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Relazione paesaggistica

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Academic year: 2022

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(1)

COMUNE DI VILLA COLLEMANDINA

Cava “TRE VALLI”

(Soc. Apuana Marmi)

Piano di Coltivazione

Relazione paesaggistica

(ai sensi del D.lgs. 42/04)

Valutazione paesaggistica

(ai sensi del PIT-PPR 2015)

INDICE

0-BREVEDESCRIZIONEDELPROGETTOEREGIMEVINCOLISTICO. PAG 2

1- DESCRIZIONEDEICARATTERIPAESAGGISTICI, DELCONTESTOPAESAGGISTICOE DELL'AREAD'INTERVENTO. PAG 7

2- ASPETTIECOLOGICIENATURALISTICI PAG 10

3 IL PIT PAG 22

4- ANALISI DEL TESSUTO URBANISTICO, EVENTUALI INTRUSIONI RIDUZIONI, DESTRUTTURAZIONI, INTERRUZIONI

DELLACONTINUITÀPAESAGGISTICA (PERCETTIVA) EDECOLOGICA, INTRUSIONINELSISTEMAPAESAGGISTICO. PAG 24

5- VISIBILITÀDELSITO. PAG 25

6-EVOLUZIONEDELPAESAGGIO PAG 26

7-ANALISIDEGLIELEMENTIDIDEGRADO PAG 29

8-ELEMENTIDIMITIGAZIONEECOMPENSAZIONE. PAG 29

Lucca, marzo 2020 Il tecnico incaricato

Dr. Agr. Francesco Lunardini

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Su incarico delle Società Apuana Marmi., viene redatto lo Studio paesaggistico relativo alla richiesta di Piano di Coltivazione, della Cava Tre Valli in Comune di Villa Collemandina in frazionne Sassorosso, il sottoscritto Dott. Francesco Lunardini agronomo paesaggista con studio in Lucca, via della Cavallerizza 37, tel. 328-66 58 250 iscritto all’Albo dei Dottori Agronomi della Provincia di Lucca al n. 379, socio dell'Associazione Italiana di Architettura del Paesaggio (AIAPP) N. 574, ha condotto una serie di studi di carattere paesaggistico, ambientale, agrosilvocolturale e naturalistici al fine individuare i caratteri del paesaggio in cui la cava in esame si inserisce per redigere la seguente

Relazione Paesaggistica e Valutazione Paesaggistica

redatta secondo i disposti del DPCM 12/12/2005 e del PIT-PPR 2015 e articolata nel seguente modo:

0-B

REVEDESCRIZIONE DEL PROGETTO

. (D

CPM

12/2005-P

IT

-P

PR

)

REGIME VINCOLISTICO

La cava oggetto del presente Piano di Coltivazione è ubicata nei pressi della Loc. Tre Valli-Forcone nella frazione di Sassorosso Comune di Villa Collemandina.

L’area di cava è raggiungibile percorrendo (a scendere) i 700m di strada sterrata già esistente che parte da Sassorosso.

Come meglio identificato alla Tav.2 “Planimetria catastale” allegata, il sito estrattivo denominato “Tre Valli” è identificato al N.C.T. del Comune di Villa Collemandina ai mappali nº 3250 e 3077 del foglio nº 18 Sez. B.

Secondo i vigenti strumenti urbanistci la zona è destinata ad “area di cava esistente” come da P.d. F. comunale adottato.

Le aree sono in disponibilità in virtù di titolo di proprietà e/o affitto.

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Stato attuale

La cava è oggi interessata dalle lavorazioni che si svolgono solamente a cielo aperto, mentre il sotterraneo non è più interessato dalle lavorazioni di estrazione della pietra vera e propria, ma viene utilizzato solo come deposito temporaneo o per accumulo delle acque recuperate come meglio descritto nella relazione di dettaglio del piano di gestione e mitigazione delle AMD. Ad oggi le lavorazioni si svolgono secondo i limiti e le direzioni previste nel progetto autorizzato.

Come si può vedere dalla Tav. 3 (planimetria Attuale) le coltivazioni riguardano il piano di quota ca. 816 m ca. I piazzali alle quote superiori (819 m ca. e 826,20 m ca.) sono raggiungibili attraverso delle rampe interne formate con materiale detritico ricavato durante i tagli. Gli sbassi saranno portati nelle direzioni previste dal progetto sino alla parete e verranno lasciati in posto dei gradoni di spessori idoneo a garantire la stabilità. L’area adibita al ricovero addetti, insieme al generatore utilizzato per alimentare elettricamente i servizi di cava, è ubicata alla quota 845 m ca., mentre 4 m ca. più in basso è situata l’area impianti (cisterna di gasolio).

Lavori di progetto

Le lavorazioni di progetto riguarderanno sia i cantieri a cielo aperto, che rappresenteranno la continuazione delle attuali lavorazioni, sia il cantiere sotterraneo che verrà aperto alla quota finale di ca. 798 m ca.

Per quanto riguarda il cantiere a cielo aperto, le lavorazioni prevederanno l’avanzamento degli bassi di quota ca.

826-819-812-805 e 798 m ca in direzione N-S lasciando dei gradoni di opportuno spessore di materiale. Anche le lavorazioni nel sotterraneo attuale si svolgeranno con le stesse modalità e tecniche attualmente in uso, precisando che il sotterraneo attuale sarà abbandonato non appena completato lo sbasso di quota 826 già autorizzato. Tali lavorazioni, inserite graficamente nelle tavole di progetto, si prevede che possano però essere completate già durante il presente iter autorizzativo.

La strada di accesso alle quote inferiori di progetto partirà dal tornate di quota ca. 832 m ca. e raggiungerà le varie quote di progetto attraverso una serie di tornanti, in particolare la quota finale di 798 m ca. sarà raggiunta eseguendo dei tornanti alle quote di 820 m, 810 m e 800 m ca. (vedi Tav.6 – dettaglio strada) appoggiati su substrato roccioso. In direzione S, in corrispondenza dell’ingresso della galleria, verrà lasciato un volume maggiore di materiale in posto, al fine di poter preparare il giusto appoggio per l’ingresso in galleria. La galleria avrà un’altezza di ca. 6 m e avanzerà in direzione sia W e che E, seguendo le direzioni dell’attuale galleria.

Volumi e tempi delle operazioni previste

Nella tabella successiva sono presenti le volumetrie di scavo (ca. 60.000 mc) e i tempi previsti al completamento delle lavorazioni.

