priori dei soggetti da assumere. Il rischio è quello di creare una schiera di omologati piuttosto che un insieme di individui aderenti ad una cultura che venga veramente sentita. Saper gestire le diversità caratteriali permette di raggiungere un’alta dose di flessibilità all’interno dell’organizzazione. Inoltre permette di individuare, per ogni singola risorsa, la collocazione migliore (Nicholson, N.: “Fattore umano”; in Il Mondo: “Il nuovo management” n°8)
È chiaro che la finalità della creazione di una rete di relazioni sulle quali basare ogni singolo rapporto interno è quella di migliorare le performance dell’impresa attraverso il miglioramento dell’ambiente di lavoro.
Nell’impresa rete ciò viene attuato soprattutto incoraggiando la fiducia del singolo individuo nel resto dell’organizzazione e in ciò che essa rappresenta e diffonde; questo è infatti un passo necessario verso la responsabilizzazione e l’accettazione del rischio di non riuscita che abbiamo visto essere fondamentali per il funzionamento della rete.
CAPITOLO 2: LA TEORIA DEGLI STAKEHOLDER
PREMESSA
All’apice del suo successo, Henry Ford non si accorse che il modello di produzione sul quale egli aveva basato la sua fortuna stava per essere ridotto all’impotenza dai suoi concorrenti (General Motors in testa). Egli non concepiva, infatti, che i clienti di automobili potessero arrivare a chiedere prodotti non standardizzati.
L’espressione, a lui attribuita: “Il cliente può scegliere l’auto che preferisce, purché sia una Ford, Modello T, di colore nero”, dà l’idea esatta della trappola in cui un pur grandissimo imprenditore (Henry Ford rivoluzionò il mondo della produzione industriale con l’invenzione della catena di montaggio) era caduto quando non aveva più saputo ascoltare il proprio cliente, ossia quando aveva cominciato a dare più importanza al suo business che ai fruitori dello stesso.
In realtà, il vero errore di Henry Ford fu quello di restare sclerotizzato nella sua idea di produzione quando essa era diventata obsoleta. Probabilmente, l’insuccesso di Ford sarebbe stato meno eclatante se l’azienda che egli presiedeva si fosse dotata di una
funzione di confine, come ad esempio il marketing, che gli avesse comunicato tempestivamente il progressivo decadimento della sua idea di business. Il problema è che il marketing, come funzione deputata non solo all’ausilio delle vendite, ma anche all’ascolto della clientela, ancora oggi fatica a farsi strada tra le moderne realtà produttive.
La ragione principale di questa distonia esistente tra le due realtà, della produzione e della fruizione, passa attraverso una terza realtà che oggi, purtroppo, funge da “rumore” rispetto al libero flusso delle informazioni. Questa terza realtà è rappresentata dai manager d’impresa (ciò sarà dettagliatamente spiegato nel capitolo 3), i quali non sempre sono in grado di capire quando l’azienda ha bisogno di una nuova spinta per poter progredire sulla sua strada. Il motivo di questa incapacità risiede nella considerazione che, spesso, i manager sono legati all’idea classica di fare business, oppure al loro modo personale di fare business, se questo in passato ha portato loro un certo successo (l’esempio di Henry Ford è molto calzante da questo punto di vista). Il problema è che, in entrambi i casi, i manager restano ciechi rispetto ai cambiamenti che avvengono intorno a loro. Ancora, questa cecità può essere provocata da un’incapacità del marketing di
prevedere e controllare quelli che saranno gli umori della clientela in futuro.
L’EVOLUZIONE DEI MODELLI INDUSTRIALI E LA NASCITA DEI SETTORI DI PRODUZIONE
Indubbiamente, la variabile che più ha determinato sconvolgimenti nei vari modelli di produzione, succedutisi nella storia dell’economia, è senz’altro la concorrenza. In realtà, un modello di produzione comincia a diventare obsoleto quando un concorrente inventa un nuovo modello che riscontra il favore del pubblico.
