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La fase di sviluppo delle risorse umane: la gestione della risorsa uomo, all’interno dell’impresa comincia ad assumere

CAPITOLO 3: UN MODELLO DI MARKETING INTERNO

3. La fase di sviluppo delle risorse umane: la gestione della risorsa uomo, all’interno dell’impresa comincia ad assumere

un’ottica strategica; si diffondono sistemi di valutazione, di pianificazione retributiva, di pianificazione delle carriere.

4. La fase dello sviluppo organizzativo: si consolida definitivamente l’approccio strategico finalizzato alla gestione e allo sviluppo delle risorse umane; in questa fase la direzione del personale assume compiti molto più ampi di integrazione tra il sistema umano ed il sistema dei meccanismi operativi dell’impresa; si afferma prepotentemente il ruolo della

formazione come meccanismo di sviluppo della risorsa umana.

Da questo breve quadro si evince che l’individuo che lavora all’interno dell’impresa viene dapprima considerato come una variabile meramente operativa, una macchina con qualche difetto in più, e che col passare del tempo assume un’importanza sempre più centrale in ogni singola fase del processo di produzione dell’output.

Quindi ogni singola risorsa va coltivata ed incitata nell’ottica che per un’impresa non è importante avere, in un determinato posto, una qualsiasi persona, ma sarà fondamentale avere quella determinata risorsa che possiede le caratteristiche fondamentali che richiede l’organizzazione, e che, ancor di più, rappresenta un vantaggio competitivo nei confronti dei concorrenti.

È chiaro che, ogni volta che un individuo entra a far parte di un’organizzazione, egli diviene immediatamente un investimento che va curato, protetto e mantenuto all’interno dell’organizzazione per più tempo possibile. Ecco che allora si affaccia la necessità di rendere sempre più stimolante la partecipazione all’interno dell’impresa ad ogni singola risorsa.

IL MARKETING INTERNO

Uno dei metodi che si sono affermati in questi ultimi anni, il metodo del marketing interno, si basa sulla necessità di una totale rivoluzione nell’ambito della gestione delle risorse umane. Queste ultime non andranno più viste come dipendenti o subordinati ai quali chiedere od ordinare qualcosa, ma come dei veri e propri clienti interni con i quali instaurare un proficuo rapporto duraturo e ai quali offrire un servizio.

Applicato al modello di organizzazione reticolare, ciò significa che ogni singolo cliente interno dell’organizzazione sarà, a sua volta, fornitore di un servizio per un altro individuo, e lo sarà nel momento stesso in cui verrà attivato un canale comunicazionale.

Il marketing, in questi ultimi decenni, ha spostato, a torto o a ragione, il centro dell’attenzione di manager ed imprenditori dall’ottimizzazione del prodotto fine a se stessa al miglioramento dello stesso in base alle esigenze del cliente. Fondamentale, per un’azienda, è diventato il saper ascoltare le necessità di coloro che poi compreranno il prodotto. Saperlo ascoltare però non basta, bisogna cercare di creare con lui un rapporto duraturo che preveda la fidelizzazione del cliente e, secondo le più moderne teorie, il suo

inserimento addirittura all’interno della catena del valore (così da formare quella costellazione del valore vista nel precedente capitolo).

Un buon piano di marketing interno non potrà assolutamente prescindere da una visione del business orientata al cliente.

Comprendere le esigenze dei clienti esterni servirà, in particolare, a riorientare i messaggi che vengono spediti all’interno dell’organizzazione, a dare a certe decisioni una finalità ben precisa.

Ma neanche ciò basta. È necessario infatti che ogni individuo inserito nell’organigramma aziendale sia in grado di comprendere tutti gli aspetti strategici connessi a ciò che si produce: ricerca della qualità, eccellenza nell’immagine, attenzione al prezzo. E dovrà poi comportarsi di conseguenza, cercando di rendere il proprio operato compatibile con l’output dell’impresa.

A questo punto entrerà in gioco il marketing interno; infatti tutto ciò che è stato appena detto è pressoché impossibile da realizzare se la singola risorsa non trova interesse a rendersi compatibile con gli obiettivi aziendali.

