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Caratterizzazione ottica delle guide d onda

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Academic year: 2022

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Capitolo 4

Caratterizzazione ottica delle guide d’onda

La definizione delle caratteristiche fondamentali e, quindi, delle prestazioni di una guida d’onda passa attraverso una serie di studi volti a determinarne le proprietà di accoppiamento e di amplificazione della radiazione. Le diverse tecniche di caratterizzazione possono essere suddivise in due categorie: una è relativa alle proprietà ottiche della guida (con riferimento al numero e alle peculiarità dei modi), quindi, riguardante le prestazioni della guida dal punto di vista dell’ottica geometrica e dell’elettromagnetismo (Capitolo 1 e Paragrafo 2.7). L’altra è, invece, legata alle proprietà spettroscopiche della guida, secondo le leggi della meccanica quantistica (Capitolo 2). Tra le tecniche appartenenti a quest’ultima categoria, inoltre, ve ne sono alcune che permettono di conoscere la qualità delle prestazioni della guida e altre che danno informazioni sulla sua “struttura” (il termine “struttura” è, in realtà, qui abusato, in quanto si tratta di materiali amorfi e vuole, appunto, riferirsi all’analisi dello stato di vetrificazione della guida e, quindi, alla sua porosità e densità e all’eventuale presenza di particolati e nanostrutture al suo interno).

Il primo gruppo di tecniche costituisce l’oggetto di questo capitolo; le tecniche di caratterizzazione spettroscopica sono, invece, presentate nel prossimo capitolo.

Tutte le tecniche di caratterizzazione, sono state, da me, eseguite presso i laboratori del CNR-IFN di Povo (TN).

4.1 Tecniche di caratterizzazione ottica delle guide d’onda

La caratterizzazione ottica o modale delle guide concerne la ricerca dei modi che possono essere eccitati e le loro proprietà di propagazione. Tramite differenti tecniche, dunque, si vanno a studiare sia le proprietà di accoppiamento della radiazione

(2)

Il primo passo consiste, dunque, nell’individuazione dei modi di guida e dei corrispondenti indici di rifrazione efficace, per poi risalire all’indice di rifrazione della guida. Una volta verificate le proprietà di accoppiamento, risulta cruciale lo studio della propagazione dei modi all’interno della guida stessa, con particolare riferimento alle perdite associate alla propagazione della radiazione.

In questo studio, si è ritenuto opportuno effettuare un set di misure preliminari non direttamente legate alle proprietà dei modi, ma volte ad un’analisi complessiva dell’interazione tra guida d’onda e radiazione (Paragrafo 4.2).

4.2 Spettro d’assorbimento

Una prima serie di informazioni può essere ricavata studiando l’assorbimento, da parte del campione, di radiazione distribuita su un ampio range: dall’ultravioletto (UV) all’infrarosso (IR).

In questo modo si possono ottenere indicazioni sulle lunghezze d’onda più adeguate per il pompaggio della guida e, quindi, anche sulla lunghezza d’onda di cut-off della guida stessa, a partire dalla valutazione del suo coefficiente d’assorbimento.

La conoscenza del cosiddetto absorption edge (lunghezza d’onda in corrispondenza della quale si ha un rapido incremento dell’assorbimento), infatti, permette di definire le lunghezze d’onda tali da ridurre le perdite per assorbimento da parte della guida.

Tale misura è stata effettuata sulle guide a base di vetro calcogenuro drogato con praseodimio e non su quelle di silica-titania drogate con erbio, perché per queste ultime il valore dell’edge è noto dalla letteratura e corrisponde a Eg = 7.5 ÷ 7.8 eV [Na89] (il che corrisponde ad una lunghezza d’onda di cut-off compresa tra 164 nm e 158 nm); ciò non è stato, ovviamente, possibile per le prime, essendo queste costituite da materiali invia di sperimentazione.

Sulla base del modello a bande (Paragrafo 2.7.2), il processo di assorbimento, interbanda, consiste nella promozione di elettroni dalla banda di valenza alla banda di conduzione, in seguito al superamento del gap di energia tra BV e BC.

In realtà l’absorption edge viene osservato per energie fotoniche inferiori al band gap;

questa “coda” d’assorbimento è in generale indicata come Urbach edge ed è causata, ad esempio, da interazioni anarmoniche tra elettroni e fononi. Ciò vuol dire che si ha

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assorbimento al di sotto dell’energy gap e che, per la conservazione dell’energia, si rende necessario l’annichilimento di uno o più fononi.

In generale, comunque, si sa che i vetri calcogenuri hanno il (o i) band gap nel visibile o nel vicino IR e che non sono trasparenti nel visibile e nel vicino UV: questo limitato band gap implica che le transizioni ottiche intrinseche del vetro, relative alla banda d’assorbimento e all’Urbach edge, vanno in un certo qual modo a sovrapporsi e, quindi, a influenzare le transizioni tra le bande 4f degli ioni di terre rare, con cui il vetro è drogato. Di conseguenza, si ha una stretta connessione tra i fenomeni di assorbimento e di emissione degli ioni droganti e quelli relativi al loro ospite.

L’edge dell’assorbimento è stato ricavato a partire da uno spettro di trasmissione del campione, ottenuto tramite lo spettrometro Uvikon 923 – Double Beam UV/IR della Kontron Instruments (Figura 4.1).

Dallo schema riportato in Figura 4.2 si nota che lo spettrometro opera con due lampade, di cui una alogena, HL, (emette nel visibile e nel vicino UV) e l’altra al deuterio, DL (emette nel vicino infrarosso, NIR), le quali possono essere alternativamente

“selezionate” a mezzo di uno specchio rotante, M1, posto tra di esse (nella posizione riportata in Figura 4.2 risulta essere attivata la lampada alogena).

Tramite una serie di specchi, M2, M3 e M4, la radiazione viene inviata verso il reticolo di diffrazione G1, la cui progressiva rotazione permette di selezionare le differenti

Fig. 4.1 – Spettrometro Uvikon 923

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monocromatiche); in seguito, un’ulteriore decomposizione del fascio è ottenuta tramite il reticolo G2. Il cammino della radiazione prosegue, guidato dagli specchi M6, M7 e M8, sino a giungere al separatore di fascio C: questo è composto da un segmento a specchio, uno a finestra e due oscuri; la rotazione di C permette di indirizzare una parte del fascio verso gli specchi M9 e M10, per poter ottenere un segnale di riferimento, R. Il segnale effettivo, S, viene ottenuto, invece, quando il separatore porta il fascio ad incidere sullo specchio M10'. Il segnale effettivo (lungo il percorso individuato dagli specchi M11', M12' e M13') e il segnale di riferimento (lungo gli specchi M11, M12 e M13) raggiungono poi il detector (composto da un rivelatore per il NIR ed uno per visibile e UV).

Con l’apparato appena descritto, si ottiene in realtà una misura della Densità Ottica (DO) del campione in funzione della lunghezza d’onda (Figura 4.3).

La densità ottica è definita da:

I

DO=log10 I0 (4.1)

dove I = I(x) è il valore dell’intensità della radiazione dopo aver percorso un cammino x all’interno del campione e I0 = I(0) è il valore dell’intensità in entrata.

Il coefficiente d’assorbimento della radiazione da parte del mezzo, α, è legato all’intensità della radiazione in propagazione al suo interno dalla relazione:

Fig. 4.2 – Schema di funzionamento dello spettrometro

(5)

I

( )

x =I0eαx

I I x

ln 0

= 1

α (4.2)

Quindi il legame tra la densità ottica e il coefficiente d’assorbimento è dato da:

DO x 31 .

≈2

α (4.3) dove 2.3 è il fattore di conversione, approssimato, tra il logaritmo naturale e il logaritmo in base 10.

