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LA SORVEGLIANZA SANITARIA E IL GIUDIZIO DI IDONEITA’ ALLA MANSIONE SPECIFICA: PROFILI DOTTRINARI, GIURIDICI, E CRITERI DI INDAGINE.

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LA SORVEGLIANZA SANITARIA E IL GIUDIZIO DI IDONEITA’ ALLA MANSIONE SPECIFICA: PROFILI DOTTRINARI, GIURIDICI, E CRITERI DI INDAGINE.

HEALTH MONITORING AND JUDGEMENT OF FITNESS 'FOR THE TASK JOB SPECIFICATION:

PROFILES DOCTRINAIRE, LEGAL, AND CRITERIA FOR THE INVESTIGATION.

Angelo Porrone 1 - Michele Esposito 2

1 Angelo Porrone - Coordinatore Medico Centrale – Responsabile U.O.C. Area Studi, Ricerca e Procedure Medico Legali – Coordinamento Generale Medico Legale INPS - Roma

2 Michele Esposito - Dirigente Medico Legale - Coordinamento Generale Medico Legale INPS - Roma

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L’attività di prevenzione nell’ambiente di lavoro si basa sugli aspetti organizzativi e strutturali aziendali, inerenti il ciclo produttivo, ovvero sulla ricognizione dei fattori di rischio esistenti e sulla loro individuazione e rimozione.

L’obiettivo è quello della salvaguardia della salute e sicurezza dei lavoratori nell’ambiente di lavoro.

L’esistenza di fattori di rischio insiti nel ciclo produttivo rappresenta dunque un pericolo per l’integrità psicofisica dei soggetti impegnati in attività lavorativa.

La patogenicità ambientale, in tal caso, si rivela attraverso la comparsa delle cosiddette malattie professionali che poco o nulla hanno di diverso rispetto a quelle comuni se non per la loro eziologia.

L’esposizione ad agenti di rischio chimici, fisici o biologici può comportare la comparsa in soggetti predisposti di quadri morbosi di vario genere, a seconda degli organi bersaglio potenzialmente suscettibili di ammalarsi.

La prevenzione primaria prevede la rimozione dei rischi, ovvero ilo loro abbattimento.

L’adozione di tutte le misure preventive strutturali ed organizzative possibili non equivale alla certezza della scomparsa dei rischi.

In tal senso la sorveglianza sanitaria svolge un ruolo primario ed essenziale nell’ambito della prevenzione secondaria, nell’individuazione precoce dei primi segni e sintomi di un’eventuale malattia professionale.

La visita medica periodica e il monitoraggio biologico sono necessari per cogliere i sintomi precocissimi di una malattia legata all’attività lavorativa o a evidenziare l’elevazione dei marker in grado di svelare, a livello infraclinico, i primi effetti dell’esposizione ad agenti tossici di tipo chimico.

La visita medica svolge inoltre un ruolo essenziale per valutare il grado di adattamento dell’organismo del lavoratore ad eventuali fattori di rischio e alla mansione specifica, ovvero a svelarne la suscettibilità a determinati agenti patogeni ambientali lavorativi.

La visita preventiva preassuntiva svolge proprio il ruolo di verificare e valutare il possibile impatto dei fattori di rischio sullo stato di salute del lavoratore in procinto di essere assunto, onde prevenire l’insorgenza di possibili malattie professionali.

La stessa sorveglianza sanitaria può svelare l’esistenza di fattori di rischio sottostimati.

I risultati collettivi della sorveglianza sanitaria possono consentire di valutare, sotto il profilo epidemiologico l’impatto globale dei fattori di rischio sulla salute dei lavoratori, spingendo all’adozione di ulteriori misure di prevenzione.

Il giudizio di idoneità alla mansione specifica riguarda l’esito della sorveglianza sanitaria che si adotta solo in presenza di rischi accertati.

Il concetto di idoneità al lavoro viene sviluppato, nel presente contributo, attraverso un inquadramento nosografico sia di carattere eminentemente teorico, di fondamentale valore

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214 esemplificativo e di grande utilità conoscitiva per orientarsi nell'annosa e controversa problematica dottrinaria inerente l'argomento, ed anche da un punto di vista squisitamente pratico ed applicativo rapportandolo in maniera efficace e concreta alla vastissima casistica esistente, rendendolo operativo e comprensibile anche nei limiti di una trattazione necessariamente circoscritta, parziale ma, comunque, accessibile e di facile consultazione.

Si è quindi sviluppata una disamina sull’argomento affrontato che, raccogliendo e sintetizzando spunti metodologici offerti dalla letteratura esistente in materia, ha cercato di individuare un minimo comune denominatore in grado di far percepire gli aspetti più interessanti del tema affrontato, enucleandone, altresì, gli elementi più significativi ed emblematici e tracciando delle linee guida che possano rendere efficace e immediata la comprensione del problema collocato a metà fra le astrazioni semeiologiche di carattere medico - lavorativo e le definizioni aprioristiche tipiche della medicina legale.

Gli autori, in definitiva, hanno voluto semplicemente fornire, anche sulla base della loro esperienza nel settore e soprattutto alla luce del recente D.L.vo 626/94 e successive modifiche, come il DL 81/2008, che ha riordinato tutto l'apparato che governa la normativa della sicurezza negli ambienti del lavoro, un contributo di conoscenza al riguardo, da approfondire e da vagliare criticamente, snellendolo da una veste troppo rigorosa e teorica e cercando di calarlo nei problemi della realtà quotidiana.

INTRODUZIONE

Il giudizio di idoneità alla mansione specifica rappresenta il momento finale della visita effettuata su soggetti professionalmente esposti ed è la sintesi, dunque, degli accertamenti clinico-diagnostici effettuati sulle popolazioni lavorative.

Esso può sostanzialmente rivestire un duplice tipo di significato, in funzione delle prerogative tipiche della mansione specifica:

un valore di carattere eminentemente preventivo puro, in rapporto al genere di rischio evidenziato o paventato nell'ambiente di lavoro, riscontrandosi la necessità di evitare che il lavoro risulti usurante o quantomeno pregiudizievole per la salute del lavoratore, in funzione delle proprie caratteristiche costituzionali somatopsichiche e dei fattori di nocività eventualmente riscontrati nell'ambiente di lavoro. Tale approccio può riguardare, quindi, anche soggetti apparentemente sani che dimostrino di possedere una particolare suscettibilità individuale verso determinati agenti patogeni presenti nell'ambiente di lavoro in grado di far sviluppare, nel soggetto in esame, particolari forme di reattività individuale, di

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instaurare delle forme morbose con tipica connotazione di malattia professionale, di provocare delle alterazioni che, prima ancora di acquisire le sembianze di uno stato morboso vero e proprio, sostenuto sempre dall'attività lavorativa, si dimostrano, potenzialmente e in concreto, fortemente predisponenti per la realizzazione, a più o meno breve termine, di manifestazioni sintomatologiche non più reversibili e già riferibili alle fasi iniziali di un quadro sindromico nosologicamente correlato all'attività lavorativa e all'entità dell'esposizione e ai fattori di rischio. In questo caso il giudizio sull'idoneità lavorativa del soggetto in esame si sostanzia nella disamina dei rapporti che intercorrono fra agente patogeno, intrinseco all'ambiente di lavoro, ed eventuali organi bersaglio le cui funzioni vanno, pertanto, monitorate ed apprezzate nella maniera più esemplare attraverso l'effettuazione di indagini di elezione, mirate per il tipo di rischio considerato e per le funzioni organiche esplorate, essendo compito precipuo del “Medico Competente” individuare preliminarmente quei soggetti più predisposti di altri, per la presenza di uno stato di meiopragia d'organo o di organismo che si rivelino estremamente condizionanti in rapporto ai fattori di rischio specifico esistenti nell'ambiente di lavoro. Nei limiti del possibile, pertanto, vanno evitati i contatti con tali agenti pregiudicanti le condizioni di salute del lavoratore attraverso provvedimenti attivi come il cambiamento di mansione fino anche all'allontanamento dal posto di lavoro.

