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3.2 S P 3.1 I 3 M M I

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(1)

3 M

ATERIALI E

M

ETODI

I

MPIEGATI

3.1 I

NTRODUZIONE

In questo capitolo viene fatta una descrizione particolareggiata delle materie prime, dell’apparato sperimentale e delle apparecchiature ausiliarie cui si è fatto ricorso durante lo svolgimento del lavoro oggetto di questa tesi.

3.2 S

TATO DELLE

P

ELLI

Le prove sono state eseguite su pelli di vitello di peso da 8-12 Kg conservate tramite salatura e provenienti dall’Ungheria.

Le prove sono state effettuate inizialmente su scala laboratorio e successivamente confermate su scala semi industriale.

Le prove su scala laboratorio sono state condotte nel cosiddetto “giragiare” su piccoli pezzetti di pelle , mentre le prove su scala semi industriale sono state effettuate su pelli bovine intere divise in due metà ( mezzine ).

Sia su scala laboratorio che semi industriale, al fine di poter confrontare tra loro i risultati, le pelli sono state tutte sottoposte alle stesse lavorazioni, eccetto la fase di concia.

Per una migliore comprensione dei successivi capitoli si riporta la suddivisione e la denominazione delle varie zone di una pelle di vitello.

(2)

Fig. 3.2: Le parti della pelle:

- Culatta, dorso ed estremità culatta groppone - Spalla testa, frontale e mascelloni spalla

- Ventre, fianchi, zampe anteriori e posteriori lato o fianco

3.3 A

PPARATO

S

PERIMENTALE

3.3.1 I

L

G

IRAGIARE

L’apparecchiatura denominata “giragiare” ( Fig. 3.3.1 ), permette di effettuare prove su campioni di pelle di piccole dimensioni.

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Fig. 3.3.1: Giragiare utilizzato nella sperimentazione

Essa è costituita da dei recipienti cilindrici in acciaio aventi un diametro di 35 cm e un’altezza di 20 cm ; tali giare riproducono in piccola scala il tipico bottale usato nella pratica conciaria e sono quindi sottoposte ad una rotazione che viene trasmessa da due rulli in gomma che fungono anche da appoggio: in questo modo si riesce a tenere in movimento reciproco sia l’eventuale bagno che i campioni di pelle.

La velocità di rotazione può essere regolata, permettendo così un miglior controllo delle fasi di processo ed una maggior riproducibilità delle operazioni che vengono comunemente effettuate nei bottali, così come il senso di rotazione.

L’apparecchiatura in oggetto consente di regolare i tempi di rotazione e di pausa sia manualmente che in automatico, consentendo di continuare le sperimentazioni anche nelle ore notturne. E’ inoltre consentita la regolazione della temperatura grazie ad una resistenza opportunamente collocata.

Dei setti sporgenti all’interno del bottalino trascinano le pelli verso l’alto durante la rotazione che poi ricadono verso il basso; questo movimento genera una velocità relativa tra il bagno e i campioni di pelle in modo da aumentare la velocità dello

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scambio osmotico, e indurre una continua azione di flessione sulle pelli nel bagno facilitando per azione meccanica ( sbattimento ) l’assorbimento dei prodotti chimici. Il carico e lo scarico delle pelli avvengono attraverso un'apertura centrale posta su una delle due basi del cilindro; la tenuta è garantita tramite una guarnizione. L'altra base è in vetro per permettere il controllo visivo del processo.

L’apparecchiatura oggetto di questa sperimentazione è dotata di cinque giare, il che ha permesso di poter condurre simultaneamente più prove.

3.3.2 I

L

B

OTTALINO

Le prove sperimentali sono state condotte nei cosiddetti “bottalini sperimentali”, che altro non sono che bottali di dimensioni ridotte.

