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INDICE

RIASSUNTO 3

INTRODUZIONE 4-7

CAPITOLO I: TUMORE DELLA LARINGE

1.1 EPIDEMIOLOGIA 8-12

1.2 FATTORI DI RISCHIO 13-25

1.3 CLASSIFICAZIONE 26-31

1.4 CLINICA 32-34

CAPITOLO II: OMOCISTEINA

2.1 CENNI STORICI 35-36

2.2 BIOCHMICA 37-41

2.3 FATTORI CHE AUMENTANO LA CONCENTRAZIONE EMATICA

DELL’OMOCISTEINA 42-43 2.4 ASPETTI FISIOPATOLOGICI 44-45

CAPITOLO III: FOLATI

3.1 CENNI STORICI 46-48

3.2 BIOCHIMICA 49-50

3.3 ASPETTI FISIOPATOLOGICI 51-55

CAPITOLO IV: VITAMINA B12

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4.2 BIOCHIMICA 57-60 4.3 ASPETTI FISIOPATOLOGICI 61-62

CAPITOLO V: CORRELAZIONE TRA CICLO

DELLA METIONINA, DEI FOLATI E

CARCINOGENESI 63-67

CAPITOLO VI: ESPERIENZE PERSONALI

6.1 PAZIENTI E METODI 68-80

6.2 RISULTATI 81-88

6.3 DISCUSSIONE E CONCLUSIONI 89-96

CAPITOLO VII: BIBLIOGRAFIA 97-118

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RIASSUNTO

Il fumo di sigaretta e l’assunzione di alcol sono i due principali fattori di rischio del tumore della laringe; tuttavia in questi ultimi anni è stata evidenziata una sempre maggiore correlazione fra questa neoplasia ed alterazioni metaboliche.

L’acido folico e la vitamina B12 hanno un ruolo importante nel metabolismo del DNA: un loro deficit porta sia all’instabilità del DNA, sia alla sua alterata metilazione, fattori che possono favorire lo sviluppo delle neoplasie.

Il deficit di queste vitamine, spesso associato ad un elevato livello di omocisteina, è un fattore che può determinare una riduzione dell’attività degli enzimi MTHR-reduttasi e della metionina-sintetasi. E’ stato dimostrato inoltre che l’omocisteina, indipendentemente dal deficit nel sangue di folati e vitamina B12, può danneggiare direttamente il DNA attraverso meccanismi ossidativi.

Ho studiato, sulla base di queste considerazioni e sull’ipotetico ruolo carcinogenetico delle alterazioni del metabolismo di folati, omocisteina e vitamina B12, un gruppo di 25 pazienti, affetti da carcinoma della laringe ed ho confrontato i risultati raggiunti con quelli rilevati su un gruppo di controllo di 80 soggetti sani, al fine di valutare eventuali correlazioni tra la neoplasia, il ciclo della metionina e dei folati.

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INTRODUZIONE

Nonostante i miglioramenti in campo medico e chirurgico, la prognosi dei pazienti con carcinoma a cellule squammose della testa e del collo, non ha subito sostanziali cambiamenti nelle ultime due decadi. Nei pazienti con neoplasia allo stadio precoce, le metastasi rappresentano la prima causa di morte, mentre nei pazienti con neoplasia in stadio avanzato il decesso sopraggiunge principalmente per malattie loco-regionali. (Papadimitrakopulou, 2000; Armstrong e Meyskens, 2000)

Lo sviluppo delle metastasi è probabilmente correlato ad anomalie molecolari e quindi, per comprendere l’origine del tumore, le ricerche stanno indagando e studiando sulle alterazioni molecolari come base e causa della carcinogenesi del tumore del distretto testa-collo.

La carcinogenesi è un processo multistep di alterazioni genetiche che si accumulano nel tempo: popolazioni clonali di cellule, sottoposte ad alterazioni genetiche progressive, derivano da un’unica cellula neoplastica che si è sviluppata per un processo selettivo vantaggioso.

