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Luciano Loschi LE BUONE ERBE. Come Riconoscerle Proprietà Salutari Uso in Cucina C A M PAG N O LE S P O N TA N E E.

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LE BUONE ERBE

Come Riconoscerle Proprietà Salutari Uso in Cucina

Luciano Loschi

AC CAD EMIA ERB E C A

M PA

G NOLE SPON TA N EE

www.accademiaerbecampagnole.eu

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“Le Buone Erbe” è una guida, per fornire informazioni su come riconoscere le Erbe Cam- pagnole Spontanee, dove cercarle, loro proprietà nutrizionali, medicinali e come cucinar- le. “Andare per erbe” ci consente di riavvicinarsi alla natura e di guardare con occhio diver- so e meno distratto gli habitat che ci circondano, inoltre è occasione di ritrovare sapori speciali ben lontani da quelli a cui ci vorrebbero abituare le grandi industrie alimentari.

E’ vero che oggi non abbiamo più bisogno di raccogliere le erbe per sopravvivere, ma è tuttora presente, in ognuno di noi, il piacere di procurarsi qualcosa di “naturale”. Cicorie, papaveri, crespigni, tarassaco, pimpinella, oggi sono ottimi ingredienti per minestre, frit- tate, risotti, insalate, utili per una sana e gustosa alimentazione. Il consumo di queste erbe, da al palato sensazioni arcaiche oggi dimenticate. Con la collaborazione dell’Accademia Erbe Campagnole Spontanee, è stata attivata una azione divulgativa che vede la parteci- pazione di botanici, agronomi, storici e persone anziane depositarie di tali saperi.

Le erbe spontanee presentate in questa guida tascabile sono quelle più conosciute e uti- lizzate in cucina secondo le antiche tradizioni popolari. Di ciascuna specie, viene indicato il nome della famiglia di apparteneza e il nome scientifico, secondo la nomenclatura bino- miale, introdotta da Linneo, i nomi volgari usati sono quelli di uso più comune. Di seguito vengono descritte le note etimologiche, gli habitat di crescita, le proprietà nutrizionali e salutari, l’uso in cucina secondo le più antiche tradizioni, curiosità e alcune foto della pianta, dei suoi frutti e dei suoi fiori.

Alcuni consigli per un corretto uso della guida e per una raccolta sicura delle varie specie di erbe spontanee presentate:

Focalizzare bene alcuni particolari della struttura morfologica della pianta raccolta e con- frontarla con la foto della prima pagina della scheda, verificare poi se le caratteristiche morfologiche rilevate sono coincidenti con quelle descritte nella corrispondente scheda.

Agli inizi si consiglia vivamente di andare per erbe accompagnati da una persona esperta.

Raccogliere un’erba tossica può causare gravi problemi per la salute, esistono buone erbe

PRESENTAZIONE

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ma anche cattive erbe tossiche e addirittura velenose, che possono dare anche esiti letali.

Ad esempio la Cicuta ( Conium maculatum L.) appartenente alla famiglia delle Apiaceae o Umbelliferae, con cui fu ucciso Socrate, ha tra i suoi principi attivi la coniina, un alcaloi- de che paralizza i centri nervosi e porta alla

paralisi respiratoria. La struttura morfologica della Cicuta è simile a quella di altre erbe ap- partenenti alla famiglia delle Umbelliferae, tra le quali ci sono anche buone erbe come la Carotina selvatica (Daucus carota L.), quindi per evitare qualunque rischio di confusione nel riconoscimento, si è deciso di non inserire in questa guida le erbe buone appartenenti alla famiglia delle Umbelliferae.

Anche la Vitalba (Clematis vitalba L.) appar- tenente alla famiglia delle Ranunculaceae, è una pianta velenosa per la presenza di alca- loidi e saponine (in particolare la protoane- monina), tali sostanze sono presenti anche in altri generi della stessa famiglia. Al contatto la Vitalba può provocare irritazioni cutanee, solo i germogli primaverili vengono usati nel-

le frittate. Si consiglia però di non consumarne grosse quantità. Anche le buone erbe ap- partenenti alla famiglia delle Ranunculaceae, per lo stesso motivo non sono state inserite in questa guida.

Altra raccomandazione è quella di non andare per erbe in ambienti inquinati, ad esempio in oliveti trattati con fitofarmaci o vicino a strade percorse da auto e moto.

Per quanto riguarda le proprietà medicinali, le informazioni riportate non sono consigli medici e potrebbero non essere accurate. I contenuti hanno solo fine illustrativo e non sostituiscono il parere medico.

Cicuta

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(Allium vineale L. ) - Famiglia: Liliaceae

AGLIO DELLE VIGNE

Etimologia:

Il Nome del genere (Allium) deriva dall’antico nome latino “allium, alium” (citato da Plauto, Pli- nio ed altri) di origine incerta, il nome della specie (vineale), da “vinea” vigna: delle vigne.

Descrizione:

A. vineale è una pianta erbacea perenne di altez- za compresa tra i 10 e i 60 cm, ma che può rag- giungere alche il metro di altezza. Tra maggio e

luglio presenta un’infiorescenza a ombrella con pochi fiori di colore roseo, spesso misti a bulbilli.

Ciascun bulbillo è in grado di generare un nuovo individuo clone. Molte altre specie di aglio selva- tico potrebbero essere confuse con quello vinea- le, ma nessuna è tossica, tutte sono commestibili se, stropicciando le foglie filiformi, si sprigiona il caratteristico profumo. Cresce in colonie abbon- danti simili a grossi ciuffi d’erba, lo si può cogliere Nomi volgari: Aglio pippolino, Aglio delle vigne

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tenero all’inizio della primavera, ma è abbastanza comune scovarlo tra la vegetazione rinsecchita anche in inverno.

Habitat:

Si può trovare fino agli 800 m s.l.m. lungo i bordi dei campi coltivati, in particolare nei vigneti, o su incolti aridi e lungo le strade di campagna Proprietà nutrizionali e medicinali:

Alla pianta vengono attribuite diverse proprietà terapeutiche tra cui blande attività antistamini- che, depurative, carminative, catartiche, diureti- che, espettoranti ed ipotensive. La tintura madre di A.vineale ha impiego tradizionale come an- tielmintico e come rimedio contro le coliche nei bambini.

Uso in cucina:

L’aglio selvatico è apprezzato per il suo aroma

“trittico” che riassume quello di cipolla, porro e aglio comune. I piccoli bulbi si utilizzano come l’aglio comune (sativum) e sono ottimi conservati sott’aceto, le foglie filiformi e cave sostituiscono egregiamente la più nota erba cipollina. Anche i bulbilli rossastri che, con i piccoli fiorellini, for- mano l’infiorescenza estiva possono essere uti- lizzati come croccanti aromatizzanti per insalate, verdure cotte e piccanti primi piatti. Ogni parte della pianta può essere utilizzata ai fini alimentari come condimento sostitutivo dell’aglio, di cui ri- corda molto il sapore caratteristico (da cui anche il nome comune). Anche se assolutamente inno- cuo qualora venga consumato come alimento, A.

vineale può risultare tossico per alcuni mammife- ri se ingerito in grandi quantità, a causa dei com- posti sulfurei (gli stessi che danno il tipico sapore

all’aglio) contenuti nella pianta che possono ri- sultare emolitici e causare quindi stati di anemia.

Spaghetti con Asparagi, Aglio e Pancetta.

Ingredienti (per 4 persone)

• 400 gr. di Spaghetti

• 150 gr. di Pancetta stagionata

• 50 gr. di Parmigiano

• 250 gr. Asparagi selvatici

• 10 agli selvatici Allium vineale

• Un cucchiaio di Olio Extra Vergine di Oliva

• Sale Q.B.

Preparazione:

Cuocete gli spaghetti in abbondante acqua leg- germente salata. Fate dorare la pancetta in una padella a fuoco moderato, cercando di non farlo seccare, scartate il grasso liquefatto e lasciatela da parte. Mettete in una padella l’olio extraver- gine di oliva e l’aglio tritato, far dorare l’aglio a fuoco lento, aggiungete gli asparagi ridotti in pezzi. Fate cuocere gli asparagi aggiungendo un po’ di acqua della pasta. Aggiungete la pancetta messa da parte e sale q.b. Scolate la pasta molto al dente e fatela saltare in padella aggiungendo il parmigiano grattugiato.

Curiosità:

A.vineale è molto simile all’erba cipollina. I toni smorzati dell’autunno lo rendono quasi invisibi- le. Il suo sapore nei mesi freddi è particolarmente dolce e delicato, mentre in primavera inoltrata diventa più amarognolo. Un consiglio: per la raccolta aspettare che siano presenti i bulbilli e, una volta raccolta la pianta, disperdere i bulbilli sul posto; così avremo assicurato la riproduzione della specie e la dispensa per l’anno seguente.

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(Urospermum dalechampii (L.) F.W. Schmidt) - Famiglia: Asteraceae

BOCCIONE MAGGIORE

Etimologia:

Il nome del genere deriva da uro=brucio e sper- mum =seme, per il colore nero bruciato degli acheni. Il nome della specie è stato dato in onore al botanico francese J. Dalechamp (o Dalecham- ps) (1513 - 1588), autore dell’opera “Historia Ge- neralis Plantarum”.