Sulla volumetria di scavo di coltivazione è lecito attendersi una ragionevole resa di materiale di almeno ca. il 30%

classificabile come blocchi, semiblocchi o uniformi per complessivi mc 18.000 ca. (vedasi tabella), ovvero ca.

2.430 t annue medie di lapideo ornamentale in entrambe le fasi di progetto.

Cava “Tre Valli” - Volumetrie di coltivazione utili Scavo

(mc)

Utili (mc)

Utili (t)

Derivati di taglio (mc)

Durata (anni)

Fase Intermedia 30.000 9.000 24.300 21.000 10

Fase Finale 30.000 9.000 24.300 21.000 10

Totali 60.000 18.000 48.600 42.000 10

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I tempi debbono altresì intendersi come orientativi. Per poter quantificare il transito medio di automezzi bisogna ricorrere alla quantità di materiale commerciale estratto annualmente stimabile in ca. 2.430 t/anno in cifra tonda.

Considerando un carico medio di 28-30 t per camion si ottiene circa 81 passaggi all’anno che, in 180 giorni lavorativi effettivi, comportano circa 1 passaggio ogni due giorni lavorativi. A questi si sommano i circa 189 viaggi per l’asportazione del detrito, ovvero un ulteriore viaggio giornaliero per il trasporto del derivato di taglio detritico.

Quindi, con massimo due viaggi giornalieri sarà possibile trasportare tutto il materiale scavato (detrito più blocco commerciabile). A questi, si devono aggiungere i viaggi per l’asportazione del detrito (ravaneto) necessaria per la costruzione della strada di progetto per i primi 12 anni di delle lavorazioni. Il detrito che si trova al di sopra del substrato è stimato intorno ai 23.000 mc e quindi saranno necessari ca. 2.070 viaggi in totale per l’asportazione dell’intero ravaneto. Considerando sempre 180 giorni lavorativi all’anno e che l’asportazione riguarderà i primi 12 anni della coltivazioni di progetto abbiamo ca. 1 passaggio ogni giorno lavorativo.

Vincolo idrogeologico

proprietà catastale area estrattiva RD 3267/1923 LR 39/2000

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Vincoli paesaggistici

(Dlgs 42/2004; PIT-PPR)

Lett g) i territori coperti da boschi e foreste; lett c) i fiumi, itorrenti e i corsi d'acqua

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Rapporto tra la cava e i siti protetti

ZPS Pania di Corfino

ZSCParco dell'Orecchiella, Pania di Corfino Lamarossa

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1-D

ESCRIZIONE DEI CARATTERI PAESAGGISTICI

,

DEL CONTESTO PAESAGGISTICO E DELL

'

AREA D

'

INTERVENTO

. (D

CPM

12/2005-P

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-P

PR

)

Il paesaggio delle Apuane, così come oggi ci appare, è in gran parte quello che si è consolidato nell’ottocento e che è andato progressivamente trasformandosi e modificandosi, ma il paesaggio ottocentesco era a sua volta il risultato di un lento processo evolutivo in cui sopravvivevano permanenze ancora più antiche. Per questo, anche se attualmente non è possibile ritrovare allo “stato puro” forme di antichi paesaggi, possiamo affermare che in esso riaffiorano i precedenti assetti linearmente evoluti. In ogni epoca, infatti, le società che si sono impiantate su questo territorio si sono dovute riorganizzare sulla base degli ambienti precedentemente già trasformati, senza mai poter cancellare completamente le tracce dei predecessori.

In ogni fase di trasformazione i segni e le modalità di organizzazione, ereditati dal passato, non sono mai stati completamente distrutti, né riutilizzati passivamente, ma sono stati invece sempre reinterpretati creativamente dalle diverse società che si sono succedute su questo territorio.

Le caratteristiche del paesaggio apuano rappresentano l’esito di un processo d’interazione, istituitosi nei secoli, tra l’uomo ed il suo ambiente.

La storia di questo processo è fatta da “lunghe durate”, legata all’uso delle risorse naturali, immersa in un tempo lento, scandito dal ciclo delle stagioni, dallo svolgere degli anni e dal ritmo degli eventi naturali, difficilmente schematizzabile secondo periodizzazioni misurabili e specificatamente riconoscibili.

Lo stato di relativo isolamento dovuto a fattori fisici e geografici in cui hanno vissuto le comunità che qui hanno abitato e la conseguente condizione di autonomia culturale hanno infatti favorito l’elaborazione di una serie di autonomi riferimenti che, conservandosi tenacemente nel tempo, hanno offerto un solido ed omogeneo supporto al disegno del paesaggio di questo territorio.

Lasciando il fondovalle, percorrendo lunga e difficoltosa strada bianca, ci si inoltra in un grande comprensorio estrattivo composto da ampie cave in esercizio, siti dismessi anche di valore testimoniale e storico-culturale e piccoli siti estrattivi come quello in esame.

Il paesaggio è quello tipico dei complessi montuosi a confine tra la Catena Appenninica e il complesso delle Alpi Apuane interne. In questa zona, contrariamente al versante a mare delle apuane le cime e i crinali raramente sono privi di vegetazione per due motivi: primo è l'altitudine in quanto i crinali di sommità si assestano intorno a quota 1000-1200 e le vette, in questa zona, al massimo sono a circa 1600m (Pania di Corfino); il secondo motivo è la catena apuana protegge la parte interna dall'areosol marino che, anche in funzione della maggiore distanza dal mare arriva molto diluito.

La zona della cava Tre Valli è dominata da due catene montuose: quella a levante che, partendo dal nucleo abitato di Sassorosso (1000m slm circa) diramandosi a N-NE passa per le cime del Monte Castri (1235m); M.

Aquilaro (1500m) e M. Alto (1530m) in circa 4Km.

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Un profondo canalone di fondovalle (linea magenta) separa la cava dalla catena montuosa nord-occidentale che ha nei monti Pania di Corfino (1603m) e La Bandita (1424m) le vette più alte.

Il nucleo abitato più vicina alla Cava è quello di Sassorosso.

Il borgo di Sassorosso vanta origini pre-romane ed è stato costruito con pietre locali. Si trova a 1089 metri di altezza e si erge sulla vallata. Ripido e tutto scalini, va visitato al tramonto quando i suoi colori si fondono con quelli della collina. La tonalità unica del suo marmo, chiamato Rosso Collemandina, era molto ricercata grazie al suo colore e alla preziosità del disegno. Utilizzato per tarsie marmoree, arredi e dettagli architettonici all’interno di chiese e palazzi nobiliari.