1

1 Il deposito del vetro calcogenuro drogato con praseodimio è stato effettuato, come detto (Paragrafo 3.4), su substrati di LiNbO3; per tali substrati, solo la faccia su cui doveva avvenire la deposizione è stata

Fig. 4.3 – Densità Ottica in funzione della lunghezza d’onda.

Ciascuna linea si riferisce ad un diverso campione utilizzato.

––––– Guida a base di vetro calcogenuro drogato con praseodimio, ottenuta con movimentazione del substrato e levigata1. ––––– Guida a base di vetro calcogenuro drogato con praseodimio, ottenuta senza movimentazione del substrato e non levigata.

––––– Guida a base di vetro calcogenuro drogato con praseodimio, ottenuta con movimentazione del substrato e non levigata.

––––– Bulk a base di vetro calcogenuro drogato con praseodimio.

200 300 400 500 600 700 800 900

1 2 3 4 5 6

lunghezza d'onda (nm)

DO ( a. u.)

Densità Ottica

(6)

Una volta ottenuto l’andamento del coefficiente d’assorbimento in funzione della lunghezza d’onda, la lunghezza d’onda di cut-off è stata valutata estrapolando l’Urbach edge dall’ascissa nello spettro d’assorbimento e misurando la lunghezza d’onda corrispondente.

Per fare ciò occorre, innanzitutto, stabilire se il materiale di cui è composto il campione sia a gap indiretta o diretta (cioè se il superamento del gap di energia tra BV e BC, rispettivamente, avvenga o meno con l’intervento di fononi, oltre che di fotoni): dallo spettro d’assorbimento (Figura 4.4) si nota che la diminuzione dell’assorbimento all’aumentare della lunghezza d’onda avviene in maniera monotona e, quindi, il campione è a gap diretta, perché, così, si evidenzia la presenza di una singola bandgap.

Il valore dell’Urbach edge viene ricavato tramite la relazione di Tauc, che stabilisce il legame tra coefficiente d’assorbimento e energy gap [Ta74]: αhν = A

(

hν −Eg

)

n (4.4) dove α è il coefficiente d’assorbimento (misurato al variare della lunghezza d’onda), h è

Fig. 4.4 – Spettro di assorbimento.

––––– Guida a base di vetro calcogenuro drogato con praseodimio, ottenuta con movimentazione del substrato e levigata.

––––– Guida a base di vetro calcogenuro drogato con praseodimio, ottenuta senza movimentazione del substrato e non levigata.

––––– Guida a base di vetro calcogenuro drogato con praseodimio, ottenuta con movimentazione del substrato e non levigata.

400 500 600 700 800 900

2,0x10-4 3,0x10-4 4,0x10-4 5,0x10-4 6,0x10-4 7,0x10-4 8,0x10-4 9,0x10-4 1,0x10-3 1,1x10-3 1,2x10-3

Assorbimento

assorbimento (%)

lunghezza d'onda (nm) 100

80 60 40 20

(7)

la costante di Planck, ν la frequenza della radiazione incidente, A una costante, Eg il gap di energia e n =1/2 per materiali con gap diretta, mentre n = 2 per quelli a gap indiretta.

La misura di Eg, dunque, è stata ricavata da un grafico di

[ (

α −α1

)

hν

]

2 in funzione di hν; α1 rappresenta il minimo valore del coefficiente d’assorbimento.

L’estrapolazione della retta

[ (

α −α1

)

hν

]

2=0 porta al valore di Eg (Figura 4.5).

Fig. 4.5 – Absorption edge.

––––– Guida a base di vetro calcogenuro drogato con praseodimio, ottenuta con movimentazione del substrato e levigata.

––––– Guida a base di vetro calcogenuro drogato con praseodimio, ottenuta senza movimentazione del substrato e non levigata.

––––– Guida a base di vetro calcogenuro drogato con praseodimio, ottenuta con movimentazione del substrato e non levigata.

1,4 1,5 1,6 1,7 1,8 1,9 2,0 2,1 2,2 2,3 2,4 2,5 2,6 2,7 2,8 2,9 0,0

1,0x10-6 2,0x10-6 3,0x10-6 4,0x10-6 5,0x10-6 6,0x10-6 7,0x10-6

Eg= 2.3 eV = 536 nm Eg= 2.46 eV = 501 nm Eg= 2.52 eV = 489 nm

[(α-α 1)*hν]2

hν (eV)

8

6

4

2

(8)

Discussione

Partendo dallo spettro della densità ottica, occorre anzitutto notare che la differenza tra la curva relativa al film ottenuto con movimentazione del substrato (durante la PLD) e levigato (linea rossa) rispetto a tutte le altre, è da addebitarsi esclusivamente alla levigatura della faccia inferiore del substrato della guida; ciò, infatti, ha permesso che la radiazione incidesse sul campione senza che vi fossero fenomeni di scattering e ha influenzato anche i valori, successivamente calcolati, dell’assorbimento e del corrispondente edge.

Lo spettro della densità ottica permette, inoltre, di ricavare una informazione di massima riguardo al processo di deposizione utilizzato; si è, infatti, misurata la densità ottica anche del bulk di calcogenuro (il target utilizzato nella PLD) per verificare, in prima approssimazione, se il processo di deposizione mediante ablazione sia stato realmente congruente (ovvero se il deposito ottenuto abbia mantenuto le stesse proprietà ottiche del target).

Appare evidente che, a parte le differenze strutturali (dovute al divario tra l’assorbimento di un campione di ~1 mm di spessore – il bulk – e quello di campioni con spessore medio di ~ 1.2 μm – lo strato guidante della guida), l’andamento della densità ottica (Figura 4.3) è pressoché identico per guida e bulk e che, quindi, l’ablazione può essere ritenuta, in prima approssimazione, congruente.

Riguardo alla valutazione dell’edge di assorbimento, si può notare che già dallo spettro di assorbimento è possibile ottenere una prima “grossolana” indicazione: si intuisce, infatti, che i campioni assorbono tutta la radiazione compresa in un intervallo che va dalle lunghezze d’onda del verde, ~ 500 nm, sino all’UV; altrettanto evidente appare la trasparenza dei campioni nel NIR, il che costituisce una condizione necessaria affinché, in tale regione, si possano ottenere effetti di amplificazione del segnale assieme a ridotte perdite per assorbimento, da parte della guida d’onda.

Il risultato è, poi, confermato dal calcolo effettivo dell’edge di assorbimento che, come si vede dalla Figura 4.5, si trova a 536 nm per il campione “lappato” e ottenuto con la movimentazione del substrato, a 514 nm per il campione non “lappato”, ma ottenuto, sempre, con la movimentazione del substrato e a 489 nm per la guida ottenuta senza la movimentazione del substrato.

Da questa misura e dal raffronto appena effettuato, si può ottenere una nuova informazione relativa alle caratteristiche del processo di deposizione e alle eventuali

(9)

migliorie da apportare: infatti, dato che la guida ottenuta con la movimentazione del substrato mostra un edge a lunghezze d’onda superiori, si conclude che la maggiore uniformità dello spessore deposito, ottenuta per questa guida, conduce ad una trasparenza su di una più ampia regione spettrale. Tale osservazione, comunque, concerne più che altro l’aspetto geometrico della propagazione della radiazione e non quello, quantistico, del suo assorbimento; in altre parole, l’influenza delle non uniformità dello strato guidante riguarda sostanzialmente l’entità delle perdite per scattering (Paragrafo 2.7.1), anziché quelle per assorbimento (Paragrafo 2.7.2). Come visto nel Paragrafo 2.7.1, lo scattering Rayleigh dipende da λ-4 e, quindi, aumenta al diminuire della lunghezza d’onda; l’aumento della planarità del deposito riduce l’entità dello scattering della radiazione incidente e, perciò, consente che il “taglio” si sposti verso lunghezze d’onda superiori.