Descrizione:

Pianta perenne, pubescente, alta fino a 45 cm.

Come altre piante della stessa famiglia: le aste- raceae, presenta una certa polimorfia. Le foglie della rosetta basale, possono essere bislunghe od ovate, di colore variabile, per la maggior parte verde oliva; i margini sono leggermente ondula- ti con dentatura più o meno ampia e profonda.

Nomi volgari: Boccione, Boccione maggiore, Grugno, Cotecacchia, Ingrassaporci, Cicorione

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Lungo lo stelo, le foglie sono amplessicauli, spes- so senza dentatura. I fusti sono cavi ed ognuno termina con un grande capolino, il fiore è di co- lore giallo limone o giallo zolfo, a volte con stria- ture rosse nella parte inferiore dei petali esterni.

Il pappo è simile a quello del tarassaco. Il frutto è un achenio nero con becco obliquo e un ciuffo di peli scuri.

Habitat:

In Italia è presente soprattutto al centro e al sud.

Fuori dall’Italia (sempre nelle Alpi) è presente in Francia (dipartimenti di Alpes-de-Haute-Proven- ce, Alpes-Maritimes e Drôme). In generale questa specie è presente in Europa, in Africa e in Asia (esclusa la parte tropicale). L’habitat tipico per questa pianta sono i prati aridi, gli incolti (anche le vigne e gli uliveti) e le aree lungo le vie; ma anche gli ambienti ruderali, nelle scarpate e nei luoghi rocciosi misti a prato. Il substrato preferito è sia calcareo che siliceo con pH neutro, medi va- lori nutrizionali del terreno che deve essere arido.

Altitudine fino a 1200 m s.l.m.

Proprietà:

Dalla pianta si può ricavare un infuso usato con- tro l’infiammazione del coledogo, come digesti- vo e protettivo del fegato. Nella medicina popo- lare era ritenuta una pianta galattogena per la forma del bocciolo simile al capezzolo.

In cucina:

Le foglie basali, dal sapore decisamente ama- ro, vengono fatte lessare in acqua abbondante, insieme ad altre erbe dal sapore più mite: Gre- spigni, Dolcetta, ecc..; poi vengono ripassate in padella con olio extra vergine di oliva, aglio e pe- peroncino. Insieme ad altre erbe entra anche nei ripieni di piadine e crescioni.

I bei boccioli verdi rigati da linee nere possono essere conservati in salamoia come accade per i capperi.

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(Borago officinalis L.) - Famiglia: Boraginaceae

BORRAGINE

Etimologia:

L’etimologia del suo nome è incerta. Alcuni sup- pongono che derivi dall’arabo abou «padre» e da rash «sudore» cioè «padre del sudore» per via delle sue proprietà sudorifere. Altri suppongono che derivi dal latino borra= «tessuto di lana ruvi- da» per via dei peli che ricoprono tutta la pianta.

In ogni caso è certo che il nome italiano boragine deriva dal latino borago.

Descrizione:

La borragine è una pianta erbacea, annuale con portamento eretto, fusto spesso, che arriva sino ad un’altezza di 50-70 cm e cavo nel suo interno, molto ramificato e ricoperto di peli rigidi lunghi da 1 a 3 mm, con radice fittonante. Le foglie del- la borragine sono alterne, ovali, dure, di colore verde scuro, con i margini ondulati, ricoperte da una densa peluria che le conferiscono un aspetto Nomi volgari: Borragine, Borana, Erba Pelosa

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vellutato, quelle basali sono provviste di picciolo, quelle caulinari, sono sessili (prive di picciolo) e inguainanti. I fiori di borragine sono ermafroditi, di uno straordinario colore blu- violetto, a forma di stella e disposti a grappolo. Sono formati da 5 petali saldati alla base con colorazione bianca e gli stami neri sono inseriti sul tubo della corolla e portano un cornetto dietro l’antera. I frutti sono degli acheni contenenti dei semi di dimensioni di circa 6 mm di lunghezza, dai quali viene estratto, per spremitura a freddo, un olio dalle spiccate proprietà antinfiammatorie e ad alto contenuto di acido linolenico.

Habitat:

Originaria dell’Oriente, ed è diffusa in gran parte dell’Europa e nell’America centrale, dove cresce in forma spontanea fino ai 1000 m s.l.m.

Proprietà nutrizionali e medicinali:

Fin dall’antichità la pianta ha fama di svegliare gli spiriti vitali (Plinio: «Un decotto di borragine allontana la tristezza e dà gioia di vivere»). È uti- lizzata per abbassare febbre e calmare la tosse secca. È nota anche come diuretico ed emollien- te (per la presenza di mucillagini). Attualmente l’uso terapeutico in quantità rilevanti di foglie e fiori di borragine allo stato crudo è sconsigliato, per l’insufficienza delle evidenze mediche e per il fatto che i petali e le foglie crude conterrebbe- ro, in quantità non ancora ben definite, alcaloidi pirrolizidinici, a potenziale attività epatotossica.

L’olio di borragine è impiegato nel trattamento degli eczemi e di altre affezioni cutanee. Grazie alla presenza di fitoestrogeni, che svolgono un’a- zione riequilibrante del sistema ormonale fem-

minile, quest’olio è utilizzato in fitoterapia in caso di dolori mestruali, amenorrea, cisti ovariche, per ridurre i sintomi della sindrome premestruale e della menopausa. Per uso interno l’olio di borra- gine in forma di olio vegetale, si usa per condire le pietanze nella dose di 1-2 cucchiai al giorno, anche unito all’olio di oliva. Gli studi clinici han- no rivelato che l’efficacia dell’assunzione interna dell’olio di borragine, nella prevenzione delle pa- tologie cardiovascolari, deriva dalla sua capacità di favorire la produzione delle prostaglandine della serie 1 (PGE1), dotate di attività antiaggre- gante piastrinica, cardioprotettiva, antisclerotica, vasodilatatrice. Controindicazioni: L’olio di borra- gine è controindicato nei soggetti che assumono anticoagulanti a causa dell’acido gamma-lineoli- co contenuto nei semi che può aumentare i tem- pi di coagulazione.

Le informazioni riportate non sono consigli medici.

I contenuti hanno solo fine illustrativo e non sosti- tuiscono il parere medico.

Uso in cucina:

L’uso tradizionale è allo stato cotto delle foglie, che vengono utilizzate in minestroni, ripieni per ravioli, torte e frittate. Tipico è il consumo in frit- telle dei fiori e delle foglie (passate in pastella e poi fritte). La cottura elimina la peluria che copre le foglie. In moderata quantità le foglie giovani e fiori sono usati crudi in insalata. I fiori azzurri sono usati per colorare e guarnire i piatti e per colorare l’aceto. L’uso alimentare della borragine, allo stato crudo e in grandi quantità, è sconsiglia- to per la presenza, in alcune fasi vitali della pian- ta, di composti pirrolizidinici, a presunta attività epatotossica.

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(Capsella bursa-pastoris (L.) Medik. 1792) - Famiglia: Brassicaceae

BORSA DEL PASTORE

Etimologia:

Il nome del genere Capsella e quello della specie bursa-pastoris deriva dalla forma dei frutti della pianta, simili a bisacce dei pastori e venne attri- buito nel 1792 dal botanico tedesco Friedrich Ka- simir Medikus (1736-1808).

Descrizione della pianta

Pianta erbacea, annuale, a volte biennale; ha fusti eretti, alti fino ad 80 cm, spesso ramificati,

soprattutto in piante cresciute in ambienti ricchi di sostanze nutritive. Se viene stropicciata ha un odore solforato conferito dall’olio essenziale. Le foglie basali sono riunite in rosetta, il loro piccio- lo è corto ed hanno forma variabile; le foglie del fusto sono sessili, hanno forma sagittata e sono amplessicauli. I frutti sono a forma triangolare con la base a forma di cuneo e l’apice incavato che ricordano le borse dei pastori. La dimensio- Nomi volgari: Borsa del Pastore, Erba Borsa

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ne della siliquetta è di 4–6 mm e contiene diversi semi oblunghi dal colore marrone chiaro. I semi, quando si inumidiscono, si ricoprono di una so- stanza vischiosa in grado di catturare ed ucci- dere piccoli insetti. Per questo motivo si pensa che questa pianta sia una protocarnivora. Non è considerata una vera pianta carnivora perché, sebbene sia stata dimostrata la produzione di enzimi digestivi e la capacità di assorbimento dei nutrienti derivati dalla prede, non si sa ancora se e quanto la pianta si avvantaggi da questa situa- zione. La pianta fiorisce con continuità da gen- naio a dicembre, i fiori, in numero elevato, sono inseriti su racemi senza foglie; i singoli fiori sono molto piccoli, hanno 4 sepali verdi e 4 petali.

