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Academic year: 2022

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STUDIUM IURIS

RIVISTA PER LA FORMAZIONE NELLE PROFESSIONI GIURIDICHE

RIVISTA MENSILE

Anno XXIII

Coordinatore

e direttore responsabile ALESSIO ZACCARIA

Estratto

Attualità e Saggi

Il “reato che non c’è”: le finalità preventive della legge n. 71 del 2017 e la rilevanza penale del cyberbullismo

di C IRO G RANDI

Comitato di Direzione

Sergio Bartole - Giovanni Bonilini Roberto Calvo - Giorgio Cian Marco Cian - Giorgio Conetti Guido Corso - Luigi Costato Giovannangelo De Francesco Giovanni De Cristofaro

Maria Vita De Giorgi

Fausto Giunta - Vincenzo Maiello Antonella Marandola

Giorgio Marasà - Antonio Masi Pietro Masi - Francesco Palazzo Marco Pelissero - Andrea Pugiotto Antonio Serra - Giorgio Spangher Ferruccio Tommaseo - Enzo Vullo Alessio Zaccaria

2017

edicolaprofessionale.com/studiumiuris

(2)

Il “reato che non c’è”:

le finalità preventive della legge

n. 71 del 2017 e la rilevanza penale del cyberbullismo

di C

IRO

G

RANDI

SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. La strategia di contrasto del cyberbullismo. Gli interventi di natura preventiva... – 3. ...e i rimedi a carattere ripristinatorio-cautelare. – 4. Alle radici del cy- berbullismo: il bullismo e i suoi profili di rilevanza penale. – 5. Dal bullismo al cyberbullismo:

fenomenologia e tratti distintivi. – 6. I molteplici aspetti penalmente rilevanti del bullismo vir- tuale.

1. Introduzione

A conclusione di un iter parlamentare piuttosto tormentato, la l. 29 maggio 2017, n. 71 (1) ha in- trodotto un sistema di misure a carattere essenzial- mente preventivo volte a contrastare il c.d. “cyber- bullismo”, fenomeno la cui progressiva espansione è confermata all’unisono dalle recenti indagini sta- tistiche svolte da diversi agenti istituzionali (2).

È bene chiarirlo fin da subito: contrariamente a quanto taluni commenti a caldo hanno lasciato intendere (3), la legge in esame non introduce al- cun “reato di cyberbullismo” e, più in generale, non è caratterizzata da finalità o contenuti repres- sivi (4); esattamente al contrario, nel perseguire la salvaguardia dello sviluppo psicofisico e delle esi- genze educative dei minori protagonisti, quali vit- time o responsabili, delle condotte in esame, la novella introduce alcuni meccanismi volti invece ad evitare l’attivazione del circuito penalistico.

Tutt’al più, là dove fornisce una pioneristica defi-

nizione legislativa del fenomeno in questione – propedeutica a delimitare il raggio d’azione degli istituti di nuovo conio – l’art. 1 della legge mede- sima si limita a confermare la riconducibilità delle condotte del “cyberbullo” a una pluralità di fatti- specie incriminatrici già esistenti, le quali vengo- no semplicemente rievocate, senza alcuna modifi- ca dei relativi elementi costitutivi o àmbiti appli- cativi: «ai fini della presente legge, per “cyberbul- lismo” si intende qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazio- ne, diffamazione, furto d’identità, alterazione, ac- quisizione illecita, manipolazione, trattamento il- lecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo

(1) Legge rubricata “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”, in G.U. 3 giugno 2017, n. 127.

(2) Cfr., ad esempio, il rapporto ISTAT, Il bullismo in italia:

comportamenti offensivi e violenti tra i giovanissimi, 15 dicem- bre 2015, reperibile al link https://www.istat.it/it/archi- vio/176335; il comunicato stampa CENSIS, Cyberbullismo: au- mentano i casi sul web, le scuole sono in allerta, ma le famiglie minimizzano, 10 marzo 2016, reperibile al link http://www.cen- sis.it/7?shadow_comunicato_stampa=121051; nonché i dati ancor più recenti riportati da A. SORGATO, L a vittima del (cyber)- bullo, in M. ALOVISIOG. B. GALLUSF. P. MICOZZI(a cura di), Il Cyberbullismo alla luce della legge 29 maggio 2017, n. 71, Ro- ma 2017, p. 18.

(3) V., ad esempio, il titolo fuorviante prescelto da V. SELLA- ROLI, I l nuovo reato di cyberbullismo (l. 29 maggio 2017, n. 71), Milano 2017.

(4) Lo scopo puramente preventivo del provvedimento in esame è ribadito dalla disposizione di apertura: «la presente legge si pone l’obiettivo di contrastare il fenomeno del cyber- bullismo […] con azioni a carattere preventivo e con una stra- tegia di attenzione, tutela ed educazione dei minori coinvolti».

Sulla scarsa adeguatezza delle proposte alternative, impronta- te all’inasprimento della repressione penale in funzione più che altro simbolica, v. M. ALOVISIOG. B. GALLUSF. P. MICOZZI, Introduzione, in Il Cyberbullismo alla luce della legge 29 maggio 2017, n. 71, cit., p. 1.

(3)

loro messa in ridicolo» (5).

Le fattispecie menzionate in questa definizione, pe- raltro, non esauriscono il novero degli illeciti pe- nali perfezionabili attraverso gli atti di bullismo ci- bernetico. Dopo un resoconto dei meccanismi pre- ventivi, pre-penali ed extra-penali, allestiti dalla legge n. 71 del 2017 (6), ci si propone quindi di ri- percorrere la fenomenologia dei comportamenti of- fensivi posti in essere dal cyberbullo minorenne, evidenziandone infine i molteplici profili di rilievo penalistico (7).

2. La strategia di contrasto del cyberbullismo.

Gli interventi di natura preventiva...

La legge n. 71 del 2017 predispone dunque un’arti- colata strategia di contrasto del cyberbullismo, la cui trama prevede essenzialmente due tipologie di in- terventi, tutti di natura extrapenale: i meccanismi preventivi a carattere generale, disciplinati rispettiva- mente agli artt. 3, 4 e 6, diretti a ridurre la cifra complessiva degli episodi in questione, con parti- colare riferimento agli ambienti scolastici; i rimedi successivi alla commissione di specifiche condotte di cyberbullismo, regolati agli artt. 2, 5 e 7, dotati di natura cautelare-ripristinatoriae finalizzati a evita- re il ripetersi delle condotte medesime e a elimi- narne, o quanto meno contenerne, le conseguenze offensive, prevenendo al contempo l’attivazione del procedimento penale.

Per quanto riguarda i meccanismi preventivi (8), in estrema sintesi l’art. 3 della legge prevede l’isti- tuzione di un «tavolo tecnico per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo» (9) (comma 1), cui spetta la redazione dell’omonimo «piano di azione integrato per il contrasto e la prevenzione del cy- berbullismo», nonché la realizzazione di un sistema di raccolta di dati finalizzato al monitoraggio del-

Tale piano dovrà prevedere l’attivazione di iniziati- ve di informazione e prevenzione rivolte ai cittadi- ni, con il coinvolgimento dei servizi socio-educati- vi e scolastici territoriali (comma 4); sul piano na- zionale, invece, il Governo e l’Autorità garante per le comunicazioni saranno chiamati ad allestire periodiche campagne divulgative, di prevenzione e di sensibilizzazione, attraverso l’utilizzo dei princi- pali mezzi di comunicazione (comma 5).

A sua volta, l’art. 4 assegna un ruolo centrale nel- l’attività di prevenzione e contrasto del cyberbulli- smo al servizio scolastico, proseguendo nel solco delle iniziative già intraprese negli ultimi anni dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ri- cerca (10), e di quanto sancito da alcune disposi- zioni della recente legge di riforma della scuo- la (11).