UN MODELLO DI MARKETING INTERNO: I FATTORI ESTERNI

I CLIENTI ESTERNI

La domanda che continuamente si pone un bravo manager è cosa può fare per migliorare il prodotto che vende a determinati clienti. La risposta a questa domanda può essere trovata nell’esplicazione di tre concetti fondamentali: eccellenza, qualità, scopo. Il concetto di eccellenza può essere ricondotto a quello che Porter chiama il

“vantaggio competitivo”. La ricerca continua dell’eccellenza, in qualsiasi aspetto del business che si intraprende, può essere la chiave del successo di quel business. La qualità può, da un certo punto di vista, essere una parte del concetto di cui sopra, ma con il termine qualità si vuole intendere anche la ricerca del modo ottimo attraverso il quale interfacciarsi con i clienti. Lo scopo è forse il concetto più importante che si può correlare all’intrapresa di un business. Lo stesso Porter ci insegna che non è possibile raggiungere alcun vantaggio competitivo se, fin dall’inizio, non è chiaro quale tipo di vantaggio si vuole raggiungere.

L’OUTPUT PRODUTTIVO

L’output che arriva al mercato è il biglietto da visita che l’impresa dà ai propri clienti. Un’ottima pubblicità fatta ad un prodotto scadente, servirà forse ad incoraggiare il primo acquisto da parte dei clienti potenziali, ma sicuramente sarà inefficiente quando cercherà di incoraggiare il riacquisto del prodotto. Le leggi del mercato hanno fatto sì che il prodotto vincente, oggi, sia quello che corrisponda alle specifiche richieste di un sempre più specifico target.

L’effetto legato alle economie di scala allora sarà garantito dalla modularità del prodotto, più che dalla produzione in serie di un gran numero di beni standardizzati. Individuare e soddisfare nel modo corretto target completamente nuovi o particolari nicchie all’interno di uno stesso target, può voler dire raggiungere una leadership duratura.

Pensiamo al caso del mercato delle automobili: la tendenza attuale sta nella produzione su ordine da parte del cliente. Differenti ordini per uno stesso prodotto possono, però, contenere variazioni rilevanti che, all’estremo, possono stravolgere il prodotto stesso.

L’IMPERATIVO È: SODDISFARE I BISOGNI

Gli anni ’90 saranno ricordati come gli anni dell’economia delle clientele interna ed esterna. Ci si può chiedere se ciò varrà anche in futuro: sicuramente, quello spinto dal marketing interno, è un treno che non potrà facilmente tornare indietro, e se, in questo ipotetico viaggio, dovessimo definire il capolinea per il nuovo millennio, potremmo affermare che esso sarà quello dell’economia del flusso di informazioni e delle relazioni. Ormai, e le aziende di servizi ne sono un ottimo esempio, nessun membro dell’organizzazione può esimersi dall’operare secondo un’ottica di marketing: nessuno vorrebbe oggi essere cliente di una banca se coloro che più degli altri intrattengono relazioni con il pubblico (cassieri, direttori di filiale, agenti o comunque soggetti non facenti parte della funzione marketing) sono scortesi o non conoscono le basilari tecniche per interfacciarsi con il pubblico.

Ma questo discorso varrà sempre di più anche per le altre aziende: lo sviluppo delle organizzazioni reticolari implica che ogni soggetto debba, almeno in potenza, essere pronto ad interfacciarsi con qualsiasi altro individuo dell’organizzazione, e quando ciò avviene,

devono essersi già create le basi perché la relazione sia condotta attraverso canoni ottimali.

Questo obiettivo può essere raggiunto solo quando ogni membro dell’organizzazione si pone non come un filtro delle decisioni o delle informazioni (il ruolo che di fatto avevano i membri delle organizzazioni burocratiche), ma come un offerente servizi a determinati clienti, a questo punto non importa più se interni o esterni.

Ciò che conta non è quindi porsi sempre la domanda: “come posso fare meglio il mio lavoro?”, ma è ripetersi continuamente la convinzione “devo soddisfare al meglio i bisogni dei miei clienti”. La base di questo ragionamento sta nel rendersi conto che non essere capaci di soddisfare i bisogni dei clienti esterni può significare il fallimento del business, non essere capaci di soddisfare i clienti interni può voler dire acquisire ritardi tali da rendere, in futuro, impossibile il soddisfacimento della prima condizione.