4.3 Spettroscopia m-line

Il primo, effettivo, passo nella caratterizzazione delle guide d’onda corrisponde alla ricerca e all’analisi dei modi che queste possono supportare (Paragrafo 1.1 e 1.2), oltre, naturalmente, allo studio dello spessore e dell’indice di rifrazione della guida stessa.

Di conseguenza, risulta necessario anzitutto ricorrere ad un adeguato sistema di accoppiamento della radiazione all’interno della guida.

L’apparato utilizzato a tale scopo, il Prism Coupler – modello 2010 della METRICON, si basa sull’accoppiamento della radiazione via prisma (Paragrafo 1.3.2a).

Il sistema di misura (Figura 4.6 e Figura 4.7) è composto da:

!"due laser He-Ne che emettono, rispettivamente, alla lunghezza d’onda di 632.8 nm e 543.5 nm

!"un sistema di specchi per indirizzare la luce sul campione e un otturatore in grado di selezionare il fascio di uno dei due laser

!"due lamine λ/2 (ciascuna posta lungo il cammino percorso dal fascio di uno dei due laser) in grado di variare la polarizzazione del fascio incidente

!"una piattaforma rotante

(10)

Pistone Piattaforma Rotante Guida d’onda Prisma

Fig. 4.7 – Particolare dell’interno dell’apparato Metricon Fig. 4.6 – Schema dell’apparato per la spettroscopia m-line

Lamina λ/2 Lamina λ/2

(11)

Come stabilito dalla relazione (1.39), al variare dell’angolo di incidenza della radiazione sul prisma, e nell’ipotesi di un’adeguata compressione del prisma sulla guida, è possibile eccitare i differenti modi della guida (in seguito alla violazione della condizione di riflessione totale della radiazione all’interno del prisma).

In tal caso, vale a dire in concomitanza con l’optical tunneling del modo del prisma all’interno della guida, il fotodiodo rileva una brusca diminuzione dell’intensità della radiazione in uscita dalla faccia del prisma, cui è posto di fronte (Figura 4.6).

Dalla conversione del segnale luminoso in segnale elettrico e dalla successiva analisi di quest’ultimo, da parte di un calcolatore, si ottiene un grafico dell’intensità della radiazione in uscita dal prisma (vale a dire la parte della radiazione non accoppiata nella guida) in funzione dell’angolo di incidenza. Le depressioni presenti all’interno del grafico corrispondono ai differenti modi eccitati all’interno della guida.

Per un dato substrato, la posizione angolare dei modi dipende esclusivamente dallo spessore e dall’indice di rifrazione del film. Per ottenere questi dati sono sufficienti due modi: viene, così, determinato un sistema a due incognite con le equazioni di dispersione dei due modi (1.30 o 1.31); nel caso in cui siano presenti più di due modi, è possibile calcolare una media tra i valori ottenuti da ogni coppia di modi e, quindi, una stima dell’errore della misura. In genere, la deviazione standard della misura dello spessore del film si aggira intorno a 1-2 %.

Per guide monomodali, il calcolo può essere effettuato ricorrendo alle equazioni di dispersione del modo di guida, relative sia alla polarizzazione TE che a quella TM (nell’ipotesi che non vi sia birifrangenza: nTE = nTM).

La misura risulta del tutto indipendente dall’intensità del laser utilizzato e da eventuali variazioni nell’allineamento ottico.

4.3.1 Misura m-line

In base alla discussione sulle caratteristiche dei materiali che compongono la guida (Tabella 3.1) e alle condizioni necessarie per un buon accoppiamento della radiazione (Paragrafo 1.3.2a), si comprende che la realizzazione della misura m-line dev’essere

(12)

guida di vetro calcogenuro drogato con Pr3+

Visti gli indici di rifrazione dello strato guidante e data la necessità che l’indice di rifrazione del prisma utilizzato sia maggiore di quello di quest’ultimo, è stato necessario

utilizzare un prisma isoscele a base di Rutilo (TiO2), fornito dalla Metricon (modello 200-P-2-50, codice 5125); il rutilo è un materiale birifrangente i cui indici di

rifrazione, alle lunghezze d’onda di lavoro, sono dati da [Bo65]:

( )

( )

( )

( )





=

=

=

=

=

=

=

=

6551 . 2 5

. 543

5839 . 2 8

. 632

; 9482 . 2 5

. 543

; 8659 . 2 8

. 632

nm n

nm n

nm n

nm n

TM p TM p TE

p TE p

λ λ λ

λ (4.5)

La misura vera e propria passa attraverso la configurazione del programma tramite il quale verrà effettuato lo studio dei modi della guida. Per fare ciò si è resa necessaria una misura preliminare dell’indice di rifrazione del substrato, anch’esso dotato di proprietà di birifrangenza, atta a stabilire l’orientazione degli assi ordinario e straordinario al suo interno.

Solo in questo modo, infatti, si potrà essere sicuri che, in modalità TE (il campo elettrico vibra lungo la direzione perpendicolare al piano di incidenza) il valore da utilizzare sia quello relativo all’asse ordinario e in modalità TM, quello relativo all’asse straordinario.

Dopo tale misura, si è potuto definire gli indici di rifrazione del substrato come segue:

( )

( ) ( )

( )





=

=

=

=

=

=

=

=

22847 . 2 5

. 543

20193 . 2 8

. 632

; 31969 . 2 5

. 543

; 28843 . 2 8

. 632

nm n

nm n

nm n

nm n

TM s TM s TE

s TE s

λ λ λ

λ (4.6)

Una prima previsione, sui risultati che si potranno ottenere, è legata alla constatazione che la differenza tra gli indici di rifrazione del prisma e quelli del film, in modalità TM, risulta ridotta rispetto a quella in modalità TE:

( ) ( )

( ) ( )

( ) ( )

( ) ( )





=

=

=

=

=

=

=

=

=

=

=

=

01259 . 0 5

. 543 5

. 543

280503 .

0 5

. 543 5

. 543

04017 . 0 8

. 632 8

. 632

32217 . 0 8

. 632 8

. 632

nm n

nm n

nm n

nm n

nm n

nm n

nm n

nm n

TM f TM

p

TE f TE

p

TM f TM

p

TE f TE

p

λ λ

λ λ

λ λ

λ λ

(4.7)

Questo porta a concludere che, con λ = 632.8 nm, la rilevazione degli eventuali modi TM sarà poco accurata, rispetto a quella dei modi TE. In più, viste le considerazioni sull’edge di assorbimento, benché il numero di modi possibili sia inversamente proporzionale alla lunghezza d’onda utilizzata (1.17), c’è da aspettarsi che le misure con

(13)

λ = 543.5 nm risulteranno meno efficienti di quelle con λ = 632.8 nm; inoltre, con λ = 543.5 nm, la rilevazione dei modi TM risulterà impossibile, dato che la differenza tra l’indice di rifrazione del prisma e quello del film è negativa.

Occorre, comunque, notare che la perfetta conoscenza dell’indice di rifrazione del substrato non influisce in alcun modo nella determinazione dei modi di guida e dei corrispondenti indici di rifrazione efficace, ma interviene, esclusivamente nel calcolo dell’indice di rifrazione e dello spessore della guida (1.17). Dalla (1.39), infatti, si ha che neff dipende solo dall’indice di rifrazione e dall’angolo di base del prisma e dall’indice di rifrazione dello strato guidante, oltre che, naturalmente, dall’angolo di incidenza della radiazione.