Habitat:

L’origine di questa pianta è relativa alle regioni mediterranee; comunque è diffusa in quasi tutto il mondo e spesso è considerata infestante. In Ita- lia è presente su tutto il territorio (scarseggia nel- la fascia alpina). Si adatta a qualsiasi tipo di clima e di terreno; vegeta negli orti, sui prati incolti ma anche coltivati, ai margini delle strade, sui muri, nelle radure e boschi, dal piano fino a 1800 (mas- simo 2600) m s.l.m..

Proprietà:

Le parti aeree della borsa del pastore contengo- no flavonoidi (rutina, luteolin-7rutinoside), olio essenziale, alcaloidi (burserina), glucosidi (acido bursinico) e tannini, che conferiscono alla pian- ta proprietà antiemorragiche, emostatiche e astringenti. I principi attivi, in particolare l’acido bursico, presenti nel fitocomplesso hanno tutti la proprietà di arrestare le emorragie interne, nelle

emottisi (emissione di sangue dalle vie respira- torie, di solito con un colpo di tosse), in caso di ematuria (presenza di sangue nelle urine) e me- trorragia (perdita di sangue dall’utero, indipen- dente dal flusso mestruale). Le proprietà emo- statiche della pianta sono impiegate anche nelle emorragie nasali (epistassi), o in quelle dovute a emorroidi e nella cura delle gengiviti con sangui- namento. Inoltre la pianta è in grado di far con- trarre la muscolatura dell’utero, regolarizzando il flusso ematico durante le mestruazioni, quando si manifesta eccessivamente abbondante (me- norragia o ipermenorrea). L’azione astringente della borsa pastore non è utile solo al sistema circolatorio, nel trattamento delle varici e di altri disturbi da insufficienza venosa, ma risulta indi- cata al sistema enterico, anche in caso di diarrea.

Per le sue proprietà la borsa pastore è controin- dicata durante la gravidanza e l’allattamento e in caso di pressione bassa. L’uso è sconsigliato per i soggetti che manifestano ipersensibilità verso il componente.

Nel corso della prima Guerra Mondiale si affian- cò come emostatico ad altre due erbe medicinali già in uso per questo scopo: la segale cornuta e l’idraste (Hydrastis canadensis)

Cucina:

È una pianta commestibile dal sapore simile al cavolo. Le giovani foglie possono essere man- giate come “insalata dei campi” e dicono abbia proprietà contro l’ipertensione, oppure la rosetta basale può servire nelle “minestre primaverili” o come “erbette per la minestra”.

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(Reichardia picroides (L.) Rot) - Famiglia: asteraceae

CACCIALEPRE

Etimologia

Il primo termine del binomio è dedicato al me- dico e naturalista tedesco J. J. Reichard, mentre il secondo deriva dal greco picros = giallo, con riferimento al colore dei fiori.

Descrizione:

Erba perenne che presenta delle foglie carnose di colore verde-grigio di lunghezza dai 6 ai 17 cm, che se vengono spezzate secernono un latice di

colore bianco. Durante la sua crescita, nel perio- do che va da Aprile fino all’estate, il Caccialepre presenta degli steli fiorali alti fino a circa 50 cm, che portano foglie come quelli della rosetta ba- sale. I fiori di colore giallo poi diventano soffioni di colore bianco.

Habitat:

Il Caccialepre è diffuso in quasi tutta Italia, dove è comune sui terreni sassosi, incolti aridi, muri e Nomi volgari: Caccialepre, Caccialebbra, Grattalingua, Latticino

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rupi marittime, su pareti rocciose, esposizione assolata e all’ombra nel periodo estivo. Non si rinviene oltre i 1000 m di altitudine.

Proprieta nutritive e medicinali:

Erba diuretica, rinfrescante, depurativa, analge- sica, antiscorbutica. Le foglie fresche triturate, applicate sulla parte dolorante alleviano il mal di denti, mal di testa e mialgie.

Uso in cucina:

Si raccoglie la rosetta basale quando è giovane e verde, prima che la pianta emetta lo scapo fio- rale. La rosetta va troncata a livello del terreno con un coltello in modo da non ledere la radice.

Il taglio provoca la fuoriuscita di una modesta quantità di latice bianco e dolciastro; questo per

contatto annerisce la pelle, ma è innocuo e può essere facilmente rimosso con olio.

Il Caccialepre è una delle erbe spontanee più appetite e ricercate per usi in cucina: le foglie più tenere della rosetta basale consumate crude sono un’ottima insalata da sole o con altre erbe commestibili. In Umbria è famosa la “Mistican- za”, che viene preparata insieme con Raponzoli, Ginestrella, Pimpinella, Pimpinellone, Crispigni, condita con olio extravergine di oliva, sale e “mi- sticata” con le mani. Può essere usata anche insie- me ad altre erbe e fornire una eccellente verdura cotta, condita con olio extravergine di oliva, sale e succo di limone o aceto di vino.

Campo di Caccialepri in fiore

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(Calendula officinalis L.) - Famiglia: asteraceae

CALENDULA

Etimologia:

Sulla etimologia del nome ci sono diverse versio- ni: la più accreditata è quella che sostiene che il nome derivi dal latino calendae «primo giorno del mese» per indicare che fiorisce il primo giorno di ogni mese per buona parte dell’anno (in senso figurato, vale a dire che fiorisce tutti i mesi).

Descrizione:

La Calendula è una pianta erbacea annuale con

fusto carnoso e ramificato, da tempo conosciuta con il nome “fiorrancio”. Gli steli della calendula possono raggiungere l’altezza di circa 70 cm e presentano diverse ramificazioni, al cui termine si sviluppano una volta al mese e durante tutta l’estate , grandi fiori di colore giallo-arancio, rag- gruppati in capolini i quali costituiscono la dro- ga di interesse cosmetico e fitoterapico ricavata dalla pianta.

Nomi volgari: Calendula, Calendola, Fiorrancio

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Habitat:

L’origine della Calendula Officinalis è oscura, si ritiene che provenga dal Marocco o sia derivata da una specie diffusa nell’Europa meridionale e che giunge sino alla Persia e all’Arabia: la Calen- dula Arvensis. L’ habitat ideale è prato incolto, nei bordi delle strade e negli oliveti fino a 700-800 metri d’altitudine.

Proprietà nutrizionali e medicinali:

L’ olio essenziale è costituito da: Flavonoidi, Triter- penoidi, Steroli, Carotenoidi; Tannini pirogallici.

I saponosidi della calendula abbassano i livelli di colesterolo e trigliceridi. Gli estratti alcolici ed ac- quosi determinano una leggera riduzione della pressione arteriosa ed una riduzione dell’attività cardiaca (azione bradicardica).

Uso esterno:

La calendula è ottima per la cura e la pulizia del- la pelle e accelera la guarigione delle ferite. Le proprietà vulnerarie sembrano dovute ad una influenza sull’incremento della produzione di fi- brina, che si manifesta con una rapida chiusura delle ferite, con buona formazione di tessuto di granulazione e con il miglioramento dell’equili- brio di idratazione cellulare della cute. Con la Ca- lendula si producono creme, tinture o impacchi contro acne, foruncoli, ustioni ed ulcere. Recenti studi hanno evidenziato che sono soprattutto le infezioni della pelle causate da stafilococchi a reagire bene all’applicazione di preparati a base di questa pianta. L’attività antibiotica, dovuta ai flavonoidi e alle saponine, è diretta verso svaria- ti microorganismi, in particolare contro i batteri Gram-positivi, quali Staphylococcus aureus e

Streptococcus betahaemolyticus. Ad oggi non sono noti effetti collaterali o controindicazioni associate all’uso. Teoricamente la calendula po- trebbe comunque causare reazioni allergiche incrociate (Cross Reattività) con altre piante della famiglia Asteraceae/Compositae (es. camomilla).

Uso in cucina:

I suoi fiori possono essere impiegati in cucina per preparare brodi o risotti.

Risotto alla calendula Ingredienti:

• 350 gr di riso

• 1 manciata di petali di calendula

• 100 gr di guanciale stagionato

• 4 cipolline selvatiche

• 1/2 spicchio d’aglio

• 3-4 cucchiai d’olio extravergine d’oliva

• 1/2 bicchiere di vino bianco secco

• 1-2 bicchieri di brodo vegetale

• parmigiano Preparazione:

Iniziare a preparare il condimento per il risotto tritando finemente aglio, cipolla e guanciale, fa- cendoli rosolare in una padella con l’olio d’oliva.

Dopodiché prendere il riso e unirlo al condimen- to con il vino bianco, continuando a mescolare per far si che gli ingredienti non si attacchino al fondo della padella. Quando il liquido del com- posto sarà evaporato aggiungere il brodo ve- getale, poco alla volta, fino a che il riso non sarà completamente cotto e unire al composto i peta- li di calendula cinque minuti prima di spegnere il fuoco. Il risotto ai fiori di calendula è pronto, ver- sarlo in un piatto e servirlo ancora caldo con una spolveratina di parmigiano.

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(Bunias erucago L.) - Famiglia: Brassicaceae

CASSELLA

Etimologia:

Il termine generico probabilmente dal greco

“bounias”, nome con il quale si indicava una sor- ta di rapa provvista di lunghi peli. Altra ipotesi è

“buonòs” = collina, ambiente tipico della pianta.

