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CAPITOLO 1 L’arte della concia

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 1

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L’origine dell’arte della concia si perde nella notte dei tempi ed è stata tramandata gelosamente dalla tradizione orale da padre in figlio o da un maestro della corporazione al proprio figlio.

Oggi, l’industria conciaria attraverso una serie di operazioni meccaniche, fisiche e chimiche, riesce a nobilitare un materiale, la pelle animale, il cui valore sarebbe scarso, se non addirittura nullo. Infatti, con il processo conciario, mentre da un lato si impedisce la putrefazione della pelle, dall’altro si ottiene un materiale, il cuoio, da cui è possibile ricavare tutta una serie di oggetti necessari ed utili. La concia delle pelli, conosciuta all’uomo fin dai tempi più remoti, non è sempre stata vista di buon occhio a causa di alcune sue caratteristiche. Il materiale organico su cui si effettua questa lavorazione è, infatti, facilmente attaccabile da microorganismi che possono portare a odori sgradevoli e a bagni di lavorazione putridi, oltre a grezzi di partenza caratterizzati da un alto livello di sporco, tutti aspetti poco graditi.

Anche per queste ragioni, tale attività si è trovata spesso relegata al margine delle comunità umane, ed i relativi luoghi sono stati spesso sporchi e malsani. Occorre però precisare che, da un punto di vista economico ed ambientale, l’attività conciaria ha un’importanza e un impatto, non diverso da quelli di molti altri tipi di attività.

Oggi, in particolare, la conceria ha migliorato molto le sue caratteristiche, grazie all’avvento di nuovi prodotti e di nuove tecnologie, anche se il fatto di lavorare su materiale organico a rischio di decomposizione rende, purtroppo, la presenza di sporco e di cattivi odori non riducibile al di sotto di una certa soglia.

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In Italia esistono tre distretti principali in cui è concentrata la lavorazione conciaria: quello veneto, nella zona di Arzignano (VI), quello campano, nella zona di Solofra (AV) e quello toscano.

Quest’ultimo si trova in una zona chiamata Comprensorio del Cuoio, un distretto industriale della Toscana, comprendente i comuni di Castelfranco di Sotto, Santa Croce sull' Arno, Montopoli in Val d' Arno, Santa Maria a Monte e San Miniato, nella provincia di Pisa, e Fucecchio, in provincia di Firenze.

Il comprensorio del cuoio toscano si estende in un raggio di 10 km e nell'area vivono circa 98mila persone; nel settore conciario sono occupate circa 10000 persone, che operano in circa 900 imprese medio-piccole. La produzione principale riguarda cuoio per suola, calzature e articoli in pelle. L'indotto è costituito per lo più da ditte di prodotti chimici per la concia, officine di macchine per conceria e ditte di trasporti. Molte attività si sono specializzate in una singola fase della concia, o nella produzione di una singola parte della scarpa ; parti che poi vengono assemblate nei calzaturifici.

Il 98% (53 milioni kg) della produzione nazionale di cuoio da suola, proviene da qui, così come il 35% della produzione nazionale di pelli (65milioni di m²), e il 30% della produzione nazionale di macchine per conceria.

Il 40% della produzione complessiva è destinata all'esportazione.

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Dalla fine degli anni settanta ha avuto inizio un procedimento di associazionismo delle aziende conciarie, che ha portato alla formazione di diverse attività consortili, attraverso le quali si è realizzata una politica di sviluppo industriale concertata tra le amministrazioni pubbliche locali e le imprese. [2]

Le principali società consortili che si sono formate sono gli impianti di depurazione delle acque, quelli di smaltimento e recupero dei residui solidi, il consorzio recupero cromo e società addette alla ricerca ed alla formazione. Oltre a queste attività consortili, a fianco delle concerie si sono sviluppate numerose aziende private: ditte di prodotti chimici, aziende di macchine per conceria, imprese di servizi, manifatture dell’abbigliamento, della pelletteria e della calzatura.

La lavorazione in conceria è divisa in diversi reparti, in ognuno dei quali si effettuano specifiche lavorazioni. Capita spesso che tali suddivisioni corrispondano a diverse collocazioni sul territorio, in modo da ottimizzare l’economia generale dei processi.

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1.1 La pelle e il processo conciario

Il cuoio non è altro che la pelle degli animali lavorata in modo particolare, ossia conciata. Si presenta come una sostanza flessibile e arrendevole, nello stesso tempo, molto stabile e durevole, difficilmente corruttibile, più o meno impermeabile.

È possibile utilizzare la pelle di qualsiasi tipo di animale, compresa quella dei rettili, degli uccelli e dei pesci; in pratica, però, le pelli di gran lunga più usate sono quelle bovine, ovine e caprine, assieme a quelle suine ed, in misura minore, equine.

Il cuoio, oltre che in base al tipo di animale o alla provenienza geografica, può venire classificato anche in base al tipo di concia (al cromo, al vegetale, ecc.), al tipo di destinazione (per calzatura, per abbigliamento, per arredamento, ecc.), al tipo di rifinizione (pieno fiore, anilina, verniciato, stampato, ecc.).