Una volta impostati i dati relativi al substrato e al prisma, è necessario ricavare un segnale di riferimento per la piattaforma rotante, in quanto il modello 2010 utilizza un motore a “open loop step”, che richiede una ricognizione dell’orientamento della piattaforma rispetto al fascio laser: l’angolo zero è definito dalla condizione di incidenza normale alla faccia del prisma (Figura 4.6).

Ultimo passaggio prima della misura vera e propria è la determinazione della pressione con cui il pistone dovrà insistere sulla guida; dato che tale pressione influenzerà l’intensità dei modi, viene scelto un valore, sufficientemente, elevato: 3 bar.

guida di silica-titania drogato con Er3+

Il procedimento nel caso della guida drogata con erbio è analogo a quello appena illustrato, con la sola differenza che, in questo caso, il prisma isoscele utilizzato è composto da Granato di Gallio e Gadolinio (GGG: modello 200-P-1, codice 945).

I suoi indici di rifrazione sono:

( ) ( )

( ) ( )





=

=

=

=

=

=

=

=

9758 . 1 5

. 543 5

. 543

9644 . 1 8

. 632 8

. 632

nm n

nm n

nm n

nm n

TE p TE

p

TM p TE

p

λ λ

λ

λ (4.8)

La variazione di prisma è, ovviamente, legata al differente indice di rifrazione della guida. In questo caso, l’indice dello strato guidante è, in generale, determinato da quello della silica, più due termini correttivi dovuti all’aggiunta della titania e degli ioni di terra rara.

Per il calcolo effettivo, si ricorre al modello di Lorentz-Lorenz; nell’ipotesi che il

(14)

del film è legato alla frazione molare, f, e all’indice di rifrazione dei suoi componenti secondo la relazione [La79]:

2 1 2

1 2

1

2 2 2

2 2

2

+ + −

+

= − +

b b b a

a a

n f n n

f n n

n (4.9)

dove i pedici a e b si riferiscono, rispettivamente, a SiO2 e TiO2.

Come si vede dalla (4.8), questo tipo prisma non è birifrangente e lo stesso vale per il substrato (Tabella 3.1).

4.3.2 Ricostruzione dei profili d’indice

Le misure m-line permettono, anche, di ricavare l’andamento dell’indice di rifrazione dello strato guidante in funzione dello spessore, vale a dire della coordinata, x, perpendicolare al piano della guida.

A tale scopo, si ricorre al metodo inverso WKB (Wentzel-Kramers-Brillouin), IWKB, che permette di ottenere una soluzione approssimata dell’equazione delle onde (1.8),

( )

( , ) 0

) ,

( 2 2 2

2

2 = − =

k n x y

x y x

f E

E β , nell’ipotesi che le variazioni dell’indice n(x) siano trascurabili nello spazio di una lunghezza d’onda [Ta75].

Si noti che il metodo WKB diretto permette, invece, di ricavare gli indici di rifrazione efficace a partire dal profilo d’indice della guida.

Tale metodo, sviluppato nell’ambito della meccanica quantistica, viene qui utilizzato, grazie all’analogia tra l’equazione di Schrödinger per gli stati legati di un elettrone in una buca quadrata di potenziale e l’equazione delle onde (Paragrafo 1.1).

Nell’ipotesi di piccole variazioni dell’indice di rifrazione, si ricorre alla scelta di un valore di prova per la costante di propagazione β, ottenuto a partire dai punti nei quali l’indice di rifrazione coincide con l’indice di rifrazione efficace, n(xm) = neff.

Con tale metodo l’equazione caratteristica dell’m-esimo modo risulta essere:

kx

m

(

n

( )

x nm

)

dx= fs + fc+m

0

12 2

2 φ φ π (4.10) dove xm è il punto di penetrazione massima della radiazione, guidata nel modo m all’interno della guida, n(x) è una funzione continua degli indici di rifrazione efficace e

(15)

coincide con l’indice del modo m, nm , quando x = xm ; 2φfs e 2φfc rappresentano, rispettivamente, i salti di fase alle interfacce film-substrato e film-cladding:

( )





=2 1 2 22 2 2

m i

i m

fi n x n

n tg n

φ con i = s, c e xi = h, 0 (4.11) La soluzione della (4.10) non è però ottenibile per via analitica, ma solo per via numerica.

Il software dell’apparato della Metricon utilizza il metodo Chiang [Ch85].

Il punto di partenza è il set discreto di indici di rifrazione efficace misurati; questi vengono interpolati mediante una funzione polinomiale, che viene poi inserita nell’integrale WKB. Il profilo d’indice è, in seguito, ottenuto punto per punto, tramite approssimazioni successive.

4.4 Misure di perdita

Se la tecnica m-line permette di individuare la presenza e le caratteristiche dei modi, è necessario ottenere informazioni precise sulle proprietà guidanti della guida e, quindi, sulla capacità di propagazione dei differenti modi individuati.

Per fare ciò, si utilizza un laser He-Ne alla lunghezza d’onda di 632.8 nm per eccitare i modi della guida; in realtà, si studia solo il modo m = 0, perché di solito è quello contraddistinto da una migliore capacità di propagazione. Una volta individuato il modo (l’angolo di attivazione è stato ricavato tramite la spettroscopia m-line) si va a misurare l’intensità della luce diffusa lungo la linea di propagazione del modo, in funzione della distanza dal punto di accoppiamento (l’apparato utilizzato è mostrato in Figura 4.8 e in Figura 4.9).

Alla base di tale procedimento vi è, quindi, la tacita ipotesi di proporzionalità tra l’intensità della radiazione scatterata lungo la guida e quella in propagazione all’interno della guida stessa; la corrispondenza, appena stabilita, può essere ritenuta valida solo assumendo che i centri di scattering siano distribuiti in maniera uniforme all’interno della guida.

Posto ciò, l’intensità della radiazione diffusa può essere scritta come:

(16)

dove Io è il valore dell’intensità in entrata e α è il coefficiente di attenuazione ottica.

Il coefficiente di attenuazione espresso in dB/cm, è determinato dalla relazione:

α α

3 . log 4

1 10

10 =

×

×

= e

L (4.13) La misura di α può, dunque, essere effettuata a partire dalla valutazione dell’intensità della radiazione diffusa lungo la guida.

Come è ovvio, dato che tale procedimento prevede l’accoppiamento via prisma della radiazione all’interno della guida, per la guida a base di silica-titania viene utilizzato un prisma di tipo GGG; mentre, per la guida a base di vetro calcogenuro un prisma di rutilo (Paragrafo 4.3.1).

La misura dell’intensità della radiazione diffusa viene effettuata raccogliendo il segnale tramite una telecamera collegata al computer. L’immagine ricavata dà, già, una prima indicazione sulle proprietà guidanti del campione.

Per l’effettiva misura delle perdite della guida è, però, necessario uno studio, punto per punto dell’intensità della radiazione diffusa. Tramite un opportuno programma, si fa corrispondere ad ogni pixel dell’immagine un numero compreso tra 0 e 255, in relazione all’intensità della radiazione raccolta in corrispondenza di ciascun punto della guida.

Dato che l’intensità massima “letta” dalla fotocamera è quella corrispondente a 255, eventuali valori superiori a questo verrebbero sempre catalogati con 255 e, quindi, la telecamera potrebbe saturare, dando così una misura di perdite inferiore a quella reale;

per questo motivo è necessario operare con un diaframma molto piccolo.

Fig. 4.8 – Schema per le misure di perdita.

Laser He-Ne Telecamera

Computer

Prisma

Guida

(17)

A partire dall’immagine ottenuta, si ricava poi la corrispondenza pixel/millimetro; nel nostro caso, misurando la lunghezza dell’immagine e confrontandola con la risoluzione dello schermo, si ha che a 1 mm corrispondono 12.75 pixel.