Il bottale è il reattore più comunemente usato nella lavorazione conciaria, dalle operazioni di riviera alla fase di riconcia, tintura e ingrasso: ha forma cilindrica ed è generalmente costituito da doghe di legno stagionato, tenute insieme da una serie di cerchioni in metallo.

Il bottale è supportato da un asse cavo, disposto lungo l’asse del cilindro e appoggiato su dei cuscinetti, che gli consentono di ruotare: l’asse, essendo cavo, consente l’introduzione dell’acqua e dei prodotti all’interno del bottale e la fuoriuscita degli eventuali gas che possono svilupparsi durante le varie fasi del processo.

Ognuno dei due assi è fissato a un piatto o ad una crociera, ancorata alle superfici di base del bottale. Una delle due crociere termina con una corona dentata, su cui ingrana un pignone, per garantire il movimento del bottale.

Al centro della superficie laterale è collocata l’apertura del bottale, chiusa a saracinesca da un portello in acciaio inossidabile, che scorre su apposite guide e serve per l’introduzione delle pelli. Per effettuare lavaggi delle pelli in continuo o per far svuotare i bottali del loro carico d’acqua in tempi lunghi, il portello di alcuni bottali è provvisto anche di una griglia in acciaio inossidabile. Chiudendo il portello fino all’orlo superiore della griglia, ad ogni giro del bottale, l’acqua fuoriesce dai fori

(5)

Sulla superficie interna del bottale sono collocati dei pioli a punta arrotondata, al fine di ottenere una migliore agitazione delle pelli.

Fig. 3.3.2.1:. Bottale

Fig. 3.3.2.2 : Rappresentazione bottale:

(6)

Come principio di funzionamento, i bottalini utilizzati sono molto simili ai grandi bottali delle concerie: nella ricerca sperimentale si cerca infatti di riprodurre le stesse condizioni operative del bottale tradizionale. Un parametro che risulta però impossibile riprodurre fedelmente su bottalino è l’intensità dell’azione meccanica che pelli subiscono all’interno del bottale. I bottali possono infatti contenere grandi quantità di pelli, che, durante la rotazione, si strofinano, si comprimono e si urtano tra loro: nei piccoli bottalini, pur aumentando la velocità di rotazione, non è possibile ottenere la medesima azione meccanica.

Diversamente dai bottali tradizionali, il bottalino utilizzato non è stato costruito in legno bensì in acciaio inossidabile

(7)

3.4 P

RODOTTI

U

TILIZZATI

3.4.1 A

GENTI

C

ONCIANTI

3.4.1.1 G

LUTARALDEIDE

La dialdeide glutarica (

OHC

(

CH

2

)

3

CHO

), può essere usata sia come vero e proprio conciante, sia come agente di preconcia e riconcia; il composto di partenza per la sua produzione è l’acroleina.

La glutaraldeide è commercializzata sotto forma di soluzione acquosa al 25% o al 50%, e si presenta come un liquido di colore giallo chiaro dal forte odore pungente. Gli studi effettuati sull’effetto conciante di questa aldeide hanno mostrano che essa reagisce più velocemente e si fissa alla pelle in quantità maggiore rispetto alle altre aldeidi [6].

In soluzione basica o a temperature elevate, la glutaraldeide tende a polimerizzarsi per formare oligomeri in cui 3 o 4 unità di glutaraldeide sono tra loro condensate. Il cuoio conciato con GTA permette di ottenere cuoi dotati di elevata pienezza e morbidezza, Tg > 80°C, colore crema più o meno scuro ( modificabile comunque nella successiva fase di tintura); assai importante è poi l’aumentata resistenza al sudore ed agli agenti alcalini.

Tutte queste caratteristiche rendono le pelli conciate con glutaraldeide adatte ad essere utilizzate per la produzione di articoli di pelletteria ai quali sia richiesta una certa morbidezza e qualora si voglia ottenere una colorazione finale chiara.