Più in particolare l’articolo in commento assegna al MIUR il compito di adottare e aggiornare a ca- denza biennale le «linee di orientamento per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo nelle scuole», le quali devono inizialmente prevedere la formazione del personale scolastico, il coinvolgi- mento della componente studentesca nelle attività preventive, nonché un sistema di misure di soste- gno e rieducazione dei minori coinvolti (comma 2). Ogni istituto scolastico è inoltre tenuto ad in- dividuare tra i docenti un referente con l’incarico di coordinare le iniziative di prevenzione e di con- trasto del cyberbullismo (comma 3). Infine, si pre- vede la pubblicazione, a cura degli uffici scolastici regionali, di bandi di finanziamento per progetti volti a promuovere sul territorio «azioni integrate di contrasto al cyberbullismo e l’educazione alla le- galità» (comma 4).

In definitiva, tutte le misure prefigurate dagli artt.

3 e 4 della nuova legge risultano animate da finali- tà di prevenzione generale sociale (12), perseguite at-

(5) Legge n. 71 del 2017, art. 1 comma 2. Per alcune osser- vazioni critiche sulla definizione in oggetto v. M. ALOVISIO, Il cy- berbullismo, la sua definizione e i “gestori del sito” (art. 1 della L. n. 71/2017), in Il Cyberbullismo alla luce della legge 29 mag- gio 2017, n. 71, cit., p. 7 ss.

(6) Cfr., infra, par. 2-3.

(7) Cfr., infra, par. 4-6.

(8) In argomento v. M. ALOVISIO, Gli strumenti di governance previsti dalla L. 71/2017 (artt. 3-4-5-6), in Il Cyberbullismo alla luce della legge 29 maggio 2017, n. 71, cit., p. 50 ss.

(9) Tale organo è composto dai rappresentanti di una plura- lità di dicasteri, di autorità garanti, di associazioni a tutela dei diritti dei minori, di associazioni studentesche e di genitori, nonché di operatori della rete internet e di gestori di servizi di social networking.

(10) Si vedano, ad esempio, le Linee di orientamento per azioni di prevenzione e contrasto al bullismo e al cyberbullismo,

13 aprile 2015, consultabili al link http://www.istruzione.it/alle- gati/2015/2015_04_13_16_39_29.pdf; nonché il Piano naziona- le per la prevenzione del bullismo e cyber-bullismo a scuola, an- no 2016, consultabile al link http://www.istruzione.it/allega- ti/2016/Piano_azioni_definitivo.pdf.

(11) 13 luglio 2015, n. 107, Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti, in G.U. 15 luglio 2015, n. 162 (nota nel gergo giornalistico come legge sulla “Buona scuola”), il cui art. 1, comma 7, individua tra gli obiettivi formativi prioritari, al cui perseguimento le istituzioni scolastiche sono tenute, lo «svi- luppo delle competenze digitali degli studenti, con particolare riguardo […] all’utilizzo critico e consapevole dei social network e dei media» [lett. h)], nonché la «prevenzione […] di ogni for- ma di discriminazione e del bullismo, anche informatico» [lett.

l)]”.

(12) Come noto, la prevenzione generale sociale si distingue

(4)

e divulgativo, tendenti a eradicare, o quanto meno affievolire, i fattori scatenanti gli episodi di cyber- bullismo, senza ricorrere a meccanismi coercitivi.

3. ...e i rimedi a carattere ripristinatorio- cautelare

Per quanto riguarda invece la seconda categoria di interventi previsti dalla legge n. 71 del 2017, ovve- ro i rimedi attivabili successivamente alla verifica- zione di episodi di cyberbullismo, vengono in rilie- vo le previsioni degli artt. 2, 5 e 7.

L’art. 5, dal quale conviene partire per ragioni di ordine logico, impone al dirigente scolastico che sia venuto a conoscenza di atti di cyberbullismo l’obbligo di informare tempestivamente i soggetti esercenti la responsabilità genitoriale (o i tutori) di tutti i minori coinvolti. Va tuttavia precisato che ai sensi della disposizione in esame, l’obbligo sud- detto sussiste «salvo che il fatto costituisca reato», clausola di esclusione che non manca di destare perplessità.

Sotto un primo profilo, vero è che, secondo quan- do previsto dall’art. 331 c.p.p. (13), sul dirigente scolastico il quale abbia notizia di reati perseguibili d’ufficio grava anzitutto l’obbligo di denuncia al- l’autorità. Nondimeno, oltre al fatto che la clausola di esclusione in esame non distingue tra reati per- seguibili d’ufficio e reati perseguibili a querela, ri- spetto ai quali l’obbligo di cui all’art. 331 c.p.p.

non sussiste, non si intravedono ragioni di incom- patibilità tra tale obbligo e l’informazione tempe- stiva della famiglia del soggetto passivo, affinché questa possa adottare con immediatezza i provvedi- menti utili a proteggere il minore, nelle more del- l’eventuale attivazione del procedimento pena- le (14).

meglio precisato in seguito, i comportamenti del cyberbullo ben difficilmente restano immuni da profili di rilievo penale, la clausola di esclusione in esame sembra destinata a operare quasi sempre, con neutralizzazione sistematica dell’obbligo infor- mativo in questione (15).

L’art. 2 disciplina invece una delle novità più rile- vanti della legge in esame. Il comma 1 attribuisce al minore ultraquattordicenne, nonché al genitore (o tutore) di qualsiasi minore che abbia subito gli atti di cyberbullismo, di cui all’art. 1, la facoltà di inoltrare al gestore del sito internet o social media la richiesta di oscuramento, rimozione o blocco dei dati personali diffusi in rete. Ai sensi del comma 2, qualora entro ventiquattrore dal ricevimento dell’i- stanza il soggetto responsabile non provveda, o qualora quest’ultimo non sia identificabile, l’inte- ressato può rivolgere la richiesta al Garante per la protezione dei dati personali, il quale deve provve- dere entro le successive quarantotto ore (16). Si tratta di un meccanismo volto ad attenuare le con- seguenze offensive, peraltro già verificatesi, di una delle forme più diffuse e insidiose di cyberbullismo – denominata cyberhashing o happy-slapping – consi- stente nella pubblicazione in rete di informazioni, immagini, videoriprese la cui messa a disposizione di una platea pressoché illimitata pregiudica grave- mente la riservatezza e/o la reputazione della vitti- ma (17). A questo proposito, va segnalato che l’ul- timo inciso del comma 1 dell’art. 2 precisa che le richieste di oscuramento e rimozione possono esse- re inoltrate anche qualora le condotte in questio- ne, benché rientranti nell’alveo della definizione di cui all’art. 1, «non integrino le fattispecie di trattamento illecito di dati personali previste dal- l’art. 167 del codice in materia di protezione dei

dalla prevenzione generale penale: mentre quest’ultima è volta a distogliere gli individui dal crimine anzitutto mediante la mi- naccia di una pena, la prima intende promuovere l’adesione spontanea della generalità dei consociati ai valori sottesi all’or- dinamento giuridico attraverso interventi di carattere educativo e culturale, ovvero attivando sistemi di controllo sociale, in pri- mis famiglia e istituzioni scolastiche (sul punto v., in sintesi, F.

MANTOVANI, Diritto penale – parte generale, Padova 2015, p. 695 s.; ampliusM. VENTUROLI, La vittima nel sistema penale. Dall’oblio al protagonismo?, Napoli 2015, p. 58 s.).

(13) Il quale stabilisce che «i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio che, nell’esercizio o a causa delle loro fun- zioni o del loro servizio, hanno notizia di un reato perseguibile d’ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito».

(14) Evidenti esigenze di segretezza ed efficacia delle inda- gini giustificano invece l’esclusione dell’obbligo di informare i soggetti esercenti la potestà genitoriale sul minore responsabi- le delle condotte di cyberbullismo, nelle ipotesi in cui queste

costituiscano reato.

(15) Qualche critica viene formulata anche da M. ALOVISIO, L’informativa alle famiglie e i regolamenti delle istituzioni scola- stiche (art. 5), in Il Cyberbullismo alla luce della legge 29 maggio 2017, n. 71, cit., p. 62 s., ove si ritiene sarebbe stata più oppor- tuna, in luogo della clausola di esclusione, una formula intro- duttiva dell’art. 5 che non escludesse la compatibilità tra l’ob- bligo di informazione ivi sancito e l’obbligo di denuncia ex art.

331 c.p.p.