L’attività estrattiva rappresenta la principale attività del comune L'attività agricola del Comune è principalmente legato all'allevamento integrato da una modesta attività agrituristica. Tipica è la transumanza delle mandrie e delle greggi. Altre attività sono legate all’escursionismo e al turismo che, purtroppo assumono caratteristiche di elevata stagionalità.

La cava oggetto del presente studio è posta circa a quota 800m s.l.m sulla parete occidentale della catena montuosa che, partendo dal M. Alto (1530m) in circa 4Km arriva a Sassorosso (1090m).

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Lo skyline all’orizzonte è identificabile con il crinale che passa da Sassorosso che va da quota 1530m a quota 1090m evidenziato col tratto giallo. La cava è raggiungibile dalla strada sterrata che è praticamente circondata da cortine di alberi e boschi. c

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2- A

SPETTI ECOLOGICIENATURALISTICI

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PR

)

I versanti delle Apuane rimangono ambiti di straordinario pregio naturalistico nonostante siano in alcune zone fortemente antropizzati. Gli ecosistemi presenti sono un connubio tra naturalità ed intervento dell’uomo diventando spesso sistemi di ecosistemi interagenti e correlati.

Nel complesso, comunque, facendo riferimento ad alcuni dei lavori più significativi (Ferrarini, 1979, 1980, 1982, 1992; Regione Toscana, 1998; Tomei e Bertacchi, 1995; Lombardi et al., 1998), possiamo tracciare un quadro delle tipologie vegetazionali più importanti e caratterizzanti l’intera area.

Nella descrizione di ciascuna tipologia, vengono riportate una breve caratterizzazione fisionomica e floristica, la distribuzione altitudinale e le principali esigenze ecologiche delle diverse cenosi. Tali caratteristiche permettono anche di ricavare utili informazioni di ordine ambientale sulle tipologie vegetazionali rinvenibili nel territorio interessato dal presente studio.

In base alla suddivisione dei boschi e degli arbusteti della Toscana in tipi forestali, sono da ascrivere alla Garfagnana le seguenti unità di vegetazione floristicamente, ecologicamente ed evolutivamente omogenee:

Lecceta rupicola relitta submontana e montana – aggruppamenti rupestri di leccio cespuglioso o arborescente, situati a quote relativamente elevate, da 400 a 900-1000 m s.l.m., caratterizzati dalla scarsità di specie sempreverdi e dalla presenza di specie legate ai querceti caducifogli.

Querco-carpineto extrazonale di Farnia – bosco eutrofico e mesofilo presente nei dintorni di Barga; tipico di pianure alluvionali sommerse solo in caso di piene eccezionali, presente attualmente solo allo stato frammentario e potenziale, in cenosi relitte e impoverite; originariamente composto da farnia, carpino bianco, acero campestre, olmo campestre, ciliegio, nocciolo, ecc., con sottobosco di erbe sciafile esigenti, localizzato negli impluvi e nei fondovalle, fino a 200-400 m s.l.m..

Saliceto e pioppeto ripario – boschi e boscaglie di aspetto ceduo, composti principalmente da salice bianco con salice purpureo, salice ripaiolo, salice da ceste, pioppo bianco e/o pioppo nero ed eventualmente anche ontano nero, frassino meridionale e robinia e sottobosco ad alte erbe igrofile e nitrofile, a volte con specie proprie dei greti, spesso terofite; è diffuso lungo i corsi d’acqua, fino a 500 m s.l.m. ed oltre.

Alneto ripario di ontano nero – gruppi o strisce più o meno continue di ontano nero presenti negli impluvi nelle immediate vicinanze della acque di magra, spesso intercalati da varie specie di salice e insediamenti locali di robinia e con sottobosco di alte erbe igrofile e nitrofile; molto diffuso lungo i corsi d’acqua della Garfagnana, fino a oltre 1000 m di quota e specialmente lungo le rive dei torrenti montani con sponde incassate.

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Cerreta mesofila collinare – boschi di cerro, per lo più cedui, consociati con acero campestre, roverella, carpino nero, talvolta carpino bianco ed eventualmente castagno e arbusti del Pruneto nelle radure, quali ligustro, evonimo europeo, biancospini, prugnolo, rose selvatiche, ginepro comune, oltre a edera e pungitopo nei popolamenti invecchiati e a densità colma; è presente da 400 a 800 m di quota ed è più raro sul versante appenninico, dove la castanicoltura ha sottratto al cerro i terreni migliori.

Cerreta acidofila montana – tipica del versante appenninico della Garfagnana, è rappresentata da boschi misti che risalgono fino a 700-1100 m s.l.m. lungo le esposizioni a sud o su dossi a suolo superficiale, penetrando nell’ambito delle faggete; si tratta di cedui di cerro radi e di modesto sviluppo, composti di solito da orniello, carpino nero e roverella, con acero opalo, acero di monte e faggio negli avvallamenti e sottobosco a brachipodio rupestre e/o con arbusti del Pruneto o anche con brugo e ginestra dei carbonai.

Carpineto misto collinare (submontano) a cerro – boschi poco frequenti in Garfagnana, rappresentati per lo più da cedui di carpino bianco, cerro e talvolta rovere (entrambe le querce presenti anche come matricine), acero opalo, carpino nero, ciliegio, nocciolo e molti arbusti del Pruneto, con sottobosco di specie mesofile ed esigenti; è diffuso tra 100 e 500 (750) m s.l.m.

Ostrieto pioniero dei calcari duri delle Apuane – tipico del versante apuano della Garfagnana, tra 600 e 1000 m di quota, si tratta di cedui a densità rada e fertilità modesta fino allo stato di cespuglieti, presenti nell’ambito di pietraie o discariche (ravaneti) di cave di marmo, dove assumono notevoli funzioni di protezione dei versanti, e composti da carpino nero, orniello, cerro, acero campestre e, ai limiti, faggio, con strato erbaceo a prateria di Sesleria argentea o Brachypodium rupestre e talvolta presenza di Erica carnea nelle radure.

Ostrieto mesofilo a Sesleria argentea delle Apuane – bosco misto, talvolta rado, di carpino nero con cerro, roverella, orniello, acero campestre, acero opalo, olmo campestre arbustivo, con sottobosco dominato da graminacee, in particolare Sesleria argentea, diffuso soprattutto sul versante apuano della Garfagnana, tra 400 e 900 m di quota.