L’intero processo di produzione comprende una fase iniziale ad “umido”, dove le pelli vengono trattate in soluzioni acquose con numerosi prodotti chimici, ed una finale a “secco”, dove invece, pelli già conciate (cuoio) vengono lavorate con appositi macchinari e utilizzando minime quantità di acqua. [3]

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6 Figura 2. Schema del processo conciario

La pelle grezza è costituita essenzialmente da tre strati: l’epidermide, il derma ed il tessuto sottocutaneo.

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Ai fini dell’industria conciaria, il solo che riveste interesse pratico è il derma. In questo strato intermedio, che rappresenta col suo spessore l’85 % del totale della pelle, è possibile distinguere ulteriormente una parte esterna, pari a circa un quarto dello spessore (fiore o strato papillare) ed una parte interna (carne o strato reticolare).

Nella lavorazione conciaria, il tessuto sottocutaneo viene eliminato meccanicamente (scarnatura), mentre l’epidermide è rimossa chimicamente, assieme al pelo, a meno che non si tratti di lavorazione per pellicceria.

Se queste operazioni sono condotte adeguatamente, si ottiene il derma con il suo strato superficiale intatto: quest’ultimo (detto membrana ialina) è a diretto contatto con l’epidermide e conferisce alla pelle una particolare lucentezza naturale, nonché una certa resistenza all’acqua.

Il derma è costituito principalmente da un intreccio fibroso il cui componente fondamentale è il collagene, il quale dal punto di vista chimico è una proteina, una catena di amminoacidi. La differenza principale fra il collagene e le proteine che costituiscono l’epidermide e il pelo (cheratine) è la presenza, in queste ultime, di un particolare amminoacido, la cisteina, che contiene zolfo in catena laterale e forma ponti disolfuro fra le catene di amminoacidi: tale amminoacido risulta completamente assente, invece, nel collagene. Basandosi su questa differenza è possibile dunque separare il collagene dall’epidermide e dal pelo.

Nella pelle fresca, oltre al collagene e alle cheratine, sono presenti anche altre sostanze, fra cui proteine (elastina, albumine, globuline, glicoproteine), sali minerali, grassi e, naturalmente, acqua.

Se non si interviene in maniera opportuna, nel giro di poche ore dalla scuoiatura dell’animale, la pelle va incontro a processi naturali di putrefazione, che possono danneggiarla in maniera anche molto grave.

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Perciò, se la pelle non viene lavorata subito, si procede alla sua conservazione, in genere applicando sale comune (NaCl) oppure mediante essiccamento (più raramente tramite irradiazione o refrigerazione). Entrambi questi sistemi abbassano il contenuto di acqua della pelle ad un livello incompatibile con l’attività biologica di batteri e microrganismi.

Per ottenere la trasformazione della pelle in cuoio, bisogna pertanto, trattare la pelle, che è stata dapprima conservata, e poi convenientemente riportata al suo stato di idratazione originale, attraverso i “lavori di riviera”, con sostanze concianti che stabilizzano il materiale rendendolo non più attaccabile dai microorganismi.

Nei paragrafi seguenti viene descritto in un certo dettaglio il processo conciario. Nel prossimo capitolo verrà invece diffusamente trattata l’azione dei microrganismi durante il processo conciario.

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1.2 Lavori di riviera

I lavori di riviera sono finalizzati ad isolare il collagene ed attivarlo adeguatamente per le lavorazioni successive.

Si tratta di una serie di operazioni chimiche e meccaniche, con cui si ottengono: • un’idonea reidratazione della pelle conservata.

• la completa eliminazione del pelo, dell’epidermide e delle proteine interfibrillari; si verifica inoltre un rilassamento della struttura con conseguente incremento della reattività.

• la rimozione del tessuto sottocutaneo e del grasso naturale.

La pelle così ottenuta è definita in “trippa”. Questi processi di lavorazione sono importanti, perché influenzano notevolmente proprietà fondamentali del cuoio quali l’elasticità, la fermezza G e la morbidezza.

Con il rinverdimento si restituisce alla pelle il contenuto naturale di acqua, in modo da renderla lavorabile all’interno del bottale. Contemporaneamente avviene la rimozione dell’eccesso di sale eventualmente presente, dello sporco, di tracce di sangue, delle sostanze proteiche idrosolubili (albumine e globuline) e di una parte dei grassi.

Una pelle ben rinverdita, vale a dire floscia, pulita e senza zone dure, i cui fasci di fibre sono quindi liberi da ostacoli di varia natura, reagirà assai meglio ai successivi trattamenti, a partire dalla calcinazione, le cui sostanze potranno così reagire uniformemente in tutte le zone.