un valore più squisitamente medico-legale, collegato alle condizioni fisiche generali del lavoratore, in relazione soprattutto allo stato di salute dello stesso, per cui va considerato l'impatto degli agenti di rischio esogeno su un organismo in parte eventualmente già minato da uno stato di malattia; in tal caso, il fattore di rischio considerato può risultare, di volta in volta, scarsamente, mediamente o notevolmente lesivo nei confronti del soggetto esaminato o del tutto indifferente verso eventuali patologie riscontrate, onde la necessità di esprimere un giudizio di compatibilità totale o parziale, con l'attività lavorativa, in assenza di pregiudizi ipotizzabili o verificabili solo a determinate condizioni, previste prioritariamente ed evitate laddove necessario. Tutto ciò si rivela, all'atto pratico, non sempre agevole, poiché non è sempre possibile effettuare degli accostamenti sicuri ai protocolli di valutazione esistenti ed alle indagini strumentali o di laboratorio compiute dal lavoratore stesso; il giudizio ed il compito del “Medico Competente” sono delicati e ponderati, riguardando contemporaneamente la valutazione formulabile beni importanti ed inestimabili come l'apprezzamento dell'attitudine e della validità lavorativa del dipendente insieme alla sua salute ed a quella dei suoi colleghi di lavoro. Pertanto, vige la necessità di avere il massimo rigore e la massima cautela nel dichiarare il lavoratore stesso idoneo o non alla propria mansione specifica.

Il “Medico Competente” non deve, pertanto, arroccarsi su posizioni intransigenti ma nemmeno avallare giudizi di compiacenza, essendo la cultura unita

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all'esperienza a suggerire l'atteggiamento da osservare nell'occasione, in rapporto anche alle condizioni oggettive di lavoro esistenti.

Tra l'altro, il giudizio stesso va calibrato non tanto e non solo in base alla presenza di agenti di rischio specifico particolarmente nocivi, ma anche ai rischi generici aggravati ed al carico di lavoro da sopportare.

Non è, quindi, richiesta una valutazione particolarmente fine sugli eventuali agenti patogeni tipici ma, piuttosto, una scelta di convenienza sulle caratteristiche usuranti del lavoro richiesto e una conoscenza, non solo formale, delle attitudini e delle mansioni, dopo aver sentito anche il parere del soggetto in esame, al fine di verificare le caratteristiche intrinseche dell'attività realmente esercitata, la sua sopportabilità, le attitudini e l'abilità richieste, onde far coincidere il giudizio stesso con l'apprezzamento della capacità allo svolgimento della mansione specifica in assenza di limitazioni o controindicazioni.

Per “validità”si intende ordinariamente l'efficienza psicofisica allo svolgimento di ogni tipo di attività; per “capacità”, invece, l'insieme di attitudini specifiche e di una particolare preparazione. Pertanto, è invalso il concetto di capacità in attitudini confacenti, laddove ci si riferisce non già alla capacità specifica o ultraspecifica o ancora a quella generica ma a quell’insieme di attività che fanno parte della sfera delle lavorazioni utilmente espletabili in base all'esperienza maturata nel settore e alla cultura posseduta in materia; per “abilità” si qualifica la presenza di particolari disposizioni attitudinali del soggetto, e così si evince come

“l'idoneità” rappresenti una condizione grosso modo intermedia fra validità e capacità(1) (2) (7) (8).

Più esattamente è possibile definire l'idoneità come la validità considerata in specifico rapporto ad una ben determinata attività di tipo sia lavorativo che extralavorativo, essendo il grado di correlazione stimabile tra apprezzamento valutativo della integrità psicofisica del soggetto in esame e attività lavorativa espletata o da espletare(1) (2) (7) (8).

Pertanto, mentre la validità inerisce aspetti prettamente intrinseci e personali, sia l'idoneità che la capacità e l'abilità riguardano espressamente elementi di valutazione riferiti a una specifica attività lavorativa e riflettono la dinamica dei rapporti intercorrenti fra fattori intrinseci biologici e fattori esogeni lavorativi.

Nel caso dell'idoneità sono prevalenti i prerequisiti biologici rispetto a quelli attitudinali(1) (2) (7) (8) e il giudizio resta funzionale alla validità del dipendente considerato, non evidenziandosi infatti alcun tipo di problema di ordine valutativo e pratico nel caso di soggetti sani e quindi totalmente validi, per i quali è possibile esprimere il possesso del requisito dell'idoneità generica per qualsivoglia tipo di lavoro consono alla preparazione personale e alla cultura della persona esaminata.

Diversa è la posizione di coloro che sono portatori di una qualunque affezione, tale da renderli ipovalidi ovvero più sensibili all'azione di fattori morbigeni

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esogeni e più suscettibili al peggioramento delle loro patologie o all'istaurarsi di altre(1) (2) (7) (8).

Di fatto, i prerequisiti lavorativi richiesti svolgono un ruolo diverso a seconda che si tratti di visite preventive o periodiche riguardanti dipendenti da assumere ex novo o già assunti, essendo chiaramente, in molti casi, preoccupazione e interesse di massima delle “aziende” acquisire nuovo personale “sano” ovvero

“superidoneo”.

Tale evenienza rappresenta, senz'altro, una forzatura (per non dire un illecito), volendosi sovrapporre i concetti di idoneità lavorativa e di efficienza "tout court" per ammettere al lavoro solo coloro che sono in grado di produrre a ritmi sostenuti e con maggior vigore, ovvero di sopportare meglio l'impatto dei fattori morbigeni presenti nell'ambiente di lavoro e di acquisire, in tal modo, maggior lunghezza della vita lavorativa dei dipendenti assunti(1) (2) (7) (8).

In effetti, tale criterio va adombrato tutte le volte che si è in presenza di un lavoro malsano o intrinsecamente morbigeno: la maggior parte degli autori rigetta discorsi di accettazione remissiva di tali situazioni, a torto o ragione ingovernabili o ineluttabili, perché ciò inficia e sfugge in partenza a qualsiasi elemento di giudizio e a qualunque metodologia riferibile a un equo concetto di idoneità lavorativa(1) (2) (7) (8).

Il vero problema, in questi casi, è quello dell'idoneità dell'ambiente di lavoro ovvero delle sue condizioni generali, non rinvenendosi tanto l'esigenza di selezionare soggetti idonei bensì validi al 100% per poterli, più tranquillamente, esporre a fattori di nocività ambientale allo scopo di rimandare l'azione di bonifica necessaria(1) (2) (7) (8)!!!!

L'idoneità del lavoratore è, pertanto, da ritenersi subordinata prioritariamente alla certificazione della salubrità dell'ambiente di lavoro suscettibile quindi del giudizio di idoneità parimenti a quello relativo al dipendente.

Una volta stabiliti i criteri di massima preliminari, riferiti all'ambiente lavorativo, indispensabili all'oggettivazione del giudizio d'idoneità lavorativa, il presupposto necessario a dettagliare tale parere dirimente si riferisce unicamente alla presenza di fattori di rischio nell'ambiente di lavoro che differiscono da quelli relativi alla nocività ambientale per caratteristiche unicamente quantitative, non superandosi nel primo caso la soglia ritenuta sicuramente patogena; ciò accade nella seconda evenienza, per cui il rischio per essere tale deve rivelarsi potenzialmente patogeno per i soggetti professionalmente esposti ed il giudizio di merito e il concetto d'idoneità ad esso annesso sono collegabili unicamente a quest'ultima ipotesi(1) (2) (7) (8).

Studiare e prevenire l'impatto dovuto alla particolare suscettibilità di taluni lavoratori anche a dosi di agenti di rischio inferiori a quelle ritenute concordemente patogene è compito precipuo della medicina del lavoro ed è il fine della sorveglianza sanitaria, verificandosi tale eventualità solo in presenza di quadri patologici ben definiti preesistenti, restando nel puro campo delle congetture e delle

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ipotesi la previsione puramente probabilistica collegata a non meglio specificate predisposizioni di tipo verosimilmente costituzionale.

Imprescindibile, così, si rivela l'accertamento di una condizione patologica preesistente, in mancanza della quale non è lecito avventurarsi in ardite e arbitrarie interpretazioni di tipo prognostico ed eziopatogenetico; da ciò si concretano due tipi fondamentali di concetti: l'usura e la controindicazione al lavoro che permettono presuntivamente di contemplare univocamente tutte le ipotesi realizzabili nella realtà(1) (2) (7) (8).