Il nome della specie invece fa riferimento ad una somiglianza con le “rucole”, in particolare per la somiglianza tra i fiori.

Descrizione:

Pianta annuale o anche bienne, alta fino a 80 cm, con foglie basali a rosetta aderenti al terreno, pennatosette. Il lembo è dentato irregolarmente e inciso in lobi. Fusti eretti, ramosi in alto, ruvidi e tubercolati, pelosi in basso. Le foglie basali, spa- tolate con 5-7 denti poco accentuati su ciascun lato. Le foglie cauline oblungo-spatolate con margine più o meno dentato. I frutti sono incon- Nomi volgari: Cascellore comune, Cassella

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fondibili piccole siluette, lunghe ca. 1 cm, con becco centrale pungen- te e quattro caratteristi- che ali dentate.

Habitat:

E’ diffusa in tutta italia ma predilige le regioni mediterranee. Nasce nei ruderi, negli incol- ti erbosi, nelle colture sarchiate, dal piano fino a 2200 m. In alcune re- gioni come ad esempio la Lombardia risulta in forte diminuzione, forse a cause dei disserbanti, per cui è specie pro- tetta. In Umbria non è protetta, quindi è molto ricercata, per le sue otti- me qualità gastronomiche.

Proprietà nutrizionali e medicinali:

Non sono molto noti gli usi medicinali della

“cassella”, qualche autore le attribuisce proprietà lassative, depurative e diuretiche. La sua somi- glianza con alcune erbe amare la fa ritenere un alimento con funzioni depurative del fegato In cucina:

Si utilizzano le foglie e gli steli della pianta giova- ne, cotti o crudi in insalata. Il sapore, vagamente aromatico e poco amaro, ricorda quello del cavo- lo e viene spesso abbinato con fagioli o patate. In Umbria e Marche, dove viene indicata con il ter-

mine “cassella”, viene fatta saltare in padella con olio ed aglio, insieme a fagioli o patate lessate a parte. Viene segnalato anche il consumo aroma- tizzante della radice della cassella, affettata sottil- mente ed aggiunta ad insalate e minestre, per il suo sapore vicino a quello del ravanello.

Curiosità:

La sua coltivazione ha radici antiche, viene se- gnalata in Inghilterra nel giardino botanico di Chelsea, fin dalla prima metà del settecento. Nei negozi di sementi oggi si possono acquistare i semi di cassella e seminarla in terreni preparati con una terra molto fine almeno due mesi pre- cedenti.

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(Cichorium intybus L.) - Famiglia: Asteraceae

CICORIA

Etimologia:

Non è del tutto certa. Gli antichi greci chiamava- no la pianta kichora o kichòria, kichòreia, mentre intybus (dal greco entybion) è il nome latino da cui deriva il nostro indivia.

Descrizione:

È pianta spontanea che ha dato origine a molte varietà coltivate, ben note anche alla gastrono- mia più raffinata. Quella selvatica è entrata nel

più comune linguaggio popolare - “pane e ci- coria” - come esempio di alimentazione povera e dei tempi di ristrettezze e sacrifici, destinata sostanzialmente all’alimentazione popolare. La pianta è alta anche oltre un metro, le foglie ba- sali formano una rosetta e sono oblanceolate e pennatifide. Le foglie nascono durante l’autun- no, durano durante l’inverno, ma si seccano su- bito alla fioritura successiva, per questo è facile Nomi volgari: Cicoria, Ciconia Endivia, Radicchio, Radicchio Selvatico

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trovare piante con rami a soli fiori.

La cicoria è facile da riconoscere dall’inizio dell’e- state fino a ottobre per i caratteristici fiori ligulati di colore azzurro, più o meno chiaro, che si apro- no solo al mattino e cominciano a chiudersi già a metà del pomeriggio, secondo l’insolazione, o per la pioggia. Per questa caratteristica, in alcune zone montane, la cicoria viene considerata una sorta di orologio dei pastori, perché al chiudersi dei fiori è ora di mungere gli animali al pascolo.

È anche pianta polimorfa, peraltro di difficile e discussa classificazione. È specie perenne, ma proprio per la sua variabilità, a seconda del clima e dei terreni, può anche essere annuale.

Habitat:

La cicoria la troviamo facilmente in tutta Italia, anche se pare che man mano che si procede ver- so Sud e verso il Tirreno risulti meno diffusa. Si trova pressoché ovunque nelle aree temperate.

Cresce fino alla bassa montagna e si adatta ad ambienti diversi: margini di sentieri, macerie e ambienti ruderali, praterie ma anche aree urba- ne, e si trova in particolare nei prati e nei campi, coltivati o incolti che siano.

In medicina:

La cicoria è pianta usata come medicina fin dall’antichità, come attesta un papiro, detto di Ebers, risalente a quasi quattromila anni fa e con- tenente insieme a formule magiche e rimedi di ogni tipo anche un gran numero di prescrizioni mediche, testimonianza di una cultura medica basata sull’osservazione e la pratica. Del resto era un’erba conosciuta ed apprezzata per le sue virtù terapeutiche anche dai Greci e dai Romani. Gale-

no la riteneva utile al fegato e ottimo depuratore del sangue e Plinio le attribuiva preziose virtù rinfrescanti. Fra le proprietà attribuite alla cicoria quelle di stimolare l’appetito e regolare le funzio- ni dell’intestino, di disintossicante generale ma in particolare del fegato e dei reni, favorendo diure- si e secrezione della bile.

In cucina

L’uso più frequente della cicoria è quello di me- scolarla con altre erbe per fare dei ripieni di torte salate e ravioli. Le foglie sono spesso utilizzate come e vero e proprio alimento-medicina per aiutare la digestione e depurare il sangue, tant’è che l’acqua della lessatura è talvolta bevuta a scopo terapeutico per pulire lo stomaco e “rin- frescare” l’intestino. Come per le altre asteraceae amare di uso alimentare le foglie vanno raccolte prima della fioritura per renderle più appetibili.

Allo stesso scopo è meglio evitare le foglie più in- terne della pianta in vegetazione. La tradizione fa della cicoria un alimento essenziale dell’alimen- tazione popolare soprattutto in Umbria, essa è quella più conosciuta tra le erbe spontanee.

Zuppa di fave e cicoria

Sei tazze di fave fresche sbucciate, due mazzetti di cicoria, due cipolle, basilico, olio extravergine di oliva, sale. Lessare le fave e ridurne metà in purea, avendo cura di conservare l’acqua di cot- tura, nella quale scottare la cicoria. Sul fondo di una pentola fare soffriggere per qualche minuto la cipolla, aggiungendo poi la cicoria, il passato di fave e un po’ di acqua di cottura. Alla fine ag- giungere le fave rimaste intere, portare a bollore e togliere dal fuoco. Condire con olio crudo e de- corare col basilico prima di servire.

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(Sonchus asper L.) - Famiglia: Asteraceae

CRISPIGNO

Etimologia

Il nome del genere Sonchus deriva dal greco

“sónkhos” e questo da “sómfos” vuoto, molle, spu- gnoso, in riferimento al fusto della pianta, mentre il nome della specie asper dal latino = aspro, ru- vido, con riferimento alla spinosità della pianta.

Descrizione:

Pianta annuale, alta fino ad 1 m, da giovane pre- senta una rosetta basale, prima schiacciata a ter-

ra, poi si innalza formando un fusto cavo e rami- ficato, le foglie sono molli, grassette, glabre, con lobi a margine finemente dentate. I fiori, di colore giallo, sono riuniti in capolini, come nel tarassaco ma molto più piccoli. Dai fiori si formano i semi che portano il pappo e formano il tipico soffione.

La differenza morfologica tra il S. asper, il S. ole- raceus e il S. arvensis sta soprattutto nell’asperità della foglia del S. asper, che ha il margine forte- Nomi volgari: Crespigno, Grespino, Cicerbite, Lattarolo

Crispigno spinoso (Sonchus asper L.)

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mente dentato e con spini che a maturazione pic- cano, mentre il S. oleraceus, presenta delle asperi- tà più soft, per questo in alcune zone dell’Umbria viene chiamato “Crispigno gentile”

Habitat:

E’ specie comune in tutto il territorio italiano, dove è presente quasi tutto l’anno, ad esclusione dei mesi più freddi. Cresce in prossimità di coltivi, nei terreni ruderali, negli uliveti, nelle vigne, lun- go i cigli delle strade, in mezzo alle aiuole sparti- traffico, è presente anche nei centri abitati tra le fessure dei marciapiedi o accanto a vecchi muri.

Preferisce terreni fertili e freschi, non ama terreni sciolti e sabbiosi.

Proprietà nutritive e medicinali:

I Crispigni sono erbe affini al tarassaco, quindi de- purative del sangue e del fegato, le donne usano consumarle soprattutto crude perché portano benefici alla pelle del viso. Altre proprietà im- portanti sono quelle antinfiammatorie, toniche e febbrifughe. Contiene vitamine tra le quali le più importanti sono la A e la C. Come tutte le piante della famiglia delle Composite, a cui appartiene, ha un alto contenuto di inulina, lo zucchero che fa bene ai diabetici. Nel medioevo veniva coltivata negli orti dei semplici all’interno dei monasteri, per utilizzarla come diuretico e depurativo.