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Il rinverdimento si effettua immergendo le pelli in acqua a 20-25 °C, eventualmente con l’aggiunta di tensioattivi od imbibenti, ovvero di prodotti enzimatici specifici, e può essere condotto in bottale G o in aspo G, sotto agitazione continua. Data la durata dell’operazione (4÷20 h), occorre aver cura che non avvengano processi biologici di degradazione, per cui si ricorre all’uso di antibatterici.

Dopo il rinverdimento si effettua la calcinazione. Scopo dell’operazione è l’eliminazione del pelo, dell’epidermide e di parte dei grassi, con conseguente rigonfiamento del tessuto dermico, che diventa così più reattivo nelle successive operazioni. Classicamente, le pelli rinverdite vengono portate a contatto con idrossido di calcio (calce spenta), Ca(OH)₂, e solfuro sodico, Na₂S, o solfidrato sodico, NaHS, eventualmente in presenza di ausiliari quali tensioattivi, ammine, ecc. L’operazione viene eseguita in bottale a temperatura blanda (26-28 °C) con rotazione lenta e dura dalle 12 alle 24 h: le quantità dei prodotti e dell’acqua, così come la temperatura e la durata del trattamento, vengono aggiustate in funzione del tipo di pelle e della relativa destinazione.

Avvengono in questa fase una serie di importanti fenomeni chimici e fisici.

• Per cominciare, a causa della presenza del solfuro, avviene la riduzione chimica dei ponti disolfuro delle cheratine:

Figura 3 . Riduzione dei ponti disolfuro.

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• L’azione dell’ambiente alcalino, poi, oltre a solubilizzare la cheratina dopo l’attacco del solfuro, porta anche in soluzione proteine globulari, zuccheri e proteoglicani.

• Si ha, inoltre, la parziale saponificazione dei grassi naturali: i saponi così ottenuti fungono da emulgatori facilitando l’eliminazione di altri grassi sotto forma di emulsione.

• Contestualmente, si produce un blando attacco chimico del collagene, che impartisce particolari caratteristiche di morbidezza e di cedevolezza alla pelle, le cui fibre risultano, inoltre, allentate e rilassate ad opera di un rigonfiamento alcalino, che separa appunto le fibre per effetto di equilibri di membrana.

I prodotti antiruga, ausiliari a base di ammine modificate, permettono di ottimizzare la distensione della pelle.

• Infine, mediante la deammidazione di alcune catene laterali, si ha la liberazione di gruppi carbossilici, i quali risultano di notevole importanza per la concia al cromo.

La scelta della calce per queste operazioni si è rivelata la più giusta, poiché si ottiene un pH stabile, moderatamente alcalino, adoperando un prodotto di basso costo.

A questo punto, la pelle viene sottoposta a scarnatura, un’operazione meccanica, attraverso la quale vengono eliminati dalla pelle il tessuto sottocutaneo e i residui di carne. Tale lavorazione può essere eseguita manualmente o mediante l’uso della “macchina a scarnare”. La pelle scarnata può essere successivamente sottoposta a spaccatura, un’operazione meccanica con cui le pelli di un certo spessore vengono divise in due parti: la parte superiore, detta "fiore", destinata ad usi più pregiati, e la parte inferiore detta "crosta", utilizzata per la produzione di pellami di minor pregio.

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È possibile eseguire la spaccatura, oltre che dopo il calcinaio, anche dopo la concia: la cosiddetta spaccatura in trippa è eseguita sul materiale da conciare, al fine di ottenere un fiore di ottima qualità, ed ha il vantaggio di ridurre le quantità di prodotti chimici impiegate nei trattamenti successivi ed ottenere uno spessore più omogeneo della pelle da conciare; d’altra parte, la spaccatura, eseguita su pelle già conciata, ha il vantaggio di permettere l’utilizzazione delle croste; inoltre, vi sono minori difficoltà, in quanto la pelle non è bagnata, pesante e viscida, permettendo di ottenere una spaccatura più precisa.

Con l’operazione successiva, detta decalcinazione, dopo un lavaggio con acqua, vengono eliminati la calce ed il solfuro trattenuti all’interno della pelle, in bottali a rotazione lenta, a 30-35 °C, abbassando contemporaneamente il pH da circa 12-13 a circa 8-8.2.

I prodotti impiegati sono: cloruro ammonico NH₄Cl e solfato ammonico (NH4)₂SO₄, bisolfito di sodio NaHSO₃ e acidi organici deboli, come acido lattico, naftalensolfonico o citrico; l'operazione viene condotta in bottali a 30-35 °C. Il controllo della decalcinazione si esegue trattando la sezione della pelle con una soluzione idroalcoolica allo 0.1 % di fenolftaleina, che vira dall’incolore al rosso in ambiente alcalino. In taluni casi, si desidera lasciare all’interno una zona non decalcinata.

Per completare la pulizia della struttura dermica, con l’eliminazione dei residui organici presenti tra le fibre, si effettua la macerazione con l’aggiunta di enzimi proteolitici specifici detti maceranti; l’operazione provoca anche un certo rilassamento della struttura del collagene e dell’elastina, con conseguente ammorbidimento della pelle; pertanto, a seconda dell’articolo che si vuole ottenere, la macerazione può essere più o meno spinta.