Si risale, dunque, ad una tabella in cui i differenti valori dell’intensità diffusa sono rapportati all’effettiva distanza percorsa dalla radiazione.

A questo punto è possibile fittare i dati ottenuti, con una funzione esponenziale, simile alla (4.12), e quindi ricavare il valore medio delle perdite.

Fig. 4.9 – Apparato per le misure di perdita

(18)

Capitolo 5

Caratterizzazione spettroscopica delle guide d’onda

Una volta investigato sulle proprietà guidanti della guida, è necessario rivolgere lo studio verso le sue proprietà di amplificazione, vale a dire sulla caratterizzazione della guida come dispositivo attivo.

I risultati di questo tipo di misure vanno poi confrontati con quelli di misure di tipo strutturale: in questo modo, in funzione dei dati ottenuti, si potrà procedere alla valutazione complessiva delle caratteristiche della guida in termini di materiali impiegati e prestazioni ottenute, per poi esaminare le eventuali modifiche da apportare.

5.1 Spettroscopia di luminescenza nel visibile

Il primo tipo di misura da effettuare sulla guida d’onda è legato alla ricerca di indizi sull’operatività dello ione drogante e, quindi, sulle sue caratteristiche spettroscopiche.

Per fare ciò, si provvede ad eccitare il campione con radiazione che ricada nelle bande di assorbimento dello ione (Figura 5.1) e se ne analizza la radiazione emessa.

Si opera, dunque, in condizioni di risonanza: i fotoni che raggiungono il film hanno un’energia pari alla differenza tra due livelli energetici dello ione. Si comprende, quindi, che soprattutto la scelta della riga di eccitazione e, di conseguenza, quella del tipo di laser da utilizzare, sono strettamente legate alle caratteristiche della guida sia in termini di ione drogante che riguardo alla natura dell’ospite.

Bisogna, perciò, tener conto di come la trasmettività dell’ospite influenzi le proprietà di assorbimento dello ione di terra rara.

(19)

Pr3+

Per lo ione praseodimio, risulta evidente la possibilità di eccitare il campione con radiazione a λ ~ 476.5 nm, vale a dire, pompando il livello 3P1; a questa lunghezza d’onda, però, si è all’interno del bandgap del calcogenuro (Figura 4.5) e, quindi, l’assorbimento di radiazione andrebbe, in questo caso, a completo carico dell’ospite, rendendo impossibile l’eccitazione dello ione drogante. Per questo motivo, è necessario operare a lunghezze d’onda superiori, almeno, a 500 nm: ho scelto di utilizzare un laser dye tunabile (Coherent modello 699), che opera con il composto organico Rh6G (rodamina, C28H30N2O3:HCl, dissolta in etanolo) e emette a λ ~ 600 nm (viene, quindi, indotta la transizione 3H41D2. Il pompaggio di questo laser avviene tramite la riga a λ = 514.5 nm di un laser ad argon (Coherent modello Innova 20: per questo laser le

principali righe di emissione sono a λ = 457.9 nm, a λ = 488 nm e, appunto, a λ = 514.5 nm).

Fig. 5.1 – Livelli energetici di Pr3+ e Er3+.

4F7/2 2H11/2 4S3/2 4F9/2

4I9/2 4I11/2

4I13/2

4I15/2 3P1

3P0

1D2

1G4 3F4 3F3 3F2 3H6 3H5 3H4

Pr3+ Er3+

22 20 18

14

10

6 4

103 cm-1

16

12

8

2

0 1020 nm

1500 nm 980 nm 1340 nm

476 nm

600 nm

488 nm 485 nm

800 nm

1500 nm

545 nm

917 nm

(20)

Er3+

Per la guida a base di erbio, invece, non sussiste alcun problema di assorbimento da parte dell’ospite (l’absorption edge è, infatti, nel vicino UV) e, quindi, è possibile ricorrere semplicemente alla riga a 514.5 nm del laser ad argon.

A parte le differenze tra le linee di eccitazione, l’apparato sperimentale utilizzato per le misure di luminescenza nel visibile è comune alle due guide (Figura 5.2 e Figura 5.3).

Il fascio laser viene focalizzato sul campione tramite la lente L1; nello schema, si può notare che l’accoppiamento della radiazione all’interno della guida (atto all’eccitazione del modo TE0)è stato ottenuto tramite prisma (con le consuete differenze tra la guida a base di silica-titania e quelle a base di calcogenuro – Paragrafo 4.3.1). Si noti che sarebbe stato, anche, possibile adottare una configurazione in butt-coupling (Paragrafo 1.3.1b); si è preferito non utilizzare quest’ultima modalità, perché la differenza di spessore tra strato guidante e substrato (pari a circa un fattore 10) rende estremamente complicata la distinzione tra l’uno e l’altro. L’utilizzo del prisma, quindi, permette un accoppiamento più semplice da realizzare e sicuramente più efficace.

Fig. 5.2 – Sistema per la spettroscopia di luminescenza nel visibile.

(21)

La radiazione di luminescenza viene raccolta a 90° rispetto al piano della guida e, tramite la lente L2, viene focalizzata sul prisma di Dove, D: questo permette di ruotare l’immagine della guida di 90°, attorno alla direzione di propagazione del fascio, affinché risulti parallela alla fenditura d’ingresso del monocromatore, F1, e si riesca, quindi, a raccogliere il massimo del segnale.

Il monocromatore utilizzato (modello 1401 della Spex) è a due reticoli di diffrazione, R1 e R2 (1200 righe/cm, focale 80 cm e dispersione 5Å/mm a 514.5 nm).

Oltre la fenditura d’uscita del monocromatore, F2, è posto un fotomoltiplicatore, PM (modello R943-02 della Hamamatsu, raffreddato a –30°C da una cella Peltier), che converte il segnale luminoso in segnale elettrico e lo amplifica.

In seguito, il segnale elettrico passa attraverso un discriminatore, PA, e viene inviato ad uno dei canali dell’analizzatore multicanale e al computer, per l’elaborazione grafica.

Prima della misura è necessario effettuare una calibratura della risposta del monocromatore, tramite un campione di emissione nota.

Il range in cui si opera va da 11500 cm-1 a 28000 cm-1, coprendo così tutta la regione del visibile.

Con tale tecnica, dunque, si ottiene una prima serie di informazioni sui livelli energetici dello ione drogante e le loro possibili transizioni radiative, ma si rimane comunque fuori dalla regione di interesse, vale a dire, quella dell’infrarosso.

Fig. 5.3 – Particolare dell’apparato per la luminescenza visibile.

(22)

5.2 Spettroscopia di luminescenza nell’infrarosso

Il principio su cui si basa tale misura consiste, sempre, nell’eccitazione risonante degli ioni di terra rara; in questo caso, però, i livelli interessati e, quindi, la “linea eccitatrice”

sono scelti in modo da osservare la transizione di effettivo interesse per la guida d’onda:

la riga relativa a 1G4 3H5 (λ ~ 1.3 μm) per lo ione Pr3+ e la riga 4I13/2 4I15/2 (λ ~ 1.5 μm) per lo ione Er3+.

Le misure di luminescenza relative a tali transizioni risultano molto utili nella determinazione della qualità di amplificazione.

A tale scopo si definisce il rendimento quantico alla lunghezza d’onda di interesse [Di68]:

assorbiti fotoni

di numero

emessi fotoni

di numero

Y = (5.1) Nell’ipotesi di bassa intensità di pompaggio (ciò corrisponde al caso in cui il numero di ioni eccitati sia piccolo rispetto al numero totale di ioni), la rate di assorbimento si mantiene indipendente dalla potenza di pompaggio; di conseguenza, il rendimento quantico, con un’opportuna normalizzazione dello spettro di luminescenza, risulta direttamente proporzionale all’intensità misurata.