Uso in cucina:

Si raccoglie l`intera pianta quando è ancora gio- vane e, a maturità, i getti novelli del fusto; è possi- bile prelevare anche il fusto quando è ancora gio- vane e tenero. Tutta la pianta, come altre cicorie, contiene un latice bianco (per questo volgarmen- te chiamata Lattarolo) assolutamente innocuo. In

varie località d’Italia il Crespigno si utilizza cotto, nelle miscellanee di verdura o per minestre e zup- pe, come pure crudo, in insalata.

Purea di fave secche con crespigni

500g di fave secche, 1 cipolla di Cannara, 1 spic- chio d’aglio, 1 carota gialla, 1 costa di sedano, 2-3 patate precedentemente lessate, sale, peperonci- no e olio extra vergine di oliva, 500g di crespigno e 100g di cicoria selvatica o di tarassaco. Brodo vegetale quanto basta (utilizzate l’acqua di cot- tura delle verdure, salata).Fate bollire le verdure, scolatele un po’ al dente e conservate l’acqua di cottura. In una padella fate soffriggere in olio, la cipolla tritata finemente, lo spicchio d’aglio, il pe- peroncino, il sedano e la carota tagliati a rondelli- ne. Aggiungete le fave secche, che avrete tenuto a bagno per una notte e fate cuocere a fuoco bas- so bagnando di tanto in tanto con l’acqua di cot- tura. A cottura ultimata passate fave e patate nel mixer aggiungendo olio a crudo. Servite la purea in un piatto, adagiatevi sopra le verdure lessate e condite con l’olio e con fette di pane tostato sfio- rate con uno spicchio d’aglio.

Crispigno dei campi (Sonchus arvensis L.)

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(Crepis sancta (L.) Babc.) - Famiglia: Asteraceae

DOLCETTA

Etimologia:

Dal greco “Crèpìs” = “Pantofola” riferendosi ai suoi frutti il cui involucro strozzato a metà ricor- dano una calzatura domestica. Crepis era anche il nome che i greci davano al legno di sandalo, quindi non si capisce quale criterio fu usato da Vaillant per denominare il genere che in seguito fu confermato da Linneo (1737). Il nome della specie è “sancta” perché molto comune in Terra-

santa Descrizione:

Pianta erbacea annuale alta 5-30 cm. Fusto semplice o ramoso, subglabro. Foglie basali in rosetta, di forma oblanceolata-spatolata (0,5-2 x 2-10 cm), dentate o pennatofide, con picciolo irregolare, quelle cauline ridotte e squamiformi.

Capolini singoli o in infiorescenza corimbosa (5-6), quelli medi di 2–2,5 cm. Fiori gialli, ligulati Nomi volgari: Radicchiella di Terrasanta, Dolcetta (Spello), Speragna

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sfumati di rosso nella parte esterna. Brattee invo- lucrali disposte in più serie, quelle esterne corte e di forma ovale (11 mm), quelle interne più lun- ghe e lanceolate.

Habitat:

Incolti, prati aridi, ruderi e a margine strade e sentieri. Da 0 a 1000 m s.l.m.

Proprietà nutrizionali e medicinali:

Nella medicina popolare veniva usata come an- tinfiammatorio delle vie urinarie e come disin- tossicante e depurativa del sangue

Attenzione: Le applicazioni farmaceutiche e gli usi alimurgici sono indicati a mero scopo infor-

mativo, decliniamo pertanto ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o ali- mentare.

Uso in cucina:

Erba tenera e dal sapore dolciastro, la sua rosetta basale da giovane viene generalmente consuma- ta insieme ad altre misticanze di erbe più amare come il Grugno, Tarassaco, Cicoria, Boccione che dopo essere state lessate vengono saltate in pa- della con olio extravergine di oliva, aglio, pepe- roncino.

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(Chondrilla juncea L.) - Famiglia: Asteraceae

GINESTRELLA

Etimologia:

Il nome del genere (Chondrilla) deriva dal nome greco di indivia o cicoria (le piante di questo genere sono molto simili alla cicoria); mentre il nome della specie juncea, fa riferimento al por- tamento tipico di queste piante, steli senza foglie Descrizione:

Appartiene alla famiglia delle Composite o Aste- raceae, si può comportare come annuale quando

vegeta nella primavera e fa il fiore nello stesso anno; è biennale quando vegeta in autunno e fiorisce nell’anno successivo; quando per più anni rinasce sullo stesso cespo diventa perenne. Per la sua appartenenza alla famiglia delle composite, si può confondere con il Tarassaco, il Crispigno, la Radicchiella, la Cicoria, ciò però non crea pro- blemi perché tutte queste erbe son buone e com- mestibili. Come altre erbe della stessa famiglia, Nomi volgari: Ginestrella, Lattugaccio, Mastrice

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secerne un latice bianco innocuo, che si rappren- de al contatto con l’aria, diventando appiccicoso come il mastrice, questo il motivo del suo nome volgare. E’ più facile riconoscerla quando a ma- turazione presenta un unico stelo fiorale, da cui prende il nome della specie “juncea”, cioè come un giunco, per lo stesso motivo gli si dà il nome volgare di “ginestrella”. Lo stelo fiorale si presenta appuntito e avvolto di peli violacei. All’occhio di un raccoglitore inesperto, la rosetta basale può essere confusa con “il caccialepre” (Reichardia pi- croides). La pianta è composta di tre strati di fo- glie, come anche il lessico popolare spagnolo evi- denzia (“Leitugas des tres los planos”). La piccola pianta dalle foglie frastagliate è caratterizzata da una venatura rossiccia che si intensifica verso il cuore. Le foglie della rosetta basale sono glabre, lanceolate, roncinate, grossolanamente dentate, leggermente spinulose ai bordi, hanno un colore verde tenue ed una consistenza turgida: per que- sta speciale caratteristica, masticate crude, risul- tano croccanti. I contorni delle foglie hanno una minuscola peluria rossiccia.

Habitat

In Italia, questa specie è distribuita nelle regioni centro-meridionali, Sicilia, Sardegna e isole mino- ri. Cresce sia nei terreni sciolti che in quelli com- patti, dal livello del mare fino alle medie altitudini (1500 m), predilige i prati aridi, gli incolti e le stop- pie del grano.

Proprieta nutritive e medicinali

Se mangiata in grande quantità svolge una lieve azione soporifera, ha proprietà stomachiche e an- tiacide per lo stomaco, favorendo la digestione.

Inoltre è una delle erbe spontanee con maggior potere antiossidante.

Uso in Cucina

Per un uso alimentare si raccolgono sia la rosetta basale sia gli scapi. La prima, in autunno-inverno, avendo cura di staccarla dal colletto, mediante una lama, in modo da consentire alla pianta di ri- emettere un nuovo getto nella successiva stagio- ne; i secondi si spiccano, in primavera, quando i capolini sono ancora in boccio. Nelle parti tagliate la pianta emette, se pur non abbondantemente, un latice appiccicoso. Questa sostanza è innocua, anzi è la responsabile delle ottime qualità culi- narie di questa pianta. In Umbria è considerata una delle più squisite erbe da insalata, la rosetta basale giovane si utilizza cruda come base nella

“misticanza” con altre erbe a cui conferisce un sa- pore asprigno. In Romagna viene utilizzata cotta come ripieno delle piadine. Gli scapi possono es- sere usati come gli asparagi per produrre frittate.

Ginestrella con gli scapi

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(Malva sylvestris L.) - Famiglia: Malvaceae

MALVA

Etimologia:

Il nome deriva dal latino malva ed ha il significato di molle, cioè capace di ammorbidire.

Descrizione:

È una pianta erbacea annuale o perenne. Presen- ta un fusto eretto legnoso alla base e ricoperto di una fitta peluria, può raggiungere dai 60 a gli 80 cm. Le foglie hanno la forma palminervia dai 5 ai 7 lobi e margine seghettato irregolarmente

e sono ricoperte anche loro da una fitta peluria. I fiori spuntano da aprile a ottobre, di colore rosa- lillà con striature scure.

Habitat:

Di origine nordafricana, si è rapidamente diffusa nei secoli in tutto il Mediterraneo, ubiquitaria sul territorio italiano fino a 1300 m di altitudine. Cre- sce spontaneamente non solo nelle aree verdi, ma anche nei pressi dei centri urbani.

Nomi volgari: Malva

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Proprietà nutrizionali e medicinali:

La prima applicazione della malva è sicuramente nelle vie respiratorie, dove può essere d’aiuto nel contenere i sintomi delle più frequenti patologie invernali. Dal mal di gola ai raffreddori, passando per gli stati influenzali, la pianta aiuta a ridurre il gonfiore delle tonsille, placa la tosse ed è utile per sbloccare un naso chiuso. Questo perché le mucillagini vanno a depositarsi sulle mucose irri- tate, impedendo infezioni multiple e garantendo un immediato sollievo. Per approfittare di questi effetti benefici è sufficiente bere un’infusione fil- trata di malva – sia del fiore che del fusto – due o tre volte al giorno, fino alla completa remissione dei sintomi.