UN MODELLO DI MARKETING INTERNO: I MERCATI INTERNI

L’IMPORTANZA DELLE RELAZIONI

Da quanto abbiamo fino ad ora detto pare chiara la centralità che assume la capacità di creare, mantenere e rinnovare continuamente relazioni all’interno dell’impresa. Le relazioni costituiscono la base del libero, costante, pulito, tempestivo e flessibile flusso di informazioni dall’emittente al destinatario.

Ognuna di queste caratteristiche del flusso è influenzata dalle relazioni quando queste ultime non sono ottimali. Un efficace ed efficiente flusso delle informazioni deve essere libero, vale a dire non deve essere costretto a percorrere vie diverse (e sicuramente più lunghe) da quella emittente-destinatario, ma in più non deve essere un flusso soggetto a pressioni politiche o propagandistiche.

Inoltre il flusso di informazioni, qualora l’organizzazione lo richieda, deve essere costante, per cui l’emittente ed il destinatario devono essere capaci di interagire continuamente (pensiamo a qualsiasi compito che venga svolto in gruppo da soggetti che lavorano

in stanze diverse: la presenza di una rete telematica può essere di tutto vantaggio per le comunicazioni).

Il flusso deve poi essere pulito, vale a dire, deve arrivare al proprio destinatario nella stessa forma e con le stesse caratteristiche che aveva quando era partito; in altre parole l’organizzazione deve rimanere trasparente rispetto al flusso delle informazioni e non deve aggiungere allo stesso rumori di sorta.

Relazioni non ottimali possono anche minare la tempestività del flusso di informazioni: pensiamo alla difficoltà che avrebbe un qualsiasi emittente a comunicare con un destinatario che non ha mai visto di buon occhio.

Infine il flusso di informazioni deve essere flessibile, vale a dire che deve cambiare a seconda di quelle che sono le esigenze dell’emittente e del destinatario. Quest’ultima caratteristica è fondamentale, perché solo attraverso essa si riuscirà ad interfacciarsi con il proprio cliente seguendo e cercando di soddisfare i suoi bisogni.

È naturale che un’organizzazione non potrà costringere due soggetti ad interfacciarsi tra di loro quando ce ne sarà bisogno; ma fondamentale sarà il contributo della stessa alla creazione delle basi perché ciò avvenga senza alcun trauma da parte dei due soggetti

coinvolti di volta in volta. Il contributo principale che l’organizzazione può dare a questo scopo sta nella creazione di un ambiente lavorativo tranquillo e amichevole, stimolante e motivante.

Questo arduo compito dovrà essere lasciato all’alta direzione e alla direzione del personale, ma come vedremo, qualche competenza di marketing potrà essere molto utile al raggiungimento del nostro scopo.

IL PRIMO TASSELLO: GLI INDIVIDUI

Sicuramente la base di ogni organizzazione è formata dagli individui che ne fanno parte. Negli ultimi paragrafi ci siamo rivolti ai lavoratori dell’impresa, senza specificare il loro livello o status, inquadrandoli non come dipendenti, ma come produttori di un preciso servizio destinato ad un altro membro dell’organizzazione, oppure come fruitori di un altro preciso servizio prodotto per loro da altri all’interno dell’organizzazione stessa. Il grande cambiamento che c’è alla base di questa piccola variazione nella definizione sta nel punto di vista dietro al quale si pongono i responsabili dell’organizzazione. Un

“dipendente” è un soggetto che pretende il massimo cercando sempre di dare il minimo. Un “cliente interno” è un soggetto al quale bisogna

fornire un servizio ottimo affinché egli sia in grado di rispondere in maniera ottima.

Questa immagine della catena produttori-fruitori di servizi interna all’organizzazione ci lascia immaginare gli sviluppi che quest’ottica assume all’interno di imprese, organizzate per processi e che possono definirsi organizzazioni reticolari.

Individuare i singoli soggetti ai quali riferire le politiche di marketing interno, assume un po’ la stessa valenza che ha il cercare di definire un mercato target nell’ambito del marketing esterno. E come nel caso di marketing esterno si dovranno affrontare i problemi sempre crescenti della continua riduzione del numero di soggetti racchiusi in un dato target e il conseguente continuo aumento dei target stessi. Al limite in una società moderna abbastanza deverticalizzata, ogni soggetto rappresenterà un mercato target di queste politiche completamente diverso dagli altri soggetti.