(16) In argomento v., amplius, R. ABETI, La tutela della dignità del minore, l’istanza di rimozione e il ruolo del Garante Privacy e F. SARZANADIS. IPPOLITO, I soggetti obbligati a oscurare, rimuo- vere o bloccare qualsiasi altro dato personale del minore diffuso su Internet (con conservazione dei dati originali), nella nuova legge sul cyberbullismo, entrambi in Il Cyberbullismo alla luce della legge 29 maggio 2017, n. 71, cit., rispettivamente p. 42 ss. e p. 11 s.

(17) In argomento v., infra, par. 5.

(5)

gno 2003, n. 196, né altre fattispecie criminose».

Se da un lato questa previsione conferma che l’at- tivazione del meccanismo preventivo prescinde dalla rilevanza penale degli atti in questione, dal- l’altro lato si fatica a intravedere ipotesi nelle quali la pubblicazione senza consenso di informazioni, immagini o video personali del minore non integri alcun illecito penale, quanto meno quello evocato proprio dalla disposizione in esame e disciplinato dall’art. 167 del c.d. codice della privacy (18).

Infine, l’art. 7 stabilisce che «fino a quando non è proposta querela o non è presentata la denuncia per taluno dei reati di cui agli artt. 594, 595 e 612 del codice penale e all’art. 167 del codice per la protezione dei dati personali [...] commessi median- te la rete internet, da minorenni di età superiore agli anni quattordici nei confronti di altro mino- renne, è applicabile la procedura di ammonimen- to» prevista dall’art. 8 della legge n. 38 del 2009 (19) in relazione al delitto di atti persecutori, da questa stessa legge introdotto all’art. 612- bisc.p. (20).

La disposizione in esame estende dunque ad alcune ipotesi di cyberbullismo – ossia quelle riconducibili alle quattro fattispecie di illeciti espressamente ri- chiamate – l’àmbito applicativo della speciale mi- sura monitoria già prevista in relazione al c.d. de- litto di stalking. Si tratta di una strategia di inter- vento preventivo-cautelare, finalizzata a interrom- pere le condotte persecutorie mediante una diffida rivolta dall’autorità di pubblica sicurezza all’autore minorenne, evitando a suo carico l’attivazione di un procedimento penale, che peraltro non garanti- rebbe una protezione immediata degli interessi del- la persona offesa (21).

In sintesi, il richiamato art. 8 della legge n. 38 del 2009 prevede che la persona offesa, fino a quando non abbia proposto querela per il reato di cui al- l’art. 612-bis c.p., possa esporre i fatti all’autorità di

te la richiesta di ammonimento da parte del Que- store nei confronti dell’autore della condotta perse- cutoria. Dopo aver assunto, se necessario, informa- zioni dalle autorità investigative e dalle persone in- formate dei fatti, e qualora ritenga fondata l’istan- za, il Questore ammonisce oralmente l’autore me- desimo, invitandolo a tenere una condotta confor- me alla legge. Rispetto a tale ammonimento “ordi- nario”, quello “speciale” previsto dall’art. 7 della legge n. 71 del 2017 si distingue per alcuni profili controversi, i quali non attengono agli aspetti me- ramente procedurali (22), quanto piuttosto ai pre- suppostie alle conseguenze della relativa procedura.

Con riferimento ai presupposti, va ricordato che la ri- chiesta di ammonimento può essere proposta fin- ché non sia presentata la querela o la denuncia

«per taluno dei reati» compresi in un ristretto no- vero che comprende l’ingiuria, la diffamazione, le minacce e il trattamento illecito di dati personali, commessi mediante la rete internet.

In primo luogo, va segnalato l’evidente lapsus in cui è incorso il legislatore nell’includere tra i reati presupposto anche l’ingiuria (sic), quando la relati- va norma incriminatrice, dettata dall’art. 594 c.p., era già stata abrogata dal d. legisl. n. 7 del 2016 (23), il cui art. 4, comma 1, lett. a) ha assog- gettato a sanzione pecuniaria civile le medesime condotte in precedenza riconducibili alla fattispe- cie soppressa. In tutte le ipotesi – tutt’altro che in- frequenti – nelle quali le condotte del cyberbullo consistano (e si esauriscano) in offese dirette esclu- sivamente alla vittima (24) per via telematica (25) la procedura in questione perde la sua ragion d’es- sere: l’esito che essa intende scongiurare, ovvero l’attivazione di un procedimento penale, risulta in- fatti precluso in radice qualora il fatto non sia rea- to. Per evitare l’interpretatio abrogans della porzione dell’art. 7, legge n. 71 del 2017 riferita all’ingiuria, si potrebbe ritenere la richiesta di ammonimento

(18) D. legisl. 30 giugno 2003, n. 196, “Codice in materia di protezione dei dati personali”, in G.U. 29 luglio 2003, n. 174, Suppl. ord. n. 123; sul punto v., infra, par. 6.

(19) L. 23 aprile 2009, n. 38, che ha convertito con modifi- cazioni il d.l. 23 febbraio 2009, n. 11 (“recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori”), in G.U. 24 aprile 2009, n. 95.

(20) In argomento v. G.B. GALLUS, L’ammonimento per con- dotte di cyberbullismo (art. 7), in Il Cyberbullismo alla luce della legge 29 maggio 2017, n. 71, cit., p. 66 ss.

(21) In ordine alla natura e alle finalità della procedura di ammonimento prevista in materia di atti persecutori v., per tut- ti, G. DESIMONE, Il delitto di atti persecutori, Roma 2013, p. 187 ss.; A.M. MAUGERI, Lo stalking tra necessità politico-criminale e promozione mediatica, Torino 2010, p. 230 ss.

(22) A questo proposito va solo segnalata la previsione del comma 2, secondo la quale unitamente al minore destinatario dell’ammonimento debba essere convocato almeno un genito- re (o altra persona esercente la potestà genitoriale).

(23) D. legisl. 15 gennaio 2016, n. 7, Disposizioni in materia di abrogazione dei reati e introduzione di illeciti con sanzioni pe- cuniarie civili, a norma dell’articolo 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67, in G.U. 22 gennaio 2016, n. 7 (cfr., in parti- colare, l’art. 1).

(24) Qualora le offese siano comunicate anche a terzi ver- rebbe infatti in rilievo il reato di diffamazione (art. 595 c.p.; sul punto v., infra, par. 6).

(25) Ad. es. invio di un sms, o di un instant message attra- verso i servizi di chat o i social network, ovvero – ipotesi a dire il vero già caduta in desuetudine tra i nativi digitali – di un email.

(6)

(invece che della querela); o, perfino, ammetterla senza limiti temporali, non potendo essere mai pre- sentata querela per un fatto penalmente irrilevan- te. Nondimeno, oltre risultare poco coerente con la ratio dell’istituto, questa tesi stride irrimediabil- mente con la lettera dell’art. 7, che menziona la

“querela” e la “denuncia”, e non già l’azione civile, la quale peraltro sarebbe rivolta tutt’al più nei con- fronti dei soggetti esercenti la potestà genitoriale, non certo passibili di ammonimento (26).

In secondo luogo, mentre la procedura di ammoni- mento ordinaria prevista dall’art. 8, legge n. 38 del 2009, per esplicita formulazione testuale, è attiva- bile in relazione alle sole ipotesi in cui il delitto di atti persecutori sia perseguibile a querela, l’art. 7, legge n. 71 del 2017 estende l’àmbito applicativo dell’ammonimento speciale anche a reati persegui- bili d’ufficio: si tratta, in particolare, del delitto di minacce, ove commesso nella forma aggravata (art.

612, comma 2, c.p.), e dei delitti di illecito tratta- mento di dati personali (art. 167, commi 1 e 2, d.

legisl. n. 196 del 2003).