La malva e in particolare i suoi fiori, sono ricchi di elementi con azione antinfiammatoria e anti- batterica, come sali minerali, ossalato di calcio, potassio e vitamine di vari gruppi, tra cui le A, le B e le C. Per questo motivo l’utilizzo di malva nel- le patologie più comuni, è efficace perché forma una barriera sulla zona irritata, accelerandone la guarigione ed evitando che l’infezione si aggravi o si propaghi.

Altra proprietà della malva è quella lassativa, lo stesso Cicerone ricorda in una sua epistola di come fu costretto a rimanere chiuso in casa a causa di una diarrea conseguente all’ingestione di malva. Lo stesso nome Malva deriva dal latino mollire alvum, ammorbidire il ventre. Il potere lassativo è dovuto proprio alle mucillagini che rendono le feci bloccate nel colon più morbide e facili da espellere. Questa peculiarità deve essere sempre presa in considerazione quando si utilizza

l’erba per scopi diversi rispetto alla stitichezza – ad esempio, per le vie respiratorie – così da non imbattersi in sgradite sorprese. Nei casi di stiti- chezza, così come anche nella sindrome del colon irritabile, può essere invece utile bere due o tre tazze di malva al giorno, in concomitanza con i pasti principali. La pianta è inoltre utile in caso di gastriti o di reflusso gastroesofageo, perché le già citate mucillagini si depositano sui tessuti di sto- maco ed esofago proteggendoli dall’azione degli acidi gastrici.

Uso in cucina:

In Cucina si usano i germogli, i fiori freschi o le foglioline. Nel novecento s’iniziò a consumarla cruda o ad includerla in alcune insalate ma anche nelle frittate. In cucina la malva può esser utilizza- ta per la preparazione di risotti, minestre, polpet- te, ravioli, frittate, insalate.

Vellutata di spinaci di monte e malva Ingredienti:

250 gr di spinaci,180 gr di malva, una carota, una patata, mezza cipolla, noce moscata, 25 gr di bur- ro, parmigiano, sale, brodo vegetale o di carne, panna.

Preparazione:

Ponete spinaci, malva e brodo in una pentola e aggiungete patata, carota e cipolle affettate. Por- tate a bollore e lasciate cuocere a fiamma bassa per mezz’ora. Passate tutto a setaccio e rimettete in pentola con sale, noce moscata e burro.Atten- dete altri 5 minuti di cottura e unite il parmigiano e la panna.

Mescolate bene, servite con crostini di pane.

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(Urtica dioica L.) - Famiglia: Urticaceae

ORTICA

Etimologia:

Il nome del genere Urtica deriva probabilmente dal latino urere, bruciare, a indicare l’effetto delle sostanze irritanti contenute nei peli, dioica sta ad indicare che la pianta ha fiori femminili e maschili portati da piante distinte.

Habitat:

Si trova usualmente nei campi e nei terreni incol- ti, prediligendo luoghi umidi e ricchi di azoto, me-

glio se ombrosi, come le radure dei boschi, i bordi dei corsi d’acqua (specialmente quelli inquinati), attorno alle rovine di abitazioni.

Descrizione:

L’ ortica è una pianta erbacea perenne, caduci- foglia alta tra i 30 e i 250 centimetri. Ha un fusto eretto, densamente peloso, striato e, in alto, sca- nalato a sezione quadrangolare poco ramificato di un diametro tra i 3 e i 5 millimetri. Le foglie Nomi volgari: Ortica

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sono grandi, ovate e opposte, lanceolate, seghet- tate e acuminate, verde scure nel lato superiore, più chiare e pelose nel lato inferiore. Foglie e fu- sti sono ricoperti da peli contenenti la sostanza urticante che la pianta adotta a scopo difensivo.

L’apice dei peli possiede una piccola sfera che, quando toccata, lascia uscire un fluido irritante per la pelle di uomini e animali. L’irritazione causa la formazione di piccoli eritemi sulla pelle, ed è associata ad una sensazione di prurito e intorpi- dimento che dura da pochi minuti ad alcune ore.

Curiosità:

Gli steli legnosi degli esemplari adulti sono mace- rati, disidratati e battuti, ottenendo così fibre che possono essere separate a mano per tessere stof- fe simili alla canapa o al lino. Le foglie verdi, che contengono grandi quantità di clorofilla, sono usate per la colorazione dei tessuti delicati.

Proprietà nutrizionali e medicinali:

L’ortica contiene una quantità significante di mi- nerali, come calcio, ferro e potassio, vitamina A, vitamina C, proteine e amminoacidi, che ne fan- no un alimento ad alto valore nutritivo, adatto ad esempio a diete vegetariane. I valori nutrizio- nali variano a seconda del periodo di raccolta e diminuiscono con la preparazione e la cottura. È sconsigliata a pazienti diabetici, alle donne in gra- vidanza o durante l’allattamento. L’ortica è utiliz- zata contro le artriti sin dall’Antico Egitto. Usi me- dicinali dell’ortica sono riportati da Theophrastus, Plinio il Vecchio, Ippocrate e numerosi antichi gre- ci: i soldati romani, ad esempio, la utilizzavano per trattare la stanchezza muscolare e i reumatismi.

Le applicazioni sfruttano le proprietà stimolanti

e irritanti dei peli, e includono il trattamento di anemie, reumatismi, artriti, eczemi, asma, infe- zioni della pelle, dolori intestinali, oppure sono tradizionalmente impiegate come shampoo per la calvizie, o contro le emorroidi e la gotta.Studi moderni provano l’efficacia dell’uso medicinale dell’ortica contro artriti, reumatismi, riniti aller- giche, infezioni del tratto urinario, problemi car- diovascolari e per il trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna.

Uso in cucina:

Le ortiche sono usate in cucina dai tempi dei Gre- ci e dei Romani in tutta Europa, e costituiscono ancor oggi un alimento diffuso nelle aree rurali.

I germogli e le foglie ancora tenere si raccolgo- no in primavera, prima della fioritura. La cottura distrugge i peli urticanti. Le foglie e i germogli si usano nei risotti, nei minestroni, nelle frittate e nelle frittelle e nei ripieni di pasta. Ottime sono le crepes con l’ortica e ripiene di ricotta e fiori di calendula.

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(Papaver rhoeas L.) - Famiglia: Papaveracee

PAPAVERO

Etimologia:

L’etimologia del termine “Papaver” deriva da

“papa” che in lingua celtica significa ”pappa”, in allusione ad una pratica antica consistente nel miscelare l’estratto (o il succo) del papavero ros- so alla pappa dei bambini, per indurre il sonno. Il nome della specie rhoeas (letteralmente “cado”) fa riferimento, invece, alla precoce caduta dei pe- tali del fiore.

Descrizione:

Il papavero rosso è una pianta erbacea annuale, la sua altezza, generalmente, non supera i 60-80 centimetri. Il fusto del rosolaccio, eretto e peloso, mostra foglie dentate non avvolgenti, profonda- mente suddivise in segmenti lanceolati. Foglie inferiori pennatosette, con 2 3 denti per lato e lobo terminale più lungo, a contorno spatolato;

le foglie cauline a contorno triangolare. Il fusto Nomi volgari: Patatina, Rosolaccio, Papavero

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esile sfoggia fiori inconfondibili, dalla tipica veste color rosso porpora macchiata internamente da una piccola impronta nera. Il fiore, semplice ma bello ed elegante, è assai comune sia nei campi coltivati (a grano soprattutto), che in quelli incol- ti, e vegeta sino ai 1.900 metri d’altitudine: tant’è che il papavero rosso viene considerato anche pianta infestante.

Habitat:

E’ presente in tutte le regioni italiane, specie si- nantropica la ritroviamo nei campi, negli incolti secchi e negli ambienti ruderali, ai bordi di strade e ferrovie; infestante dei cereali e delle colture.

0÷1.900 m s.l.m.

Proprietà nutrizionali e medicinali:

Tra le cosiddette erbe della buonanotte non si può tralasciare il papavero rosso, comunemente conosciuto come rosolaccio. Anche Celso descri- ve la pianta per la sua spiccata azione sedativa:

dai suoi scritti si desume che bollendo il papave- ro rosso nel vino d’uva appassita si ricava una be- vanda utile per favorire l’addormentamento. Nel contesto dell’antica medicina popolare, l’infuso o il decotto di papavero rosso erano utili anche per contrastare la tosse, alleggerire irritazioni bron- chiali e diminuire la febbre catarrale e reumatica;

le attività antitussive sono rese dai principi attivi estratti dai fiori, in grado di favorire l’espettora- zione e, nel contempo, di placare lo spasmo. Es- sendo un esponente delle Papaveracee, anche il papavero rosso contiene alcaloidi: tutta la pianta - fatta eccezione per i semi - contiene la roeadi- na ed altre molecole alcaloidee isochinoliche. Le parti aeree abbondano in protopina (presente

anche nelle radici), sanguinarina, coptisina e che- leritrina. Tra gli altri componenti chimici si ricor- dano anche le mucillagini e gli antociani, respon- sabili della colorazione rosso sangue dei petali (a questo proposito, gli antociani sono sfruttati anche come coloranti). Dai semi si ricava un olio ricco di acido linoleico, stearico, palmitico ed olei- co. In fitoterapia, la parte di pianta maggiormen- te sfruttata è rappresentata dai petali. L’estratto di papavero rosso si è rivelato anche un ottimo dia- foretico, utile per abbassare la febbre da influen- za, favorendo la sudorazione. Effetti collaterali: in generale, l’impiego del papavero rosso in fitotera- pia risulta pressoché innocuo.

