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PREMESSA

All’apice del suo successo, Henry Ford non si accorse che il modello di produzione sul quale egli aveva basato la sua fortuna stava per essere ridotto all’impotenza dai suoi concorrenti (General Motors in testa). Egli non concepiva, infatti, che i clienti di automobili potessero arrivare a chiedere prodotti non standardizzati.

L’espressione, a lui attribuita: “Il cliente può scegliere l’auto che preferisce, purché sia una Ford, Modello T, di colore nero”, dà l’idea esatta della trappola in cui un pur grandissimo imprenditore (Henry Ford rivoluzionò il mondo della produzione industriale con l’invenzione della catena di montaggio) era caduto quando non aveva più saputo ascoltare il proprio cliente, ossia quando aveva cominciato a dare più importanza al suo business che ai fruitori dello stesso.

In realtà, il vero errore di Henry Ford fu quello di restare sclerotizzato nella sua idea di produzione quando essa era diventata obsoleta. Probabilmente, l’insuccesso di Ford sarebbe stato meno eclatante se l’azienda che egli presiedeva si fosse dotata di una

funzione di confine, come ad esempio il marketing, che gli avesse comunicato tempestivamente il progressivo decadimento della sua idea di business. Il problema è che il marketing, come funzione deputata non solo all’ausilio delle vendite, ma anche all’ascolto della clientela, ancora oggi fatica a farsi strada tra le moderne realtà produttive.

La ragione principale di questa distonia esistente tra le due realtà, della produzione e della fruizione, passa attraverso una terza realtà che oggi, purtroppo, funge da “rumore” rispetto al libero flusso delle informazioni. Questa terza realtà è rappresentata dai manager d’impresa (ciò sarà dettagliatamente spiegato nel capitolo 3), i quali non sempre sono in grado di capire quando l’azienda ha bisogno di una nuova spinta per poter progredire sulla sua strada. Il motivo di questa incapacità risiede nella considerazione che, spesso, i manager sono legati all’idea classica di fare business, oppure al loro modo personale di fare business, se questo in passato ha portato loro un certo successo (l’esempio di Henry Ford è molto calzante da questo punto di vista). Il problema è che, in entrambi i casi, i manager restano ciechi rispetto ai cambiamenti che avvengono intorno a loro. Ancora, questa cecità può essere provocata da un’incapacità del marketing di

prevedere e controllare quelli che saranno gli umori della clientela in futuro.

L’EVOLUZIONE DEI MODELLI INDUSTRIALI E LA NASCITA DEI SETTORI DI PRODUZIONE

Indubbiamente, la variabile che più ha determinato sconvolgimenti nei vari modelli di produzione, succedutisi nella storia dell’economia, è senz’altro la concorrenza. In realtà, un modello di produzione comincia a diventare obsoleto quando un concorrente inventa un nuovo modello che riscontra il favore del pubblico.

Partendo dall’origine della storia economica, si è prima assistito ad un’economia di estrazione e commercio di materie prime, che prima ebbe la sua controparte (nella produzione dei prodotti finiti) nell’attività artigianale, poi la ebbe (con l’avvento delle macchine) nell’attività industriale. L’attività industriale fu la prima vera rivoluzione che si ebbe dalla nascita dell’economia. Infatti, essa ebbe la forza di sostituire tutti i precedenti fattori critici di successo con altri completamente nuovi. Dall’importanza della locazione geografica (nell’economia artigianale era impensabile che ogni artigiano si

facesse arrivare le materie prime da luoghi molto distanti da quello in cui operava, cosa che invece era possibile ad organizzazioni più strutturate come furono in seguito le aziende che nacquero in conseguenza della rivoluzione industriale) si passava all’attenzione sui costi. Questo cambiamento di focus è alla base di tutta la moderna economia. L’estrema importanza che rivestono i costi in questa fase della storia economica, porterà una serie di rivoluzioni nel modo di produrre beni finiti. Si parte dalla parcellizzazione del lavoro, predicata da Adam Smith come sommo rimedio all’abbattimento dei costi e all’aumento della produttività; si passa attraverso la standardizzazione dei processi produttivi e dei beni finali, sostenuta da Henry Ford, ma che in realtà è una conseguenza della divisione del lavoro, poiché questa presume che ogni output intermedio prodotto da un lavoratore possa essere assemblato, senza problemi, con ogni altro output intermedio prodotto da un altro lavoratore; la standardizzazione, poi, fu foriera dell’avvento della massificazione dei mercati e della produzione in serie. Tutto questo è durato fino, più o meno, alla fine degli anni ’80. Oggi, ad una decade di distanza, assistiamo ad un’altra rivoluzione nella produzione di beni che

probabilmente avrà un impatto simile a quello avuto dalla rivoluzione industriale: l’avvento dell’economia dell’informazione.