Sennonché, in entrambe queste ipotesi la richiesta di ammonimento avanzata all’autorità di pubblica sicurezza determina in capo al soggetto ricevente l’automatica insorgenza – ai sensi del già richiama- to art. 331 c.p.p. – dell’obbligo di denuncia sancito in relazione, per l’appunto, ai reati perseguibili d’ufficio di cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio sia venuto a conoscenza nell’eser- cizio delle funzioni o del servizio; con l’effetto di vanificare lo scopo principale dell’istituto in esa- me, ovvero la predisposizione di una forma di tute- la immediata a favore della vittima del cyberbulli- smo che non implichi l’attivazione del procedi- mento penale a carico del minore autore della rela- tiva condotta. In definitiva, gli unici reati per cui risulta concretamente praticabile la procedura d’ammonimento in esame si limitano alla diffama- zione e alle minacce semplici (27).

ferire la versione dell’art. 7 originariamente appro- vata dalla Camera dei Deputati, ai sensi della quale la procedura di ammonimento avrebbe potuto esse- re applicabile a tutti i «fatti di cui all’art. 1, commi 2 e 3, della presente legge che non integrano reati procedibili d’ufficio, fino a quando non è proposta querela» (28): questa formulazione, infatti, non conteneva l’errato riferimento all’ingiuria, non pre- sentava le criticità appena evidenziate in relazione ai reati perseguibili d’ufficio ed estendeva l’àmbito applicativo della procedura in questione a tutte le condotte di cyberbullismo sussumibili in reati pro- cedibili a querela (29), anche al di fuori dell’angu- sto perimetro segnato dai soli artt. 595 e 612 c.p.

Quanto invece alle conseguenze della procedura monitoria in esame, va rilevata una significativa differenza rispetto all’ammonimento ordinario pre- visto dall’art. 8 della legge n. 38 del 2009, i cui commi 3 e 4 dispongono che, se il delitto di atti persecutori è commesso da un soggetto già ammo- nito, la pena è aumentata e si procede d’ufficio (anziché a querela). In mancanza di un richiamo esplicito, tali previsioni non possono ovviamente estendersi alla disciplina dell’ammonimento previ- sto dall’art. 7 della legge n. 71 del 2017, rispetto al quale il comma 3 prevede lapidariamente che «gli effetti [...] cessano al compimento della maggiore età» dell’ammonito. Quali siano questi effetti, al di là di una tanto auspicabile quanto imponderabile controspinta motivazionale alla reiterazione degli atti di bullismo, non è dato sapere; anzi, pare pro- prio che conseguenze concrete non siano previste, come apertamente riconosciuto dalla relazione ela- borata del Servizio studi del Senato nel corso del dibattito parlamentare, ove si rilevava che la di- sposizione in oggetto «non prevede misure conse- guenti alla violazione delle prescrizioni impartite con l’ammonimento» (30).

(26) In questo senso v. G.B. GALLUS, L’ammonimento per condotte di cyberbullismo, cit., p. 71. Sulla responsabilità civile per i danni derivanti dagli atti di cyberbullismo, profilo che esu- la dalla presenta indagine, cfr. C. PUZZOA. MICOLI, Bullismo e responsabilità, Santarcangelo di Romagna (RN) 2012, p. 169 ss.; D. BIANCHI, Sinistri internet: responsabilità e risarcimento, Milano 2016, p. 52 ss.

(27) In difetto di un richiamo esplicito, tale procedura non risulta applicabile alle ipotesi di atti persecutori di cui all’art.

612-bis c.p. Del resto, qualora tale delitto sia commesso a danno di minori, il regime di procedibilità muta – divenendo il fatto perseguibile d’ufficio – ai sensi del comma 4 del medesi-

mo articolo, con la conseguenza per cui in tale ipotesi non ri- sulterà applicabile nemmeno la procedura d’ammonimento

ordinaria” prevista dalla legge n. 38 del 2009.

(28) Proposta approvata in data 20 settembre 2016 e in se- guito trasmessa al Senato. Il confronto tra i due testi è disponi- bile alla pagina web http://www.camera.it/_dati/leg17/lavori/- stampati/pdf/17PDL0048710.pdf.

(29) Ad esempio, l’accesso abusivo ad un sistema informa- tico, di cui all’art. 615-ter c.p. (sul punto cfr., infra, par. 6).

(30) Servizio studi del senato, Cyberbullismo – Note sull’A.S.

n. 1261-C, consultabile alla pagina http://www.senato.it/- japp/bgt/showdoc/17/DOSSIER/1000902/index.html.

(7)

suoi profili di rilevanza penale

L’assenza nella legge n. 71 del 2017 di nuove fatti- specie incriminatrici, o di modifiche a fattispecie esistenti (31), non esclude, come è stato segnalato, che i comportamenti riconducibili alla definizione di cyberbullismo dell’art. 1 integrino il più delle volte uno o più reati, anche ulteriori rispetto al gruppo di ipotesi ivi espressamente richiamate.

Per ricostruire i molteplici profili di rilevanza pena- le del cyberbullismo occorre tuttavia prescindere dalla definizione in esame: oltre a non avere porta- ta precettiva, quest’ultima rischia di essere fuor- viante rispetto all’obiettivo dell’indagine, in quan- to non solo incompleta, ma anche caratterizzata dalla commistione tra termini a-tecnici e generici (“aggressione”, “denigrazione”, “ricatto”), riferi- menti a specifiche figure criminose (molestie, diffa- mazione, trattamento illecito di dati personali) e locuzioni che alludono a fenomeni a loro volta ca- ratterizzati da illiceità proteiforme (furto d’identi- tà) (32). Conviene invece prendere le mosse dalle caratteristiche e dall’inquadramento giuridico della manifestazione più tradizionale del fenomeno in questione, ovvero il bullismo, ed evidenziare in se-

ca (33).

Dal punto di vista semantico, il termine “bulli- smo”, di derivazione anglosassone (34), viene co- munemente utilizzato nella lingua italiana per de- scrivere un comportamento arrogante, volto alla sopraffazione degli individui più deboli anche at- traverso violenze fisiche e psicologiche, posto in essere specialmente nei contesti scolastici (35).

Nella letteratura sociologica, pressoché sterminata sul tema, i tratti distintivi dei comportamenti ri- conducibili al bullismo vengono così compendia- ti (36): l’intenzionalità, poiché il bullo agisce con consapevolezza, e sovente con premeditazione, col preciso intento di arrecare danno alla vittima; la persistenza, atteso che l’interazione tra bullo e vitti- ma non si esaurisce in un singolo episodio, ma si snoda in una serie di aggressioni reiterate nel tem- po; l’asimmetria di potere, ovvero la diseguaglianza di forza, dovuta sia alle caratteristiche psico-fisiche individuali, sia al fatto che l’agente beneficia della complicità – o comunque dell’approvazione passiva – del gruppo, mentre la vittima soffre una situazio- ne di isolamento; la dislocazione in un preciso conte- sto sociale, e in particolare l’ambiente scolastico.

(31) A dire il vero, la versione approvata in prima lettura Ca- mera nella seduta del 20 settembre 2016 conteneva all’art. 8 pure una modifica dell’art. 612-bis c.p., che punisce come no- to il delitto di atti persecutori (c.d. stalking). Più precisamente, il testo trasmesso al Senato prevedeva, da un lato, l’eliminazio- ne dalle ipotesi aggravanti elencate al comma 2 dell’articolo in questione di quella relativa al «fatto commesso attraverso stru- menti informatici o telematici». Dall’altro lato, l’introduzione di un nuovo comma 3, così formulato: «La pena è della reclusio- ne da uno a sei anni se il fatto di cui al comma 1 è commesso attraverso strumenti informatici o telematici. La stessa pena si applica se il fatto di cui al comma 1 è commesso utilizzando tali strumenti mediante la sostituzione della propria all’altrui persona e l’invio di messaggi o la divulgazione di testi o imma- gini, ovvero mediante la diffusione di dati sensibili, immagini o informazioni private, carpiti attraverso artifici, raggiri o minac- ce o comunque detenuti, o ancora mediante la realizzazione o divulgazione di documenti contenenti la registrazione di fatti di violenza o di minaccia».

L’esame al Senato ha opportunamente condotto alla sop- pressione di questa disposizione, davvero mal concepita. In primo luogo, il paventato inasprimento della repressione pena- le del cyberstalking, mediante l’introduzione di un’apposita cir- costanza aggravante, appariva del tutto eccentrica rispetto alle finalità dichiaratamente preventive dell’intero provvedimento.