Uso in cucina:

I teneri germogli di papavero, raccolti all’inizio della Primavera, sono squisiti in insalata, conditi semplicemente con olio e limone. Il papavero è eccellente nella misticanza insieme ad altre erbe di campo spontanee, come ad esempio il cre- spigno, la cicoria, il tarassaco, ecc. Le foglie delle rosette basali, quando sono più mature, si usano cotte e condite come gli spinaci, miste alle bietole selvatiche o altre erbe spontanee. Quando cuci- niamo queste erbe spontanee è bene utilizzare pochissimo sale. Meglio ovviare con le tantissi- me erbe aromatiche che abbondano nella nostra meravigliosa natura mediterranea: timo, santo- reggia, dragoncello, rosmarino, origano, mag- giorana ecc. Le ricette che si possono realizzare con le giovani foglie di papavero sono: ripieni di tortelli e ravioli, risotti, saltate in padella con olio e peperoncino, zuppe, minestre, polenta, frittelle, sformati, tortini ecc.

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(Sanguisorba minor Scop.) - Famiglia: Rosaceae

PIMPINELLA

Etimologia:

Il nome Sanguisorba deriva, probabilmente, dai vocaboli latini sanguis e sorbeo con riferimento alla capacità che ha questa pianta di frenare le emorragie. Il nome dellla specie minor è proba- bilmente stato usato per distinguerla dalla San- guisorba officinalis, che le somiglia ma ha mag- giori dimensioni.

Descrizione

Pianta erbacea perenne sempreverde, con rizoma lignificato e fusto eretto e striato, a volte peloso in basso, spesso di colore rossastro, alto da 30 a 60 cm, foglie riunite in una rosetta basale, lunghe da 10 a 20 cm, imparipennate con 5 - 17 foglioline picciolate, lamina ovale e margine con 4-6 denti acuti su ciascun lato, di colore verde e glauche nella pagina inferiore.

Nomi volgari: Pimpinella- Salvastrella minore

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Fiori riuniti in capolini sferico-ovali del diametro di 1 cm, all’apice dei rami. I fiori posti in basso nel capolino sono maschili con numerosi stami lun- ghi e sporgenti, i fiori in alto sono femminili ed hanno lo stimma piumoso di un bel rosso vivace, in mezzo ai due si trovano anche un certo nume- ro di fiori ermafroditi i cui stami non sporgono dal calice. Fiorisce in Maggio - Giugno

Habitat:

E’ presente nell’Europa centrale e meridionale, in Italia vegeta in tutte le regioni. Cresce su terreni erbosi e rocciosi, scarpate, prati asciutti, margini stradali, è calciofila e termofila da 0 a 1.300 m.

Proprietà nutrizionali e medicinali:

Tutta la pianta contiene importanti quantità di tannino, olio essenziale e Vitamina C ed ha pro- prietà: diaforetiche, astringenti ed emostatiche, stiptiche, antiemorroidali, aromatizzanti, aperi- tive e digestive. Viene utilizzata per uso interno in tisane e per uso esterno in decotti ed infusi indicati per la cura delle emorroidi e contro l’in- fiammazione cutanea, contro le scottature si usa applicare le sue foglie fresche direttamente sulla pelle e le foglie ridotte in poltiglia curano le ul- cere e le piaghe, introdotte nelle narici bloccano l’epistassi. La potenza curativa della Pimpinella era così ben conosciuta e apprezzata da Plinio il Vecchio, il grande naturalista dell’antichità, che consigliava a tutti di salutare la pianta prima di raccoglierla.

Anche la moderna fitoterapia, sotto forma di tin- tura madre, sfrutta le sue proprietà, non solo per curare i disturbi sopra descritti, ma anche per ri- equilibrare i conflitti interiori e i traumi emotivi.

Uso in cucina:

L’uso più pratico e veloce per gustare la pimpi- nella è quello di aggiungere alcune sue foglioline nella “Misticanza” composta da: Ginestrella, Cac- cialepre, Raperonzolo, Grespigno, Pimpinellone;

il suo retrogusto di noce fresca e il suo profumo di cetriolo, conferiranno alla misticanza un sapo- re ed un aroma molto gradevoli.”L’insalata non è buona e bella se non c’è la pimpinella”

Con la pimpinella si può aromatizzare l’aceto mettendone alcuni rametti dentro la bottiglia in infusione per qualche tempo. Va sottolineato che la gradevolezza del sapore della Pimpinella, una volta condita, è data dal fatto che sia il sale sia l’aceto mitigano l’astringenza dei tannini presenti nella parte fogliare.

Salsa di pimpinella Ingredienti:

• due spicchi d’aglio,

• un mazzetto di pimpinella,

• qualche filetto di acciughe (facoltativo),

• sale

• un pizzico di pepe,

• olio q.b.

Esecuzione:

Pulire gli spicchi d’aglio, meglio se freschi, lavare e staccare le foglie della pimpinella, togliere l’ac- qua, tagliare finemente il tutto, mettere in una ciotola e aggiungere il sale, il pepe, rigirare una prima volta, infine aggiungere l’olio fino a coprire la salsa di pimpinella e aglio.

Questa salsa può essere usata su pasta corta o lunga, sulle bruschette, sui fagioli, ceci e patate lessati.

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(Tordylium apulum L.) - Famiglia: Ombrellifere o Apiacee

PIMPINELLONE

Etimologia:

Il nome del genere deriva dal greco “tornos” scal- pello e “illein” girare, per la forma dei frutti ton- deggianti tutti scolpiti sul bordo; il nome della specie deriva dal latino apulum = pugliese, con riferimento alla regione in cui il botanico Linneo individuò il tipico habitat della specie.

Descrizione:

All’inizio della sua crescita, la pianta si mostra

con una rosetta basale composta da foglie di lun- ghezza tra i 3 cm e i 15 cm: le foglie sono forma- te da un numero di foglioline disposte a coppie opposte lungo il picciolo, alla fine del quale c’è una singola fogliolina. Il numero di foglioline va- ria da 5 a 11, sono di forma ovale, leggermente seghettate, pelosette e di colore verde chiaro. La pianta è biennale quando la rosetta si sviluppa in autunno-inverno (il ciclo di sviluppo è inferiore ai Nomi volgari: Ombrellini Pugliesi, Saporosella, Pimpinellone (Umbria)

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12 mesi); è annuale quando si sviluppa dalla pri- mavera e muore entro lo stesso anno. Le foglie della rosetta in primavera sono più rigogliose ri- spetto a quelle autunnali, quindi più adatte ad un loro uso in cucina per fare un pesto. In primavera, al centro della rosetta basale si sviluppa uno stelo fiorale al termine del quale, tra giugno ed ago- sto, nasce una infiorescenza a forma di ombrello (da qui il nome italiano di “ombrellino pugliese”).

L’infiorescenza è composta da fiori bianchi a for- ma di cuore. La pianta dopo la fioritura disperde i suoi semi, poi si secca e scompare.

Habitat:

Erba mediterranea in senso stretto (con areale limitato alle coste mediterranee: area dell’Olivo).

Pascoli aridi, coltivi, oliveti, incolti, prati, margini delle strade, poggi e scarpate dal piano fino a 1.200 m.

Proprietà nutrizionali e medicinali:

Nella medicina popolare viene usata contro la caduta dei capelli, nelle malattie nervose, per accelerare le mestruazioni e come espettorante.

Recenti studi hanno dimostrato l’alto contenuto di alfa-tocoferolo di questa pianta (vitamina E naturale): 2.426 mg/100g. La vitamina E presenta anche una grande proprietà antiossidante con- tro i radicali liberi, quindi utile per la prevenzione contro i tumori e le malattie dell’invecchiamento.

I principi attivi contenuti nelle piante officinali possono essere molto pericolosi se usati o prepa- rati in modo non corretto.

Le informazioni fornite su queste pagine sono di natura generale e non possono sostituire il consi- glio di un medico o di un erborista.

Uso in cucina:

Si usano solo le giovani foglioline, di cui è com- posta l’intera foglia, lo stelo infatti anche da giovane, alla sua base risulta fibroso. Per il suo forte sapore di cetriolo e per il suo inconfondi- bile buon aroma viene usata soprattutto nella

“misticanza” insieme ai Caccialepri, Raperonzoli, Mastrici, Pimpinella, Grespigni.