Ostrieto mesofilo dei substrati silicatici – diffuso sui versanti appenninico ed apuano, tra 200 e 700 m di quota, in presenza di rocce silicatiche, è un bosco misto con prevalenza, spesso non molto marcata, del carpino nero, accompagnato da specie arboree quali cerro, roverella, orniello, castagno, acero campestre, acero opalo, ciliegio e da arbusti del Pruneto, soprattutto nelle radure, con sottobosco erbaceo, formato da molte specie tolleranti dell’ombra, eutrofile e mesofile.

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Castagneto mesofilo su arenaria – tipo più diffuso in tutta la Garfagnana, tra 600 e 1000 m di quota, presente in modo più continuo e con livelli di fertilità più alti sul versante appenninico; è costituito da castagneti da frutto con piante di grandi dimensioni oppure da cedui rigogliosi ed è dotato di un sottobosco con rade erbe laminifoglie esigenti e addensamenti di felce aquilina e rovi.

Castagneto acidofilo – castagneti da frutto con piante poco sviluppate o cedui di bassa fertilità, diffusi in varie stazioni della Garfagnana, tra 500 e 1000 m s.l.m., con sottobosco di impronta acidofila subatlantica, con brugo, ginestra dei carbonai e felce aquilina oppure acidofila mediterranea, con prevalenza di eriche;

sono caratterizzati da una notevole povertà floristica per la scarsità di altre specie arboree o arbustive associate al castagno.

Castagneto neutrofilo su rocce calcaree e scisti marnosi – castagneto da frutto di modesta statura, con sottobosco a graminacee, spesso dominato da Brachypodium rupestre e con carpino nero soprattutto negli avvallamenti freschi; si tratta di un soprassuolo antropizzato instabile che, dopo l’abbandono della coltura, tende a trasformarsi in ostrieto; è presente sul versante apuano tra 500 e 800 metri di quota.

Robinieto di impianto – molto diffuso nel territorio della Garfagnana, sulle colline tra 200 e 400 m di quota, sulle pendici submontane e negli impluvi fino a 700 m s.l.m., presenta un sottobosco poco differenziato di specie nitrofile e sciafile, tra cui prevalgono rovi e sambuco nero, favorite dalla tardiva entrata in vegetazione della robinia; l’eventuale presenza di matricine di castagno e querce testimonia la composizione del bosco precedente.

Betuleto misto – presente nel bacino del Serchio e sui versanti appenninico ed apuano, in particolare nella valle della Turrite Secca presso Careggine, da 600-700 fino ad oltre 1100 m di quota; la betulla (Betula pendula), specie pioniera, entra nella composizione di castagneti cedui e da frutto, cedui di cerro e faggete, con sottobosco di specie acidofile, come felce aquilina e ginestra dei carbonai, o nitrofile, come i rovi, su suolo poco degradato e in versanti a pendenze non eccessive, a volte anche in luoghi dirupati.

Alneto autoctono di ontano bianco – boschi puri di ontano bianco di ridotta estensione e distribuzione localizzata, presenti sotto Foce a Giovo, al Pian degli Ontani (Valle del Sestaione) e sul versante apuano presso Vagli, zone fredde e piovose tra 950 e 1450 m di quota, che rappresentano il limite meridionale dell’areale della specie in Italia; nel sottobosco prevalgono il lampone e le specie nitrofile mentre risultano assenti le entità igrofile e lo strato arbustivo è povero di specie e a scarsa copertura.

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Alneto di impianto di ontano napoletano – l’ontano napoletano, introdotto dall’Italia meridionale per la sistemazione di frane e scarpate stradali e per il rinfoltimento dei castagneti devastati dal cancro corticale, è oggi molto diffuso in Garfagnana, soprattutto sul versante appenninico, in piccoli popolamenti puri o all’interno di boschi misti, spesso con flora nitrofila come la robinia, da 500 ad oltre 1000 m di quota.

Pinete di pino nero – pinete derivanti da rimboschimenti su castagneti da frutto abbandonati, campi o pascoli erosi e degradati, situate in genere tra 500 e 1000 m di quota, soprattutto sul versante appenninico, con sottobosco più o meno differenziato in base all’età del popolamento; a seconda del substrato su cui si sviluppano, sono distinguibili i seguenti tipi di pineta di pino nero: eutrofica (acidofila), neutro-acidoclina e neutro-basifila; si tratta di pinete di sostituzione di potenziali boschi mesofili di latifoglie decidue.

Abetina montana di origine artificiale – presente in particelle disperse fra boschi di faggio o rimboschimenti di pino nero, sui versanti appenninico ed apuano, in genere tra 900 e 1300 m di quota, è un bosco di impianto artificiale, spesso lasciato a densità molto elevata, con sottobosco più differenziato, costituito da alte erbe nitrofile nei popolamenti maturi, più radi.

Faggeta eutrofica a dentarie – diffusa sul versante appenninico fino a 1300 m di quota, in tutta la fascia delle faggete tranne che presso i limiti superiori, è un bosco di faggio che, a maturità, presenta piante di notevole altezza e sottobosco di erbe a foglia larga e sottile, come quelle del genere Cardamine (dentaria) e si sviluppa su terreni freschi e ricchi in humus.

Faggeta appenninica mesotrofica a Geranium nodosum e Luzula nivea – è il tipo di faggeta più comune in Garfagnana, presente soprattutto sul versante appenninico, verso il limite inferiore delle faggete; è caratterizzata da buona fertilità e da sottobosco composto da erbe basse a foglia larga, tra cui prevale Geranium nodosum, e da erbe graminoidi, soprattutto Luzula nivea.

Faggeta oligotrofica a Luzula pedemontana, L. nivea e Festuca heterophylla – presente sul versante appenninico e, più raramente, sulle Apuane, nella parte superiore della fascia montana, è un tipo di faggeta a fertilità bassa, con piante di altezza inferiore a 25 metri e sottobosco a prevalenza di graminacee, con lettiera scarsa.

Faggeta cespugliosa di vetta – popolamenti degradati, soprattutto delle quote maggiori, trattati a ceduo fino a pochi anni fa, con densità irregolare, frequenti lacune e di bassa statura, con sottobosco dominato da

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graminacee, soprattutto Brachypodium rupestre, e con elevata eterogeneità floristica; è presente sul versante appenninico vicino al limite dei pascoli, tra 1500 e 1700 m di quota, e sulle Alpi Apuane al limite della vegetazione arborea.