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È necessario, poi, procedere allo sgrassaggio. Il grasso presente naturalmente nella pelle, se non eliminato in maniera corretta, può dar luogo, da un lato a difetti quali efflorescenze grasse (“repousse”) o irrancidimento, dall’altro ad una penetrazione e fissazione non uniforme delle sostanze concianti e coloranti. I prodotti sgrassanti con la loro azione, oltre che a provvedere ad un’eliminazione quanto più possibile completa del grasso naturale della pelle, rendono la distribuzione di questo grasso il più uniforme possibile. I prodotti impiegati sono tensioattivi di varia natura, che sono capaci di emulsionare i grassi trasferendoli nell’acqua del bagno.

Al termine delle operazioni fin qui descritte, il pH della pelle è praticamente neutro.1

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Lo stato di ionizzazione della proteina dipende dal pH del mezzo, per cui in una soluzione molto acida, il

gruppo carbossilico non avrà la possibilità di dissociarsi, mentre la funzione amminica sarà protonata; viceversa in soluzione alcalina.

Questa caratteristica permette di stabilire la reattività della pelle durante la lavorazione. Il punto isoelettrico P.I., infatti, indica il valore del pH del mezzo per il quale le cariche positive e negative della proteina sono perfettamente bilanciate.

Come gli amminoacidi anche le proteine presentano un carattere anfotero; per questo quando il collagene viene immesso in un bagno acido, le cariche negative dei suoi gruppi carbossilici vengono neutralizzate dai protoni del mezzo; questo fa sì che complessivamente la proteina risulti carica positivamente (pelle cationica). Viceversa, quando il collagene è immesso in un bagno alcalino, le cariche positive vengono neutralizzate dagli ioni OH− del mezzo e nel complesso la proteina risulta carica negativamente (pelle anionica).

Variando il valore del pH del mezzo si può raggiungere la condizione per cui nessuna variazione di carica è osservata, si raggiunge cioè il punto isoelettrico della proteina (P.I.), la cui determinazione esatta è effettuata con tecniche elettroforetiche.

Il P.I. del collagene è circa 7,5. In bagni caratterizzati da pH al di sopra di questo valore, la proteina sarà caricata negativamente, mentre al di sotto di 7.5 sarà caricata positivamente. A valori di pH prossimi al suo P.I, il collagene è caratterizzato da una grande inerzia chimico-fisica: ha infatti la minima tendenza a reagire, la minima viscosità e il minimo gonfiamento.

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Dunque, il collagene contiene un leggero eccesso di gruppi carbossilici rispetto ai gruppi amminici in catena laterale, come conseguenza della calcinazione. Questo fa sì che, a pH neutro, vi sia un leggero eccesso di carica negativa, dovuta proprio ai gruppi COO- liberi.

In queste condizioni, un sale di cromo conciante carico positivamente si fisserebbe prevalentemente sulla superficie e non negli strati più interni. Occorre, perciò, abbassare il pH della pelle, ottenendo così una pelle elettricamente scarica, oppure carica positivamente.

D’altra parte, una pelle con simili caratteristiche è utile anche per la concia con tannini sintetici o resine. Tuttavia, gli equilibri di membrana provocano un rigonfiamento del tessuto in seguito al trattamento con acidi, analogamente a quanto si verifica nel calcinaio. È comunque possibile intervenire su tali equilibri ed evitare il rigonfiamento, che ostacolerebbe il legame fra le catene del collagene e le sostanze concianti, aggiungendo un sale neutro alla soluzione acida.

Questo trattamento con sale e acido è chiamato piclaggio. Esso viene effettuato in pratica trattando le pelli, in acqua, con acidi (solforico, formico, acidi organici oppure miscele di acidi) e sale (generalmente cloruro di sodio, NaCl, a concentrazioni di circa 100 g/l). Al termine del piclaggio, la cui durata varia da un’ora ad una notte, il pH della pelle risulta compreso fra 2 e 4.

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Nella concia al vegetale, il pH di minima attività tra la pelle e i tannini vegetali, che consente la migliore diffusione del conciante in sezione, è intorno a 4,0-4,3. Perciò si usano acidi deboli oppure tannini sintetici acidi in assenza di sali.

Se la concia viene fatta con sostanze aldeidiche, è necessario effettuare un piclaggio molto acido per avere le condizioni iniziali di minima reattività e di massima diffusione del conciante, dal momento che le aldeidi mostrano una scarsa reattività nei confronti dei gruppi -NH₃⁺

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1.3 Concia

Da un punto di vista fenomenologico, con la concia si ha la trasformazione della pelle in trippa G, ottenuta con i lavori di riviera, in un prodotto che, pur mantenendo la struttura fibrosa del collagene, non risulta attaccabile da microorganismi, è caratterizzato da una certa resistenza idrotermica ed è lavorabile per ottenere manufatti. [4]

Perché si possa conseguire una stabilizzazione della struttura del collagene, occorre che l’agente conciante possa combinarsi in maniera almeno in parte irreversibile, interagendo con almeno due gruppi funzionali appartenenti a catene polipeptidiche diverse. Con la concia si ottiene, quindi, una reticolazione del collagene, la quale si riflette sia nella diminuzione della capacità di rigonfiamento, sia nell’aumento della temperatura di contrazione, cioè di quella temperatura alla quale inizia la gelatinizzazione del collagene, sia in un’elevata resistenza della pelle conciata all’attacco enzimatico.