Ottima anche per fare un pesto con olio extraver- gine di oliva e pinoli, per il condimento di pasta e come base per la preparazione di crostini.

Curiosità:

Recenti studi fatti nell’area mediterranea, hanno dimostrato che la salute media della popolazio- ne greca è la più alta. Questo migliore stato del- la salute sembra dovuto al largo consumo che la popolazione greca fa di erbe spontanee, tra le quali una delle più consumate è il Tordylium apulum, che presenta un altissimo contenuto di antiossidanti.

Per il neofita, il riconoscimento del pimpinellone non è molto semplice, il metodo migliore per il suo riconoscimento è quello di ricordare il suo particolare odore e sapore; in presenza dei frutti poi diventa quasi inconfondibile

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(Portulaca oleracea L.) - Famiglia: Portulacaceae

PORTULACA

Etimologia:

Fu Linneo, a conferirgli il nome odierno “Portu- laca oleracea”, derivante dal latino Portula, che significa piccola porta, per il modo in cui si apre il seme di questa pianta, oleacera deriva dal latino Oleraceus, che significa Pianta coltivata, per l’uti- lizzo alimentare che se ne faceva a quel tempo.

Descrizione:

Pianta annuale carnosa (10 - 30 cm) con fusto

rossiccio, strisciante. Ha un aspetto di pianta gras- sa con le foglioline verdi e lucide, semigrasse. La pianta ama il caldo e fiorisce da giugno a settem- bre con piccoli fiori gialli che si aprono in giornate assolate. Su una stessa pianta per tutta l’estate sono presenti sia fiori che semi, i quali disperden- dosi nell’aria fanno ricrescere questa pregevole erba in modo infestante.

Nomi volgari: Portulaca, Porcellana, Erba grassa, Porcacchia

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Habitat:

Predilige i terreni lavorati, quindi è facile trovarla negli orti e nei frutteti, è del tutto assente in pa- scoli e campi abbandonati.

Proprietà nutrizionali e medicinali:

E’ una delle erbe più salutari, ha proprietà an- tiscorbutiche, depurative e diuretiche. Per uso esterno viene usata contro dermatiti, orticarie, foruncoli, punture di api ed eczema. Nelle foglie è stata accertata la presenza di acidi grassi ome- ga-3, utili per prevenire attacchi cardiaci e aumen- tare le difese immunitarie. La sua reintroduzione nella nostra dieta è caldeggiata dai nutrizionisti per le particolari caratteristiche degli acidi grassi che contiene. In pratica, la dieta moderna ha un apporto di acidi grassi essenziali, cioè che non possiamo farci e che dobbiamo assumere con la dieta, che è sbilanciato verso gli acidi “infiamma- tori” (omega-6) a discapito di quelli “anti-infiam- matori” (gli omega-3). Oggi questo rapporto è diventato di 20:1. La porcellana è ricchissima di acidi omega-3, ed è quindi particolarmente adat- ta alla dieta di persone in cui il miglioramento del profilo omega-6/omega-3 è molto utile (diabeti- ci, cardiopatici). Da qui il grande interesse della ricerca nutrizionale per questa pianta, che con- tiene anche altri composti benefici per la salute, come le mucillagini, responsabili della consisten- za carnosa delle foglie e del loro utilizzo medici- nale per lenire, applicate direttamente sulla pelle, il dolore di punture di insetti e di piccole ferite, od il prurito da foruncoli. Ma le virtù nutrizionali della porcellana non finisco qui, perché la pianta è anche ricca di vitamine, di flavonoidi, e di beta-

laine. La porcellana ha un’efficienza fotosintetica particolare, che esplica con due meccanismi di- versi, cioè ha un sapore diverso al mattino rispet- to alla sera, soprattutto quando il tempo è secco.

La pianta del mattino è, effettivamente, molto più acidula di quella raccolta alla sera, perché, per via del dualismo fotosintetico particolare della pian- ta, di notte immagazzina anidride carbonica sot- to forma di acido malico (l’acido che dà il sapore asprigno alla mela renetta), e di giorno lo trasfor- ma poi in glucosio. La differenza di concentrazio- ne di acido malico fra la pianta raccolta al mattino e quella raccolta alla sera è di circa 10 volte, per cui il sapore acidulo della porcellana ricorda una mela renetta al mattino, ed una mela golden alla sera. In pratica, la porcellana fa la fotosintesi tra- sformando l’anidride carbonica in acidi di notte, e poi, in presenza di luce, convertendo gli acidi in glucosio. Di contro però la pianta ha la capacità di accumulare metalli pesanti, per cui non va mai raccolta in ambiente antropizzato, dove il suolo è contaminato, inoltre presenta un alto contenuto di acido ossalico, per cui non è indicata, almeno in grandi quantità, per chi soffre di problemi di reni.

Uso in cucina:

La porcellana può essere consumata cruda, sola o assieme a pomodori e porri, come insalata, o cotta per preparare frittate. I rametti tagliati a pezzettini possono essere conservati sottaceto o in salamoia e usati al pari dei capperi. Alcuni non amano la consistenza mucillaginosa della portu- laca, ma questa sua proprietà può tornare van- taggiosa per fare raddensare minestre e stufati.

La si può consumare in insalata, bollita, o fritta, con una versatilità culinaria notevole.

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(Crepis vesicaria L.) - Famiglia: Asteracee

RADICCHIELLA

Etimologia:

Il nome del genere (Crepis) venne usato per la prima volta da Plinio il Vecchio, deriva dal greco

“Krepis” che significa “calzare”. In latino Crèpìs significa pantofola, sandalo e i frutti, di alcune specie di questo genere ricordano questo tipo di calzare. Il nome della specie (vesicaria) sta per le brattee delle foglie superiori a forma di vescica.

Descrizione:

Pianta erbacea annuale o biennale, fusto di co- lore rossastro, peloso, eretto e ramoso. La pianta allo stadio giovanile presenta spesso un tipico accrescimento come un grosso insieme di boc- cioli racchiusi su se stessi. (Caratteristica che per- mette di riconoscere con facilità questa specie) Le foglie basali sono disposte a rosetta, più o meno schiacciata sul terreno nella maggior parte Nomi volgari: Radicchiella, Crugno o Grugno amaro

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dei casi sono pennatosette, a volte possono esse- re lobate o intere. I fiori sono numerosi, raccolti in un racemo o grappolo corimboso. I fiori capolini di 2 cm di diametro con corolle tutte ligulate di colore giallo, non di rado purpuree o venate di un colore rossastro, molto numerose, quasi formanti una ombrella terminale.

Periodo di raccolta:

Si può raccogliere da fine Ottobre a fine Aprile, prima della fioritura. Il periodo migliore però e nei mesi di dicembre, gennaio e febbraio, per- ché il freddo e il gelo rendono questa erba meno amara e più tenera.

Habitat:

Negli incolti, nei coltivi, lungo i vigneti, i margini delle carraie di campagna, sulle rive dei canali e dei fiumi, predilige terreni stabili e calcarei, dal piano fino a 1200 m

Come riconoscerla:

La rosetta di questa pianta si può confondere con molte altre piante della stessa famiglia: le Aste- racee o Composite. Spesso viene confusa con la cicoria (Cichorium intybus), la distinzione è sem- plice quando le due piante sono in fiore: fiore giallo per la Radicchiella e fiore azzurro-lilla per la Cicoria. Si può confondere anche con il Tarassaco (Taraxacum officinale ), a fiore giallo, però senza nessuna conseguenza perché tutte la Cicoria e il Tarassaco sono commestibili. E’ sempre bene in ogni caso assicurarsi dell’identità delle piante, grazie all’aiuto di persone esperte in materia.

Inoltre, controllare sempre dove si raccolgono, lontano dalle strade o zone di traffico, in campi non trattati da recenti concimazioni o da antipa-

rassitari, specie se sotto vigneti od alberi da frut- ta o frequentati da animali al pascolo.

Proprietà nutrizionali e medicinali:

La radicchiella ha proprietà simili a quelle del- la cicoria e del tarassaco, comune a molte erbe amare, perciò disintossicante, depurativa del sangue, diuretica ed ipoglicemizzante. Le sostan- ze fenoliche, contenute nelle piante spontanee, agiscono come antiossidanti nei confronti dei radicali liberi e contribuiscono alla prevenzione di malattie cardiovascolari e patologie tumorali.

Uso in cucina:

L’uso della radicchiella in cucina è quello tipico delle cicorie in genere. Si raccoglie la rosetta ancora allo stadio giovanile e si può consumare cruda in insalata se tenera, sola o nelle mistican- ze oppure lessa, condita con olio limone o saltata in padella con olio ed aglio o cipolla a piacere.

Si può utilizzare mista ad altre verdure per fare ripieni di minestre, frittate o tortini di verdure, ricotta e formaggi. Anche i germogli fioriferi se teneri, non legnosi, si possono cucinare come sopra, anche se di sapore più amarognolo. Dopo la sua bollitura, può essere fatta saltare in padel- la con la patata rossa di Colfiorito, fatta bollire a parte e ridotta in pezzettini conditi con olio extra vergine di oliva.

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