Nel tempo stesso in cui l’economia evolveva, nuovi prodotti, sempre più complessi, vedevano la nascita. Un artigiano, ad esempio, per quanto piccola fosse la sua attività, aveva bisogno di chi gli fornisse del denaro per iniziare la produzione. Per soddisfare questo particolare scopo nacquero le banche, che però non potevano essere catalogate né come appartenenti al settore produttivo (detto secondario), né, tantomeno, a quello agricolo o minerario (detto primario); le banche furono le prime organizzazioni a fornire quello che oggi chiamiamo comunemente un servizio. L’economia dei servizi, che da allora si sviluppò sempre di più, venne catalogata in un altro settore, detto terziario; ciò cui si è assistito negli ultimi tempi è stato il continuo aumento dell’importanza del settore terziario rispetto agli altri due settori, almeno come ammontare di risorse finanziarie che è capace di muovere.

Oggi, la categorizzazione in settori economici non può più essere sostenuta, dato che le attività dei tre settori si intrecciano sempre di più. Per esempio, gran parte del valore aggiunto che viene prodotto nel settore manifatturiero proviene dallo scambio di servizi all’interno,

come meglio schematizzato nel prospetto che segue1.

Tabella 1: L’economia a tre settori (Fonte: R.Normann e R.Ramirez; op. cit.)

Tale schema propone la costruzione di una matrice che contenga sull’asse delle ascisse i tre settori economici, mentre sull’asse delle ordinate contenga le attività agricola, manifatturiera e dei servizi

1 J. B. Quinn & C. E. Gagnon: “Will services follow manufacturing into decline?” in Harvard

Business Review, 1986, Novembre-Dicembre; tratto da R. Normann & R. Ramirez: “Le strategie interattive d’impresa”, 1995, ETASLIBRI

Settore agricolo

Settore dell’industria manifatturiera

Settore dei servizi

Economia agricola Economia manifatturiera

Economia dei servizi

(intese come processi lavorativi). Lo scopo è di differenziare la produzione di tutti i tipi di prodotti in ogni singolo settore.

Ad esempio, un costruttore di automobili produce un bene che appartiene al settore manifatturiero, ma se si guarda al processo di produzione e di commercializzazione del prodotto, ci si accorge che esso, per gran parte, avviene nell’ambito dell’economia dei servizi; in sostanza, l’acquirente dell’automobile non va ad acquistare la macchina dalla fabbrica così come esce dalla catena di montaggio, ma si recherà da un concessionario che gli venderà il servizio “acquisto della tale automobile in base alle specifiche dell’acquirente”, il servizio “immatricolazione dell’automobile” ed infine il servizio

“trasporto e consegna in loco dell’automobile”. Inoltre, la casa costruttrice dell’automobile acquisterà da terzi il servizio “trasporto delle parti componenti dell’automobile” e molti altri servizi.

Se ci si pone in quest’ottica, ci si accorge che a produrre valore, in un determinato periodo, non sono i settori economici, bensì le economie stesse. L’economia dei settori funzionava attraverso la

“catena del valore” (la tipica catena di montaggio del settore manifatturiero ne è un esempio). In questo nuovo modello, il valore è creato da tutta una concatenazione di servizi che inseriscono la

“catena di montaggio” in un sistema più ampio. La catena di montaggio si troverà nella parte centrale di questo sistema e sarà preceduta a monte da alcuni elementi (l’ordinativo dell’automobile e il trasporto delle parti componenti nel nostro esempio), e seguita a valle da altri (il trasporto e la consegna dell’automobile).