E’ noto come la carcinogenesi sia associata ad alterazioni metaboliche, che potrebbero promuovere o derivare direttamente dalla progressione neoplastica (Almadori et al., 2002). Gli studi dei disordini metabolici possono, pertanto, condurre sia ad una migliore comprensione della

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biologia del tumore sia rivestire un ruolo importante per l’identificazione di nuovi obiettivi terapeutici.

I processi metabolici che utilizzano i folati, interferiscono con la sintesi, la riparazione e la metilazione del DNA, essendo coinvolti nella sintesi della purine, delle basi pimiridiniche e svolgendo anche un ruolo come donatori di metili nel ciclo della metionina.

Il deficit di folati e di vitamina B12 favorisce l’incorporazione di uracile nel DNA; reazione che determina un'instabilità genomica, caratterizzata dalla formazione di singole o doppie rotture dei filamenti del DNA, da rotture cromosomiche e da formazione di micronuclei (Blount, 1995, 1997).

E’ evidente, quindi, come i folati possano essere direttamente implicati nel promuovere la carcinogenesi. (Eto e Krumdieck, 1986; Weinstein et al., 2002).

Probabilmente, una moderata deficienza di folati non è in grado di indurre mutazioni in vivo, ma sembra interagire con altri fattori di rischio, ambientali o genetici, nella promozione della progressione tumorale (Almadori et al., 2005).

La carenza di folati è spesso associata ad un’iperomocistinemia e l’assunzione di acido folico può ridurre il livello di omocisteina (Selhub et al., 1993): un metabolita intermedio del ciclo della metionina, metabolizzato in metionina o in cisteina. Tale ciclo metabolico

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sovrintende alla produzione della S-adenosilmetionina, considerata il principale donatore di metili nel corpo umano.

L’omocisteina nel siero è un indicatore sensibile dello stato dei folati, tuttavia elevati livelli di omocisteina nel plasma sono stati associati a danni cromosomici anche in assenza di folati o di deficienza di vitamina BB12; tale correlazione non può essere spiegata soltanto con una deficienza di metilazione di uracile a timidina poiché l’omocisteina danneggia direttamente il DNA con la produzione di danni ossidativi (Oikawa et al., 2003). E’ stato, inoltre, dimostrato che elevati livelli della stessa nel plasma possono contribuire alla carcinogenesi attraverso il danneggiamento ossidativo del DNA metallo-mediato. Infatti ad alti livelli di omocisteina si associano i tumori del colon-retto (Kato et al., 1999), i tumori della cervice uterina (Alberg et al., 2000), il carcinoma della mammella (Wu et al., 1999) e del pancreas (Stolzenberg et al., 1999).

Il deficit intracellulare di vitamina B12 è stato, anch’esso, associato ad un danno cromosomico: quello delle cellule della mucosa orale dei fumatori (Piyathilake et al., 1995).

Sulla base di queste considerazioni e sull’ipotetico ruolo carcinogenetico delle alterazioni del metabolismo di folati, omocisteina e vitamina B12, ho studiato un gruppo di 25 pazienti affetti da carcinoma della laringe; ho poi comparato i risultati ottenuti con quelli rilevati su un gruppo di

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controllo di 80 soggetti sani, al fine di valutare eventuali correlazioni tra la neoplasia della laringe, il ciclo dei folati e della metionina.

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CAPITOLO I

TUMORI DELLA LARINGE

1.1 EPIDEMIOLOGIA

In Europa i tumori del distretto cervico-facciale rappresentano nel maschio la quarta neoplasia dopo il cancro del polmone, del colon-retto, della prostata (Black et al., 1997) ed il 67% sono di pertinenza delle prime vie aero-digestive superiori (VADS) (Molinari et al., 1989).

Il tumore delle VADS costituisce il 6% dei tumori maligni e ne determina il 5% delle morti in tutto il mondo (Parkin et al., 2005), rappresentando pertanto il sesto tipo di tumore più frequente, con una incidenza di circa 640.000 nuovi casi all’anno.

Le vie aero-digestive superiori includono labbro, lingua, bocca, ghiandole salivari, cavità nasali, rinofaringe, orofaringe, ipofaringe e laringe.