In secondo luogo, tale innovazione, a dire il vero piuttosto mar- ginale, giungeva ad esiti maldestri. Il testo si presentava infatti verboso e complicatorio, dato che tutte le condotte offensive singolarmente e minuziosamente descritte nel secondo perio- do, in quanto commesse attraverso gli strumenti informatici o telematici, erano già perfettamente riconducibili nella previsio- ne del primo periodo, volta a punire in generale e senza esclu- sioni, per l’appunto ogni fatto di atti persecutori «commesso attraverso strumenti informatici o telematici»; previsione, pe- raltro, identica alla porzione del comma 2 di cui si proponeva

l’eliminazione, con il solo scopo di “mettere in vetrina”l’au- mento di pena per il cyberstalking, dedicando a quest’ultimo un apposito comma così ampolloso. Sennonché, la cornice edittale risultante dalla circostanza ad effetto speciale indipen- dente (da uno a sei anni di reclusione) prevista dal nuovo com- ma 3 avrebbe finito per consentire l’irrogazione al cyberstalker di una pena massima inferiore rispetto a quella risultante dal massimo aumento della pena base (6 mesi/5 anni) consentito dalla circostanza ad effetto comune del comma 2: un esito esattamente opposto rispetto a quello presumibilmente perse- guito dai proponenti.

(32) In argomento v., per tutti, R. FLOR, Phishing, identity theft e identity abuse. Le prospettive applicative nel diritto pe- nale vigente, in R. it. d. proc. pen. 2007, p. 899 ss.

(33) Cfr., infra, par. 5.

(34) Nell’Oxford Dictionary il sostantivo “bully” designa l’in- dividuo che “uses strength or influence to harm or intimidate those who are weaker”.

(35) Cfr. la voce “bullismo” in www.treccani.it/vocabolario.

(36) Si veda al proposito l’ampio apparato bibliografico rac- colto da E. MENESINI, Il bullismo a scuola: sviluppi recenti, in Ras- segna dell’istruzione 2008, n. 1-2, p. 51 ss., nell’àmbito del quale si segnalano, in particolare, le opere di D. OLWEUS, Ag- gression in the school. Bullies and whipping boys, Washington DC, 1973 (trad. it. L’aggressività nella scuola. Prevaricatori e vit- time, Roma 1983); ID., Bullying at school: What we know and what we can do, Oxford (UK), Cambridge (MA, USA), 1993 (trad. it., Il bullismo, Firenze 1995); ID., Bully/victim problems in school: Facts and Intervention, in European Journal of Psycholo- gy of Education, vol. 12, n. 4, 1997, p. 495 ss.; ID., Sweden, in P. K. SMITHY. MORITAJ. JUNGER-TASD. OLWEUSR. CATALA- NOP. SLEE(a cura di), The Nature of School Bullying. A Cross- national Perspective, London, p. 7 ss. Per ulteriori riferimenti bi- bliografici v. A. SORGATO, La vittima del (cyber)bullo, cit., p. 28 s.

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scettibili di apprezzamento sul piano penalistico, occorre anzitutto rilevare l’assenza nell’ordinamen- to italiano di un’apposita fattispecie atta a punire il bullismo in quanto tale. Durante i lavori parla- mentari prodromici all’approvazione della legge n.

71 del 2017, il testo inizialmente approvato alla Camera prevedeva anche la seguente definizione di

“bullismo”: «l’aggressione o la molestia reiterate, da parte di una singola persona o di un gruppo di persone, a danno di una o più vittime, idonee a provocare in esse sentimenti di ansia, di timore, di isolamento o di emarginazione, attraverso atti o comportamenti vessatori, pressioni o violenze fisi- che o psicologiche, istigazione al suicidio o all’au- tolesionismo, minacce o ricatti, furti o danneggia- menti, offese o derisioni per ragioni di lingua, et- nia, religione, orientamento sessuale, aspetto fisico, disabilità o altre condizioni personali e sociali della vittima».

Analogamente alla definizione di cyberbullismo poi confluita nel testo definitivo, anche quella ap- pena richiamata – soppressa invece da un emenda- mento al Senato – non comportava conseguenze sul piano penale, ma, esemplificando singoli com- portamenti del bullo, ne confermava la riconduci- bilità ad un’ampia gamma di reati, offensivi di beni di varia natura: sia delitti contro la persona, richia- mati puntualmente, attraverso il nomen iuris (istiga- zione al suicidio (37), minacce), oppure implicita- mente, attraverso termini generici (come le “vio- lenze fisiche” allusive alle percosse e alle lesioni, nonché le “offese” evocative dei reati contro l’ono- re); sia delitti contro il patrimonio (“furti o dan- neggiamenti”).

Si trattava anche in questo caso di un’elencazione non esaustiva, che non includeva, ad esempio, il delitto di atti persecutori, una delle fattispecie più frequentemente perfezionate attraverso i comporta- menti in esame. In effetti, là dove l’art. 612-bis c.p.

richiede che le condotte reiterate di minaccia o di

passivo «un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria [...] ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita» (38), tale delitto, sembra attagliarsi appieno alle conse- guenze psicologiche e materiali sofferte dalle vitti- me degli episodi di bullismo in àmbito scolastico:

proprio la prostrazione psicologica causata da senti- menti persistenti di angoscia e paura, che possono sfociare persino in sindromi depressive, nonché l’e- sigenza impellente di modificare la routine quotidia- na per evitare i contatti con gli aguzzini (ad esem- pio, cambiando istituto scolastico, se non addirittu- ra luogo di residenza) sono tra le conseguenze più frequentemente lamentate dalle vittime del feno- meno in questione. Conseguenze ancor più gravi e di difficile eliminazione qualora gli atti persecutori siano perpetrati attraverso modalità informatiche, dando luogo a una tra le molteplici forme di mani- festazione penalmente rilevanti del cyberbullismo, alla cui analisi ora conviene dedicarsi.

5. Dal bullismo al cyberbullismo:

fenomenologia e tratti distintivi

Per comprendere le ragioni delle accresciute poten- zialità offensive del bullismo cibernetico ed eviden- ziarne i più significativi profili di illiceità penale, occorre in via preliminare descriverne la fenome- nologia, transitando dal piano (necessariamente) astratto delle definizioni legislative – per giunta, come detto, prive di portata incriminatrice – al piano concreto della rappresentazione casistica. A questo fine, risulta assai utile la classificazione ela- borata da uno dei più accreditati studi monografici in materia (39), a mente del quale i comportamen- ti del cyberbullo possono essere catalogati nelle se- guenti tipologie:

a) flaming: si tratta dell’invio di messaggi dal conte- nuto aggressivo, volgare, denigratorio, tra due o più contendenti, i quali innescano una battaglia

(37) La cronaca riporta diversi episodi di adolescenti morti suicidi per porre fine alle sofferenze derivanti dalle continue prevaricazioni subite dai coetanei, divenute non più tollerabili.

Sempre dalla cronaca si apprende che a seguito di tali episodi talvolta sono state condotte indagini in relazione (anche) al reato di “istigazione o aiuto al suicidio”, di cui all’art. 580 c.p.

(si veda, ad esempio, la vicenda della morte delle giovane Ca- rolina Picchio: http://www.lastampa.it/2016/07/20/edizioni/no- vara/stalking-a-carolina-lunico-maggiorenne-patteggia-un-anno- e-mesi-InaUOT4sEgJ9kzmpb1oR6O/pagina.html). Non risulta- no, tuttavia, sentenze di condanna o provvedimenti di rinvio a giudizio per tale fattispecie, la cui tipicità soggettiva dolosa ri- chiede del resto un elemento di assai ardua verificazione negli episodi di bullismo, ovvero che l’autore abbia agito con la pre-

cisa coscienza e volontà di determinare o rafforzare il proposi- to suicida della vittima.

(38) Elementi assai criticati in dottrina, in quanto di difficile interpretazione e di ancor più difficile verificazione in sede pro- cessuale: nell’impossibilità di indugiare su tali aspetti, si rinvia a G. DESIMONE, Il delitto di atti persecutori, cit., p. 132 ss.; A.M.