IL RUOLO DELLA TECNOLOGIA DELLINFORMAZIONE

Sicuramente, il maggiore pregio della tecnologia sta nella sua capacità di eliminare quei vincoli strutturali che rappresentano la causa di tutte le perdite di produttività nell’ambito del processo di lavorazione industriale. Ad esempio, quando venne inventato il motore a vapore, non fu più necessario, per le imprese, risiedere nelle vicinanze di fonti energetiche naturali, giacché la fonte energetica primaria, sulla quale si basavano gli impianti, era riproducibile ovunque. Ancora, il motore elettrico eliminò i vincoli che il motore a vapore implicava, un impianto a vapore, infatti, doveva essere collegato al motore principale tramite una serie di ingranaggi, pulegge, cinghie e alberi di trasmissione che rendevano molto complesso ed abbastanza obbligato il layout della fabbrica; tutto ciò non valse più con l’invenzione del motore elettrico, inserito all’interno

di ogni singolo impianto, che permetteva la completa indipendenza tra i vari macchinari della fabbrica. Come si vede da questo semplice esempio, il ruolo primario della tecnologia sta nell’abbattimento delle barriere strutturali, e nell’aumento sensibile di flessibilità. Con il motore elettrico, infatti, gli impianti potevano essere posizionati secondo il layout ottimale, dato che gli impianti non dovevano essere collegati tra loro e, tantomeno, ad un motore centrale. Tutto ciò, naturalmente, andava a tutto vantaggio della produttività e consentiva una drastica diminuzione dei costi di assemblaggio di una fabbrica e di produzione di un bene all’interno della stessa.

I modelli di produzione però subirono un notevole sconvolgimento, paragonabile a quello dell’avvento del motore a vapore, quando la tecnologia permise l’utilizzo dell’informazione come variabile base di tutti i processi lavorativi aziendali.

Si era dato inizio all’epoca dell’informatizzazione.

Se ci dovessimo chiedere cosa ha significato l’avvento dei computer, le risposte a questa domanda sarebbero davvero troppe, in quanto l’informatica ha rivoluzionato la nostra vita. Tenendoci, volutamente, per ciò che riguarda il nostro discorso, sul generico, diremo che l’informatica ha significato l’abbattimento definitivo

degli ostacoli strutturali relativi al flusso delle informazioni, e il serio intaccamento delle barriere fisiche; a tal proposito si pensi al risparmio di tempi e di costi che ha apportato l’avvento della tecnologia delle videoconferenze o della posta elettronica.

L’informatica, attraverso la telematica (disciplina che le è figlia e che si occupa dell’aspetto comunicazionale associato all’utilizzo del computer), ha infatti permesso il collegamento in rete di tutti i calcolatori presenti nel mondo, in modo che ogni soggetto possa dialogare con qualsiasi altro soggetto collegato in rete dovunque egli si trovi. Un esempio calzante, al riguardo, è dato dal progetto varato poco più di un anno fa dal SETI (Search for ExtraTerrestrial Intelligence) Program, che si occupa della ricerca di eventuali segnali

di vita extraterrestre (onde radio ecc…). Il maggiore problema che i responsabili del suddetto programma dovevano affrontare era il processamento di enormi quantità di dati, da trasformare in informazioni coerenti, provenienti dalla rete mondiale di radiotelescopi sulla quale il SETI Program può contare. Il problema venne risolto incoraggiando, via Internet, la partecipazione di ogni soggetto interessato ad aiutare le sorti di questo programma di ricerca scientifica; chiunque possieda un PC e disponga di un collegamento

ad Internet può visitare il sito del SETI Program e scaricare un piccolo software che durante i momenti di inattività del computer (sotto forma

di screen saver) tiene occupata la CPU processando una piccola quantità di dati provenienti anch’essi dal sito suddetto. Una volta processati, questi dati, ormai trasformati in informazioni, vengono spediti al SETI Program via Internet. Ad oggi il SETI Program può contare sulla fattiva collaborazione di centinaia di migliaia di computer distribuiti in tutto il mondo, il che significa una potenza di calcolo aumentata a dismisura.

Questo esempio, sebbene estraneo alla nostra trattazione, ci fa comprendere come, nel momento in cui viviamo, siano sempre più incerti i confini all’interno dei quali si svolge l’attività produttiva di qualsiasi organizzazione; anzi, per il SETI Program, si può ben dire che di confini fisici non ne esistono più!

