190
Conclusione
Lo studio dell’inedito ciclo del Conventino di San Giuliano ha portato a prendere in considerazione e approfondire specifici aspetti storici, religiosi e artistici del primo Cinquecento aquilano. Ciò ha consentito di delineare un quadro piuttosto chiaro, ma certo non definitivo, sulla ricostruzione della logica progettuale che ha permesso la realizzazione dell’unico esempio superstite di ciclo monocromo rinascimentale nella città dell’Aquila1. La divisione dell’opera in ventotto riquadri rappresentanti la Vita e Passione del Cristo che si sviluppano lungo le pareti e la volta a botte della cappellina all’interno del Conventino, secondo un andamento bustrofedico, e la supposta presenza all’interno delle spoglie del beato Vincenzo dell’Aquila sono stati gli unici dati certi su cui si è impostata la ricerca.
Si è considerato, dopo le necessarie premesse storiche, indagare sulla figura del beato che ha rivelato come fra Vincenzo godesse di una certa fama di santità all’interno sia della popolazione cittadina, sia della famiglia osservante vista la sua ferma volontà, fin dalla sua entrata nel convento osservante, di dedicare la propria vita a Cristo e all’osservanza della Regola2. Dopo quattordici anni dalla sua morte, avvenuta il 7 agosto del 1504 nel convento di San Giuliano, i suoi resti sono stati trovati “immutati” nella fossa comune. Purtroppo nessuna fonte contemporanea3 all’evento indica il luogo preciso in cui fu subito riposto: si sa solo che si trattava di un “peculiarem honestioremque locum”4, ma un recente studio storico avanza l’ipotesi che debba trattarsi proprio della cappella del
1 PETRACCIA 2010, p. 149.
2 MARINANGELI 1987, p. 19; SUSI 2007, pp. 133‐134.
3 Supra, nota 12, p. 90.
4 Francesco Gonzaga, De origine Seraphica, II pars, p. 411.
191 Conventino in cui è stato dipinto il ciclo monocromo5. Ho cercato così di fare
chiarezza sull’avvenimento storico e, tra le fonti cinquecentesche che descrivono il miracoloso ritrovamento delle spoglie del beato Vincenzo, ho trovato un elemento di novità in un passo della perduta opera De viris illustribus civitatis Aquilae di Salvatore Massonio, riportato in una pubblicazione di inizio
Novecento dello storico aquilano Giuseppe Rivera6. Nel brano è descritta l’organizzazione di un corteo funebre che avrebbe portato in processione il corpo del beato dalla fossa comune fino al luogo che, secondo quanto ho ricavato dal confronto tra i dati biografici del Massonio e l’anno in cui scrisse l’opera, sembrerebbe coincidente con la modesta cappella del Conventino7. Tale deduzione si andrebbe sempre più rafforzando dalla perfetta coincidenza dei risultati ottenuti dall’ulteriore, ma indispensabile, raffronto tra le manoscritte memorie ottocentesche dell’erudito aquilano, Emidio Mariani, e i dati strutturali emersi in occasione del rilievo architettonico del Conventino8.
La riemersione, poi, di alcuni elementi architettonici, durante l’ultimo restauro condotto dalla Soprintendenza aquilana, all’esterno e all’interno del Conventino ha permesso la ricostruzione del percorso compiuto dai fedeli per rendere omaggio alle spoglie del beato Vincenzo dell’Aquila, prima della traslazione del feretro nella cappella ecclesiasiastica del convento avvenuta nel 1634 per volontà del vescovo aquilano Gaspare de Gayoso9.
La sistemazione di tali vicende storiche e cultuali strettamente legate alla personalità del beato riescono in parte a colmare il vuoto lasciato dal completo silenzio fonti archivistiche ma, allo stesso tempo, fanno intendere che la
5 SUSI 2007, p. 146.
6 RIVERA 1904a, nota 1, p. 93.
7 Supra, pp. 92‐93.
8 Supra, pp. 114‐118.
9 Supra, pp. 92, 119‐122.
192 realizzazione del ciclo monocromo sulla Vita e Passione di Cristo sia conseguente
alla volontà dei frati di San Giuliano di onorare il loro confratello osservante.
Perciò, ho ritenuto opportuno soffermare la mia attenzione sull’anno cruciale del 1518 esaminando quelle che furono le rilevanti personalità religiose, relativamente all’Ordine osservante, e alle botteghe artistiche attive all’interno del contesto cittadino. Quest’ultimo accorgimento ha portato a riconoscere dei specifici compiti, nel processo di costruzione del ciclo di San Giuliano, riconducibili: a frate Antonio Ronci da Atri, primo Ministro Provinciale dell’Osservanza in Abruzzo, e al pittore Francesco di Paolo da Montereale, che durante tutta la sua attività artistica fu intensamente legato alla committenza francescana aquilana sia essa di marca conventuale o osservante10. Così, il primo è stato ipotizzato quale committente, nonché consigliere iconografico, del ciclo cristologico, mentre il secondo il presunto artista realizzatore. Tali dinamiche attributive non si possono affermare con certezza, ma è possibile stabilire delle affinità, prima, dal confronto tra i contenuti delle singole scene dipinte nel ciclo, e quelli relativamente narrati da frate Antonio da Atri nella sua opera Exercitio Spirituale; e poi, da un successivo paragone stilistico con le opere realizzate dal
Monrealese nel primo ventennio del Cinquecento, in cui traspare maggiormente la lezione romana del Pinturicchio e quella, mediata tramite Cola dell’Amatrice e Jacopo da Bologna, del Ripanda11.
Quanto appena proposto sul ciclo monocromo di San Giuliano non pretende di essere esauriente, ma ha avuto come proposito costante quello di porre l’attenzione su un aspetto inedito tralasciato dalla letteratura artistica, tanto che la supposta attribuzione dell’opera di San Giuliano alla cerchia di Francesco da
10 PETRONE 2000, pp. 214, 217; CANNATA’ 1981a, p. 59; PEZZUTO 2010b, p. 164.
11 FAIETTI 1990, pp. 97‐99; FARINELLA 1992, pp. 133, 148; PEZZUTO 2010a, p. 186.
193 Montereale è stata solo un risultato aggiuntivo all’obiettivo iniziale del seguente
lavoro di tesi, che spero possa portare ad ulteriori approfondimenti e scoperte, soprattutto documentali, che vadano a confermare o smentire tale ipotesi.