MAUGERI, Lo stalking tra necessità politico-criminale e promozio- ne mediatica, cit., p. 130 ss.; più in sintesi, A. VALSECCHI, Delitti contro la libertà fisica e psichica dell’individuo, in F. VIGANÒC.

PIERGALLINI(a cura di), Reati contro la persona e contro il patri- monio2, Torino 2015, p. 271 ss.

(39) N. WILLARD, Cyberbullying and cyberthreats. Responding to the challenge of on line social aggression threats and di- stress, Champaign (IL) 2007, p. 5 ss.

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traverso servizi di messaggistica, chat, bacheca di un social network ecc…). Si caratterizza per una du- rata temporale circoscritta, coincidente con la pre- senza on-line dei contendenti.

b) Harassment: consiste nell’invio di una moltitudi- ne di messaggi per via informatica o telematica a contenuto volgare, aggressivo e/o minatorio nei confronti di un individuo target. A differenza del flaming, questo fenomeno è caratterizzato dalla

“asimmetria di potere” tra il bullo (o i bulli) e la vittima, nonché dalla indipendenza delle condotte offensive dalla presenza on-line della vittima in un ambiente condiviso.

c) Denigration: risulta dalla diffusione per via infor- matica o telematica di notizie, fotografie o videori- prese, vere o artefatte (mediante fotomontaggi), ri- guardanti comportamenti o situazioni imbarazzanti che coinvolgono la vittima, con lo scopo di ridico- lizzarne l’immagine, offenderne la reputazione o violarne comunque la riservatezza. Una forma par- ticolarmente esecrabile, e al contempo assai diffu- sa, di denigration è rappresentata dal cyberashing o happy slapping, consistente nella videoripresa di atti di bullismo (percosse, insulti, coercizioni di varia natura, anche sessualmente connotate) e nella suc- cessiva diffusione del file per via informatica, sem- pre al fine di pregiudicare l’immagine della persona offesa dinanzi a un pubblico più numeroso.

d) Impersonation: si verifica quando il soggetto atti- vo si impadronisce delle chiavi di accesso ai profili di identità digitale della vittima (clandestinamente o approfittando della fiducia mal riposta di que- st’ultima) e ne approfitta per creare nocumento o imbarazzo, ad esempio inviando messaggi o pubbli- cando contenuti inopportuni, visualizzabili come se provenissero dalla vittima stessa. Lo stesso effet- to può essere conseguito mediante l’attivazione di profili digitali fasulli (indirizzi email o pagine di so- cial network), costruiti sul nome o sull’immagine del soggetto passivo.

e) Outing and trickery: consta nell’ottenimento di immagini “sensibili” della vittima, ricevute da que- st’ultima o comunque realizzate con il suo consenso (si pensi ai file a contenuto sessualmente esplicito scambiati tra i partner durante una relazione affetti- va) e alla loro successiva diffusione, questa volta

cialmente chat e social networks), col consueto ri- sultato di consentirne la visione a una vasta platea di utenti.

La letteratura ha enucleato con nitidezza le carat- teristiche distintive di questi comportamenti espli- cati nel mondo virtuale rispetto al bullismo tradi- zionale, le quali ne facilitano la commissione e ne amplificano le conseguenze offensive (40).

Quanto al primo aspetto, va sottolineato che le ag- gressioni cybernetiche prescindono dalla compre- senza fisica tra autore e vittima nel medesimo con- testo spazio-temporale, e non incontrano pertanto alcuni ostacoli tipici del bullismo off-line. Anzitut- to, nel mondo virtuale è più semplice mantenere l’anonimato e sfuggire al controllo sociale. Inoltre, se il contatto sensoriale con la vittima e con le sof- ferenze da questa patite può innescare nel soggetto attivo quel processo di empatia capace talvolta di disincentivare la reiterazione delle vessazioni, diffi- cilmente può accadere lo stesso nel mondo virtua- le, più asettico impersonale. In terzo luogo, mentre il bullismo tradizionale fa leva sulla supremazia fisi- ca e/o sociale del soggetto attivo, in rete anche in- dividui fisicamente deboli o detentori di un basso potere sociale (cioè di uno scarso consenso nel- l’ambiente di riferimento) possono assumere le ve- sti di cyberbulli (si pensi ai cc.dd. haters). Il combi- nato disposto di questi fattori ha dunque l’effetto di ampliare il novero dei potenziali autori di bulli- smo virtuale, includendovi soggetti privi dei requi- siti per “essere bulli” nel mondo reale.

Quanto al secondo aspetto, riguardante la maggio- re potenzialità offensiva della versione cybernetica del bullismo, sia sufficiente segnalare due profili:

anzitutto, la persecuzione virtuale non si arresta nel momento in cui la vittima abbandona il luogo sociale condiviso con i bulli – in specie, il contesto scolastico – ma prosegue senza sosta nell’epoca del- la “perenne connessione”, ove il reale e il virtuale si confondono, almeno nella prospettiva esistenzia- le dei cc.dd. “nativi digitali” (41); in secondo luo- go, immediatamente dopo la immissione in rete anche l’autore della pubblicazione perde il control- lo sulla circolazione dei contenuti offensivi (insul- ti, notizie riservate, immagini sensibili, ecc…), i quali diventano fruibili per un pubblico potenzial-

(40) Cfr. ancora N. WILLARD, Cyberbullying and cyberthreats.

Responding to the challenge of on line social aggression threats and distress, cit., p. 73 ss.; più in sintesi, L. PISANOM. E., SA- TURNO, Le prepotenze che non terminano mai, in Psicologia Con- temporanea 2008, p. 40 ss.; M. L. YBARRAK. J. MITCHELL, Youth engaging in on line harassment: associations with caregiver–-

child relationships, Internet use, and personal characteristics, in Journal of Adolescence, vol. 27, 2004, p. 319 ss. v. Per ulteriori riferimenti bibliografici v. M. ALOVISIO, Il cyberbullismo, la sua definizione e i “gestori del sito”, cit., p. 8 e ivi, note 3-4.

(41) In argomento v., per tutti, G. RIVA, Nativi digitali: cresce- re e apprendere nel mondo dei nuovi media, Bologna 2014.

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le ripercussioni dannose.

6. I molteplici aspetti penalmente rilevanti del bullismo virtuale

Se si tiene a mente l’ampio inventario delle con- dotte coperte dallo spettro semantico del termine

“cyberbullismo”, ben si comprende come il tentati- vo di formulare un’apposita omnicomprensiva fatti- specie incriminatrice sconterebbe difficoltà insor- montabili, finendo per dibattersi tra soluzioni op- poste altrettanto indesiderabili: una formulazione unitaria necessariamente ed eccessivamente vaga, oppure una norma-catalogo a più fattispecie, de- scrittiva di condotte eterogenee, dotate di coeffi- cienti offensivi assai variabili.

Per tali ragioni, bene ha fatto il legislatore della novella a non cimentarsi in questo tentativo, la- sciando all’interprete il compito di individuare le fattispecie vigenti di volta in volta applicabili ai singoli episodi (42), il complesso delle quali non sembra partorire vuoti di tutela significativi (43).

Una panoramica ragionata di queste fattispecie può essere scandita seguendo questa tripartizione:

a)le fattispecie applicabili al “cyberbullismo im- proprio”, che si verifica quando un episodio di bul- lismo off-line già di per se penalmente rilevante viene documentato da immagini o riprese, la cui successi- va diffusione in rete si colora di ulteriori sfumature penalmente illecite (es. videoripresa delle percosse inferte alla vittima e successiva divulgazione); b) le fattispecie applicabili al “cyberbullismo proprio”, caratterizzato da condotte vessatorie perpetrate ab originenel mondo digitale, e punite sovente in mo- do aggravato rispetto alle omologhe condotte, an- ch’esse penalmente rilevanti, realizzabili nel mon- do reale (ad es. diffamazione on-line versus diffama-

“cyberbullismo ibrido”, caratterizzato dal fatto che le immagini digitali di un episodio della vita reale ex se penalmente irrilevantevengono immesse in re- te, con conseguente assunzione di rilevanza penale della stessa condotta di diffusione (es. pubblicazione non autorizzata di videoriprese di per se lecite, in quanto realizzate col consenso della vittima).