Partendo dall’origine della storia economica, si è prima assistito ad un’economia di estrazione e commercio di materie prime, che prima ebbe la sua controparte (nella produzione dei prodotti finiti) nell’attività artigianale, poi la ebbe (con l’avvento delle macchine) nell’attività industriale. L’attività industriale fu la prima vera rivoluzione che si ebbe dalla nascita dell’economia. Infatti, essa ebbe la forza di sostituire tutti i precedenti fattori critici di successo con altri completamente nuovi. Dall’importanza della locazione geografica (nell’economia artigianale era impensabile che ogni artigiano si
facesse arrivare le materie prime da luoghi molto distanti da quello in cui operava, cosa che invece era possibile ad organizzazioni più strutturate come furono in seguito le aziende che nacquero in conseguenza della rivoluzione industriale) si passava all’attenzione sui costi. Questo cambiamento di focus è alla base di tutta la moderna economia. L’estrema importanza che rivestono i costi in questa fase della storia economica, porterà una serie di rivoluzioni nel modo di produrre beni finiti. Si parte dalla parcellizzazione del lavoro, predicata da Adam Smith come sommo rimedio all’abbattimento dei costi e all’aumento della produttività; si passa attraverso la standardizzazione dei processi produttivi e dei beni finali, sostenuta da Henry Ford, ma che in realtà è una conseguenza della divisione del lavoro, poiché questa presume che ogni output intermedio prodotto da un lavoratore possa essere assemblato, senza problemi, con ogni altro output intermedio prodotto da un altro lavoratore; la standardizzazione, poi, fu foriera dell’avvento della massificazione dei mercati e della produzione in serie. Tutto questo è durato fino, più o meno, alla fine degli anni ’80. Oggi, ad una decade di distanza, assistiamo ad un’altra rivoluzione nella produzione di beni che
probabilmente avrà un impatto simile a quello avuto dalla rivoluzione industriale: l’avvento dell’economia dell’informazione.
Nel tempo stesso in cui l’economia evolveva, nuovi prodotti, sempre più complessi, vedevano la nascita. Un artigiano, ad esempio, per quanto piccola fosse la sua attività, aveva bisogno di chi gli fornisse del denaro per iniziare la produzione. Per soddisfare questo particolare scopo nacquero le banche, che però non potevano essere catalogate né come appartenenti al settore produttivo (detto secondario), né, tantomeno, a quello agricolo o minerario (detto primario); le banche furono le prime organizzazioni a fornire quello che oggi chiamiamo comunemente un servizio. L’economia dei servizi, che da allora si sviluppò sempre di più, venne catalogata in un altro settore, detto terziario; ciò cui si è assistito negli ultimi tempi è stato il continuo aumento dell’importanza del settore terziario rispetto agli altri due settori, almeno come ammontare di risorse finanziarie che è capace di muovere.
Oggi, la categorizzazione in settori economici non può più essere sostenuta, dato che le attività dei tre settori si intrecciano sempre di più. Per esempio, gran parte del valore aggiunto che viene prodotto nel settore manifatturiero proviene dallo scambio di servizi all’interno,
come meglio schematizzato nel prospetto che segue1.
Tabella 1: L’economia a tre settori (Fonte: R.Normann e R.Ramirez; op. cit.)
Tale schema propone la costruzione di una matrice che contenga sull’asse delle ascisse i tre settori economici, mentre sull’asse delle ordinate contenga le attività agricola, manifatturiera e dei servizi
1 J. B. Quinn & C. E. Gagnon: “Will services follow manufacturing into decline?” in Harvard
Business Review, 1986, Novembre-Dicembre; tratto da R. Normann & R. Ramirez: “Le strategie interattive d’impresa”, 1995, ETASLIBRI
Settore agricolo
Settore dell’industria manifatturiera
Settore dei servizi
Economia agricola Economia manifatturiera
Economia dei servizi
(intese come processi lavorativi). Lo scopo è di differenziare la produzione di tutti i tipi di prodotti in ogni singolo settore.
Ad esempio, un costruttore di automobili produce un bene che appartiene al settore manifatturiero, ma se si guarda al processo di produzione e di commercializzazione del prodotto, ci si accorge che esso, per gran parte, avviene nell’ambito dell’economia dei servizi; in sostanza, l’acquirente dell’automobile non va ad acquistare la macchina dalla fabbrica così come esce dalla catena di montaggio, ma si recherà da un concessionario che gli venderà il servizio “acquisto della tale automobile in base alle specifiche dell’acquirente”, il servizio “immatricolazione dell’automobile” ed infine il servizio
“trasporto e consegna in loco dell’automobile”. Inoltre, la casa costruttrice dell’automobile acquisterà da terzi il servizio “trasporto delle parti componenti dell’automobile” e molti altri servizi.
Se ci si pone in quest’ottica, ci si accorge che a produrre valore, in un determinato periodo, non sono i settori economici, bensì le economie stesse. L’economia dei settori funzionava attraverso la
“catena del valore” (la tipica catena di montaggio del settore manifatturiero ne è un esempio). In questo nuovo modello, il valore è creato da tutta una concatenazione di servizi che inseriscono la
“catena di montaggio” in un sistema più ampio. La catena di montaggio si troverà nella parte centrale di questo sistema e sarà preceduta a monte da alcuni elementi (l’ordinativo dell’automobile e il trasporto delle parti componenti nel nostro esempio), e seguita a valle da altri (il trasporto e la consegna dell’automobile).