In tale contesto, va ritenuta usurante quell'attività lavorativa in grado di sviluppare una patologia in soggetti malati e predisposti, agendo la causa o la concausa di lesione con modalità diluita nel tempo, provocando un congruo peggioramento delle condizioni psicofisiche del soggetto professionalmente esposto.

Tale evenienza si verifica anche per ritmi e carichi di lavoro che usualmente risultano indifferenti per la gran parte o totalità dei soggetti sani, anche perdurando l'attività lavorativa per molto tempo(1) (2) (7) (8).

Sono da ritenersi controindicati quei lavori in grado di nuocere anche per esposizioni di breve durata, essendo la causa concentrata nel tempo.

Diverso è, invece, il discorso sulla presenza di quadri morbosi possibili concause di infortunio lavorativo che ineriscono l'esistenza di situazioni patologiche coesistenti o concorrenti in grado di facilitare o accrescere il rischio di infortunio sul lavoro, predisponendolo, pur non costituendo l'infermità o la menomazione da sola un vero ostacolo al normale espletamento di un'attività lavorativa, al punto da far ritenere comunque il lavoro pericoloso o a rischio, senza che questo sia patogeno(1) (2) (7) (8). In ogni caso è solo la presenza di una malattia, di una condizione morbosa o di una particolare suscettibilità individuale a definire il campo di ipotesi relative al mancato riconoscimento dell'idoneità lavorativa.

In base agli artt. 33 e 34 del D.P.R. 303/56, riguardante le norme generali dell'igiene del lavoro, per gli ambienti occupazionali per i quali esiste l'obbligo della sorveglianza sanitaria il datore di lavoro ha l'obbligo di far effettuare, dal “Medico Competente”, le visite preventive e periodiche con la prescritta cadenza, avendo poi l'Ispettorato del lavoro la facoltà d'intervenire a controllare e integrare, ove ritenuto necessario, tale protocollo di accertamenti clinici e diagnostici. Con il tempo tale opera di controllo è stata affidata alle UUSSLL, attuali AASSLL, che si sono assunte, praticamente, l'intero onere della “vigilanza” sanitaria.

Una particolare menzione merita, poi, la cosiddetta visita di assunzione per la quale è lasciata la facoltà al datore di lavoro di effettuare accertamenti sanitari anche supplementari allo scopo; secondo taluni è da verificare la sola piena validità del lavoratore per garantire l'efficienza e la produttività del lavoratore stesso;

contrariamente, andrebbe comunque accertata l'idoneità lavorativa in senso stretto, evitando l'effettuazione di autentiche visite di selezione per assumere personale più valido in funzione delle aspettative e delle priorità del datore di lavoro(8).

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La necessità di effettuare visite preventive e periodiche nei confronti dei lavoratori professionalmente esposti e, quindi, le modalità esecutive della sorveglianza sanitaria, è stata ribadita nell'art. 16 del D.L.vo 626/94 e, poi, meglio definiti nell'art. 17 i compiti istituzionali e le prerogative del “Medico Competente”, vero garante e specialista della sorveglianza sanitaria, i cui requisiti formali sono ben delineati anche nel D.L.vo 277/91, laddove si restringono le ipotesi ai soli Medici Specialisti o Autorizzati dalle Regioni.

METODOLOGIA D’INDAGINE

La metodologia d'indagine, utile ad esprimere il giudizio d'idoneità lavorativa, si avvale di una duplice fase conoscitiva e della conseguente criteriologia medico legale di tipo diagnostico-valutativo, essendo la prima finalizzata all'accertamento delle caratteristiche e della tipologia di attuazione di quella specifica attività lavorativa, e la seconda alla verifica delle condizioni di salute dell'individuo esaminato(1) (2) (4) (7) (8) (9).

Ai fini dell'indagine clinico-diagnostica effettuata e del conseguente giudizio hanno valore solo i quadri morbosi riferibili a infermità o menomazioni aventi carattere permanente, ossia per le quali è supponibile la lunga durata e non esistano certezze circa l'evolutività e la guarigione.

Nell'ambito dell'attività lavorativa e delle condizioni di svolgimento vanno particolarmente considerati gli eventuali fattori usuranti e le controindicazioni ipotizzabili nella fattispecie, ossia le caratteristiche di lavoro pericoloso o a rischio in base alle patologie manifestate, estrapolando tutti quegli aspetti lavorativi fonte potenziale di concause di lesione o di infortunio, senza dimenticare l'esistenza di attività nocive e di per se patogene.

In pratica i concetti di usura e di controindicazione sono riferiti o ad un'affezione di per se a carattere dinamico ed evolutivo o ad una menomazione o alterazione anatomo-funzionale di valenza più o meno statica e che, cointeressando nel tempo altri distretti organo-funzionali correlati, può anch'essa svelare una eventuale ed insospettata carica di evolutività.

La relazione va stabilita con il grado di incertezza ovvero di probabilità in concreto esistente sulle possibilità che usura, controindicazione e rischio possano davvero realizzarsi nel tempo; pertanto, anche patologie assai gravi e a prognosi incerta, perfino probabilmente infausta a media o lunga scadenza, possono, talvolta, risentire relativamente poco del carico di lavoro sopportato; viceversa altre di valore prognostico meno impegnativo in termini di sopravvivenza possono comportare, per l'esercizio di una certa attività, possibilità di rischio e aggravamento specifici di maggior impatto dal punto di vista eziopatogenetico. Con la valutazione prognostica stilata nel momento del giudizio di idoneità si devono ben ponderare e contemplare

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tutti questi aspetti di interrelazione dinamica, essendo la valutazione stessa essenzialmente finalizzata ad assicurare la continuità e l'efficienza del servizio da prestare e l'assenza o la trascurabile presenza di elementi di nocività e patogenicità sicuramente oggettivabili, insiti nelle condizioni di espletamento dell'attività e nell'ambiente di lavoro (1) (2) (4) (7) (8) (9).

Altresì importante è conoscere la cosiddetta “densità del rischio”, ossia le percentuali di probabilità che lo stesso si manifesti in rapporto all'espletamento di quella determinata attività lavorativa, e l'entità del rischio collegata al concetto di usura in relazione alle patologie eventualmente manifestate, la cui analisi da parte del “Medico Competente” deve essere esauriente, dettagliata e obiettiva, per non incorrere nell'errore di sopravvalutare o sottovalutare elementi di rischio scarsamente soppesati che, per eccesso di zelo e/o cautela, comportino giudizi negativi affrettati ed erronei, espressi solo per un malinteso senso di garantismo e di salvaguardia da ogni possibile futura ipotetica responsabilità (10).

Un problema assai sentito e non pienamente tutelato in termini di legge è quello della utile ricollocazione dei soggetti ritenuti non idonei e licenziati in conseguenza di ciò, laddove la norma prevede solo per talune categorie, come i dipendenti degli enti pubblici, ai sensi dell'art. 9 del D.P.R. 191/79, che il dipendente possa essere deposto dal servizio, in quanto non idoneo per motivi di salute, solo dopo aver verificato l'impossibilità di recuperarlo all'esercizio conveniente di altre mansioni dello stesso livello funzionale e retributivo o perfino inferiori ma similari

In tutti gli altri casi esiste una "vacatio legis", in apparente contrasto con la legislazione sulle categorie protette dei lavoratori: invece, tutta la normativa del collocamento obbligatorio si basa sul raggiungimento di una certa quota di invalidità percentuale alla capacità lavorativa generica, assolutamente non parametrabile con il concetto di idoneità lavorativa alla mansione specifica testé trattata.

Non esiste, allo stato, alcun precetto di legge che tenga conto della possibile riqualificazione dei soggetti ritenuti non idonei e quindi invalidi in occupazioni confacenti, in base alle patologie manifestate.