Il processo di concia può essere effettuato sia in ambiente basico a pH 8÷8.5 che in ambiente acido a pH 4÷5, valori a cui si ottiene un buon esaurimento del bagno. Al fine di ottenere un miglior esaurimento del bagno è preferibile che questo sia piuttosto ristretto e comunque è sempre consigliabile effettuare un lavaggio alla fine del trattamento al fine di allontanare l’aldeide libera.

La glutaraldeide utilizzata in questa sperimentazione è una soluzione al 50% con un pH compreso tra 3÷4.

(8)

3.4.1.2 C

ROMO

Il comune “cromo” usato in conceria è un sale basico di cromo che si presenta sotto forma di una polvere verde, composto dal 26% ossido di cromo, 24 % solfato di cromo, 33.3 % basicità.

La versatilità e l’ampia articolistica che si possono produrre con il cromo, ne fanno il conciante più usato.

Le pelli conciate al cromo possono raggiungere Tg intorno ai 100°C e si presentano con un fiore molto fine, un tessuto fibroso ben serrato ed un tatto gommoso caratteristico.

Il metodo di gran lunga più usato è la “ concia al cromo ad un bagno “, applicata in genere a pelli precedentemente piclate. Il sale di cromo può essere offerto in più rate ( in genere due o quattro porzioni ad intervalli di circa un’ora ) oppure in una volta sola.

Dopo qualche ora di rotazione, quando la sezione della pelle è stata attraversata, occorre fare un’aggiunta di un opportuno agente basificante al fine di aumentare la basicità dei liquori di cromo e permettere la fissazione del sesquiossido. Se l’agente basificante è bicarbonato di sodio, questo va sciolto in dieci parti d’acqua ed aggiunto lentamente al bagno di concia in modo da evitare il verificarsi di bruschi innalzamenti del pH che possono avere come conseguenza un attacco del fiore da parte del bagno troppo astringente, indurimento e raggrinzimento delle pelli e, a volte, macchie più scure dovute al cromo [6].

(9)

3.4.2 I

NDICATORI DI PH

Durante la sperimentazione si è dovuto misurare il pH dei bagni e controllare la desiderata penetrazione dei prodotti all’interno delle pelli stesse attraverso verifiche sulla sezione.

Per misurare il pH dei bagni sono state utilizzate delle cartine tornasole fornite dalla CARLO ERBA S.P.A.

I controlli sulla sezione sono invece stati eseguiti con l’ausilio di due indicatori liquidi:

• Fenolftaleina: è sciolta in alcool al 70% ,alla concentrazione dello 0,1%è un

composto che assume una colorazione diversa a seconda del range di pH. Rimane incolore per valori di pH inferiori a 8,2 mentre assume un colore viola per valori di pH da 8,2 a 10;

• Verde di bromocresolo: è sciolto in alcool al 50%, alla concentrazione dello

0,1%. Vira dal giallo al blu attraverso il verde. Più precisamente: giallo se pH<3.5, poi verde giallo fino a 4,5, verde-blu fino a 5,5 e blu oltre [6].

Il controllo viene effettuato tagliando un piccolo pezzo di pelle e versando alcune gocce del prodotto sulla sezione interna del pezzetto stesso e guardano la colorazione.

3.5 A

PPARECCHIATURE PER LE PROVE CHIMICO

-FISICHE DEL CUOIO

3.5.1 E

SAMI CHIMICI E FISICI DEL CUOIO

A partire dal 1951 l’Unione Internazionale delle Società dei Chimici e Tecnici del Cuoio ha promosso lo sviluppo di Commissioni per le analisi fisiche e chimiche del cuoio al fine di individuare dei metodi ufficiali per il riconoscimento delle caratteristiche del cuoio.