È dimostrato come esista una correlazione tra la temperatura alla quale un cuoio inizia a restringersi in acqua (temperatura di gelatinizzazione o di restringimento (TG), e il grado di concia.

Esistono un gran numero di sostanze che possono essere utilizzate per conciare la pelle, come mostrato in Tabella 1, dove sono riportate le temperature di gelatinizzazione ottenute con i diversi tipi di concia.

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17 Tabella 1 . Temperatura di gelatinizzazione con diversi tipi di concia

I legami in gioco nella concia possono essere di tipo covalente, come nella concia all’aldeide o al solfocloruro, che avvengono tramite reazioni di condensazione, oppure possono comportare la formazione di composti di coordinazione nei vari tipi di concia minerale (con sali di cromo, alluminio, ferro, zirconio), ovvero possono anche formarsi per attrazione dipolare o mediante formazione di legami a idrogeno, come avviene nel legame con tannini vegetali o concianti aromatici sintetici.

Perché una sostanza conciante possa esercitare il suo effetto in maniera appropriata, occorre che essa superi tutte le barriere che si oppongono alla sua penetrazione verso i siti di reazione, che sono essenzialmente le dimensioni delle molecole e la loro capacità di diffusione in mezzo acquoso e, inoltre, che la reazione avvenga in maniera irreversibile.

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1.3 a _ Concia al cromo

È la procedura di gran lunga più diffusa, essendo caratterizzata da notevole versatilità, semplicità e rapidità: la concia con sali di cromo ha rappresentato il passaggio da una fabbricazione artigianale ad una di tipo industriale per la produzione del cuoio.

Il cromo è un elemento di transizione, appartenente al secondo sottogruppo del VI gruppo del sistema periodico, i suoi stati di ossidazione caratteristici sono +2 +3 +6; i composti che interessano, però, il conciatore sono i sali di cromo trivalente.

Il cromo ha la capacità di legare intorno a sé sei gruppi, che possono essere, ad esempio molecole di acqua, ioni -OH, ioni di acidi organici od inorganici. Ciò è possibile grazie alla sua configurazione elettronica, che porta alla costituzione di un ibrido d²sp³, formato da sei orbitali equivalenti, diretti secondo i tre assi cartesiani, cioè dal centro ai vertici di un ottaedro.

Risulta quindi che in soluzione acquosa il catione trivalente Cr³⁺ si presenta come ione esaquocromo [Cr(H₂O)₆]³⁺; l’importanza di questo ione dal punto di vista conciario, consiste nel fatto che l’acqua legata al cromo può venire sostituita da altri gruppi,

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Alcuni di questi gruppi possono essere condivisi da due atomi di cromo, collocandosi a ponte tra loro.

Fra la pelle ed il cromo si può stabilire un legame di coordinazione, fra lo ione Cr3+, variamente coordinato, ed i gruppi carbossilici di due diverse catene del collagene.

Figura 5. Esempio di legame cromo-proteina.

Le condizioni di pH ottenute con il piclaggio fanno sì che il cromo penetri in profondità nella pelle: una volta ottenuto ciò, quando la sezione della pelle è uniformemente di un colore blu-grigio, si può procedere ad aumentare il pH, aggiungendo cautamente soluzioni di bicarbonato o di carbonato di sodio oppure ossido di magnesio, in modo da fissare il cromo alla pelle.

Quale sale conciante di cromo viene adoperato soprattutto il solfato. In realtà, il Cr₂(SO₄)₃, ha un effetto conciante pressoché nullo.

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La capacità conciante può, però, essere aumentata mediante l’incorporazione di gruppi ossidrilici nella molecola, cioè variando la basicità 2 del complesso di cromo.

Nella pratica, si inizia la concia con sali commerciali di cromo a bassa basicità (33%), e quindi poco reattivi, in modo da ottenere una rapida penetrazione ed evitare una eccessiva concia degli strati più esterni della pelle, con conseguente riduzione della reattività.

Un fattore importante e spesso decisivo è il mascheramento del sale di cromo, che si effettua aggiungendo dei sali sodici di acidi organici (formico, acetico, ossalico, ftalico, ecc.) ai bagni di concia, al fine di diminuirne l’astringenza G ed aumentarne la resistenza agli alcali e la velocità di penetrazione.

In pratica residui acidi che mascherano il cromo entrano nel complesso in competizione coi carbossili del collagene: quanto più il cromo è mascherato, tanto più l’affinità per il collagene viene attenuata.