IL RUOLO DELLA TECNOLOGIA DELL’INFORMAZIONE
Sicuramente, il maggiore pregio della tecnologia sta nella sua capacità di eliminare quei vincoli strutturali che rappresentano la causa di tutte le perdite di produttività nell’ambito del processo di lavorazione industriale. Ad esempio, quando venne inventato il motore a vapore, non fu più necessario, per le imprese, risiedere nelle vicinanze di fonti energetiche naturali, giacché la fonte energetica primaria, sulla quale si basavano gli impianti, era riproducibile ovunque. Ancora, il motore elettrico eliminò i vincoli che il motore a vapore implicava, un impianto a vapore, infatti, doveva essere collegato al motore principale tramite una serie di ingranaggi, pulegge, cinghie e alberi di trasmissione che rendevano molto complesso ed abbastanza obbligato il layout della fabbrica; tutto ciò non valse più con l’invenzione del motore elettrico, inserito all’interno
di ogni singolo impianto, che permetteva la completa indipendenza tra i vari macchinari della fabbrica. Come si vede da questo semplice esempio, il ruolo primario della tecnologia sta nell’abbattimento delle barriere strutturali, e nell’aumento sensibile di flessibilità. Con il motore elettrico, infatti, gli impianti potevano essere posizionati secondo il layout ottimale, dato che gli impianti non dovevano essere collegati tra loro e, tantomeno, ad un motore centrale. Tutto ciò, naturalmente, andava a tutto vantaggio della produttività e consentiva una drastica diminuzione dei costi di assemblaggio di una fabbrica e di produzione di un bene all’interno della stessa.
I modelli di produzione però subirono un notevole sconvolgimento, paragonabile a quello dell’avvento del motore a vapore, quando la tecnologia permise l’utilizzo dell’informazione come variabile base di tutti i processi lavorativi aziendali.
Si era dato inizio all’epoca dell’informatizzazione.
Se ci dovessimo chiedere cosa ha significato l’avvento dei computer, le risposte a questa domanda sarebbero davvero troppe, in quanto l’informatica ha rivoluzionato la nostra vita. Tenendoci, volutamente, per ciò che riguarda il nostro discorso, sul generico, diremo che l’informatica ha significato l’abbattimento definitivo
degli ostacoli strutturali relativi al flusso delle informazioni, e il serio intaccamento delle barriere fisiche; a tal proposito si pensi al risparmio di tempi e di costi che ha apportato l’avvento della tecnologia delle videoconferenze o della posta elettronica.
L’informatica, attraverso la telematica (disciplina che le è figlia e che si occupa dell’aspetto comunicazionale associato all’utilizzo del computer), ha infatti permesso il collegamento in rete di tutti i calcolatori presenti nel mondo, in modo che ogni soggetto possa dialogare con qualsiasi altro soggetto collegato in rete dovunque egli si trovi. Un esempio calzante, al riguardo, è dato dal progetto varato poco più di un anno fa dal SETI (Search for ExtraTerrestrial Intelligence) Program, che si occupa della ricerca di eventuali segnali
di vita extraterrestre (onde radio ecc…). Il maggiore problema che i responsabili del suddetto programma dovevano affrontare era il processamento di enormi quantità di dati, da trasformare in informazioni coerenti, provenienti dalla rete mondiale di radiotelescopi sulla quale il SETI Program può contare. Il problema venne risolto incoraggiando, via Internet, la partecipazione di ogni soggetto interessato ad aiutare le sorti di questo programma di ricerca scientifica; chiunque possieda un PC e disponga di un collegamento
ad Internet può visitare il sito del SETI Program e scaricare un piccolo software che durante i momenti di inattività del computer (sotto forma
di screen saver) tiene occupata la CPU processando una piccola quantità di dati provenienti anch’essi dal sito suddetto. Una volta processati, questi dati, ormai trasformati in informazioni, vengono spediti al SETI Program via Internet. Ad oggi il SETI Program può contare sulla fattiva collaborazione di centinaia di migliaia di computer distribuiti in tutto il mondo, il che significa una potenza di calcolo aumentata a dismisura.
Questo esempio, sebbene estraneo alla nostra trattazione, ci fa comprendere come, nel momento in cui viviamo, siano sempre più incerti i confini all’interno dei quali si svolge l’attività produttiva di qualsiasi organizzazione; anzi, per il SETI Program, si può ben dire che di confini fisici non ne esistono più!
Conseguenza prima dell’abbattimento degli ostacoli fisici e strutturali operato dalla tecnologia è stata senza dubbio la progressiva crescita della quantità di informazioni a disposizione di ogni individuo. Ciò è molto facile da comprendere, se si pensa al fatto che, solo 50 anni fa, le uniche fonti di informazioni fruibili dal grande pubblico erano la radio e i quotidiani nonché, in misura minore, i