Ciò costituisce un problema nel problema e, così, in assenza di una legislazione specifica che governi e razionalizzi meglio la complessa materia, i soggetti dichiarati non idonei ad una determinata attività lavorativa e licenziati in conseguenza di ciò, eventualmente riconosciuti invalidi e inseriti fra le categorie protette nell'ambito della normativa del collocamento obbligatorio, spesso non vedono sufficientemente tutelato il proprio diritto al lavoro, senza un'indicazione precisa sulle potenzialità lavorative residue, in base alle malattie invalidanti manifestate dai soggetti, che congruamente potrebbero ricevere un'idonea ricollocazione lavorativa(1) (8).

La definizione e la stima ponderata del rischio si rivelano di capitale importanza se riferiti al concetto di idoneità lavorativa specifica.

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La parola rischio è tornata in auge dopo l'emanazione del D.L.vo 626/94, essendo la sua valutazione fondamento stesso della medicina del lavoro e oggetto di numerosi studi definitori e analitici nel tempo(10).

Benché ritenuto, in Medicina del Lavoro, una combinazione di probabilità e gravità di eventuali lesioni o danni alla salute ingenerantisi in presenza e come conseguenza di possibili fattori di nocumento in situazioni di pericolo insite nell'ambiente di lavoro, o, più precisamente, secondo orientamenti giurisprudenziali di massima unanimemente formulati e accettati, “la circostanza che possa essere raggiunto il livello-soglia potenziale di danno per la maggior parte dei lavoratori in determinate condizioni di esposizione, nonché la quantificazione dell'entità delle manifestazioni lesive procurabili riferite ad uno specifico agente esogeno”, il rischio trova accezioni e caratterizzazioni differenti secondo le esigenze e gli sviluppi delle diverse discipline di riferimento e del contesto cui si riferisce nell'occasione.

Imperfetta, quindi, nella collocazione semantica, la parola rischio trova una diversa esemplificazione anche all'interno del D.L.vo 626/94 e successive modifiche ed integrazioni laddove diventa sinonimo di pericolo, come, ad es., quando ci si riferisce al rischio di esplosione, incendio, minacce alla salute in generale, individuazione di specifici fattori o fonti di possibile nocumento, sinonimo di esposizione pura e semplice, rapportandosi la sua valutazione alla stima ponderata dell'esposizione o infine sinonimo di danno, quando si parla di rischio per la salute, rischio di infortunio, con richiesta di indagini diagnostiche ad esso mirate, per accertare le probabilità che si sia verificato un danno all'integrità psicofisica del lavoratore al fine di monitorare adeguatamente la nocività e la potenzialità lesiva del fattore medesimo considerato(10).

Privato di qualsiasi caratterizzazione, il significato di rischio oscilla fra la valutazione del pericolo e quella del danno, rimandando spesso l'una alle proprietà concettuali dell'altra(10).

Esaminando più attentamente la doppia definizione e accezione della parola rischio, si evince come sia possibile individuare nel pericolo una qualità negativa o una oggettiva entità eziologica agente in modo nocivo e capace di ingenerare danni di qualunque tipo e gravità. Nell'esposizione la probabilità che ciò accada è più o meno alta, tenendo ben presente che il danno non si manifesta univocamente nella popolazione lavorativa esposta ma risente della predisposizione individuale che si può manifestare variamente nel tempo (8) (10).

La variabile tempo va dunque adeguatamente verificata e ponderata e rappresenta il fondamento stesso dell'analisi valutativa effettuata sugli agenti di rischio, restando inadeguata e priva di alcun valore logico reale qualsiasi considerazione e dissertazione che non tenga esplicitamente conto del periodo di osservazione dell'evento ascritto in oggetto.

Il concetto di rischio ingloba diversi elementi di giudizio che comprendono l'identificazione della fonte di pericolo, la materializzazione e

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realizzazione dell'esposizione nel tempo e, da ultimo, la comparsa reale del danno e la sua evidenziazione.

Tutti i fattori di confondimento possibili sono considerati in modo tale che la sua espressione formale si possa far risalire alla probabilità del verificarsi in un ben determinato periodo di tempo al fine di valutare la potenza con precise unità di misura, di un pregiudizio o di un evento nocivo alla sicurezza e alla salute del lavoratore come conseguenza della presenza di un pericolo insito nell'ambiente di lavoro(10).

La ricchezza di vocaboli della lingua italiana permette di utilizzare di volta in volta termini diversi sostitutivi della parola rischio e consente di distinguere gli agenti eziologici potenziali di danno dalla esatta utilizzazione definitoria dello stesso.

Vi è un collegamento fra la causa, ossia la fonte di pericolo, e gli effetti ovvero i danni prodotti. Pericolo, esposizione e danno rappresentano quindi gli elementi qualitativi e attributivi del rischio rimanendo la stima della probabilità la misura quantitativa dello stesso (8) (10)

Il giudizio di idoneità va quindi rapportato ai rischi specifici evidenziati, in base alla mansione specifica del soggetto esaminato oltre che, ovviamente, alle condizioni fisiche generali del medesimo.

Malgrado l'influenza delle contingenze economiche sulle possibilità occupazionali di soggetti ipovalidi rispetto a quelli pienamente validi, con intuitive conseguenze sul mercato del lavoro (laddove le imprese preferiscono l'assunzione di elementi in condizioni di piena efficienza fisica oltre che giovani), il giudizio di idoneità al lavoro non deve risentire in alcun modo della occasionalità del momento politico o delle peculiari caratteristiche della struttura socio-economica produttiva.

E’ una determinazione da assumere in modo rigoroso e in piena scienza e coscienza malgrado una preselezione avvenuta, eventualmente, a prescindere dai contenuti sanitari della visita preventiva e in base a considerazioni oggettive da parte del datore di lavoro; ciò esula dai compiti istituzionali del Medico del Lavoro(7) (8).

Il problema vero, comunque, è rappresentato dalle visite preventive, rare ed effettuate su persone, per lo più, valide ovvero apparentemente sane e non ancora esposte ai fattori specifici di rischio occupazionale identificati nell'ambiente di lavoro, o su persone invalide da avviare obbligatoriamente al lavoro, per cui il giudizio stesso ha in questi casi esclusivamente una valenza prognostica ancora teorica non raffrontabile con un periodo più o meno prolungato di anzianità lavorativa.

Trattandosi, quindi, di visite preventive, il giudizio di idoneità va calibrato non sull'attitudine o sulla capacità allo svolgimento di una specifica mansione bensì sulla possibilità di venire esposto, senza incorrere in alcun pericolo di malattia o senza che si determini, in virtù dell'esposizione, un aggravamento delle condizioni predisponenti al manifestarsi o all'accentuarsi di uno stato patologico preesistente (1) (4) (5) (7) (8) (9) .

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Sembra ovvio, perciò, che il soggetto dichiarato idoneo al momento dell'assunzione potrebbe non esserlo più nel corso della vita lavorativa, all'atto dell'esecuzione degli accertamenti periodici.

Ambiente di lavoro, salute del lavoratore e progresso delle indagini diagnostiche sembrano essere gli elementi critici del giudizio dal momento che vanno accertate, contestualmente, patogenicità del fattore lavorativo, predisposizione individuale, minor resistenza agli agenti esogeni professionali nonché la potenza, affidabilità, sensibilità specificità, e predittività degli accertamenti eseguibili, sempre più aggiornati e sofisticati.(5) (8) (9).

Altro importante problema è quello della ricollocazione utile di soggetti dichiarati inidonei per la mansione specifica ad altre attività ricomprese nel medesimo ciclo produttivo o, comunque, in ambito aziendale senza incorrere in sovraffollamenti di determinati compiti o attributi e spopolamenti di altri, senza alcuna dequalificazione professionale.

Innegabile è, peraltro, la difficoltà per persone di mezza età di cercare nuove occupazioni o nuove professioni a causa di eventuali malattie contratte, di carattere professionale e non. Più consolidata e più adeguata sembra la prassi legislativa della collocazione obbligatoria dell'handicappato grave o dell'invalido civile che usufruiscono delle numerose tutele specifiche.

La maggior parte dei Medici del Lavoro sono soliti esprimere giudizi di idoneità alla mansione specifica e verificano la compatibilità dello stato di salute del lavoratore professionalmente esposto con i rischi specifici collegati alla mansione stessa.