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Considerando un sale di cromo trivalente, si dice che la sua basicità Schorlemmer è del 33 % , se esso ha legato un gruppo OH per ogni atomo di cromo; analogamente, la basicità è del 66 % se un atomo di cromo lega due gruppi OH, mentre è del 100 % se esso lega tre gruppi OH. Sono ovvie le estensioni ad altri valori di basicità.

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Normalmente si lavora con un 2-3 %3 di Cr₂O₃, con 100 % di acqua. È da rilevare che diminuendo la quantità di acqua nel bottale, si ha una migliore fissazione del cromo. Inoltre, la velocità di basificazione e la temperatura influenzano notevolmente la velocità e la quantità di cromo fissato.

Al termine della concia, prima dell’ingrasso e della tintura, le pelli vengono messe “a cavalletto” G per favorire un’ulteriore fissazione degli agenti concianti.

Terminata la concia, si esegue la pressatura con la quale si asporta l’acqua residua nelle pelli (riduzione dell’umidità dal 65-70 % al 45-50 % ).

Questa operazione si esegue mediante una pressa rotativa a rulli o con la macchina per la messa a vento.

Successivamente alla fase di pressatura, si esegue una rasatura (mediante la macchina a rasare) con l’obiettivo di egualizzare lo spessore.

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Rispetto al peso della pelle in trippa. La concentrazione dei sali di cromo viene normalmente riportata in % di Cr2O3. Ad esempio, il contenuto di Cr2O3 di Cr₂(SO₄)₃ è circa 38,8%.

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1.3 b_ Concia vegetale

La concia al vegetale o con tannini vegetali è la concia più antica: fino alla fine

del XIX secolo quasi tutti i cuoi erano conciati al vegetale. I tannini vegetali sono

sostanze complesse, di tipo polifenolico, contenute in quantità più o meno

importanti in tutti i vegetali.

Essi prendono il nome dalla pianta da cui provengono (castagno, sommacco, quebracho, mimosa, quercia, ecc.) e danno tutti al cuoio conciato un colore nelle

tonalità del marrone, più o meno intenso, ma con fiamma diversa a seconda della

pianta di provenienza. Dal punto di vista chimico i tannini naturali si possono

classificare in due categorie, a seconda del tipo di legame fra i nuclei aromatici in essi contenuti.

Tannini idrolizzabili, caratterizzati da un legame di tipo estereo: per idrolisi è possibile ottenere, oltre a monosaccaridi ed altri derivati fenolici, acido gallico (gallotannini) oppure acido ellagico (ellagitannini). Si trovano nel Sommacco, nella Quercia, nel Mirabolano.

Tannini condensati, o catechinici, caratterizzati da un legame carbonio-carbonio. Essi contengono derivati del catecolo ed hanno tendenza a polimerizzare formando aggregati insolubili (flobafeni). Si trovano nell’albero di Quebracho, Mimosa, Mangrovia, Gambier, Catecù.

Il meccanismo, secondo cui si legano al collagene basato sul legame a idrogeno tra i gruppi fenolici del tannino e i gruppi peptidici del collagene e su interazioni dipolo-dipolo. L’ andamento di questo tipo di concia, come dei processi conciari in generale, dipende dal bilanciamento dei fenomeni di diffusione, assorbimento e fissazione.

Le quantità di tannini utilizzati variano dal 15-204% per pelli piccole destinate

a fodera o piccola pelletteria, al 40-50% per cuoi suola pesante.

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1.3 c_ Concia alle aldeidi

Questo tipo di concia si basa sulla reazione di addizione nucleofila tra un’aldeide e un’ammina che porta alla formazione di derivati metilenici secondo la reazione:

Figura 7. Schema della reazione che avviene nella concia alle aldeidi

Nel caso del collagene quando l’aldeide introdotta reagisce con i gruppi amminici laterali di due catene polipeptidiche diverse si avrà la reticolazione e quindi un effetto conciante.

La concia si effettua su pelli macerate e leggermente piclate con una quantità di aldeide variabile tra 1,5 e 5 % sul peso in trippa. Il tempo di penetrazione è basso e dopo aver atteso l’impregnazione, si procede alla basifica fino a pH 8; la concia si ritiene completata dopo 3-4 ore. In questo modo, si può ottenere una Tg massima di 85°C.

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1.3 d_ Altri tipi di concia

La concia si può ottenere anche con altri concianti.

Nell'ambito delle conce minerali, oltre alla già descritta concia al cromo, esistono la concia all'alluminio, allo zirconio, al titanio. Queste agiscono con un meccanismo chimico analogo alla concia al cromo, ma le caratteristiche del prodotto ottenuto sono alquanto diverse: il cuoio è bianco, più idoneo per tinture in toni molto chiari o pastello; inoltre la reattività nei confronti dei coloranti è molto alta e talvolta deve essere attenuata con mezzi chimici per ottenere una tintura uniforme e un discreto attraversamento in sezione.