Faggeta apuana a Sesleria argentea – diffusa sulle Alpi Apuane, ad altitudine variabile, ma prevalentemente alle quote inferiori, su pendici molto ripide o su macereti, con areale frammentato dall’apertura di cave di marmo e di discariche, comprende soprattutto cedui, in alcuni casi recentemente avviati a fustaia.

Pteridieto – molto frequente sul versante appenninico, tra 300 e 1500 m di quota, caratterizzato dalla prevalenza di felce aquilina, in popolamenti molto densi e quasi monofitici e, a volte, anche in consociazione con rovo o ginestra dei carbonai; è tipico di campi e pascoli abbandonati su terreni acidi e si distingue per l’elevato sviluppo in altezza delle felci (fino a 2,5 m).

Pruneto – presente sul versante appenninico, nella fascia collinare dei querceti, fino a 1000 m s.l.m., è rappresentato da cespuglieti mesofili ed eutrofili, anche molto densi, di prugnolo, biancospini, sanguinello e rosa canina, eventualmente accompagnati da evonimo europeo e ligustro o invasi da masse di rovi; tra le specie arboree, di solito allo stato cespuglioso, si rinvengono olmo campestre, orniello, acero campestre, ciliegio, perastro, pioppo bianco, roverella.

Ginestreto collinare di Spartium junceum - cespuglieti di bassa densità dominati da ginestra odorosa, intercalati da vegetazione erbacea con graminacee e leguminose xerofile, da arbusti aromatici, roverella e orniello allo stato cespuglioso o di novellame; è diffuso in zone asciutte abbandonate dall’agricoltura, fino a 800 m di quota.

Ginestreto di Cytisus scoparius – diffuso sul versante appenninico, da 700 a 1500 m di quota, è un cespuglieto di ginestra dei carbonai, in genere denso, eventualmente consociato con felce aquilina, brugo e rovo, e con piante sparse di sorbo degli uccellatori, salicone e faggio.

Calluneto di quota – arbusteto basso presente tra 1300 e 1600 m, dominato da Calluna vulgaris con Nardus stricta derivato da disturbo antropico o degradazione della faggeta.

Per quanto riguarda, invece, la vegetazione erbacea, facendo riferimento all’inquadramento riportato da Lombardi et al. (1998) a seguito di studi specifici sulle praterie montane delle Alpi Apuane e dell’Appennino tosco-emiliano, possiamo individuare, per la Garfagnana, i seguenti tipi fisionomici principali, a loro volta suddivisi in diverse unità ecologiche, appartenenti ai piani altitudinali, culminale e montano:

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Praterie di altitudine – comprendono le cenosi primarie ipsofile e secondarie di sostituzione, derivate dalla degradazione delle prime, situate al di sopra del limite naturale del bosco, sull’Appennino, e al di sotto di tale limite, sulle Apuane; possono essere suddivise nelle seguenti unità ecologiche:

Praterie primarie dei litosuoli calcarei, a dominanza di Sesleria tenuifolia, esclusive della Apuane, di grande importanza naturalistica.

Praterie secondarie dei litosuoli calcarei, seslerieti con abbondante presenza di Brachypodium genuense, originatesi per moderato condizionamento antropico dalle precedenti.

Praterie primarie acidofile, a dominanza di Alchemilla saxatilis e Juncus trifidus, situate sul versante appenninico in prossimità delle creste, in stazioni acclivi su suoli acidi e ad elevata pietrosità superficiale.

Praterie secondarie acidofile, a dominanza di Nardus stricta e Festuca nigrescens, situate in stazioni a pendenza ridotta, su suoli oligotrofici e asfittici, derivanti da distruzione della vegetazione originaria seguita da intenso pascolamento ovino: occupano limitate superfici delle Apuane centro- settentrionali e sono le praterie più diffuse sull’Appennino.

Praterie a Festuca panicolata, diffuse, sull’Appennino, nel piano culminale e montano superiore, in stazioni con pendenze elevate e su suoli acidi, sulle Apuane in limitate stazioni del piano montano:

sono ritenute formazioni secondarie derivate da distruzione della brughiera o del bosco.

Praterie primarie neutro-basifile, di solito chiuse, caratterizzate dalla prevalenza di Festuca puccinellii e Trifolium thalii e dalla presenza di specie di grande interesse fitogeografico, diffuse in stazioni fresche di alta quota, a pendenza ridotta, su suoli neutri o sub-alcalini, sia sulle Apuane che sull’Appennino.

Praterie secondarie a Brachypodium genuense, formazioni più diffuse e più caratteristiche della Apuane, presenti anche sull’Appennino, a dominanza di Brachypodium genuense, Carex macrolepis e Festuca sp.pl.; sono situate in stazioni aride, su suoli superficiali e poveri di nutrienti e si sono originate in seguito ad intenso e prolungato pascolamento e ad incendi.

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Brughiere d’altitudine – comprendono i vaccinieti collocati, in genere, al di sopra del limite naturale del bosco, presenti soprattutto sull’Appennino e limitati, sulle Apuane, ad alcune stazioni della parte centro-settentrionale della catena; sono caratterizzati da una netta dominanza di frutici, accompagnati da erbe graminoidi e non; si distinguono le seguenti unità ecologiche:

Brughiere primarie (vaccinieti primari), formazioni dominanti oltre il limite della vegetazione arborea sull’Appennino, dove occupano molte aree di crinale, e presenti sulle Apuane solo in poche stazioni a substrato acido; sono caratterizzate dalla prevalenza di Vaccinium gaultherioides e vegetano su suoli oligotrofici, con pendenze elevate e a prolungata copertura nevosa.

Brughiere secondarie (vaccinieti secondari), formazioni derivate dalla degradazione delle precedenti a causa del pascolo, a dominanza di Vaccinium myrtillus, presenti su versante appenninico e apuano, in stazioni meno acclivi e su suoli più ricchi e profondi, alle quote più elevate.

Praterie intrasilvatiche – cenosi secondarie situate al di sotto del limite altitudinale del bosco, a dominanza di erbe graminoidi, derivate dalla distruzione della copertura boschiva ad opera dell’uomo e circondate dalla vegetazione forestale, molto diffuse in particolare nella fascia montana dell’Appennino; la composizione floristica è variabile soprattutto a seconda della forma di utilizzo da parte dell’uomo: in caso di sfalcio, prevale Arrhenatherum elatius, accompagnato da Dactylis glomerata, Trifolium pratense, Poa pratensis, Anthoxanthum odoratum, mentre, in caso di pascolo e alle quote più elevate, prevalgono Cynosurus cristatus e Festuca rubra subsp. rubra.