In letteratura mancano pubblicazioni che approfondiscano il discorso sull'idoneità con apposite scale di valutazione riguardanti la presenza di determinate condizioni patologiche da rapportare a specifiche mansioni o attività.

Pertanto, la valenza delle considerazioni teoriche applicabili nella fattispecie ricadrebbe solo sul soggetto sano in assoluto in rapporto agli organi ed apparati ritenuti bersaglio dei fattori di rischio presenti nell'ambiente di lavoro.

Forse nel futuro i progressi della genetica permetteranno di esprimersi sempre in modo più mirato circa la possibilità di ammalare di individui professionalmente esposti o circa la loro refrattarietà, restando il giudizio, in ogni caso, un attributo di carattere individuale non estensibile acriticamente e stereotipicamente agli altri soggetti con la medesima mansione e non trattandosi, nella fattispecie, di una valutazione di merito espressa genericamente in astratto per tipologia di attività.

Resta dirimente, ai fini del giudizio stesso, un'analisi dettagliata dell'ambiente di lavoro che riguardi sia la disamina degli aspetti organizzativi e turnistici che l'interpretazione dei dati epidemiologici di carattere biomedico accertando attraverso la valutazione del posto di lavoro l'idoneità stessa dell'ambiente di lavoro (1) (4) (5) (7) (8) (9) .

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Specificità, validazione scientifica e liceità sono gli attributi critici ritenuti indispensabili per l'ottimale utilizzo di un test diagnostico mirato al rischio, capace, cioè di minimizzare il numero dei falsi positivi, di rendere coerenti e attendibili i risultati e di garantire reale finalità operativa, predittività, assenza di controindicazioni, consenso informato e partecipazione dei lavoratori all'esecuzione e agli obiettivi dell'indagine stessa proposta.

Grossa attenzione bisogna, poi, porre sul significato e sul valore dei dati clinici e anamnestici per non discriminare i lavoratori in base ad una generica predisposizione costituzionale individuale giustificabile, in concreto, approfondite conoscenze suffragate da oggettive osservazioni scientifiche.

Allo stato attuale, si ritiene prematuro ed azzardato inserire indagini diagnostiche, tipo screening genetico, di incerto e discutibile significato prognostico, nel protocollo degli accertamenti ritenuti obbligatori o di routine nell'ambito delle visite preventive o anche periodiche(1) (4) (5) (7) (8) (9) .

Molto valore viene annesso “all'informazione” dei lavoratori che diventa, alla luce del D.P.R. 277/91 e del più recente D.L.vo 626/94 con le successive modifiche ed integrazioni, parte integrante della visita effettuata dal “Medico Competente” ai fini del giudizio d'idoneità.

Inoltre, “la formazione” rappresenta un requisito indispensabile per la prevenzione delle malattie professionali e per la minimizzazione dei rischi in lavoratori professionalmente esposti interagendo, in modo specifico, con l'impatto dei fattori ambientali teoricamente patogeni, a corredo indispensabile del bagaglio di conoscenze del lavoratore(3).

IL GIUDIZIO D'IDONEITA' ALLA MANSIONE SPECIFICA

Dopo aver eseguito la visita medica specialistica preventiva o periodica nonché tutti gli accertamenti ritenuti indispensabili ai fini della sorveglianza sanitaria, il “Medico Competente” formula il giudizio d'idoneità alla mansione specifica del lavoratore.

Per quanto non dichiaratamente indicato in precise formulazioni, il giudizio può essere egualmente ed efficacemente rappresentato in base ad una rigorosa nomenclatura che contempla le seguenti e più usuali espressioni valutative formali:

idoneo;

idoneo con prescrizione, indicando ovviamente di quali tipi di obiezioni si tratti;

temporaneamente non idoneo, con specificazione della data utile per un successivo controllo, ovvero rivedibile;

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non idoneo(5).

In base alla normativa vigente il “Medico Competente” è quindi tenuto a comunicare per iscritto al datore di lavoro ed al lavoratore solo i casi di “inidoneità”

lavorativa specifica parziale o temporanea o assoluta del lavoratore, con indicazione precisa per le forme parziali delle prescrizioni da applicare, essendo consuetudine che il giudizio di idoneità sia ritenuto tacito e incondizionato in tutti gli altri casi(5).

Si ritiene, comunque, più logico formulare il giudizio di idoneità per iscritto in ogni caso, specie se si tratta di visite preventive che implicano l'ingresso di un nuovo lavoratore nel ciclo produttivo. Si considera altrettanto utile stilare un vero certificato d'idoneità contenente oltre alle generalità del dipendente, il reparto di appartenenza e la mansione specifica con la citazione di tutti i rischi annessi al tipo di attività svolta in seno all'azienda, indicando, altresì, la data della visita preventiva o periodica effettuata, gli esami clinico-strumentali mirati effettuati, il giudizio finale stilato, le eventuali prescrizioni o consigli erogati e, da ultimo, la periodicità con cui tutti gli accertamenti devono essere ripetuti nel tempo a parere discrezionale del medico competente.

A tale scopo, è preferibile istituire in azienda un apposito registro che contempli tutte le certificazioni di idoneità effettuate e riporti lo scadenzario delle date in cui andranno effettuate, per ciascun lavoratore, le visite periodiche e tutti gli altri accertamenti previsti(5).

In effetti, la sorveglianza sanitaria non può essere effettuata secondo un protocollo unico standardizzato ma va realizzata in funzione del rischio o dei rischi a cui i lavoratori sono singolarmente esposti.

L’IDONEITA’ IN RAPPORTO AL CONCETTO DI MALATTIA PROFESSIONALE

Le malattie professionali, in cui il termine “professionale” non ha una caratterizzazione nosografica particolare, rappresentano la formalizzazione eziologica di una malattia contratta a causa dell'esposizione a ben precisi fattori ambientali di rischio lavorativo, facilmente riconoscibili nei casi più noti.

A tal proposito, vige il cosiddetto “sistema della lista” che permette l'automaticità del riconoscimento delle relative prestazioni economiche, dovute dall'Istituto Assicuratore (I.N.A.I.L.), laddove sussistano i requisiti dell'esposizione certa, per determinati tipi di attività, a ben conosciuti agenti patogeni tabellati rilevati, opportunamente, nell'occasione o in precedenza, e dell'esistenza di una specifica sintomatologia clinica che si ripeta in modo regolare e costante nel tempo ad essi eziopatogeneticamente concatenata. In tal caso non grava sul lavoratore l'onere della prova del nesso causale.

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Attualmente, in Italia vige un sistema tabellare “misto”, per cui sono etichettabili come professionali, previa opportuna dimostrazione in questo caso da parte del lavoratore affetto, anche malattie non inserite nella tabella del Testo Unico, datato 1965, rivelatosi quindi insufficiente alla bisogna quantunque passibile di periodici aggiornamenti. Si potrebbe ovviare a ciò con una opportuna distinzione delle patologie che si basi sulla diversa qualità eziologica dei fattori di rischio, così come raccomandato in ambito CEE attraverso la costituzione di una lista di malattie professionali, con provvedimento datato 23.07.1962, n.80, che suddivide le malattie professionali in 6 gruppi, e cioè quelle derivate:

da agenti chimici ben noti;

da sostanze e agenti, non comprese sotto altre voci, capaci di causare malattie cutanee;

da sostanze e agenti, non comprese sotto altre voci, capaci di provocare fenomeni morbosi per via inalatoria;

da animali o resti animali capaci di trasmettere all'uomo infezioni o infestazioni parassitarie;

da carenza (vitaminica);

da agenti fisici (6).

Nella suddetta raccomandazione la CEE accorpava, nell'allegato n.2, in 3 distinte categorie le malattie professionali con obbligo di denuncia da parte del medico, sulla falsariga della suddivisione citata in precedenza.