La Tabella 1, relativa ai dati del periodo 1988-1992, permette di confrontare, attraverso tassi di incidenza grezzi, la frequenza relativa di insorgenza delle neoplasie in 8 diverse sedi del distretto testa-collo.

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SEDE UOMINI DONNE Tasso Incidenza/100.000ab. Tasso Incidenza/100.000ab

Lingua 3.6 10% 1.2 18% Bocca 4.4 12% 1.6 24% Ghiandole salivari 1.2 4% 0.8 12% Oro-Faringe 3.1 8% 0.7 10% Ipofaringe 2.2 6% 0.4 6% Rinofaringe 1.3 4% 0.5 7% Faringe 0.8 2% 0.2 3% Laringe 19.8 54% 1.6 22% Testa-Collo 36.5 100% 6.8 100%

Tabella 1. Tumori maligni della testa e del collo in Italia, 1988-92.

Fonte: “Linee guida, in ambito clinico, per i tumori epiteliali della testa e del collo”. Feb. 1999.

Il carcinoma della laringe è il più comune tumore del distretto testa-collo (45%); il sesso maschile, in un’età compresa prevalentemente fra i 45-74 anni, con un picco che si assesta sui 65 anni, è nettamente quello più colpito (solo il 5-8% dei casi è riscontrabile nella donna).

Tassi d’incidenza particolarmente alti sono riscontrabili nell’Europa dell’Est (18,8%), soprattutto in Ungheria e Slovacchia. Nel Sud dell’Europa, l’incidenza è del 16,3% (Bray et al., 2002) con percentuali più elevate in Francia (M/F=20/1) (Moriniere, 2006), seguita da Spagna ed Italia. Attualmente si registrano in Italia circa 5500 nuovi casi di cancro della laringe ogni anno, di cui 5000 circa nel solo sesso maschile. Percentuali più basse sono state riscontrate negli Stati dell’Europa dell’Ovest (10,4%) e nel Nord Europa (6,4%) (Bray et al., 2002). Il

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riscontro della patologia neoplastica laringea è invece elevata nei Paesi asiatici (India, Taiwan, Malesia ed Hong Kong), nel Nord America e nel Sud Africa.

Negli ultimi anni si registra un decremento dei tassi d’incidenza nella popolazione maschile degli stati del Sud e dell’Est dell’Europa rispetto ai valori elevati osservati nel passato (Bosetti et al., 2006).

Per quanto riguarda la mortalità maschile nell’Unione Europea, essa è diminuita complessivamente dello 0,8% per anno tra il 1980 e il 1989, del 2,8% tra 1989 e il 1995, del 5,3% tra 1995 e il 1998 e del 1,5% negli anni successi (i tassi d’incidenza erano del 5,1/100.000 nel 1980-81 e del 3,3/100.000 nel 2000-01) (Bosetti et al., 2006).

In tutti i Paesi dell’Unione Europea la mortalità dovuta al cancro della laringe è comparativamente più bassa nelle donne, con tassi stabili intorno allo 0,3/100.000 nelle ultime due decadi (Bosetti et al., 2006). La variabilità d’incidenza e di mortalità di questo tumore, è dovuta alle abitudini dietetiche, al diverso consumo di alcol ed ai fattori virali, spesso confinati in zone geografiche ristrette; se si valuta poi il rapporto esistente tra popolazioni urbane e rurali, si evince che i tumori sono più frequenti nelle prime (Wake, 1993); esiste infine una correlazione negativa tra status socio-economico ed incidenza dei tumori.

Si riscontra una forte variabilità anche all’interno del territorio degli Stati stessi, infatti il tasso di incidenza in Italia, presenta tuttora trend

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variabili in rapporto alle sedi di insorgenza, all’età ed alle aree geografiche, con percentuali più elevate nelle regioni settentrionali (nel Piemonte, nell’ Emilia Romagna e in Toscana l’incidenza è superiore ai 10 casi annui ogni 100.000 uomini), rispetto a quelle centro-meridionali e insulari (in Sicilia si registrano 4.9 casi all’anno di tumori della laringe ogni 100.000 uomini) (Tavani et al., 1994).