Vegetazione casmofila – cenosi azonali, cioè legate principalmente alle condizioni edafiche, delle pareti rocciose, tipiche del paesaggio vegetale apuano e limitate alle vette e alle creste sull’Appennino, a copertura molto discontinua, caratterizzate dalla prevalenza di frutici, erbe non graminoidi e, a volte, arbusti e da una flora di grande interesse, con molte specie endemiche, che si differenzia in base al litotipo e all’esposizione; tra le specie più significative, si ricordano: Valeriana saxatilis, Saxifraga latina, Silene lanuginosa, Rhamnus glaucophylla, Globularia incanescens, Centaurea montis-borlae.

Vegetazione glaericola – cenosi azonali, cioè legate principalmente alle condizioni edafiche, dei ghiaioni e delle falde detritiche, a copertura discontinua, caratterizzate dalla prevalenza di erbe non graminoidi o di Pteridofite, con flora variabile a seconda delle dimensioni dei clasti e dell’esposizione; presenti sul versante apuano ed appenninico, sono caratterizzate dalle seguenti specie tipiche: Gypsophila repens, Campanula cochleariifolia, Rumex scutatus, Dryopteris villarii, Saxifraga atrorubens, Heracleum pyrenaicum.

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Torbiere e praterie igrofile – cenosi molto limitate, presenti sul versante appenninico della Garfagnana a Lama Rossa e Sella di Campaiana, presso la Pania di Corfino, caratterizzate da specie di notevole interesse floristico, quali Swertia perennis, Trichophorum alpinum, Cardamine asarifolia, Viola palustris.

Il sito di cava interessato dal presente studio è incluso entro zona destinata all’estrazione di materiale lapido da molto tempo ed è situato complessivamente ad una quota media compresa tra i 900-1000 slm.

In questa zona l’estrazione di lapideo è iniziata a partire dal 1700, ma dati i mezzi e le tecniche allora a disposizione, non vennero cavate che piccole quantità di materiale destinato principalmente al solo uso locale.

Un notevole incremento estrattivo è cominciato a partire dagli inizi del 1900, mentre, dagli anni ’50 in poi, queste cave hanno assunto un ruolo economico sempre più rilevante, assorbendo mano d’opera e influendo direttamente o indirettamente sulla riduzione delle faggete presenti.

Lo stato della vegetazione ha risentito dei vecchi modi di coltivazione delle cave ed oggi la vegetazione presente nell’immediato intorno della cava in oggetto, (specialmente a quote maggiori rispetto al sito) è costituita prevalentemente da specie pionierie “di quota”, da faggete, anche in forma arbustiva e cespugliosa, di ridotta superficie e alla vegetazione ad esse collegate.

Per l’indagine floristica nell’area di studio sono stati effettuati dei sopralluoghi durante l’ultima stagione autunno-vernina. Durante i sopralluoghi si è cercato di individuare gli ecosistemi più fragili e le postazioni di specie vegetali endemiche in modo da individuare le aree di maggior valore naturalistico.

Il riscontro sul campo è stato eseguito anche rispetto agli studi pubblicati in “Boschi e Macchie di Toscana”.

(18)

Il rilievo diretto ha confermato la carta in quanto nella zona sono presenti boschi a dominanza di latifoglie decicue (carpini, castagni, aceri) e pascoli.

La potenzialità della zona è verso la faggeta e la cerreta mista carpino.

Boschi misti dominati dalle cosiddette “latifoglie nobili”, quali Acersp.pl., Tiliasp.pl., Fraxinus excelsior, Ulmus glabraed altre caducifoglie mesofile, che si sviluppano lungo gli impluvi, le forre ed anche i versanti. L’habitat comprende tipi diversi per caratteristiche ecologiche e biogeografiche.

In particolare la faggeta appare estremamente frammentata a causa di degradi spesso conseguenti all’attività estrattiva a ceduazione o alla attività pastorizia che hanno creato mosaici in cui compaiono formazioni erbacee a dominanza di Brachypodium pinnatum (L.) Beauv., specie pioniera su cave abbandonate e ravaneti, formazioni ad habitus arbustivo e stadi arborei più o meno avanzati.

Il fattore ecologico, che influenza la distribuzione del faggio nel territorio apuano è legato al rilievo orografico: al di sopra della faggeta che occupa il piano montano, non si sviluppa un piano di vegetazione forestale e subalpina, ma un piano cacuminale, che con la sua vegetazione erbacea e microarbustiva si spinge nella fascia della faggeta, frammentandola ed impedendo il manifestarsi del carattere di continuità zonale (Hoffmann, 1970).

In generale la faggeta forma una fascia compresa fra 800 m. e 1700 m. di altitudine, ma quando le valli profonde creano ambienti freschi, il limite inferiore è ancora più basso.

Nelle zone caratterizzate da litosuoli con roccia affiorante, come in prossimità del sito estrattivo, le faggete assumono l’aspetto di praterie rade con faggio. La vegetazione che si stabilizza in questa zona sovente è composta da Salix caprea L. e Salix purpurea L.; le specie del sottobosco più caratteristiche sono Oxalis acetosella L., Anemone nemorosa L., Galium odoratum (L.) Scop., Saxifraga rotundifolia L., Geranium nodosum L., Athyrium filix-femina (L.) Roth, nelle radure Rubus idaeus L.

(19)

Le Praterie dei litosuoli calcarei con faggio sparso, rappresentano la formazione vegetale direttamente interessata dall’apertura della cava. Sono caratterizzate da litosuoli con roccia affiorante e detrito grossolano spesso non colonizzato. Qui le faggete assumono l’aspetto di praterie rade con faggio e creano mosaici con le cenosi casmofile, localizzandosi oltre il limite della vegetazione arborea

Si tratta in generale di formazioni discontinue di erbe graminoidi che possono essere di tipo primario o secondario, queste ultime derivanti dalla degradazione delle prime (Lombardi et Al., 1998).

Le praterie primarie rappresentano le cenosi più tipiche dei rilievi calcarei apuani, localizzandosi nelle parti sommitali dei maggiori rilievi, tra cui anche il M.Tambura; sono caratterizzate dalla dominanza di Sesleria tenuifolia, (Ferrarini, 1965). Risentono fortemente dell’azione dei venti.