Una volta inquadrato ogni soggetto del singolo target, bisogna chiedersi quali sono i bisogni che questi individui ritengono insoddisfatti da parte dell’organizzazione, e agire proprio su queste leve per migliorare la loro situazione motivazionale e comportamentale. Ciò richiede un’attività di ricerca assolutamente

dettagliata da parte della funzione adibita allo sviluppo del personale, a livello globale, ma anche da parte del manager a livello di ogni singolo suo collaboratore. La vera sfida, in questa fase, per il manager sta nel capire che non si trova davanti dei dipendenti o dei subordinati, ma dei collaboratori, ai quali fornisce servizi che dovranno incoraggiare una risposta positiva, e possibilmente ottimale, da parte loro.

IL SECONDO TASSELLO: I GRUPPI

Un modo di lavorare ormai diffusissimo nelle aziende è di organizzare gruppi, anche temporanei, di lavoro su una determinata problematica che l’azienda in un certo momento della sua vita si trova ad affrontare. Una tale organizzazione richiede però, per essere gestita in maniera ottimale, una notevole preparazione rivolta alla ottimizzazione dei comportamenti all’interno del gruppo: per esempio la spinta verso la cooperazione, la collaborazione e la divisione di responsabilità più complete; la scelta degli individui giusti da inserire nel gruppo; la rimozione di comportamenti subottimali all’interno del gruppo, come il desiderio di emergere di ognuno, la

vanità, la timidezza, la prepotenza, la tendenza al tradimento nei confronti di colui col quale non si intrattengono buoni rapporti.

Ma l’organizzazione del lavoro per gruppi richiede ancora un ulteriore passaggio: la capacità dell’organizzazione di arrivare a suscitare lo stesso effetto positivo in tutti i membri del gruppo con un unico messaggio. Si aggiunga che la notevole caducità, conseguente alla notevole specificità dei compiti di ogni gruppo, se è possibile moltiplica il problema, dato che, a causa del poco tempo a disposizione, non è concessa alcuna possibilità di errore.

Una delle politiche spesso erroneamente perseguite dalle organizzazioni è di incoraggiare una competizione tra gruppi diversi (si pensi ai target minimi di vendita fissati per ogni filiale). Questi progetti spesso risultano totalmente fallimentari, perché, invece di incoraggiare gli individui ad impegnarsi al massimo delle loro possibilità, spesso vengono percepiti come incentivazioni totalmente avulse rispetto alle vere necessità che hanno i lavoratori. Inoltre queste politiche creano un clima di tensione e di competizione, tra i vari gruppi e tra i membri di ogni gruppo, che peggiora notevolmente la situazione ambientale, attraverso il malcelato incoraggiamento a vedere come proprio concorrente non un’altra organizzazione, ma un

proprio collega di lavoro. Ciò dimostra che la nostra cultura del lavoro di gruppo è ancora a livelli bassissimi rispetto, ad esempio, ad una cultura come quella giapponese in cui il lavoro di squadra viene percepito come componente essenziale nella vita di un’impresa.

Una politica di gestione del gruppo che voglia ottenere risultati positivi non può prescindere dalla convinzione che all’interno dello stesso debbano essere incoraggiate la raccolta e la diffusione della saggezza e della conoscenza. Politiche come quelle descritte in precedenza, invece, non fanno altro che minare il clima di fiducia reciproca che necessariamente si deve creare all’interno del gruppo.

IL TERZO TASSELLO: I MANAGER

Se il fine del marketing interno è quello di migliorare la comunicazione organizzativa attraverso politiche precise atte a ricomporre un’unitarietà di intenti e a creare un ambiente lavorativo sano e piacevole, è chiaro che gli individui che dovranno essere maggiormente educati a tal fine sono i manager: in un’impresa ormai non più organizzata su un modello imprenditoriale basato sul comando assoluto del singolo imprenditore, ma su una proprietà molto diffusa e in gran parte “ignorante” riguardo alla gestione di un’azienda

(il popolo dei piccoli risparmiatori), i manager diventano i veri e propri arbitri della vita aziendale.