(10)

Si individuano così tre sigle fondamentali:

• I.U.C. : Metodi Internazionali per l’analisi chimica dei cuoi; permettono di

determinare l’umidità, contenuto in ceneri, sostanze grasse, sostanze concianti, ecc;

• I.U.P. : Metodi Internazionali per l’analisi fisica dei cuoi; permettono di

determinare la temperatura di contrazione, la resistenza allo strappo, la resistenza allo scoppio, ecc. Le prove variano a seconda dell’uso a cui il cuoio è destinato. Vi sono delle norme ben precise per il prelievo dei campioni;

• I.U.F. : Metodi Internazionali per le prove di resistenza dei cuoi tinti.

Le prove da condurre variano a seconda dell’uso cui il cuoio è destinato. Vi sono delle norme ben precise anche per il prelievo dei campioni, che devono essere prelevati nelle zone delle pelli migliori per struttura e caratteristiche merceologiche..

3.5.2 D

ETERMINAZIONE DELLA TEMPERATURA DI

CONTRAZIONE

Il test ( IUP/16 )determina la temperatura alla quale il cuoio comincia a contrarsi per

effetto del calore umido :

La preparazione del provino si effettua tagliando dal campione da esaminare una sottile striscia rettangolare lunga 50 mm e larga 3 mm se lo spessore del cuoio è inferiore a 3 mm, mentre se tale spessore supera i 3 mm, si trancia un provino della lunghezza di 50 mm e larghezza 2 mm.

Per sostenere il provino nell’apparecchio si praticano in esso due piccoli fori distanti 5 mm dai lati corti e disposti su una linea parallela ed equidistante dai lati più lunghi. L’apparecchio usato per la misura della temperatura di contrazione, mostrato in Fig. 3.5.2, è stato fornito dalla OTTO SPECHT GMBH & Co. ed è costituito dalle seguenti parti:

(11)

Fig. 3.5.2 : Apparecchio per la misura della temperatura di contrazione.

A. Un becker di vetro da 500 ml, avente un diametro interno 70 mm, posto sul piatto di un agitatore magnetico.

B. Un tubo di ottone, del diametro interno di 4 mm, chiuso al fondo, provvisto di un anello

che lo mantiene nella giusta posizione e di una asticina D del diametro di 2 mm che serve a sostenere il provino, passando attraverso il suo foro inferiore.

L’asticina D è situata a 30 mm dal fondo del becker.

C. Un quadrante, del diametro di 45 mm, graduato lungo il bordo, con divisioni distanti una dall’altra di 1 mm.

D. un indice leggero, equilibrato in tutte le sue posizioni e rigidamente connesso alla puleggia H, che ha un diametro di 10 mm.

J. un gancio in filo di rame, la cui estremità inferiore attraversa il provino nel foro superiore e l’altra è collegata al filo K, che passa sulla puleggia H e sostiene un peso L interno al tubo B. La puleggia ed il quadrante sono rigidamente collegati al tubo B in modo che ogni variazione di lunghezza del provino determini una rotazione dell’indice. La puleggia ruota con poco attrito ed il peso L supera di 3 g il peso del gancio J, in modo che il provino è sottoposto a una tensione di 3 g.

(12)

M. Un termometro diviso in °C sostenuto dal coperchio N, che sostiene anche B e le parti ad esso connesse. Il termometro è disposto in modo che il suo bulbo è prossimo al centro di figura del provino. Il gancio J è libero di muoversi attraverso un foro del coperchio N senza toccarlo.

Il procedimento è il seguente: si fissa il provino al gancio J e all’asticina D dell’apparecchio e si introducono nel becker A 350 ml di acqua distillata avente la temperatura di 50°C. Si pone quindi il becker su una piastra elettrica ( potenza 80-100 watt ), che riscalda l’acqua di 0.5°C/min. Ad intervalli di mezzo minuto, si annota la temperatura e la corrispondente posizione dell’indice sulla scala del quadrante ricavando la temperatura precisa alla quale il provino si è contratto di un valore tale da far muovere l’indice di una mezza divisione rispetto alla posizione corrispondente alla lunghezza normale del provino.