Tra le specie caratteristiche si segnalano

Helianthemum oelandicum (L.) DC. subsp. italicum (L.) Font-Quer et Rothm: vegeta sulle rupi, nei pietrosi e negli erbosi aridi e non troppo fitti, sempre in ambiente scoperto e ben esposto al sole, dai 100 metri fino a 2800.

Sulle Alpi Apuane è frequente da circa 800 metri fino alle vette e, di rado a quote più basse,

Gypsophyla repens L: vive nei luoghi sassosi, ghiaie, rupi su terreno calcareo dai 1000 ai 2700 metri. Sulle Apuane dai 300 metri alle vette.,

Dryas octopetala: vegeta su rupi e ghiaioni, preferibilmente calcarei, sulle rocce fessurate e negli erbosi rupestri.

Anthyllis montana L.:luoghi erbosi e rocciosi preferibilmente di natura calcarea dai 300 ai 1600 metri Carum apuanum (Viv.): rupi calcaree e erbosi aridi.

Gentiana verna L., e Gentiana clusii Perr. et Song.: vegeta nei prati calcarei umidi e aridi e in luoghi sassosi da 500 fino a 2500 metri.

Molto spesso, soprattutto nelle esposizioni meridionali, alle specie tipiche delle Festuco-Seslerietea si unisce un sensibile contingente delle Festuco-Brometea, caratterizzate dalla dominanza di Brachypodium pinnatum (L.) e B. Beauv.

Le praterie a dominanza di brachipodio sono, per le Apuane le formazioni erbacee più diffuse e tipiche (paleo).

Sono cenosi spesso secondarie presenti in zone aride con da suoli superficiali a estremamente ridotti e quindi poveri di nutrienti. Si originano proprio in successione pioniera o di ricolonizzazione di zone sottoposte a pascolo, percorse da incendi o dalla degradazione parziale della faggeta. Il brachipodio è estremamente frugale e quindi molto competitivo, resiste ad ogni tipo di clima e riesce a colonizzare rapidamente l’ambiente in quanto si riproduce per seme o si propaga per via vegetativa. E’ capace di un rapido accestimento e quindi è capace di stabilizzarsi rapidamente.

La prateria di brachipodio spesso è accompagnata da:

Cerastium apuanum Parl. : molto frequente su tutti i rilievi apuani da quote modeste fino alle vette dai 500 ai 1500 metri. Vegeta nei ghiaioni, macereti e pendii rupestri, ma anche in ambienti erbosi e soleggiati e lungo

(20)

sentieri. Si trova nelle fessure della roccia, tra le pietre e sui detriti in zone aride ed erbose quasi sempre su terreno calcareo, ma, di rado, anche su terreno siliceo.

Euphorbia cyparissias L.: prati aridi, incolti, margine dei boschi e delle strade, arbusteti.

Carlina acaulis L. var. alpina Jacq.: comune nei luoghi erbosi (prati aridi e pascoli magri), sentieri e margini dei boschi.

Festuca sp. E Bromus erectus: graminacee cosmopolite.

La zona interessata dalla nuova fronte di cava è dominata da brachipodio in mosaico con roccia detritica affiorante e roccia madre, spesso, in minore misura, è accompaganto da Bromus erectus L., Festuca sp.

Accompagnata da piccoli faggi in forma arbustiva.

Nelle cengie più ristrette sono sovente colonizzate da Sedum e Sempervivum.

L’indagine floristica dell’area di studio sono stati effettuati dei sopralluoghi a partire dal mese di settembre 2019 al febbraio 2020. Durante i sopralluoghi si è cercato di individuare gli ecosistemi più fragili e le postazioni di specie vegetali endemiche in modo da censire e salvaguardare le aree di maggior valore naturalistico.

I risultati sono stati riportati sulla CTR in scala 1:5000 sovrapposta ad un’ortofotoimmagine georiferita in quanto questo, fino ad oggi rimane il supporto più aggiornato disponibile per i soggetti privati.

A quote più elevate, sempre su roccia nuda si possono trovare formazioni di vegetazione casmofila su rocce calcaree e silicee e flora glaericola su ghiaioni e su detrito.

Sulle pareti rocciose tagliate verticalmente e ancora poco disgregate, si sviluppano principalmente colonie di Sedum, Sempervivum, Saxifraga, Lithospermum specialmente nelle zone assolate. La vegetazione presente nelle fessurazioni più in ombra, invece, talvolta e composta da pteridofite. Nelle zone in cui riescono ad accumularsi e degradarsi frazioni fini di roccia e sostanza organica si insediano Carex, Hieracium, Gallium, Brachipodium, Campanula….I consorzi rupestri sono soggetti ad estrema mutabilità perché costituiti da vegetazione transitoria, di lenta affermazione, il cui sviluppo è interrotto dalla frequentissima mutabilità delle condizioni esterne.

La successione vegetale tipica in queste zone inizia con la comparsa dello strato muscinale e lichenico che si insediano in depressioni, fessure, cenge. Inizia in questo modo l’azione di disgregazione della roccia e la formazione di sostanza organica.

Dopo questi riescono ad insediarsi i primi strati erbacei composti principalmente da Sedum e Saxifraga, felci rupicole (Asplenium e Ceterach) e piante emicriptofite. Già a questo stadio lo strato di terra “vegetale” riesce a accumularsi in quanto anche trattenuto dai vari apparati radicali. Nelle zone in cui riesce ad accumularsi un strato continuo e su questo “terriccio” riescono poi ad insediarsi le graminacee xeromorfe (Brachipodium pinnatun, o B. Rupestre, Sesleria cerulea e tenuifolia, Festuca oviva glauca) ed altri vegetali tipici come Thymus, Satureja, Teucrium, Aliiuma, Asfodelus e altri Generi.

Qualora l’inclinazione e l’accumulo di terra lo permetta, inizia quindi la comparsa dello strato arbustivo.

(21)

La caratteristica principale di tutte le specie arbustive che si insediano nelle praterie rupestri di alta quota,è la modificazione dell’habitus vegetativo: fusti sono più legnosi e con accrescimento relativo più breve, apparato radicale è ampio e tende ad insinuarsi nelle fessure più profonde. L’affermazione di questi consorzi vegetali è il preludio della colonizzazione delle specie arboree tipiche per fascia climatica potenziale. Ovviamente l’intero sistema, se non perturbato da agenti esterni (es. fuoco, smottamenti, ruscellamenti o ristagni…) tende alla formazione climax.