La stabilità idrotermica è inferiore rispetto a quella conferita dal cromo: con queste conce il cuoio si contrae a temperature molto più basse, intorno a 75-85°C, il che lo rende meno adatto alla realizzazione di alcuni manufatti. I cuoi ottenuti sono, in genere, meno soffici e morbidi di quelli al cromo per cui richiedono trattamenti post-concia di ingrasso particolari.

Esiste anche una concia minerale al ferro ma è molto poco usata perché dà un cuoio molto scuro, con caratteristiche di flessibilità e morbidezza più simili al cuoio al vegetale.

Esistono poi numerosi tipi definiti come conce organiche che utilizzano agenti concianti organici prevalentemente di sintesi; fra le più importanti, ricordiamo:

la concia ai tannini sintetici, con prodotti sintetici che simulano il comportamento dei tannini naturali;

la concia con solfocloruri, prodotti di sintesi che si legano con legami molto stabili ai gruppi amminici del collagene liberando acido cloridrico che deve essere neutralizzato con alcali (di solito carbonato di sodio);

la concia alle resine, con polimeri sintetici: alcune hanno capacità conciante, altre hanno invece soltanto una capacità riempiente, cioè si depositano negli spazi interfibrillari senza un vero e proprio legame;

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la concia all'olio, con olio di pesce che viene ossidato dopo l’assorbimento: il cuoio ottenuto è giallo, molto morbido e flessibile, stabile all'acqua, ai solventi, ai tensioattivi, agli alcali, al sudore umano (è detto anche chamois e viene utilizzato per la pulizia _ le pelli gialle per la pulizia delle auto, erroneamente dette " di daino"_ , per fodere e per guarnizioni di presidi ortopedici a contatto diretto e prolungato con la pelle umana).

Le procedure che non utilizzano cromo sono anche dette chrome-free mentre le conce senza impiego di composti contenenti metallo sono dette metal-free.

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1.4 Riconcia, tintura e ingrasso

Il valore commerciale della pelle conciata e le sue prestazioni dipendono sia dall'aspetto esterno (colore, brillantezza, finezza della superficie), sia dalle caratteristiche fisiche e meccaniche (flessibilità, morbidezza, fermezza e rigidità, ecc.); queste proprietà vengono conferite alla pelle con riconcia, tintura, ingrasso e rifinizione.

La riconcia serve a riempire i cuoi, affinché assumano un aspetto più gradevole e ne sia migliorata la qualità. Il grado di pienezza desiderato può essere ottenuto mediante incorporazione di ulteriore materiale conciante o di riempimento (solitamente si tratta di tannini sintetici e/o vegetali, resine o sali di cromo). Attraverso la riconcia viene inoltre modulata la reattività della pelle verso i coloranti anionici per migliorarne l’attraversamento e l’omogenea distribuzione in sezione.

Dopo una parziale asciugatura, lo spessore della pelle è portato al livello desiderato mediante rasatura, quindi si procede alla tintura. Quest’operazione deve essere preceduta dalla neutralizzazione. Infatti, bisogna favorire la penetrazione del colorante prima di fissarlo alla pelle. Siccome i coloranti per cuoio sono sostanze organiche, la maggior parte delle quali contiene gruppi funzionali ionizzabili negativamente, come SO₃H e COOH, la loro interazione con la pelle avviene essenzialmente in maniera elettrostatica; pertanto la loro affinità è scarsa (e quindi la penetrazione è maggiore) quando la pelle è caricata negativamente, cioè quando il pH è più alto del punto isoelettrico (che è circa 7 per la pelle conciata al cromo): per questo motivo la pelle viene trattata con soluzioni di bicarbonato di sodio, oppure di solfito, ecc.

La tintura è effettuata in bottali a rotazione veloce, riscaldando progressivamente il bagno fino a 50÷60 °C per migliorarne l’uniformità.

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Al termine, si abbassa il pH aggiungendo una quantità opportuna di acido formico (generalmente la metà del peso del colorante) per fissare il colorante. È importante impiegare coloranti unitari oppure miscele di coloranti aventi caratteristiche molto simili.

L’ingrasso è di notevole importanza, poiché gran parte delle caratteristiche meccaniche del cuoio sono condizionate da questa operazione. Prima di asciugare le pelli tinte, bisogna fare in modo di lubrificare le loro fibre affinché esse mantengano una certa morbidezza, una volta asciutte. Infatti, la perdita di acqua provoca un riavvicinamento delle fibre che può indurire la pelle.

I cuoi conciati e asciugati ma non ingrassati sono duri, rigidi e di difficile rinverdimento mostrando poca elasticità e scarsa pienezza.