Pr3+

Come si vede dalla Figura 5.1, il livello 1G4 si trova a ~ 9800 cm-1 = 1020 nm dal livello fondamentale, 3H4; questo implica che il popolamento del “livello laser superiore”

(Paragrafo 2.4) può essere effettuato direttamente pompando gli ioni dal livello fondamentale a quest’ultimo.

Questa modalità di pompaggio è stata realizzata con una laser Ti:Zaffiro (modello 3900 della Spectra Physics) tunabile e pompato con la riga a 514.5 nm di una laser ad argon (Coherent modello Sabre-Innova 20).

Il pompaggio è, comunque, ottenibile tramite un’altra modalità: è possibile, infatti, pompare gli ioni al livello 3P0, utilizzando un laser a diodo tunabile a λ ~ 980 nm (modello 525 della Newport). Tale procedimento è stato, in via preliminare, testato su differenti guide e bulk drogati con Pr3+, di cui erano già note le caratteristiche spettroscopiche, dando buoni esiti.

(23)

Er3+

Dall’analisi dei livelli energetici dello ione erbio derivano due possibili soluzioni di pompaggio. Infatti, il popolamento del livello 4I15/2 può essere ottenuto sfruttando il GSA del livello 4I13/2 e, quindi, inducendo la transizione 4I13/2 4I15/2 (λ = 980 nm) tramite la stessa sorgente laser del caso precedente; oppure, si può operare con la riga a λ = 514.5 nm di una laser ad argon, per popolare il livello 2H11/2 e, in seguito a decadimenti non radiativi, il livello di interesse 4I15/2.

L’apparato sperimentale è mostrato in Figura 5.4 e Figura 5.5.

La radiazione emessa dal laser incontra anzitutto due prismi anamorfici: in questo modo, la focale più corta viene “allungata” e, anche se risulterà allargato, il fascio avrà acquisito un profilo quadrato. Il chopper, posto di seguito, serve a modulare il segnale di pompa (in modo che la rilevazione della luminescenza venga effettuata in assenza della radiazione del fascio incidente): la frequenza di esercizio è stata impostata a 7Hz.

BS

Fig. 5.4 – Schema del sistema per la spettroscopia di luminescenza nell’infrarosso.

(24)

La potenza del fascio misurata sul campione, senza il chopper è di 380 mW; inserendo il chopper la potenza si è ridotta a 80 mW.

Il fascio raggiunge, quindi, un beam splitter, che ha la funzione di prelevare parte del segnale e inviarlo al fotodiodo, per poter ottenere un segnale di riferimento.

Tramite la lente, L11, il fascio viene focalizzato sul prisma e un’altra lente, L2, focalizza la radiazione di luminescenza, anche in questo caso raccolta a 90° rispetto alla direzione di propagazione dei modi di guida.

Come nel caso del visibile, si presenta la necessità di ruotare l’immagine della guida in modo che sia parallela alla fenditura d’ingresso del monocromatore: a tale scopo, anziché ricorrere ad un prisma di Dove per l’infrarosso (il cui utilizzo è sconsigliabile per motivi economici!), si inserisce un beam steering, BS, con due specchi d’oro (riflettanza 98.5% da 8 μm a 800 μm).

Il monocromatore utilizzato in questo caso (modello Spex – serie Triax 320 della Jobin Yvon) possiede un solo reticolo di 600 righe/nm. La fenditura di ingresso e quella di uscita sono regolabili sino ad un’apertura massima di 2mm. Per le misure di luminescenza si utilizzano fenditure con apertura pari a 1 mm.

1 L’intera gamma delle procedure preliminari di allineamento del fascio va fatta senza questa lente.

Fig. 5.5 – Immagine dell’apparato per la spettroscopia di luminescenza nell’infrarosso.

Si noti che il fascio visibile corrisponde alla riga λ = 514.5 nm del laser ad argon: la sorgente di luce nel visibile è stata utilizzata per l’allineamento del sistema.

(25)

La radiazione in uscita, viene focalizzata, tramite uno specchio ellittico, sul fotodiodo InGaAs (raffreddato con una cella Peltier), dotato anche di un amplificatore e caratterizzato da una risposta costante in un range che va da 800 nm a 1700 nm. Le caratteristiche di questo rilevatore impongono l’utilizzo di un lock-in, che permette di ridurre il rumore di fondo della misura; nel caso specifico si è utilizzato un “DSP lock- in amplifier” modello 7260 della EG&G Instruments. Il tempo di integrazione del lock-in va, poi, impostato in modo che sia molto più corto della frequenza del chopper:

così, l’integrazione viene effettuata a chopper chiuso. In questo caso è impostato a 200 ms.

Sia il segnale della misura che quello di riferimento, ottenuto tramite il beam splitter, giungono al lock-in, che ne equalizza le fasi. In seguito, un adeguato software riceve il segnale del lock-in e lo elabora.

Il programma permette di selezionare, oltre al range di analisi, anche il tempo di integrazione della misura: nel caso di segnali di modesta intensità si usa un piccolo tempo di integrazione, nonostante ciò porti ad avere spettri meno regolari. In generale, i segnali di luminescenza sono dell’ordine del mV.

5.3 Misura del tempo di vita del livello di luminescenza

Le misure di luminescenza a 1.3 μm per il praseodimio e a 1.5 μm per l’erbio, permettono, non solo di ottenere informazioni sulla transizione di interesse, ma anche sul tempo di vita del livello da cui parte l’emissione.

Infatti, il rendimento quantico può anche essere scritto come[Di68]:

rad

Y τ

= τ (5.2)

dove τ è il tempo di vita della luminescenza e τrad è il tempo di vita media radiativa del livello emettitore (1G4 per il Pr3+ e 4I13/2 per l’Er3+).

Perciò, l’intensità della luminescenza permette di ricavare, anche, il tempo di vita della fluorescenza.

L’apparato sperimentale per questa misura è identico a quello appena visto, con la sola differenza che il segnale di riferimento e quello di misura, non vanno più inviati al

(26)

La condizione necessaria per una stima reale del tempo di decadimento è legata alla frequenza del chopper: la distanza temporale tra due impulsi consecutivi (indotti dal chopper) dev’essere maggiore del tempo che si vuole misurare, in modo da poter visualizzare tutta la forma del decadimento. In genere si fissa un periodo T = 4τ.

L’oscilloscopio utilizzato è in grado di effettuare una media su più cicli di trigger consentendo così di aumentare il rapporto segnale rumore. I punti così acquisiti rappresentano l’andamento temporale della luminescenza; da questo, tramite un fit esponenziale, è possibile ricavare il tempo di vita medio.

Il rivelatore utilizzato presenta un tempo di risposta dell’ordine del ms, e rende possibile misure di tempi superiori a 1-1.5 ms.

Per poter ottenere la misura, prima di eliminare il lock-in dall’apparato, si individua la luminescenza e, in seguito, si passa all’oscilloscopio.

Il fatto di “selezionare”, con tale procedura, la transizione a 1.3 μm per Pr3+ o quella a 1.5 μm per Er3+, non vuol dire che la misura vada riferita a quella particolare transizione: la misura è, come detto, una misura del tempo di vita del livello. Alla definizione di tale tempo e, quindi, alla variazione della popolazione del dato livello, concorrono fenomeni differenti (oltre alla transizione di luminescenza), che possono essere sia di tipo radiativo che di tipo non radiativo, ciascuno contraddistinto da un determinata probabilità di transizione. Quindi, lo “svuotamento” del livello è caratterizzato da rate differenti a seconda del fenomeno che lo provoca, ma la

“proporzione” tra queste rate è, comunque, costante; perciò, dallo studio dello

“svuotamento” riferito alla transizione di luminescenza si ha un’indicazione complessiva sul tempo di vita del livello.