Quanto al “cyberbullismo improprio”, si pensi ai casi di cyberashing o happy slapping (45), nei quali determinate condotte già punibili come percosse, lesioni, ingiurie o minacce (46) vengono filmate e condivise in chat oppure immesse in rete, con l’ef- fetto ulteriormente pregiudizievole di rendere visi- bili le umiliazioni sofferte dalla vittima a un pub- blico potenzialmente sconfinato (47).

Condotte del genere risultano riconducibili a due distinte fattispecie.

In primo luogo, il delitto di diffamazione (art. 595 c.p.), effettivamente richiamato dalla legge n. 71 del 2017, il quale come risaputo punisce l’offesa ar- recata all’altrui reputazione mediante comunicazio- ne effettuata a più persone. Da un lato, non v’è dubbio che la diffusione delle immagini raffiguranti gli episodi nei quali la vittima viene vessata e ridi- colizzata sia lesiva della reputazione di quest’ulti- ma (48). Dall’altro lato, è altrettanto certo che tale diffusione rappresenti una “comunicazione” a più destinatari; anzi, alle ipotesi in esame risulta pure applicabile l’aggravante contemplata dal comma 3 dell’art. 595 c.p., che prevede un considerevole au- mento di pena (49), qualora il fatto sia commesso

«col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità». Con riferimento alla pubblicazione di espressioni offensive mediante il più noto social network, la Cassazione ha infatti ritenuto che «la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso

(42) È appena il caso di ricordare che qualora le condotte in questione siano commesse da minorenni, come il più delle vol- te accade, trovano applicazione gli artt. 97-98 c.p. in materia di minore età quale causa di esclusione o riduzione dell’impu- tabilità: più precisamente, mentre il primo articolo sancisce la presunzione assoluta di incapacità di intendere e volere dell’in- fraquattordicenne, il secondo articolo prevede che la capacità del minore che al momento del fatto abbia compiuto i quattor- dici anni debba essere valutata dal giudice caso per caso, e di- spone comunque una riduzione della pena in caso di esito po- sitivo dell’accertamento. In argomento cfr., per tutti, M. BERTO- LINO, I l reo e la persona offesa. Il diritto penale minorile, in Trat- tato di diritto penale. Parte generale, diretto da C.F. GROSSOT.

PADOVANIA. PAGLIARO, tomo I, Milano 2009, p. 124 ss.

(43) Salvo quanto verrà precisato in seguito, in relazione al- le particolari ipotesi di c.d. sexting secondario [cfr., infra, lett.

c) in questo paragrafo].

(44) La distinzione tra cyberbullismo proprio e improprio è suggerita da F. DESALVATORE, Bullismo e cyberbulling, dal reale

al virtuale tra media e new media, in Minorigiustizia 2012, n.4, p. 97.

(45) Cfr., supra, par. 5.

(46) Cfr., supra, par. 3.

(47) A questo proposito, va rammentato il tristemente noto caso giudiziario Google vs Vividown, innescato dalla pubblica- zione su Google video di un filmato che ritraeva un minorenne disabile aggredito e mortificato da alcuni compagni all’interno delle mura scolastiche; in argomento v. A. INGRASSIA, La senten- za della Cassazione sul caso Google, in D. pen. contemporaneo (rivista on-line), 6 febbraio 2014.

(48) Per ulteriori approfondimenti sulla reputazione quale bene giuridico leso dalla diffamazione v. F. MANTOVANI, D iritto penale. Delitti contro la persona, Padova 2016, p. 206 ss.

(49) Mentre la diffamazione semplice è punita con la reclu- sione fino a un anno (o con la multa fino a € 1032), l’ipotesi aggravata è punita con la reclusione da sei mesi a tre anni (o con una multa di importo assai superiore).

(11)

di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma 3, c.p., sotto il profilo dell’offesa arrecata

“con qualsiasi altro mezzo di pubblicità diverso dal- la stampa”, poiché la condotta in tal modo realizza- ta è potenzialmente capace di raggiungere un nu- mero indeterminato, o comunque quantitativa- mente apprezzabile, di persone» (50). Questa rico- struzione non può che applicarsi anche alla diffu- sione in rete di contenuti diffamatori con sistemi alternativi ai social network, ma altrettanto idonei a consentirne la visione a una molteplicità di utenti:

si pensi ai servizi di video sharing (come l’assai diffu- so youtube), ovvero ai servizi di messaggistica istan- tanea che permettono la condivisione di file tra tutti gli iscritti alla medesima chat collettiva (come i “gruppi” attivabili mediante il popolare servizio whatsapp).

In secondo luogo, il delitto di trattamento illecito dei dati personali, anch’esso evocato dalla legge n. 71 del 2017, il cui richiamo va inteso in particolare all’art. 167, comma 1 del già citato d. legisl. n. 196 del 2003 (c.d. “codice della privacy”), il quale puni- sce «chiunque, al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali» in violazione di una pluralità di disposizioni del codice stesso, ivi inclu- so l’art. 23, che impone l’obbligo del consenso del ti- tolare dei dati(51). Il fatto è punibile qualora ne de-

ste nella “comunicazione o diffusione” dei dati, la pena è più elevata (52).

A conferma dell’applicabilità della fattispecie in esame all’ipotesi di divulgazione non acconsentita dei file che rappresentano gli atti di bullismo siano sufficienti osservazioni telegrafiche: l’immagine dell’individuo è senz’altro un dato personale (53);

l’immissione di scatti o videoriprese in ambiente informatico integra sempre, in alternativa, le con- dotte di “comunicazione” o di “diffusione” (54); ta- le condotta determina altresì un apprezzabile “no- cumento” per il soggetto passivo, in ragione del pregiudizio arrecato (quanto meno) alla riservatez- za della sua immagine (55); sotto il profilo psicolo- gico, lo scopo di “arrecare ad altri un danno” inglo- ba senz’altro l’intento di ridicolizzare la vittima di- nanzi a una platea più vasta, che tipicamente ani- ma l’autore della divulgazione (56).

b)Quanto al “cyberbullismo proprio”, si tratta della categoria che comprende la maggior parte delle for- me di bullismo cibernetico in precedenza descritte.

Vi rientrano, ad esempio, gli episodi di flaming e di harassment(57), ovvero le aggressioni verbali per- petrate col mezzo informatico, le quali possono dar luogo a una pluralità di illeciti: l’ingiuria – come ricordato non più penalmente rilevante – nell’ipo- tesi di insulti comunicati alla sola vittima (ad es.

via sms); la diffamazione aggravata, nell’ipotesi di

(50) Cass. pen., sez. V, 1° febbraio 2017, n. 4873; nello stesso senso Cass. pen., sez. I, 8 giugno 2015, n. 24431. È dubbia l’applicabilità dell’aggravante in parola qualora il mes- saggio diffamatorio sia pubblicato su profilo di social network

chiuso”, ovvero visualizzabile solamente dalla cerchia ristretta e determinata – per quanto numerosa – di utenti “accettati” in qualità di propri contatti dall’autore della pubblicazione, e non invece dalla pluralità indeterminata di utenti iscritti al medesi- mo servizio (in senso affermativo v. V. PEZZELLA, L a diffamazio- ne, Milano 2016, p. 654 ss.).

(51) La violazione delle ulteriori regole richiamate dal com- ma 1 dell’articolo in esame, così come di quelle menzionate dalla più grave fattispecie di cui al comma 2, alludono invece a ipotesi che non rilevano in questa sede. In argomento cfr., amplius, S. DELCORSO, sub art. 167, in C.M. BIANCAF.D. BU- SNELLI(a cura di), L a protezione dei dati personali. Commentario al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice della privacy), Padova 2007, tomo I, p. 2055 ss.

(52) Ovvero la reclusione da sei a ventiquattro mesi, invece che da sei a diciotto mesi.

(53) È lo stesso Garante per la protezione dei dati personali a chiarirlo, nel Glossario pubblicato sul sito istituzionale (http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/doc- web-display/docweb/1663787), alla voce Dato personale.