Da un punto di vista biologico, la malattia professionale può essere definita, in base ad un comune concetto secondo il quale la malattia, in generale, è vista come la somma dei disturbi funzionali di un certo grado, cioè apprezzabili e sintomatologicamente rilevanti, in grado di instaurarsi in un organismo; caratteri peculiari della malattia sono, pertanto:

il significato morboso solo di alcuni disturbi funzionali, senza generalizzazione;

la loro effettiva possibilità di costituire per l'organismo un vero pericolo di nocumento o di vita, ovvero reale potenzialità lesiva per organi ed apparati;

il superamento del limite critico di soglia dell'adattabilità dell'organismo, in rapporto alla patologia manifestata, con manifestazioni funzionali della predetta potenzialità lesiva.

In pratica, la malattia si presenta come un'alterazione a carattere anatomofunzionale o strumentale indotta da una causa morbigena interna o esterna che interagisce con un organismo in grado, comunque, di opporre una pur minima resistenza.

Con il tempo, si possono sviluppare forme precliniche, oggetto della prevenzione primaria e secondaria, e quadri clinici conclamati; nel caso delle malattie “professionali”, la patologia considerata, per essere ritenuta tale,

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deve essere in stretta e diretta connessione con fattori eziologici presenti nell'attività svolta dal soggetto esaminato.

La specificità e l'evolutività della supposta malattia da lavoro sono deducibili essenzialmente in base a:

danno in concreto manifestatosi durante il periodo di esposizione realizzatosi;

esistenza di una relazione diretta fra danno patito e ambiente lavorativo in cui si opera, strumenti utilizzati, macchinari e tecniche applicate, sostanze tossiche usate o prodotte.

In sintesi, le malattie umane possono essere distinte e raggruppate, eziologicamente ed in senso medico-legale in:

1) malattie comuni;

2) eventi infortunistici;

3) malattie professionali (6).

Elementi costitutivi della classica “tecnopatia” sono la presenza di fattori di rischio tipici e propri delle attività espletate e la loro nocività esplicata in modo più o meno costante al raggiungimento di determinati livelli soglia ritenuti quindi pericolosi (6).

Mancando aspetti distintivi caratterizzanti nelle malattie professionali di tipo anatomoclinico, il riconoscimento dell'origine lavorativa di una determinata affezione può avvenire in virtù di consolidate conoscenze scientifiche suffragate da criteri e protocolli epidemiologico-statistici che vanno a verificare una diversa e significativa incidenza della tecnopatia in una determinata categoria di lavoratori rispetto a gruppi di controllo.

Il vero problema non deriva, comunque, dal riconoscimento dei quadri tipici ma dall'esistenza di tutta quella serie di disordini più o meno sfumati, di organi ed apparati, solo in parte attribuibili ad agenti ed elementi di nocività ambientale facilmente riscontrabili in lavoratori professionalmente esposti.

Non infrequenti sono, infatti, i cosiddetti fattori di confondimento che agiscono in modo sinergico o sostitutivo rispetto a quelli ritenuti eziologicamente di maggior interesse medico-lavorativo o medico-legale (6).

Accede molto spesso, così, che diverse noxae patogene possano esplicare la loro azione lentamente e progressivamente nel tempo, modificando insensibilmente alcuni parametri biofunzionali dell'organismo, con inavvertito ma inesorabile declino dgli stessi e deficit di entità rilevante nel rendimento dei relativi organi ed apparati bersaglio, accentuato e accelerato dalla presenza dei fattori di rischio professionale che interagiscono con l'età ed altri elementi esogeni od endogeni di decadimento di origine extralavorativa (6).

Non va, infatti, dimenticato il ruolo principale svolto anche dall'inquinamento ambientale, dal tabagismo, dalle diete ipercaloriche e da tutti quei fattori di rischio e di confondimento presenti in modo abituale o casuale.

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Tutto ciò può rendere assai ardua l'identificazione e il riconoscimento di un preciso quadro tecnopatico (6).

Le diverse Istituzioni Assicurative nazionali ed extranazionali hanno cercato di ovviare al problema o applicando in modo rigido il sistema tabellare della lista chiusa o lasciando aperta la valutazione ad ogni singolo caso o con l’utilizzo di un sistema “misto” tabellare ed extratabellare (6).

Scopo principale delle visite mediche effettuate in ambito preventivo- lavorativo dal “Medico Competente” è quello di:

caratterizzare, nei limiti del possibile, dal punto di vista clinico e soprattutto eziologico, la natura dei diversi eventuali quadri morbosi evidenziati e individuarne la verosimile origine lavorativa od extralavorativa;

verificare la preesistenza o non di tali affezioni all’esposizione a determinati fattori di rischio esogeno sicuramente presenti e testati nell’ambiente di lavoro in rapporto, soprattutto, alla mansione specifica del lavoratore;

valutare attentamente la cronologia delle diverse esposizioni, precedenti e attuali, in modo da dimostrare, in modo corretto, la possibile esistenza del nesso di causalità fra antecedenti morbigeni e patologie conseguenti realizzatesi;

definire le caratteristiche evolutive delle eventuali malattie accertate, sulla base di controlli clinici e riscontri diagnostici precedenti, della storia clinica naturale, delle possibili varianti cliniche, della stazionarietà, accessualità, cronicità o progressività manifestate nel tempo, in rapporto ai fattori di rischio ambientali rilevati, in modo da operare efficacemente un eventuale parallelismo;

formulare un giudizio prognostico a breve, media e lunga scadenza basato, in particolare, sulle correlazioni anatomocliniche ipotizzabili e sui deficit funzionali valutabili all’occorrenza, sui possibili effetti acuti e cronici derivanti dall’ esposizione ai fattori ambientali di rischio, e sulla eventuale coesistenza di altri concomitanti quadri morbosi, in modo da soppesare dovutamente gli effetti sinergici delle diverse noxae patogene esitenti e la loro eventuale ricaduta su determinati organi bersaglio;

esprimere un fondato e ponderato giudizio di idoneità ponendo massima attenzione alla preesistenza o insorgenza “ex novo” di eventuali malattie professionali e al loro possibile aggravamento, apprezzabile dal punto di vista funzionale, in rapporto all’esistenza di ben precisi fattori ambientali di rischio ad esse collegabili eziopatogeneticamente;

valutare l’opportunità dell’allontanamento del lavoratore dall’ambiente di lavoro, con possibile variazione della mansione specifica, laddove lo si ritenga doveroso per la salvaguardia dell’integrità psicofisica del lavoratore medesimo (1) (3) (4) (5) (6) (7) (8) (9) .

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L’IDONEITA’ IN RAPPORTO AL CONCETTO DI LAVORO USURANTE

E' da ritenersi tale, in base alle opinioni correnti, quel lavoro che ostacoli il ripristino integrale delle energie spese nell’attività di competenza, con accelerazione dei processi degenerativi propri dell'età avanzata e con relativo aggravamento di una malattia o difetto fisico o mentale(3).

In pratica, si definisce “usurante” quel lavoro che, in rapporto ad una patologia preesistente, provochi un consumo abnorme nella funzionalità di organi e apparati ritenuti bersaglio, per l'attività svolta, con accelerazione delle relative tappe evolutive del processo morboso e accentuazione del deficit collegato al normale espletamento delle prestazioni organo-funzionali di competenza e con progressivo e inarrestabile deterioramento dell'integrità psicofisica del soggetto esaminato(3).

Andrebbe ritenuto usurante non solo il lavoro che in concreto viene svolto dal dipendente ma anche quelli che, ipoteticamente, possano comportare non una semplice estrinsecazione di energie normalmente possedute ma una perdita irrimediabile e non reitegrabile delle stesse, con relativo deficit anabolico conseguenziale ed intossicazione cronica per mancata eliminazione di prodotti del catabolismo legati all'attività lavorativa(3).

Secondo altri autori si può definire “usurante” quel lavoro che, esaurendo in modo eccessivo le energie di riserva, va a depauperarle e a sottrarle alla sfera dei bisogni energetici elementari dell'organismo, con possibile accorciamento della vita e sviluppo di menomazione grave con carattere di permanenza(3).

L'usura è, quindi, quella condizione patologica che richiedendo uno sforzo eccessivo e abnorme per un certo organismo va a intaccare in modo irreparabile i normali meccanismi di compenso regolatori dell'adattamento bio-funzionale dell'organismo, con deterioramento apprezzabile e consistente dello stesso o di singoli organi o apparati o accentui, in modo notevole, l'aggravamento di una certa condizione patologica o provochi l'insorgenza ex novo di una determinata malattia e/o menomazione rientranti, perciò, nell'ambito delle predette malattie professionali.