Si annota questa temperatura come temperatura di contrazione del cuoio ( Tg ). Se la temperatura di contrazione non è stata raggiunta quando l’acqua è in ebollizione, annotare che la temperatura di contrazione è al di sopra del punto di ebollizione, indicando la temperatura raggiunta dall’acqua mentre bolle.

3.5.3 P

REPARAZIONE DEI PROVINI PER LE PROVE

F

ISICHE DI

RESISTENZA MECCANICA

Le prove fisiche sui cuoi vengono generalmente effettuate sul cuoio finito, per determinare i valori delle proprietà meccaniche delle pelli.

Lo svolgimento delle prove avviene secondo norme standardizzate ( I.U.P. ), che

regolano anche la regione della pelle prevista per l’ottenimento dei campioni: tuttavia, più che il valore assoluto della prova, nel lavoro effettuato interessa ottenere dati direttamente confrontabili tra loro. In particolare, il confronto in questo caso è stato fatto tra pelli conciate tradizionalmente e quelle conciate con l’ausilio dell’idrolizzato proteico. Si è perciò è preferito utilizzare un più alto numero di campioni rispetto agli standard, per avere un maggior numero di dati sperimentali su

(13)

abbiamo ricavato tre campioni: in testa, sul dorso e in culatta; un quarto campione è stato infine ricavato sui fianchi.

Le prove fisiche più significative e quindi effettuate in questo lavoro sperimentale sono la “resistenza allo strappo” e la “misurazione della distensione e della resistenza alla screpolatura del fiore nella prova di scoppio”.

3.5.4 M

ISURAZIONE DELLA RESISTENZA ALLO STRAPPO

Il metodo seguito per le misure di resistenza allo strappo è l’I.U.P/8, che fornisce

una misura chiara della resistenza strutturale del cuoio.

Il macchinario utilizzato, chiamato dinamometro è collegato ad un calcolatore elettronico sul quale è installato un apposito software che permette di visualizzare le caratteristiche del cuoio.

Il provino per questa prova misura mm. 50×25 e presenta un taglio a metà dell’asse longitudinale; il campione viene montato sul macchinario tramite due ganci d’acciaio che penetrano nella fenditura e che sono al momento del montaggio in contatto fra loro.

Fig. 3.5.4.1 : Forma del provino per la prova di resistenza allo strappo

La prova si svolge nel seguente modo:si misura lo spessore del provino e si collocano i due ganci sul dinamometro, a diretto contatto tra loro. Si inserisce quindi il provino sui ganci del dinamometro, in modo tale che entrino nella fessura interna del campione. Viene quindi eseguita la trazione, che determina l’allontanamento, a velocità costante, degli uncini. Al momento della rottura del provino si interrompe la

(14)

trazione ed è quindi possibile leggere sul monitor del calcolatore l’allungamento a rottura ed il carico massimo.

Fig. 3.5.4.2 : Dinamometro utilizzato nella sperimentazione

Al fine di valutare i risultati ottenuti è stato fatto riferimento alla NORMA ITALIANA UNI 10594 ( caratteristiche e requisiti dei cuoi destinati all'industria

calzaturiera ) secondo la quale deve essere:

Per applicazioni con fodera:

• Calzatura da passeggio uomo 50N; • Calzatura da passeggio donna 40N; • Calzatura da tempo libero 70N;

• Calzatura moda, da bambino, indoor 30N; • Calzatura da ragazzo 40N.

Per applicazioni senza fodera: • Calzatura da passeggio uomo 60N;

(15)

• Calzatura da tempo libero 80N;

• Calzatura moda, da bambino, indoor 40N; • Calzatura da ragazzo 50N.

3.5.5 M

ISURAZIONE DELLA RESISTENZA ALLO SCOPPIO

La metodologia applicata è la I.U.P./9.

I provini tranciati hanno forma circolare, con diametro di 44.5 mm.