(54) Più precisamente, ai sensi dell’art. 4 del codice privacy è “comunicazione” [lett. l)] «il dare conoscenza dei dati perso- nali a uno o più soggetti determinati diversi dall’interessato […] in qualunque forma, anche mediante la loro messa a di- sposizione o consultazione»; è invece “diffusione” [lett. m)] «il dare conoscenza dei dati personali a soggetti indeterminati, in

qualunque forma, anche mediante la loro messa a disposizio- ne o consultazione». Pertanto, a seconda che il mezzo utilizza- to consenta o meno di delimitare la platea dei destinatari ca- paci di visualizzare i contenuti del messaggio ricorrerà, rispetti- vamente, la “comunicazione” ovvero la “diffusione”.

(55) Sull’interpretazione assai ampia del concetto di “nocu- mento”, suscettibile di abbracciare «qualsiasi effetto pregiudi- zievole che possa conseguire alla arbitraria condotta invasiva altrui”, ivi inclusa la semplice “lesione del diritto alla riservatez- za dell’immagine», v. Cass. pen., sez. III, 8 ottobre 2015, n.

40356.

(56) Restano da chiarire quali siano gli effetti della clausola di riserva (“Salvo che il fatto costituisca più grave reato”) con cui la fattispecie in esame esordisce, nelle ipotesi in cui i con- tenuti diffusi per via informatica ledano anche la reputazione della vittima, dando luogo altresì al reato di diffamazione ag- gravata, punibile con pena massima in astratto più elevata (tre anni di reclusione, sebbene alternativa alla multa). Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che in presenza di tale clausola «la maggiore o minore gravità dei reati concor- renti va valutata avendo riguardo alla pena in concreto irroga- bile, tenuto anche conto delle circostanze ritenute e dell’even- tuale bilanciamento tra esse» (Cass. pen., sez. II, 7 luglio 2013, n. 36365, la quale nel caso di specie ha escluso proprio l’as- sorbimento del reato di trattamento illecito di dati personali nel reato concorrente di diffamazione, ritenuto in concreto me- no grave; ammette il concorso tra i due reati in parola anche Cass. pen., sez. V, 6 agosto 2015, n. 34406).

(57) Cfr., supra, par. 5, lett. a) e b).

(12)

una pluralità di utenti (ad es. via social network o chat di gruppo); la minaccia, punita ai sensi del- l’art. 612 c.p.; in casi limite, gli atti persecutori, qualora l’invio di messaggi oltraggiosi e/o minatori assuma tale insistenza e aggressività da cagionare alla vittima le conseguenze tipiche descritte all’art.

612-bis c.p. (58).

Alla diffamazione aggravata risultano riconducibili anche le ipotesi di denigration, che si verificano, co- me anticipato (59), allorquando il cyberbullo, anzi- ché aggredire la vittima mediante espressioni of- fensive, leda la sua reputazione diffondendo conte- nuti ridicolizzanti sul web o via chat.

Con riferimento, infine, ai casi di impersona- tion(60) vengono in rilievo due distinte fattispecie.

In primo luogo, la condotta di chi si introduca sen- za consenso in un profilo digitale altrui (casella emailo pagina di social network) protetto da chiavi d’accesso, attraverso la decodificazione o il “furto”

della password (61), perfeziona di per se il reato di

“accesso abusivo a un sistema informatico” (art.

615-ter c.p.) (62), a prescindere da qualsivoglia successivo utilizzo del profilo medesimo. In secon- do luogo, l’utilizzo indebito della identità digitale altrui è suscettibile di integrare il reato di “sostitu- zione di persona” (art. 494 c.p.), consistente nel fatto di chi «al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce ta- luno in errore, sostituendo illegittimamente la pro- pria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome». La prima ipotesi (sostituzione del- la propria all’altrui persona) sussume il caso dell’u-

l’interno del quale l’autore sia entrato abusivamen- te, o si sia mantenuto contro la volontà del titola- re. Alla seconda ipotesi (attribuzione a sé o ad altri di un falso nome) è invece riconducibile la creazio- ne di un profilo fasullo, attivato utilizzando illegit- timamente il nome o l’immagine della vitti- ma (63). Quanto al dolo specifico richiesto dalla norma in esame, si è detto come il più delle volte l’autore di tali condotte persegua esattamente l’in- tento di arrecare pregiudizio alla vittima pubbli- cando contenuti inopportuni una volta assunta l’i- dentità virtuale di quest’ultima (64).

c)Quanto infine al “cyberbullismo ibrido”, occorre esaminare i profili di illiceità delle condotte di ou- ting and trickery, che consistono, come ricorda- to (65), nella diffusione non autorizzata per via in- formatica di immagini “sensibili” della vittima (specie sessualmente connotate) (66).

A questo proposito, va tracciata una netta linea di demarcazione tra l’ipotesi in cui i contenuti digitali a sfondo erotico divulgati in rete siano stati inizial- menterealizzati con il consenso del soggetto passivo e l’ipotesi in cui tale consenso invece sia mancato.

Quanto alla prima ipotesi, è bene chiarire che la rea- lizzazione consensuale di materiale pornografico non integra alcuna fattispecie di reato e che in que- sto spazio di liceità – con le precisazioni in seguito fornite – ricadono anche i casi in cui siano coinvolte persone minorenni. Difatti, nel punire la produzione di materiale pedopornografico (67), l’art. 600-ter, com- ma 1, n. 1, c.p. richiede che il fatto sia avvenuto

«utilizzando minori degli anni diciotto»: secondo la

(58) Cfr., supra, par. 4. Si rammenta la ricorrenza, in tal ca- so, dell’aggravante sancita dall’art. 612-bis, comma 2, c.p., ap- plicabile agli atti persecutori commessi «attraverso strumenti informatici o telematici».

(59) Cfr., supra, par. 5, lett. c).

(60) Cfr., supra, par. 5, lett. d).

(61) Nonché la condotta di chi, dopo aver effettuato un ac- cesso autorizzato, si mantenga nel profilo digitale altrui contro la volontà del titolare.

(62) Il quale punisce con la reclusione fino a tre anni, per l’appunto, «chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovve- ro vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo». In argomento v., per tutti, R. FLOR, Verso una rivalutazione dell’art. 615-ter c.p.? Il reato di accesso abusi- vo a sistemi informatici o telematici fra la tutela di tradizionali e di nuovi diritti fondamentali nell’era di Internet, in Dir. pen. cont.

– R. trim. 2012, n. 2, p. 126 ss.

(63) Per approfondimenti sul punto v. G.B. GALLUSF.P. MI- COZZI, Le fattispecie di reato rilevanti in tema di cyberbullismo, in Il Cyberbullismo alla luce della legge 29 maggio 2017, n.

71, cit., p. 87 ss.

(64) A titolo di esempio, v. Cass. pen., sez. V, 16 giugno 2014, n. 25774, ove si è ritenuta applicabile la fattispecie in questione al caso di creazione di un finto profilo facebook re-

cante l’immagine della persona offesa, e successiva interazio- ne con altri utenti in modo da creare imbarazzo.

(65) Cfr., supra, par. 5, lett. e).

(66) La cronaca testimonia come il senso di vergogna deri- vante dalla pubblicazione sul web di immagini o videoclip ri- guardanti gli aspetti più intimi della vita privata abbia talvolta indotto le vittime a togliersi la vita. Oltre all’episodio già men- zionato (cfr., supra, nota 37), se ne può segnalare un altro ri- guardante una giovane donna morta suicida a seguito della diffusione incontrollata di un video a luci rosse; sempre da no- tizie di stampa, si apprende della richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero nel relativo procedimento pe- nale instaurato in relazione all’ipotesi di istigazione al suicidio (http://www.ansa.it/campania/notizie/2017/09/11/caso-tiziana- cantone-procura-chiede-archiviazione_a42e853b-deaf-4bd4- a062-5b7cfd91b7f6.html, consultato in data 12 settembre 2017).

(67) Ai sensi del comma 7 dell’art. 600-ter c.p., aggiunto dalla l. 1° ottobre 2012, n. 172, «per pornografia minorile si in- tende ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un mi- nore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali»; sul punto v. F. MANTOVANI, Diritto penale. Delitti contro la persona, cit., p. 467 ss.

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