Conseguenza prima dell’abbattimento degli ostacoli fisici e strutturali operato dalla tecnologia è stata senza dubbio la progressiva crescita della quantità di informazioni a disposizione di ogni individuo. Ciò è molto facile da comprendere, se si pensa al fatto che, solo 50 anni fa, le uniche fonti di informazioni fruibili dal grande pubblico erano la radio e i quotidiani nonché, in misura minore, i

cinegiornali e il telefono. La televisione, allora, muoveva i primi passi, così come l’informatica (di quegli anni è la costruzione dei primi calcolatori elettronici). Entrambi questi strumenti, solo parecchi anni dopo sarebbero diventati una fonte di informazioni universale, ossia percettibile da una grande quantità di persone. Oggi, senza dubbio, queste due tecnologie rappresentano gli strumenti principe di chi voglia mantenersi aggiornato sugli avvenimenti che accadono anche a parecchi chilometri di distanza da lui. Inoltre questi due strumenti, insieme al telefono e alla radio, hanno due grandi vantaggi rispetto ai loro predecessori: la possibilità di trasmettere informazioni in diretta e la, almeno potenziale, possibilità di interazione del fruitore.

IL CAMBIAMENTO NELLE ASPETTATIVE DEI CLIENTI

Cosa ha significato tutto ciò? Quali conseguenze ha avuto il drastico aumento della quantità di informazioni nella produzione di beni e servizi?

Senza dubbio, rispondere a queste due domande significa entrare nei meccanismi più profondi dell’economia attuale.

Sicuramente, e dire questo è quasi tautologico, l’aumento della ricezione di informazioni da parte di chi è interessato ad una

determinata dinamica (nel nostro caso la dinamica produttiva ed organizzativa) ha significato un aumento della quantità di conoscenze.

Evidentemente, si tratterà di capire quali sono le possibili conseguenze, per le organizzazioni produttrici di beni e di servizi, di questo aumento delle conoscenze.

Possedere una maggiore quantità di informazioni su un qualsiasi argomento vuol dire, in sostanza, acquisire una certa consapevolezza (vedi cap. 3) riguardo allo stesso. Acquisire consapevolezza, poi, vuol dire:

essere in grado di catalogare e discernere le informazioni ulteriori sullo stesso argomento, magari contrastanti tra di loro, che ci arrivano dall’esterno;

essere in grado di basare i propri giudizi, riguardo al dato argomento, sempre più su elementi oggettivi piuttosto che soggettivi.

Esaminiamo i seguenti punti e applichiamo le seguenti idee alla realtà produttiva.

Facciamo l’esempio di un soggetto che si lasci tentare dall’acquisto di un prodotto mai provato, del quale abbia visto una

pubblicità, e che rimanga scontento di questo acquisto impulsivo che ha compiuto. L’informazione che egli riceve dalla pubblicità che ha visto sarà naturalmente positiva in senso assoluto. Dalla prova diretta del prodotto, però, il nostro cliente riceve un’informazione (verosimilmente più forte di quella precedente) del tutto negativa. La quantità di informazioni che possiede su quel dato prodotto è aumentata e l’informazione che ha ricevuto dall’acquisto, contrastante con quella precedente (datagli dalla pubblicità) gli ha fatto acquisire la consapevolezza che non comprerà mai più quel prodotto.

L’idea che sta dietro a questo esempio, e che si vuole qui mettere in luce, è che l’aumento delle conoscenze porta l’impresa ad un maggiore impegno nella produzione di un prodotto, dato che l’aumento della consapevolezza da parte del cliente può annullare qualsiasi sforzo da parte dell’impresa di comunicazione al pubblico, se poi il prodotto non possiede caratteristiche oggettive che incontrano il favore del pubblico stesso.

L’ESPANSIONE DELLIDEA DI CLIENTE: IL PASSAGGIO DALLA CATENA DEL VALORE ALLA COSTELLAZIONE DEL VALORE

Parlare di clienti, oggi, può risultare molto più difficile di quanto non lo fosse in passato. In linea generale, potremmo dire che sarebbe inopportuno, allo stato attuale, fossilizzarsi sull’idea di cliente inteso solamente come acquirente finale di un dato prodotto. La rivoluzione che il marketing sta producendo tuttora all’interno delle organizzazioni, è una rivoluzione culturale, piuttosto che commerciale, e prende spunto dall’idea che ogni soggetto, all’interno del processo produttivo di un determinato bene o servizio, può essere trattato come cliente di un fornitore di un servizio o prodotto intermedio.

Questa esasperazione dell’idea di cliente ha però una sua logica.

