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N. R.G. 33/2015

IL TRIBUNALE ORDINARIO DI TRIESTE Sommari Cognizione

Il Tribunale in composizione monocratica, in persona del giudice dott.ssa Monica Pacilio, nel procedimento ex art. 702 bis e ss. c.p.c. promosso da XXXXXXXXXXXXXXX con l’avv.

ALPAGOTTI CLAUDIA per l’impugnazione del provvedimento pronunciato il 01.12.2014 dalla COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI GORIZIA;

sciogliendo al riserva assunta all’udienza del 12.01.2016 ha pronunciato la seguente

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ORDINANZA IL CONTESTO NORMATIVO.

Prima di passare all’esame specifico dell’impugnazione giova rammentare che la protezione internazionale si articola in due distinte forme: il riconoscimento dello status di rifugiato politico e la protezione sussidiaria.

Ai sensi dall'art. 2 del D.L.vo 19.11.2007 n. 251, conformemente alla Convenzione sullo status dei rifugiati firmata a Ginevra il 28.7.1951 e ratificata con L. 24.7.1954 n. 722, rifugiato è il cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori del paese di cui ha la cittadinanza e non può o non vuole avvalersi della protezione di tale Paese.

I motivi di persecuzione (art. 8) devono essere individuati con riferimento alle seguenti ipotesi: a) razza, con particolar riguardo al colore della pelle, discendenza o appartenenza a un determinato gruppo etnico; b) religione; c) nazionalità, intesa in senso ampio come appartenenza a un gruppo caratterizzato da un'identità culturale, etnica o linguistica, comuni origini geografiche o politiche o la sua affinità con la popolazione di altro stato; d) particolare gruppo sociale, costituito da membri che condividono una caratteristica innata o una storia

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comune; e) opinione politica, cioè professione di un'opinione, un pensiero o una convinzione su una questione inerente ai potenziali persecutori e alle loro politiche o metodi, indipendentemente dalla traduzione di tale professione in atti concreti.

E' invece persona ammissibile alla protezione sussidiaria il "cittadino di un Paese non appartenente all'Unione Europea o apolide che non possiede i requisiti per essere rifugiato, ma nei cui confronti sussistano fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese d'origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dall'art. 14 del decreto legislativo 19 novembre 2007 n. 251, e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole, avvalersi della protezione di detto Paese" (così l’art. 2 lett. g D. Lgs. 251/2007).

Secondo l’art. 14 "sono considerati danni gravi: a) la condanna a morte o all'esecuzione della pena di morte; b) la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine; c) la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale".

Ai sensi degli artt. 5 e 7 del medesimo D.L.vo, ai fini della valutazione della domanda di protezione internazionale, gli atti di persecuzione paventati debbono essere sufficientemente gravi, per natura o frequenza, da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, potendo assumere, tra le altre, la forma di atti di violenza fisica o psichica, di provvedimenti legislativi, amministrativi e giudiziari discriminatori; responsabili della persecuzione o del danno grave debbono essere lo Stato, partiti od organizzazioni che controllano lo Stato od una parte consistente del suo territorio, soggetti non statuali, se i soggetti sopra citati, comprese le organizzazioni internazionali, non possono o non vogliono fornire protezione.

La Corte di Giustizia europea, ma anche la Corte di Cassazione, con la sentenza del 17 febbraio 2009, pronunciata nel procedimento C-465/07, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte ai sensi degli articoli 68 CE e 234 CE, ha avuto modo di specificare quale debba essere il grado di individualizzazione del rischio della minaccia alla vita o alla persona nell’ipotesi della violenza indiscriminata descritta dall’art. 15, lett. c), della direttiva 2004/83/CE (corrispondente a quella prevista dall’art. 14 lett. c) De. Lgs.

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251/2007. Essa ha affermato che l'esistenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria non è subordinata alla condizione che quest'ultimo fornisca la prova di essere specifico oggetto di minacce a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale e che 1'esistenza di una siffatta minaccia può essere considerata, “in via eccezionale”, provata qualora il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso raggiungono un livello così elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che un civile, entrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire la detta minaccia.

Deve infine rilevarsi, quanto al giudizio di impugnazione della Commissione Territoriale, che eventuali vizi di legittimità del provvedimento, compresi quelli di motivazione, non determinano di per sé l’annullamento dell’atto, poiché il sindacato del giudice è sul rapporto e non sull’atto.

L’ESAME DEL CASO DI SPECIE.

I. Il ricorrente, cittadino guineano di etnia fula e religione mussulmana, ha domandato la protezione internazionale, affermando di essere stato costretto a scappare dal proprio paese in quanto avrebbe perso ogni tipo di legame e aiuto familiare e per la generale situazione di instabilità socio-politica del paese. In sintesi, ha riferito che i suoi amici e familiari sarebbero stati uccisi dai militari del suo paese; in particolare, sua madre e suo padre sarebbero morti quando lui era piccolo. Inoltre, in occasione delle elezioni presidenziali, si sarebbero verificati tumulti nel paese e delle persone avrebbero fatto irruzione nella sua casa, commettendo violenze fisiche su di lui e sui suoi parenti. A seguito di tali episodi il ricorrente sarebbe partito per il Mali, dove avrebbe trovato un lavoro come calzolaio per alcuni mesi. Infine, ha narrato di essere fuggito fino ad arrivare in Libia e successivamente in Italia.