Dello stesso tenore sono alcune sentenze della Corte di Cassazione che ribadiscono questi concetti laddove sottolineano gli attributi e le peculiarità del lavoro usurante rispetto a quello non usurante.

Il primo è convenzionalmente ritenuto come quello sproporzionato alle normali prestazioni e condizioni psicofisiche del lavoratore, capace di logorarne in modo anomalo e irreversibile le energie vitali e residue, determinando così l'aggravarsi di un preesistente stato patologico e che causi una “frammentazione del normale svolgimento dell'attività lavorativa medesima, per esaurimento energetico e incompatibilità palese fra condizioni generali dell'organismo, o di singoli organi e apparati, ed esercizio proficuo dei compiti propri del lavoro affidato”.

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Il secondo, viceversa, è certamente da ritenersi quello che, pur svolto in modo protratto, non condiziona alcun peggioramento apprezzabile dello stato anteriore di partenza del soggetto esaminato, rientrando quindi tutti gli accertamenti clinico-diagnostici effettuati periodicamente nel tempo nell'ambito di parametri ritenuti oggettivamente fisiologici e senza riscontro di ulteriori e non giustificati deficit funzionali(3).

Pertanto, quando il “Medico Competente” sarà chiamato ad esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica dovrà:

valutare la compatibilità fra lo stato psicofisico del lavoratore e rischi specifici annessi all’attività lavorativa medesima;

raccogliere in modo dettagliato tutti gli elementi clinico-diagnostici rilevabili, esaminandoli sotto il profilo prognostico ed eziopatogenetico sempre in rapporto alle eventuali noxae patogene esistenti nell’ambiente di lavoro;

verificare il carattere eventualmente usurante, controindicato o pericoloso della mansione specifica ricoperta dal lavoratore, evitando allo stesso qualsiasi tipo di nocumento prognosticamente ipotizzabile in base alle infermità denunciate e alle patologie riscontrate dal punto di vista anamnestico e clinico durante la visita;

giudicare la tollerabilità dei ritmi e dei carichi di lavoro da sostenere, al fine verificare un pieno e rapido reintegro della fatica e dello stress da lavoro conseguente;

esprimere il conseguente giudizio di idoneità lavorativa accertando se i rischi specifici, presenti nell’ambiente di lavoro, risultino indifferenti, lievemente incidenti o notevolmente acceleranti il decorso e la storia clinica naturale delle patologie eventualmente evidenziate, ovvero le potenzialità lesive degli agenti medesimi nella circostanza. (1) (3) (4) (5) (7) (8) (9) (10).

LINEE GUIDA PER LA SORVEGLIANZA SANITARIA IN AMBITO MEDICO LAVORATIVO

Da un articolo dal titolo “Linee guida per la sorveglianza sanitaria dei lavoratori”, a cura del Servizio Prevenzione e Protezione, del Servizio Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro e dei Medici Competenti della ASL RM C, tratto dal sito web di internet www.vegaengineering.com, datato maggio 2009, è possibile trarre diversi elementi di osservazione circa le finalità e l’iter procedurale della sorveglianza sanitaria in Medicina del Lavoro, in base alla normativa vigente, ossia principalmente D.Lgs 626 / 94 e D.Lgs 81 / 2008.

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In effetti la Sorveglianza Sanitaria rappresenta sicuramente una delle prime forme di misura generale di tutela per la prevenzione e protezione nei confronti dei lavoratori esposti ai rischi professionali, potendo monitorare e segnalare prontamente la comparsa di eventuali effetti nocivi, con la possibilità secondaria di limitazione o abbattimento dei rischi medesimi dall’ambiente di lavoro.

Nell’ambito dell’attività ospedaliera sono stati esaminati dall’apposita commissione costituita allo scopo, i principali rischi riscontrabili, ossia il lavoro notturno, il rischio biologico e la movimentazione manuale dei pazienti, nonché il problema della eventuale alcol dipendenza e/o dell’uso di sostanze stupefacenti dei lavoratori.

E’ stata soprattutto proposta una procedura di ricollocazione del lavoratore considerato non idoneo, soprattutto volta a valutare collegialmente la compatibilità lavorativa fra la mansione individuata e le prescrizioni relative al giudizio di idoneità.

Va in particolare operata la prevenzione primaria che mira all’abbattimento dei rischi esistenti, in rapporto alla loro entità e il miglioramento delle condizioni di lavoro, certificandone l’idoneità, quale limitazione della fonte primigenia di patogenicità.

In tal senso i compiti fondamentali de medico competente riguardano essenzialmente la tutela della salute dei lavoratori in rapporto ai rischi professionali insiti nell’ambiente di lavoro.

In pratica occorre da parte di un’azienda:

nominare un medico competente;

valutare l’esposizione ai rischi dei lavoratori, in base al documento dei rischi, e sottoporli alla sorveglianza sanitaria;

fare effettuare la visita medica e gli esami integrativi che devono essere strettamente correlati ai rischi verificati;

raccogliere l’esito della visita medica che consta nel giudizio di idoneità alla mansione specifica, rappresentato, in pratica dalla tollerabilità rispetto ai rischi lavorativi con esclusione dell’insorgenza e/o dell’aggravamento di patologie già esistenti.

Nell’ambito dell’attività sanitaria, è possibile verificare l’esistenza, in prevalenza, dei seguenti rischi:

rischio da agenti biologici: attività mediche e chirurgiche e veterinarie, utilizzo dei laboratori, attività di anatomia patologica;

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rischio da agenti chimici: gas anestetici, utilizzati nelle sale operatorie;

antiblastici, utilizzati nei reparti o stoccati in farmacia; reagenti chimici utilizzati nei laboratori e in anatomia patologica;

rischio da agenti fisici: radiazioni ionizzanti: radiologia, medicina nucleare;

rischio da movimentazione manuale dei carichi: spostamento dei pazienti, magazzini;

rischio da videoterminali: lavoro amministrativo, diagnostica per immagini;

rischio da vibrazioni: uso di strumenti vibranti in ortopedia, guida di automezzi;

lavoro notturno: turni di guardia

rischio da abuso di alcol o sostanze stupefacenti: tutto il personale.

Le visite mediche effettuate dal medico competente classicamente sono, a norma di legge:

visite mediche preventive, in fase pre – assuntiva, per valutare l’assenza di controindicazioni alla mansione specifica di destinazione;

visite mediche periodiche, per valutare lo stato di salute del lavoratore e verificare la permanenza delle condizioni di idoneità lavorativa;

visite mediche in occasione di eventuali cambiamenti di mansione;

visite mediche prima della ripresa del lavoro, dopo assenza per motivi di salute perdurata per oltre 60 giorni ininterrottamente;

visite mediche a seguito della cessazione dal lavoro, nei casi previsti dalla normativa vigente, in rapporto a determinati rischi specifici, da agenti chimici o amianto, o, in forma meno imperativa e categorica, da agenti cancerogeni o da alcuni agenti biologici, dovendo, poi, fornire indicazioni specifiche al lavoratore per il prosieguo del controllo dello stato di salute, dopo il termine dell’esposizione, anche al fine di salvaguardarlo da eventuali possibili effetti tardivi delle sostanze di rischio aziendale.

Ai sensi dell’art. 41, comma 2 lettera “c” del D.Lgs n. 81 / 2008, debbono essere effettuate dal medico competente anche visite mediche su richieste specifiche formulate dal lavoratore, sempre in correlazione ai rischi professionali, ovvero nel caso in cui le condizioni del lavoratore possano peggiorare in rapporto al tipo di attività svolta, compresi anche i problemi ipotizzabili legati al di - stress o all’eventuale disagio lavorativo, con formulazione, in tutti i casi, del relativo giudizio di idoneità alla mansione specifica da parte del medico competente.