L’operazione di ingrasso permette di separare le fibre le une dalle altre, diminuendo così l'attrito interfibrillare; diminuisce così la fragilità e migliora inoltre la resistenza allo strappo, con aumento dell'allungamento a rottura. Contemporaneamente, poiché le fibre sono avvolte di materiale ingrassante, non si ha essiccazione completa del cuoio, che rimane relativamente morbido ed elastico. D’altra parte, depositandosi tra le fibre, l’ingrasso diminuisce la capacità del cuoio di assorbire acqua, con conseguente miglioramento dell'impermeabilità. Tra i prodotti ingrassanti per cuoio vi sono, oltre agli oli e grassi animali o vegetali, anche i loro prodotti di trasformazione derivanti da solfatazione, solfonazione, ossidazione, idrogenazione o saponificazione, come pure le cere, gli oli minerali ed i prodotti sintetici.

La pelle riconciata, tinta ed ingrassata viene sottoposta ad ulteriori lavorazioni prima di essere rifinita.

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L'essiccazione permette di ridurre il contenuto di umidità della pelle al valore di equilibrio igroscopico ( 14-18% ). Essa viene eseguita mediante tecniche diverse: “sospensione all'aria”, “processo pasting”, “processo secotherm”, “riscaldamento dielettrico” .

Successivamente vengono eseguite delle operazioni a secco, che servono a preparare la pelle proveniente dalla fase “ad umido” alle successive operazioni di rifinizione.

Il condizionamento prepara la pelle al successivo trattamento di palissonatura, riumidificandola in modo da non avere rotture. L'umidificazione è eseguita a spruzzo o per messa in segatura, seguita da impilaggio e riposo in modo da ottenere un grado di umidità uniforme.

Con la palissonatura si allentano le fibre, che con l’operazione di asciugatura si erano contratte ed attaccate tra loro, ammorbidendole per stiramento; questa operazione è svolta con una macchina detta a “palissonare”; esistono vari tipi di macchina a palissonare e la più utilizzata è quella a martelli.

L'inchiodaggio è un’operazione che ha lo scopo di stirare e bloccare le dimensioni delle pelli; si effettua con un impianto alimentato con aria calda (inchiodatrice).

La rifilatura è, invece, il taglio delle parti sfrangiate o danneggiate, in genere eseguito manualmente.

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1.5 Lavori di rifinizione

Per lavori di rifinizione si intende tutto ciò che viene compiuto dopo che il cuoio è stato asciugato, ovvero tutte quelle operazioni che conferiscono alla pelle conciata ed asciugata un aspetto specifico, ne migliorano il tatto e livellano le irregolarità della tintura nonché della superficie del cuoio dovute ad esempio a difetti della pelle.

Nella rifinizione troviamo sia operazioni meccaniche sia di copertura con prodotti chimici.

Le operazioni meccaniche eseguite in questa fase sono:

• palissonatura: per far riacquistare alla pelle morbidezza, sofficità e tatto dolce allentando le fibre incollatesi durante l’essiccazione;

• follonatura (o volanatura): per migliorare la morbidezza della pelle o accentuare la grana del fiore;

• smerigliatura: per eliminare il fiore (se grossolano o danneggiato) favorendo nello stesso tempo l’ancoraggio del film di rifinizione;

• spolveratura: per eliminare i residui della smerigliatura;

• stiratura: determinare la grana o rendere levigata la superficie;

Le macchine impiegate sono utilizzate in combinazione od alternanza ai trattamenti di copertura.

La ricopertura consiste nell’applicare sulla superficie dei cuoio un film polimerico coprente, il quale ha il compito di livellare le naturali irregolarità della pelle (per lo più del fiore, ma spesso anche del lato carne o della crosta) e deve quindi disporre di azione riempiente.

Con la ricopertura si riesce a proteggere il prodotto finito contro lo sfregamento, il graffio, l’acqua e lo sporco; inoltre è possibile migliorare, correggere o modificare l’aspetto (colore, tatto G, o brillantezza) uniformando il colore della

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tintura ed occultando eventuali macchie, difetti del fiore o danneggiamenti subiti in precedenza; inoltre nella maggior parte dei casi, dovrà conferire al cuoio un colore uniforme, per mezzo dei pigmenti in esso contenuti. Lo strato coprente può avere costituzione di vario tipo e viene applicato sulla superficie del cuoio in modo da formare un legame intimo con essa; deve resistere alle sollecitazioni meccaniche a cui è sottoposto durante il processo di lavorazione nei calzaturifici e all’usura.

La ricopertura può essere eseguita con varie tecniche:

• “a spruzzo” con successione di più strati protettivi (macchina a spruzzare o a pigmentare) in cui il film viene applicato mediante pistole collocate su giostre in rotazione;

• “a pressione” (cilindratura, stampaggio di grane);

• “a velo” per stesura di un velo sottile film liquido (macchina a velare); • “per laminazione” (incollaggio);

• “per rivestimento” (trasferimento per pressione di fogli preformati da fogli di supporto);

• “a tampone” o “a spazzola” (tamponatura);

Le pelli, infine, vengono essiccate in essiccatoi a camera o a tunnel perché devono risultare ben asciutte in modo da garantire il consolidamento e l’ancoraggio del film di rifinizione.

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