5.4 Spettroscopia Raman

Le tecniche spettroscopiche, sino ad ora illustrate, presupponevano l’eccitazione risonante del campione, al fine di analizzare le caratteristiche dei livelli energetici e delle transizioni tra di essi. Per poter ottenere, invece, informazioni “strutturali” sulle guide d’onda, quali lo stato del processo di densificazione della guida e, anche, la rivelazione e l’identificazione di particolati all’interno della guida [FeGo96], è necessario indurre, nel campione, dei fenomeni completamente differenti.

(27)

5.4.1 Introduzione alla teoria dell’effetto Raman

La spettroscopia Raman si occupa dello studio di interazioni anelastiche tra la radiazione incidente e il bersaglio, in questo caso, la guida d’onda; alla base di tale tecnica vi è l’impianto teorico del cosiddetto effetto Raman (previsto da Smekal nel 1925 e scoperto da Raman nel 1928).

Lontano dalla condizione di risonanza tra l’energia del fotone incidente e la separazione tra i livelli energetici della molecola-bersaglio, si possono avere due differenti fenomeni:

!"il fotone emerge senza alcuna variazione nella sua energia (ħωL = ħωs) e, di conseguenza, l’energia interna della molecola (il suo stato quantico) rimane immutata. Il processo di diffusione è legato alla deformazione periodica dello stato, ad opera del campo elettrico della radiazione incidente e corrisponde ad uno scattering elastico, anche detto di Rayleigh, tra radiazione e bersaglio;

!"la molecola assorbe parte dell’energia del fotone, venendo promossa ad un livello energetico “virtuale”, V; quindi, il fotone diffuso ha un’energia diversa da quella iniziale. La variazione di energia del fotone, che serve a compensare quella della molecola, può essere negativa (ΔE = ħωs – ħωL < 0) e in questo caso lo stato finale della molecola sarà caratterizzato da una maggiore energia rispetto a quello iniziale (shift Stokes – Figura 5.6a); oppure, il decadimento della molecola, dal livello “virtuale”, può portare questa ad un livello energetico inferiore rispetto a Ei e, quindi, la variazione di energia del fotone risulta positiva, ΔE = ħωs – ħωL > 0, (shift anti-Stokes – Figura 5.6b).

Le transizioni, cui può essere soggetta la molecola, possono riguardare sia i livelli V

ħωL

Ei

Ef

ħωs < ħωL

V ħωL

Ei

Ef

ħωs > ħωL

Fig. 5.6 – Schema dello shift Stokes (a) e dello shift anti-Stokes (b) che può subire la radiazione in seguito a scattering Raman.

(a) (b)

(28)

noti che, a temperatura ambiente, la maggior parte delle molecole occupa il livello elettronico fondamentale [He66]).

Lo spettro della radiazione diffusa, in condizioni lontane dalla risonanza e nell’ipotesi di radiazione incidente altamente monocromatica, è dunque composto da una “linea”

relativa allo scattering elastico (linea Rayleigh) e da un set di linee Stokes a energie superiori e uno di linee anti-Stokes (la convoluzione delle linee appartenenti ai due set corrisponde alle bande della Figura 5.7).

Secondo l’elettrodinamica classica tale fenomeno può essere spiegato in termini di momento di dipolo indotto dal campo elettrico della radiazione incidente [Pl34]; quindi, la presenza degli shift Stokes e anti-Stokes può essere considerata come il risultato delle onde generate dal dipolo oscillante associato alla molecola. I valori degli shift corrispondono, dunque, rispettivamente alla differenza e alla somma tra la frequenza del campo elettrico, ωL, e la frequenza di oscillazione, indotta nella molecola, ωn: ωL – ωn, per lo shift Stokes e ωL + ωn, per lo shift anti-Stokes (la linea Rayleigh corrisponde, ovviamente, alla frequenza di oscillazione del campo elettrico della radiazione incidente).

Nonostante ciò, una corretta analisi delle intensità delle singole righe può essere ottenuta solo in ambito quantistico e, in generale, tale valore è dato da[De96]:

IR =Ni

( ) (

Ei σR if

)

IL (5.3) dove IL è l’intensità della radiazione incidente,Ni

( )

Ei è la popolazione del livello di partenza corrispondente all’energia E e i σR

(

if

)

è la sezione d’urto di diffusione

-200 -100 0 100 200

0 20 40 60

Riga laser anti-Stokes

Stokes

Intensità [a.u.]

Raman shift [ cm-1 ]

Fig. 5.7 – Esempio di spettro Raman.

(29)

relativa alla transizione i→f (risulta essere proporzionale alla quarta potenza dell’energia associata a tale transizione, cioè a 4i f

ω ; con L n

f

i ω ω

ω = ± ).

Nell’ipotesi che la radiazione incidente sia polarizzata lungo la direzione x del sistema di riferimento del laboratorio, l’intensità della radiazione diffusa, raccolta lungo la direzione y, risulta essere [Sh76]:

( )

4 4

c

IR xy IL

f f i

i

xy ∝ω α (5.4) dove

( )

xy i f

α è l’operatore tensoriale di rango due associato al momento di dipolo indotto.

Nel caso in cui siano valide le seguenti condizioni (approssimazione di Placzek):

a) lo stato elettronico fondamentale è non degenere;

b) l’approssimazione di Born-Oppenheimer è applicabile;

c) la frequenza di eccitazione è minore di qualsiasi frequenza di transizione tra stati elettronici;

l’operatore

( )

αxy if corrisponde alla polarizzabilità elettronica.

Nelle condizioni fissate da tale approssimazione, la transizione i→f rappresenta la transizione tra due stati vibrazionali dello stato elettronico fondamentale e, quindi, l’energia ad essa associata è legata alla creazione o alla distruzione di un fonone (modo di vibrazione).

Si ha, inoltre, che l’intensità delle linee Stokes e le linee anti-Stokes, normalizzata rispetto alla popolazione dei livelli vibrazionali è, rispettivamente, data da [An71]:

( ) ( )

[ ( ) ]

( ) ( )

( )





=

= +

n T

T I I

T n T I

I

Stokes anti Stokes

, ,

1 , ,

ω ω ω ω

ω ω ω ω

(5.5)

dove I(ω) è l’intensità misurata, n

( )

ω +1=1−ek!ωT è il numero di occupazione di un dato modo (il numero di fononi nel modo segue, come si vede, la statistica di Bose- Einstein).

Questo vuol dire che, in uno spettro Raman, il picco corrispondente alla creazione (distruzione) di un fonone !ω ha un’intensità proporzionale a n

( )

ω +1 (n

( )

ω ).

(30)

Di conseguenza, il rapporto tra le intensità dei picchi Stokes e anti-Stokes è pari a:

kT

E E kT Stokes anti

Stokes

i s f

e I e

I

=

!ω (5.6) dove ħωs è l’energia associata al modo s.

Risulta, dunque, evidente che il set di linee Stokes è più intenso di quello delle linee anti-Stokes e che l’entità dello shift dalla linea Rayleigh corrisponde al modo vibrazionale responsabile della transizione.

Dalla breve discussione appena svolta segue che:

1) l’entità dello shift è indipendente dalla lunghezza d’onda della radiazione incidente, ma è una proprietà caratteristica della molecola-bersaglio (5.5) e lo stesso vale per la larghezza della banda shiftata (convoluzione delle singole linee).

2) l’intensità delle linee dipende dall’intensità della radiazione incidente e dalle caratteristiche degli stati vibrazionali interessati (5.3) e quindi, permette di ottenere informazioni sull’energia fononica del bersaglio.