II. La Commissione ha rigettato la domanda, non reputando credibili i fatti riferiti dal ricorrente e riconducendo i motivi della fuga del ricorrente alla ricerca di migliori condizioni economiche e di vita.

III. Avverso la decisione negativa il ricorrente ha proposto impugnazione, sostenendo in particolare che la Commissione non avrebbe tenuto conto della storia personale che lo ha interessato e del pericoloso contesto socio-politico di provenienza.

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IV. Con comparsa depositata il 30.10.2015 si è costituita la Commissione, che ha chiesto la conferma del provvedimento impugnato.

V. Tanto premesso sui fatti di causa, deve osservarsi che le vicende personali narrate dal ricorrente appaiono incomplete e difficilmente credibili. Vanno condivise le considerazioni svolte dalla Commissione Territoriale di Gorizia con comparsa depositata il 30 ottobre 2015, con particolare riferimento alla assoluta vaghezza del ricorrente nella descrizione delle persone che lo avrebbero perseguitato (appare poco plausibile che il ricorrente sia stato vittima di persecuzioni in occasione delle elezioni presidenziali, essendo all’epoca minorenne) e agli stessi episodi di persecuzione narrati (si pensi alla morte dei suoi familiari ad opera dei militari, priva di giustificazione da parte del ricorrente).

In ogni caso, anche nell’ipotesi in cui i fatti narrati dal ricorrente fossero da ritenere credibili, non sussisterebbero le condizioni per riconoscere la protezione intemazionale, in quanto la sua fuga dal Paese di origine appare in ogni caso riconducibile a motivi economici, alla grave situazione di povertà e solitudine in cui il ricorrente si sarebbe trovato. Peraltro, alla domanda della Commissione di illustrare cosa gli accadrebbe se facesse ritorno in patria, ha dichiarato che in caso di rimpatrio non avrebbe un posto stabile ove poter vivere, ma non ha fatto riferimento al rischio di ulteriori persecuzioni. Dunque, è da ritenere esclusa la possibilità che in caso di rimpatrio il ricorrente possa essere esposto a rischi per l’incolumità personale. A conferma di ciò, infine, va detto che il ricorrente - a seguito degli episodi di violenza subiti - ha fatto ritorno a Labè, ove ha vissuto per alcuni anni, senza aver subito nuove minacce alla sua incolumità.

Infine, poiché viene allegato a suffragio della domanda di protezione intemazionale la difficile situazione politica e sociale della Guinea, caratterizzata in effetti dallo scontro politico ed etnico tra varie fazioni e dalla violazione dei diritti umani anche da parte delle autorità governative (informazioni acquisite d’ufficio sulla situazione politica e sociale della Guinea reperibili da fonti di organizzazioni non governative quali Amnesty International, Human Right Watch, svariati quotidiani), deve osservarsi che tali considerazioni, pur veritiere, non possono di per sé giustificare la protezione intemazionale ad ogni cittadino guineano, a prescindere dalla considerazione delle sue vicende personali e dall’esistenza di un concreto e attuale pericolo per l’incolumità personale, senza la prova di un minimo grado di individualizzazione

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del rischio. E pur vero la Corte di Giustizia Europea ha affermato che si può del tutto prescindere dalla personalizzazione del rischio in taluni casi, ma, come già sottolineato sopra, ha anche puntualizzato che ciò può accadere solo in ipotesi “eccezionali”, e, segnatamente, quando il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso (giustificante la protezione sussidiaria) raggiunge un livello così elevato da far ritener che un civile, entrato nel paese in questione (o, se del caso, nella regione in questione), correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire la detta minaccia (cfr.

procedimento C-465/07), ipotesi che non sembra ricorrere in Guinea. Va detto che l’attuale governo del Presidente Alpha Condè, insediato a seguito delle ultime elezioni parlamentari, sta facendo progressi nell’affrontare i problemi etnico-politici e di diritti umani che hanno caratterizzato la situazione del paese per lungo tempo, così come sta affrontando gli episodi di violenza accaduti nel passato cercando di individuare i responsabili (ciò vale anche per il massacro di manifestanti non armati del 28 settembre 2009) (https://www.hrw.org/africa/guinea); si tratta dunque di una situazione di miglioramento generalizzato delle condizioni che per anni hanno negativamente afflitto la Guinea.

In definitiva, non possono ritenersi configurabili i presupposti posti a fondamento del riconoscimento dello stato di rifugiato, né della protezione sussidiaria.

VI. Non si ravvisano, infine, nelle questioni di natura personale riferite dal richiedente i motivi umanitari suscettibili di giustificare la concessione di un permesso di soggiorno ai sensi dell*art. 5, comma 4, d.lgs. 286/1998.

VII. In considerazione della natura della controversia, si ritiene sussistano giusti motivi per dichiarare interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

- rigetta il ricorso proposto da XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX;

- dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio.

Trieste, 26/01/2016

Il Giudice dott.ssa Monica PACILIO

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