Fig. 3.5.5.1 : Forma e dimensioni del provino per la prova allo scoppio

Fig. 3.5.5.2 : Sezione del lastometro

La prima operazione da fare è quella di misurare lo spessore del provino che viene poi posizionato sul lastometro, dotato di un apposito apparato che tiene fermo il provino circolare.

(16)

Il lastometro esercita quindi una pressione sul provino dal lato carne, attraverso un piccolo pistone a punta sferica ( diametro di 12.5mm ) che si muove a velocità costante contro il provino teso ( 0.20 mm al secondo ), che assume una curvatura cuneiforme piuttosto appuntita.

Quando sul provino si forma la prima screpolatura si interrompe il moto del pistone e si vanno a leggere e annotare l’allungamento e il carico alla screpolatura. Si fa poi proseguire il moto del pistone fino a che questo non trapassa il provino ( spesso si avverte uno scoppio ), momento nel quale si individuano invece l’allungamento ed il carico allo scoppio.

Il valore significativo risulta essere l’allungamento alla screpolatura.

Sempre secondo la NORMA ITALIANA UNI 10594 l'allungamento alla

screpolatura del fiore nella prova di scoppio deve essere

7

mm

.

3.5.6 M

ICROSCOPIO

E

LETTRONICO A

S

CANSIONE

Il microscopio a scansione ( SEM ) può essere definito, molto sinteticamente, come un laboratorio operante ad un elevato valore di vuoto e nel quale un opportuno campione viene fatto interagire con un fascio elettronico ad elevata energia.

Il principio di funzionamento si basa sull’interazione fra un fascio di elettroni che bombarda il campione in un microscopio elettronico ed il campione stesso: per effetto di questa interazione, il campione emette tutta una gamma di segnali che sono caratteristici della sua composizione chimica.

Infatti, quando elettroni veloci bombardano un campione, entrano in esso e lo ionizzano causando l’emissione di un elettrone dagli orbitali interni.

L’atomo è così energeticamente instabile e si diseccita tramite decadimento di un elettrone appartenente ad un orbitale più esterno, il quale va ad occupare la lacuna formatasi: il salto energetico effettuato si traduce nell’emissione di un fotone X, di energia pari al salto stesso.

(17)

di un nuovo fotone X di energia diversa dal precedente ed uguale a questo nuovo salto e così via.

Queste transizioni tra livelli atomici danno dunque luogo ad un insieme di raggi X distribuiti secondo uno spettro discreto di energie dette “righe caratteristiche” di quell’elemento. Sebbene la complessità dello spettro dei raggi X aumenti all’aumentare del numero atomico, ogni elemento possiede uno spettro discreto ben preciso, attraverso il quale è dunque possibile identificare la presenza dell’elemento stesso nel campione.

Il modello di SEM da noi utilizzato è JEOL 5600LV che utilizza come sorgente elettronica quella ottenuta dal riscaldamento di un filamento di tungsteno. La temperatura a cui viene portato il filamento onde ottenere un emissione costante è dell’ordine di 2500-2600 K. Il filamento riscaldato emette elettroni in ogni direzione: la scelta di una di queste ed il controllo dell’emissione viene effettuato da un dispositivo metallico che lo circonda detto “cilindro di Wehnelt”.