Nell’area estrattiva in esame lo stato della vegetazione ha risentito dei vecchi modi di coltivazione delle cave ed oggi la vegetazione presente nell’immediato intorno della cava in oggetto, (specialmente a quote maggiori rispetto al sito) è costituita prevalentemente da specie pionierie “di quota”. Nelle zone marginali rispetto alle cave attive la vegetazione spontanea sta ricolonizzando le varie arie con specie erbacee, in prevalenza brachipodio, con rari suffrutici e con piante camefite. Le cenosi stabili, tipiche per zona e per quota, sono quindi legate allo spessore e alla persistenza della terra fine, alla disponibilità d’acqua utilizzabile nei periodi di maggiore evapotraspirazione e alla quota altimetrica. a cui è posto il sito. La specie vegetale più diffusa è il Brachipodium.

Fauna:

La zona è principalmente frequentata da gracchi e sono stati avvistati dei falconiformi presumibilmente gheppio, specie segnalate.

La componente vegetale è quindi a prevalenza erbacea e non si discosta dalla flora normalmente presente in questa zona.

Non sono state individuate aree occupate da vegetazione particolare endemica o rara.

(22)

3-IL PIT

Gli studi territoriali condotti per la redazione del PIT approvato nel 2015 inseriscono la cava in esame nel seguente modo:

CARTA DEI SISTEMI MORFOGENETICI

CARTA DEI CARATTERI DEL PAESAGGIO

(23)

CARTA DELLA RETE ECOLOGICA

Non si ravvedono elementi di contrasto.

(24)

4-A

NALISI DEL TESSUTO URBANISTICO

,

EVENTUALI INTRUSIONI RIDUZIONI

,

DESTRUTTURAZIONI

,

INTERRUZIONI DELLA CONTINUITÀ PAESAGGISTICA

(

PERCETTIVA

)

ED ECOLOGICA

,

INTRUSIONI NEL SISTEMAPAESAGGISTICO

. (D

CPM

12/2005)

La zona in cui ricade il sito estrattivo in esame, come detto, ricade, secondo gli strumenti urbanistici comunali, in 'area estrattiva’. Nella pianificazione comunale le aree estrattive, pur essendo inserite in un contesto paesaggistico dominato da versanti, crinali e gole, dal punto funzionale è assimilata ad una zona produttiva a cielo aperto. Tutti i manufatti presenti, come già sopra descritto, sono riconducibili all'estrazione del marmo e dall'indotto da essa generato.

Quanto in analisi non produce modifiche della continuità paesaggistico-percettiva ed ecologica. Non costituisce neanche una intrusione nel sistema paesaggistico in quanto il sito estrattivo è già esistente.

(25)

5- V

ISIBILITÀ DEL SITO

. (D

CPM

12/2005-P

IT

-P

PR

)

Il sito in esame è attivo da molti anni. Dalla strada comunale non si vede il sito.

Il sito è visibile solo dal versante opposto.

(26)

6 Evoluzione del paesaggio

1954

1978

(27)

1988 Si inizia a vedere l'attività estrattiva

1996 la zona è in ombra

(28)

2007 si vede la cava.

2013. La cava è ben visibile.

(29)

7- A

NALISI DEGLIELEMENTIDI DEGRADO

La cava è posta in area estrattiva. Non si rilevano elementi di degrado rispetto a quanto previsto.

8-E

LEMENTIDIMITIGAZIONEECOMPENSAZIONE

. (D

PCM

12/2005-P

IT

P

PR

2015).

La mitigazione e le misure di compensazione saranno principalmente legate alla ricostruzione dell’ecomosaico forestale come presente nell’area vasta in cui la cava è inserita. Infatti, per ottenere un recupero ambientale funzionale dal punto di vista ecologico e paesaggistico è necessario trattare l'intero comprensorio e non le singole concessioni in esso attive. La zona presenta comunque dei forti fattori limitanti dal punto di vista ecologico (spessore dei suoli e loro composizione chimico-fisica, inclinazioni dei versanti, esposizione ai venti....).

A livello comprensoriale si ritiene quindi più opportuno tentare di ricostruire un ecomosaico in cui, nelle zone migliori dal punto di vista pedoclimatico, ricostruire una vegetazione forestale secondo la potenzialità ecologica (ad esempio boschi di caducifolie a prevalenza di carpino) alternati da praterie arbustate e da fronti di cava. In questo modo si può ricucire un ecosistema senza perdere i forti segni che l'attività umana ha lasciato nei secoli in questa porzione di territorio. Questa filosofia oltre a trovare riscontro nel Codice dei beni culturali e del

(30)

paesaggio, DLgs 22 n. 42 del 2004 all’art. 131, comma 1 “Ai fini del presente codice per paesaggio si intende una parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni” e al comma 2 “La tutela e la valorizzazione del paesaggio salvaguardano i valori che esso esprime quali manifestazioni identitarie percepibili”; trova riscontro anche dal punto di vista tecnico-scientifico. Infatti L'ecologia del paesaggio definisce il paesaggio come “una porzione di territorio eterogenea composta da un insieme di ecosistemi interagenti che si ripete con struttura riconoscibile”. (cfr V. Ingegnoli, Fondamenti di ecologia del paesaggio –Studio dei sistemi di ecosistemi–CittàStudi, Milano 1997 pag 16.

Nel caso specifico è previsto lo smantellamento delle infrastrutture fisse e mobili di supporto alle lavorazioni, quali ad esempio i box metallici, le cisterne per l’approvvigionamento dell’acqua e per lo stoccaggio del carburante e degli olii lubrificanti, tubazioni e quant’altro sia stato realizzato ed installato nell’area di cava nel corso degli anni, sarà preventivamente rimosso e conferito in aree autorizzate o riutilizzato altrove.

Tutta l’area sarà quindi sottoposta a bonifica ambientale rimuovendo qualsiasi oggetto estraneo all’ambiente originario.

La zona presenta discrete potenzialità ecologiche se vengono favorite o create zone in cui possa stabilizzarsi terra fine per introdurre piante e arbusti descritti nell’analisi vegetazionale al fine della ricostruzione dell’ecomosaico. Particolare cura sarà posta nell’eseguire i drenaggi e per evitare zone di ristagno delle acque meteoriche. In questo modo si può ricucire un ecosistema senza perdere i forti segni che l'attività umana ha lasciato nei secoli in questa porzione di territorio e che oggi rappresenta anche una fonte di attrazione turistica

Lucca Marzo2020

Il tecnico incaricato Dr. Agr. Francesco Lunardini

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