5.4.2 Spettro Raman di strutture vetrose: picco bosonico

Dall’analisi dello spettro Raman, dunque, sono deducibili importanti informazioni quali la densità e la concentrazione delle specie presenti nel bersaglio e, nel caso di strutture vetrose, il livello di densificazione e la loro omogeneità strutturale.

Una particolarità contraddistingue gli spettri Raman dei solidi amorfi: una banda intensa in prossimità della linea Rayleigh, a cui si dà il nome di picco bosonico.

Per la comprensione della natura di tale banda e delle informazioni che da questa possono essere dedotte sono state formulate diverse teorie, tra le quali, quella che sembra essere più promettente è il cosiddetto modello del Soft Potential [GuPa93].

Come punto di partenza è necessario soffermarsi su ciò che si intende per solido amorfo: le grandezze fondamentali che caratterizzano la struttura di tali solidi sono la distanza tra gli atomi primi-vicini, a, e la lunghezza di correlazione, R, vale a dire la distanza (rispetto ad un ipotetico atomo-origine) entro la quale si mantiene un ordine a

(31)

medio o, anche, a corto range (quindi R stabilisce i limiti di omogeneità e isotropia del materiale). Nel caso di silica vetrosa, ad esempio, R ~ 12 ÷ 15 Å.

Posto ciò, il modello qui presentato interpreta il picco bosonico come un eccesso di stati vibrazionali della molecola e l’ipotesi di partenza è che, questo eccesso, sia legato a fluttuazioni della densità atomica [El91]. Il dominio entro il quale si hanno tali fluttuazioni è, in genere, determinato dal valore 2R. Tale dominio è, ovviamente, maggiore per strutture aperte (legate in maniera covalente) che per strutture dense.

Le fluttuazioni della densità possono indurre scattering, anche intensi, nei fononi sino a

comportare una riduzione del libero cammino medio e quindi una

“quasi-localizzazione” delle eccitazioni vibrazionali.

Il valore limite del libero cammino medio, vale a dire il margine oltre il quale prende inizio la localizzazione, è fissato dalla condizione di Ioffe-Regel: ql ≈ 2π (5.7) dove q = 2π/λ è il vettore d’onda e λ la lunghezza d’onda associati al fonone.

Quindi, la (5.6) può essere anche scritta come: l ≈ λ (5.8) Ciò vuol dire che la “localizzazione” dei fononi si instaura quando la loro lunghezza d’onda diventa approssimabile al loro libero cammino medio.

Il picco nelle variazioni di densità corrisponde, allora, al picco bosonico e la presenza di questo coincide col raggiungimento del minimo valore possibile per il cammino medio, cioè 2R.

Utilizzando la relazione di dispersione q = ω/Vs (dove Vs è la velocità del suono) si arriva a determinare la frequenza in corrispondenza della quale si deve osservare il picco bosonico: bp

[ ]

cm1 = Ebp V2Rs

ω ! (5.9) Si comprende, dunque, che l’analisi della posizione di questo picco permette di ottenere informazioni riguardo all’ampiezza e all’estensione della densità di fluttuazioni nel vetro. Si nota, in generale, che ωbp si sposta verso numeri d’onda inferiori al diminuire della densità del materiale, il che è spiegabile con una delle seguenti condizioni: una riduzione della velocità del suono in materiali meno densi, rispetto agli stessi materiali nel caso in cui siano caratterizzati da una maggiore densificazione; oppure, un aumento delle dimensioni delle zone di coesione (e, quindi, l’aumento delle dimensioni di strutture nanocristalline all’interno del materiale).

(32)

Per densificazione completa il picco bosonico ha, dunque, una posizione che è caratteristica della sostanza cui si riferisce; quindi, dagli spettri su diversi campioni dello stesso tipo si ha una concreta indicazione sul grado di densificazione raggiunto.

Inoltre, dato che la frequenza di oscillazione delle vibrazioni quasi-locali è scrivibile come ω =

(

K M

)

12, le caratteristiche del picco bosonico sono anche legate alle masse e alle dimensioni degli aggregati presenti nel vetro [TiKo97].

Oltre alla posizione, anche l’intensità del picco bosonico può dare importanti informazioni sulla struttura del campione.

Infatti l’intensità delle righe Raman può, anche, essere scritta come:

( ) ( ) ( ) [ ] ( )

2

1 ω

ω ω

ω

ω gω n g

I ∝ + ⇒ (5.10) dove g(ω) è la densità vibrazionale degli stati (modi acustici che vengono attivati) e

( )

ω

n è il numero di occupazione del modo.

Di conseguenza, una diminuzione dell’intensità del picco corrisponde ad una diminuzione degli stati vibrazionali coinvolti (ad un minor numero di scattering) e, quindi, ad una maggiore densità.

Le informazioni più importanti ricavabili dall’osservazione del picco bosonico sono relative, dunque, ad una stima del disordine all’interno del materiale e, nel nostro caso, a indicazioni sul grado di inserimento degli ioni di terra rara all’interno della matrice. Si ha, infatti, che il drogaggio provoca una variazione nell’intensità del picco, rispetto a quello degli stessi campioni non drogati e, quindi, tale variazione è indice della solubilità degli ioni droganti [TiJh99] e [TiKo97].

5.4.3 Apparato sperimentale

L’apparato sperimentale utilizzato (Figura 5.8 e Figura 5.10) sfrutta come sorgente di eccitazione un laser ad argon accordabile (Coherent modello Innova 90), le cui principali righe di emissione sono λ = 514.5 nm, λ = 488.0 nm e λ = 457.9 nm.

Per tale motivo, per la guida silica-titania drogata con Er3+ si può utilizzare una qualsiasi delle tre lunghezze d’onda, mentre per quella a base di calcogenuro drogato con Pr3+ la scelta è ricaduta sulla riga λ = 514.5 nm (già in partenza, viste le considerazioni fatte nel Paragrafo 4.2, è facile prevedere una certa difficoltà nella

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riuscita della misura). Le misure sono state effettuate con una corrente di lavoro del laser di ~ 25 A e una potenza di ~ 350 mW.

Anche le misure Raman vanno condotte dopo aver provveduto all’eccitazione dei modi della guida.

La radiazione in uscita dal laser incontra un primo otturatore, che ha la funzione di eliminare i “plasmi” ai lati dello spot (la cui presenza renderebbe impossibile la rivelazione delle righe Raman) e, in seguito, una lente λ/2.

La lente λ/2 permette di mutare la polarizzazione del fascio: in uscita dal laser si ha Fig. 5.8 – Configurazione del sistema per la spettroscopia Raman.

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A questo punto il fascio incontra un secondo otturatore e poi, deviato dagli specchi M1 e M2, viene focalizzato sul prisma, tramite la lente L1; in tal modo il fascio di guida si trova in posizione perpendicolare rispetto alla fenditura di entrata del monocromatore (Jobin Yvon U-1000). Si noti che l’allineamento del fascio viene effettuato senza tale lente, che va, dunque, inserita in un secondo momento.

Il sistema guida + prisma è alloggiato su un portacampioni munito di movimenti micrometrici xyz; tale soluzione permette spostamenti molto precisi del campione e, quindi, facilita la ricerca dei modi all’interno della guida.

La lente L2 (la cui focale, ovviamente, coincide con la posizione occupata dalla guida) serve, soprattutto, a regolare l’altezza del segnale rispetto a quella della fenditura del monocromatore, mentre la lente L3 serve a focalizzare il fascio nella fenditura (ed ha focale coincidente con la posizione della fenditura).

Fig. 5.10 – Particolare dell’apparato utilizzato per le misure Raman.

H

H

E lente λ/2 E guida d’onda

Fig. 5.9 – Azione della lente λ/2.

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