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Esulano dai compiti del medico competente e dalle finalità delle visite preventive e periodiche, tutti quegli adempimenti sanitari e quelle visite mediche, a carico di istituzioni pubbliche o enti specializzati di diritto pubblico, come indicato nello statuto dei lavoratori di cui all’art. 5 L. 300 / 1970, relativi ad accertamenti in materia fiscale, ovvero per richieste di visite da parte del datore di lavoro inerenti l’idoneità del lavoratore, intesa come abilità o idoneità generica.

E’ altresì vietata dalla norma al medico competente l’effettuazione, ovvero la prescrizione di test di gravidanza.

Sub iudice e questione, quindi, controversa, resta la facoltà di effettuazione, nell’ambito della sorveglianza sanitaria, degli accertamenti per la possibile sieropositività HBV, HCV e HIV, ai fini della tutela del lavoratori sanitari che sono impegnati nella camere operatorie.

Avverso al giudizio di inidoneità formulato dal medico competente è possibile opporre ricorso da parte del lavoratore presso il Servizio Prevenzione Igiene e Sicurezza nei luoghi di lavoro della ASL competente sul luogo di lavoro considerato.

Riguardo alla sorveglianza sanitaria inerente il lavoro notturno, occorre considerare che gli elenchi nominativi sono predisposti da parte dei Dirigenti Medici dei presidi ospedalieri, ovvero da parte del datore di lavoro, per coloro che svolgono orario notturno in base a disposizioni contrattuali, al di là dei turni annuali effettivamente svolti.

La valutazione del rischio relativo al lavoro notturno si fonda su:

numero di notti effettuate;

schema di turni utilizzato nell’ambiente di lavoro;

situazioni gestionali di emergenza e carenze di personale;

compresenza di eventuali ulteriori fattori di rischio, di natura fisica, chimica, biologica o dello stress.

Esistono delle preclusioni assolute nei confronti del lavoro notturno che riguardano specificamente le donne in gravidanza e i minori, ovvero altri casi previsti dalla normativa vigente.

Le ripercussioni negative del lavoro notturno riguardano, nel breve termine la concentrazione, il sonno, l’incremento delle probabilità di affaticamento e di infortunio, disturbi gastroenterici, psichiatrici ansioso depressivi cardiovascolari e riproduttivi, a lungo termine.

Esistono delle condizioni patologiche che controindicano il lavoro notturno rappresentate in prevalenza, nell’ordine da:

disturbi psichici persistenti;

malattie gastroenteriche croniche in fase di riacutizzazione;

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234

cardiopatie ischemico – ipertensive;

severi quadri neuropsichiatrici;

diabete insulino - dipendente;

severe carenze ormonali croniche, in precario equilibrio metabolico;

tumori maligni in trattamento;

nefropatie gravi con associata insufficienza renale cronica;

altre gravi condizioni morbose croniche.

Le visite periodiche sono previste a cadenza biennale e gli esami di laboratorio e/o strumentali e/o specialistici devono essere indicati per la patologia oggetto di indagine.

Fra i disturbi che sono in grado di determinare una inidoneità specifica si annoverano, nell’ordine:

Problemi psichici e di stress con associata insonnia non sporadica;

severe patologie gastrointestinali di carattere infiammatorio cronico che si aciuscono con lo stress;

gravi problemi di natura CV;

malattie neuropsichiche degenerative e/o infiammatorie complesse;

stati epilettici;

diabete mellito severo in scarso controllo metabolico;

severe patologie con disfunzioni ormonali, specie a carico della corteccia surrenale;

IRC;

neoplasie maligne a prognosi prevalentemente sfavorevole o sfavorevole, in trattamento antiblastico o radioterapico.

Si tratta, quindi, in genere, dello stesso tipo di patologie pere le quali ab initio pare già controindicato il lavoro notturno.

Di per se vanno attentamente monitorate le seguenti condizioni patologiche:

età superiore a 50 anni;

BPCO asmatiformi o tipi di asma allergico suscettibili di variazioni in base ai ritmi circadiani ormonali e non;

problemi visivi severi;

terapie farmacologiche o psicotrope con interferenze possibili sulla sfera del sonno;

etilismo cronico;

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fattori di stress legati ad eventi o accadimenti improvvisi e gravi.

Di sicuro impatto, poi, in ambito ospedaliero appare quindi la valutazione del rischio biologico, come anche ricavato dal relativo documento dei rischi, nell’ambito dei quali una posizione di assoluto rilievo assumono i reparti di Laboratorio di analisi, quello più specifico di microbiologia, le Unità Pneumologiche e quelle di Malattie Infettive.

Classicamente le fonti di rischio appaiono, in tal senso:

contagio possibile per via ematica;

contagio possibile per via aerea, come nel caso classico della TBC in fase attiva;

contagio possibile per via orofecale;

altri potenziali rischi di contagio, es., per via cutanea.

Le modalità con cui il rischio può essere rilevato riguardano, nell’ordine:

grado di diffusione epidemica o endemica dell’agente infettivo considerato;

grado di potenziale trasmissione dell’infezione;

possibili deficit immunitari dei lavoratori esposti;

grado ed efficacia delle misure di prevenzione esistenti;

misure di profilassi esercitabili sugli esposti o in fase successiva all’esposizione.

In virtù dell’aggressività dell’agente infettivo di rischio considerato e dei precedenti elementi di criticità descritti, il rischio potrà essere considerato minimo, lieve, medio elevato.

In relazione alla valutazione dei rischio biologico esistente varierà il piano della relativa sorveglianza sanitaria, riguardo agli esami diagnostici e/o laboratoristici e alla loro cadenza, ovvero periodicità delle visite mediche di controllo ai lavoratori.

In rapporto agli esiti delle visite periodiche e degli accertamenti microbiologici, saranno da reputarsi non idonei all’effettuazione di persona di procedure invasive, con rischio di possibile contagio, i soggetti HBSAg positivi, anche con positività o meno al DNA HBV, i soggetto HCV Ab positivi e con RNA positivo e quelli HIV positivi, per quelle che sono, perciò, considerate le infezioni più diffuse e più nocive.

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236

Con cautela e discernimento, ai fini del giudizio di idoneità, vanno considerate tutte quelle condizioni patologiche non contemplate ma con possibili ricadute, in rapporto al lavoro reso, sull’integrità psico – fisica del lavoratore.

Un discorso a parte merita il problema della movimentazione manuale dei carichi e del rischio annesso, nel caso della struttura ospedaliera, anche della movimentazione dei pazienti con totale, parziale autosufficienza o mancanza della stessa.

In merito alla mappatura dei rischi, è possibile, in tal senso valutare un primo livello di rischio, per reparto o mansioni in cui la stima appare possibile solo in modo limitato, ovvero un secondo livello di rischio, dove lo stesso è maggiormente quantificabile, in modo più preciso.

La valutazione di tale rischio non può, in ogni caso, prescindere dall’analisi delle seguenti componenti:

tipologia della postazione di lavoro e della mansione;

aspetto strutturali ambientali, spazi, presenza di ostacoli e barriere, perocrsi e vie di accesso;

possibilità di utilizzo di mezzi di ausilio;

numero dei lavoratori, caratteristiche organizzative delle diverse attività previste.

Di grande utilità appaiono, nell’ordine:

utilizzo di questionari anamnestici, atti alla valutazione del livello del rischio;

visita clinico – funzionale degli addetti al lavoro manuale, con indagine di eventuali disturbi motori, dolorabilità articolare, eventuali patologie osteoarticolari correlate, eventuali tendinopatie, impegno radicolare vertebrale, ecc.;

adeguato protocollo di indagini strumentali mirate al monitoraggio biologico del rischio;

in definitiva, presenza, ossia incidenza e prevalenza di spondilo – disco – reumo – artropatie, da indagare trasversalmente e longitudinalmente per l’attenuazione o l’eliminazione dei rischio collegato nell’ambiente di lavoro.

Il più delle volte, in effetti, si tratta di patologie comuni sia nell’ambiente di vita che del lavoro, spesso difficili da relazionare eziologicamente con l’ambiente di lavoro e con la mansione ricoperta.

Riguardo al giudizio di idoneità al lavoro, in tal caso occorrerà, in ogni caso, seguire appropriate Linee Guida utilizzate in Medicina del Lavoro, secondo rigorosi criteri scientifici ed epidemiologici.

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