In particolare, delicata è la posizione dei manager di livello intermedio, cioè di quei soggetti pressati sia dall’alto che dal basso in quanto costretti a comunicare ai propri collaboratori le decisioni ultime dei leader. Percui la grande quantità di messaggi ed informazioni che vanno dall’alto verso il basso, o viceversa, trovano una chiusa proprio al livello intermedio; l’effetto che si ottiene è quello di una clessidra (Thomson, K. M.: op. cit.). Compito del marketing interno, a questo livello, sarà quello di rimuovere questo effetto clessidra, motivando i manager intermedi ed incoraggiandoli a comportarsi in maniera ottimale, agendo da filtro o da acceleratore ai vari messaggi che arrivano loro.

In futuro i problemi collegati al management intermedio saranno sempre meno sentiti; di fatto, la tendenza, conseguente all’imperativo della deverticalizzazione, è quella di ridurre in maniera drastica il numero di livelli intermedi, concentrandosi sulle competenze specificamente tecniche che questi individui hanno, piuttosto che forzarli ad assumere comportamenti manageriali per loro innaturali.

Questa tendenza è già ben visibile nell’ambito delle organizzazioni

reticolari nelle quali il management intermedio è ridottissimo e si occupa per lo più di problemi operativi.

L’ULTIMO TASSELLO: I LEADER

Le considerazioni riguardanti l’importanza che il management intermedio non funga da chiusa al processo comunicazionale, devono trovare una loro mitigazione nel caso in cui i messaggi che partono dai leader siano completamente avulsi dall’ottica del marketing interno. In più, però, c’è da considerare che essere leader di un’organizzazione non significa necessariamente essere ai vertici della stessa, ma significa essere un punto di riferimento perché si ha un carattere forte o un carisma notevole. Da non sottovalutare è comunque la capacità di influenzare le persone, conseguente alla grande capacità comunicativa, che questi individui hanno. È per questo che una politica di marketing interno non sarà mai efficace se non investe anche i leader.

UN MODELLO DI MARKETING INTERNO:

L’ORGANIZZAZIONE

Una volta individuati i target interni del marketing interno, bisogna procedere alla definizione del mix di politiche strutturandolo in modo da renderlo coerente con la cultura aziendale. Per individuare la cultura aziendale, però, non è sufficiente fermarsi all’enumerazione e alla descrizione delle singole caratteristiche di ogni individuo, gruppo, manager o leader, bisogna infatti far entrare in gioco un altro insieme di variabili che possono essere catalogati sotto il nome di organizzazione.

I PRIMI TASSELLI: VISIONE, MISSIONE, VALORI

Un buon punto di partenza per un leader è di porsi, almeno figuratamente, alla base dell’organizzazione invece che al suo vertice.

Il vantaggio di questo cambiamento sta nella semplice equazione secondo la quale il servizio svolto da ogni soggetto all’interno dell’organizzazione copre la medesima posizione del soggetto stesso.

Il servizio principale che un leader fornisce ai propri collaboratori è di indirizzare verso una data meta il lavoro, gli skill, i

comportamenti organizzativi di ognuno di essi. Il traguardo verso il quale si sta muovendo l’organizzazione è composto dalla visione del business che essa ha, dalla sua missione (ovvero dal fine ultimo della sua esistenza), dai valori che l’organizzazione cerca di esprimere.

Negli ultimi anni, le teorie di management più innovative hanno rivolto gran parte del loro tempo allo studio e alla definizione di queste tematiche. Si è infatti visto che un’impresa che voglia essere coerente al suo interno deve possedere una visione, una missione e dei valori che tra di loro siano compatibili. Questi tre tasselli stanno addirittura a monte rispetto alle strategie imprenditoriali, in quanto queste ultime possono considerarsi come un’espressione di sintesi di tutte e tre le determinanti.

Per visione di business si intende la situazione che un leader (la persona capace all’interno dell’organizzazione di vedere al di là del presente) prevede si avvererà in un determinato futuro. Avere questa capacità per un leader significa portare l’organizzazione al conseguimento dei soli obiettivi ottimali tra quelli che l’impresa si era data.

Le teorie classiche dell’organizzazione non lasciavano molto spazio alla fantasia nella definizione di missione, anzi essa era per lo

più snobbata e rinchiusa dentro il classico adagio che un’impresa dovesse far soldi o, ancora più specificamente, conseguire degli utili.

più snobbata e rinchiusa dentro il classico adagio che un’impresa dovesse far soldi o, ancora più specificamente, conseguire degli utili.