Il segnale più frequentemente utilizzato per lo studio della morfologia di superficie di un campione è quello degli elettroni secondari ( SE ). L’interazione del fascio elettronico primario con gli elettroni degli orbitali esterni degli atomi del preparato provoca, a seguito di trasferimento di energia cinetica, l’allontanamento degli stessi elettroni di valenza. L’elettrone espulso, denominato elettrone secondario presenta un’energia non superiore a 50 eV. Il segnale, originato a seguito dell’interazione prodotta, viene raccolto da un opportuno rilevatore e trasferito alla griglia di controllo di un oscilloscopio a raggi catodici ( CRT ). La modulazione prodotta permette di regolare l’intensità del fascio elettronico dell’oscilloscopio stesso in funzione della quantità di segnale ricevuto, ottenendo un’immagine corrispondente sullo schermo del CRT. Poiché il trasferimento sequenziale del pennello elettronico sul preparato viene prodotto da un generatore di scansione che contemporaneamente agisce in modo sincrono sull’avvolgimento di deflessione del fascio elettronico dell’oscilloscopio, esiste una perfetta corrispondenza tra il segnale proveniente del campione e l’immagine ottenuta sullo schermo. Il sistema che genera e trasferisce il fascio elettronico primario e il campione stesso devono essere posti in un elevato valore di vuoto, a seguito delle proprietà intrinseche mostrate dagli elettroni veloci .

(18)

Possiamo in definitiva considerare il SEM composto da diversi sistemi, ciascuno deputato ad una funzione particolare, ma direttamente interconnesso agli altri. In tal senso il SEM è costituito da:

• Un sistema di illuminazione del campione;

• Un sistema di rivelazione e di trasferimento del segnale; • Un sistema di produzione e di registrazione dell’immagine; • Un sistema del vuoto.

Si riporta di seguito lo schema a blocchi di un microscopio a scansione elettronica:

Fig. 3.5.6- Diagramma a blocchi di un SEM.

Ogni immagine ottenuta con il microscopio ha una didascalia dove, procedendo da sinistra verso destra, vengono riportati: la lunghezza in micron del segmento di riferimento, la differenza di potenziale tra il campione e l’elettrodo ( 15 KV ), il numero di ingrandimenti effettuati ed il numero progressivo dell’immagine.

(19)

3.6 D

ETERMINAZIONE DI SECCHI E CENERI NEI BAGNI

Si è proceduto alla determinazione dei secchi e delle ceneri contenuti nei bagni di concia nei vari momenti step di processo.

Il “secco” è una misura della quantità di quei composti che hanno una temperatura di evaporazione o di decomposizione inferiore a ~ 100°C ( in questo caso 102°C ). Le “ceneri” danno invece un’indicazione della quantità di quei composti che non evaporano né si decompongono a temperature nel nostro caso superiori a 600°C .

3.7 P

ROPRIETÀ MERCEOLOGICHE DEL CUOIO

Queste proprietà non possono essere determinate utilizzando apparecchiature ma si deve ricorrere a personale specializzato.

La determinazione è avvenuta sulle pelli in crust, prima cioè che esse vengano sottoposte alle operazioni di rifinizione.

La valutazione è stata effettuata assegnando un voto da 1 ( minimo ) a 5 ( massimo ) e ricorrendo anche a voti intermedi ( es. 4/5=4,5 ).

Le proprietà che sono state valutate in questa sperimentazione sono:

• Uniformità del colore: valuta l’uniformità della tintura, la presenza di macchie o

accumuli di colore in certe zone;

• Resa del colore: valuta la tonalità del colore e la sua intensità;

• Rotondità:la valutazione viene eseguita prendendo la pelle ed arrotolandola su se

stessa facendola scorrere tra le dita; la pelle sarà tanto più rotonda quanto più seguirà la deformazione imposta;

• Pienezza: è una caratteristica che viene conferita alle pelli dalla riconcia. Si

valuta stringendo la pelle in pugno e valutandone il grado di riempimento della struttura fibrosa;

(20)

• Soffiatura: si dice che una pelle soffia quando allorché il fiore non è ben fermo e

tende a distaccarsi dallo strato sottostante; la verifica viene effettuata imponendo dei raggrinzimenti;

Figura

Fig. 3.2: Le parti della pelle:
Fig. 3.3.1: Giragiare utilizzato nella sperimentazione
Fig. 3.3.2.1:. Bottale
Fig. 3.3.2.3 : Bottalino utilizzato nella sperimentazione
+5

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