In effetti, il cambiamento di cultura sopra citato, si risolve nell’importanza, totalmente nuova nel mondo economico, data al cliente, ora visto come la risorsa prima delle ricchezze di un’impresa, ossia come l’unico viatico al successo del prodotto o del servizio che l’impresa si è proposta di produrre.

Le due direttrici dello sviluppo economico viste sopra (vale a dire lo sviluppo tecnologico e l’aumento della consapevolezza dei

fruitori di un servizio o degli acquirenti di un bene, susseguente all’aumento della quantità delle informazioni a disposizione), poi, hanno fatto sì che tutte le convinzioni manageriali in voga anche fino a poco tempo fa, risultassero improvvisamente obsolete.

Proviamo a pensare ad un prodotto come quello automobilistico e cerchiamo di seguire le vie che hanno portato a modificare il modo di produzione.

Fino a qualche tempo fa, il modello di produzione utilizzato per la costruzione di automobili era quello della catena di montaggio, così come era stato progettato da Henry Ford, naturalmente con qualche rimaneggiamento, dovuto al progresso tecnologico che, ad esempio, ha fatto sì che al posto degli operai, il lavoro venisse compiuto prima da macchine e poi da veri e propri robot. L’impianto del modello, però, era più o meno rimasto simile nel corso degli anni, tanto che, ancora nel 1985 Michael Porter nel suo libro “Il vantaggio competitivo” (trad. italiana: 1987, Edizioni Comunità), spiegava la sua idea di catena del valore come strumento della creazione di valore in un’organizzazione attraverso i concetti di linearità-sequenzialità che poi erano gli stessi alla base di una comune catena di montaggio.

Naturalmente l’idea di Porter andava oltre il semplice grafico a freccia

rappresentante la catena; in realtà l’unico modo che un imprenditore ha di sopravvivere nel mondo degli affari è di capire dove sta il suo

“vantaggio competitivo”, vale a dire, capire cosa sa fare meglio dei suoi concorrenti. La consapevolezza di saper fare qualcosa meglio degli altri la si ottiene solamente se si conoscono tutti i passaggi che portano alla produzione del prodotto finale. Conoscendo tutti i passaggi, si arriva poi a determinare quello critico per il successo.

Porter, però, rimaneva dell’idea che tutti gli step all’interno del processo produttivo fossero svolti secondo una logica di concatenazione lineare. Oggi, questa logica è stata completamente superata, e, di fatto, sono pochissime (un esempio è dato da quelle aziende che possono ancora contare su vari tipi di monopolio) le aziende di successo che non operano secondo una logica che somiglia sempre di più ad una rete, piuttosto che ad una catena. In sostanza, quei passaggi che prima si susseguivano obbligatoriamente in un dato ordine (che naturalmente non era universale, ma seguiva anch’esso la logica del vantaggio competitivo), oggi si svolgono prescindendo da qualsiasi sequenzialità lineare. Così come, ad esempio per comunicare con qualcuno via Internet, non c’è bisogno di fare tutta una serie determinata di passaggi, ma si può direttamente attivare un contatto

con chi si vuole, allo stesso modo, all’interno dell’impresa, chi deve soddisfare un determinato bisogno per un proprio cliente interno (da ora in avanti chiameremo cliente interno colui che, all’interno dell’impresa, riceve un determinato servizio da un fornitore facente parte anch’egli dell’impresa; a sua volta, il servizio fornito dovrà essere tale da attivare colui che prima era il cliente, in modo che egli diventi il fornitore di qualcun altro), potrà attivare, a scapito di tutte le regole burocratiche, un canale di comunicazione diretto con l’interessato.

L’ATTENZIONE AL CLIENTE INTERNO: UNA NUOVA TEORIA DEGLI STAKEHOLDER

L’imperativo assoluto per arrivare alla conoscenza di ciò che ci circonda è prima di tutto conoscere se stessi. Lungi dal sembrare un ritornello di vecchia memoria, questo tipo di attenzione è stata ripresa da molti grandi studiosi di organizzazione e di gestione delle imprese,

L’imperativo assoluto per arrivare alla conoscenza di ciò che ci circonda è prima di tutto conoscere se stessi. Lungi dal sembrare un ritornello di vecchia memoria, questo tipo di attenzione è stata ripresa da molti grandi studiosi di organizzazione e di gestione delle imprese,