In Italia, prendendo come modello i dati rilevati dal registro Tumori della provincia di Torino (2004), si evince che l’incidenza dei tumori delle VADS, riferibile al periodo 1998-2001, è pari a 28,1 casi su 100.000 abitanti per anno nel sesso maschile, ed a 6,8 casi su 100.000 abitanti per anno nel sesso femminile, con picchi di incidenza più elevati tra i 50 ed i 70 anni e negli over 80.

Con i medesimi riferimenti, la mortalità corrisponde a 11,1 casi nel sesso maschile ed a 2,1 casi nel sesso femminile. Ad ulteriore titolo conoscitivo, nella provincia di Torino, nel periodo 1993-98, sono stati riscontrati 1061 casi di tumori maligni delle vie aero-digestive superiori, nel sesso maschile, e 260 casi nel sesso femminile; parallelamente la mortalità è stata di 430 casi nel sesso maschile e 101 casi nel sesso femminile.

La Tabella 2 mostra la prevalenza del cancro laringeo nelle varie regioni italiane.

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Tumore della laringe (ICD-9 161) Regione1 Popolazione2 Prevalenza3

per 100.000 Numero di tumori prevalenti

Piemonte 4.297.989 139,6 6.000 Valle d'Aosta 118.456 139,6 165 Lombardia 8.910.451 130,8 11.655 Bolzano 449.055 191,7 861 Trento 459.612 191,7 881 Veneto 4.422.290 191,7 8.478 Friuli Venezia Giulia 1.191.248 191,7 2.284 Liguria 1.663.696 172,2 2.865 Emilia Romagna 3.922.604 160,9 6.312 Toscana 3.526.031 176,2 6.213 Umbria 822.480 176,2 1.449 Marche 1.441.031 176,2 2.539 Lazio 5.193.233 56,2 2.919 Abruzzo 1.267.694 56,2 712 Molise 332.155 56,2 187 Campania 5.745.761 56,2 3.229 Puglia 4.075.802 66,5 2.710 Basilicata 610.699 66,5 406 Calabria 2.076.128 66,5 1.381 Sicilia 5.082.697 66,5 3.380 Sardegna 1.659.466 66,5 1.104 Totale 57.268.578 – 65.729

1 Per il calcolo dei casi prevalenti per Regione sono stati utilizzati i tassi di prevalenza nei seguenti registri: TO (Piemonte, Val d'Aosta), GE (Liguria), VA (Lombardia), Veneto (Bolzano, Trento, Veneto, Friuli VG), PR+MO+Romagna (Emilia Romagna), FI (Marche, Toscana, Umbria), LT (Lazio, Molise, Abruzzo, Campania), RG (Puglia, Basilicata, Sicilia, Sardegna).

2 Popolazione all'1/1/1995, ISTAT. 3 Anno 1992.

Tabella 2: Prevalenza del tumore della laringe in Italia nel 1995 estratto da: Micheli A, Francisci S, Krogh V, et al. Cancer Prevalence in Italian Cancer Registry Areas: The ITAPREVAL Study. Tumori, 85: 309-369, 1999.

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1.2 FATTORI DI RISCHIO

Una serie di fattori esogeni, che agiscono sia singolarmente sia* soprattutto in associazione, sono stati universalmente riconosciuti come fattori di rischio per lo sviluppo delle neoplasie del distretto testa-collo; in particolare, l’abuso di alcol ed il fumo di sigaretta sono i più importanti (Blot et al., 1988; Vokes et al., 1993; Bonnie,Glisson, 2000). Nella laringe, ma anche nella cavità orale e nella faringe, l’azione combinata di questi fattori di rischio sembra avere un effetto maggiore della somma dei singoli effetti, con un aumento del rischio relativo da 2 a 140 volte (Maier et al., 1992).

Altri fattori di rischio sono quelli:

¾ occupazionali (per chi lavora nell’edilizia, nella metallurgia, nei settori tessile e ceramico, nelle industrie alimentari e nei trasporti ferroviari) (Boffetta et al., 2003);

¾ correlati a particolari abitudini alimentari;

¾ conseguenti ad infezioni virali ed alle lesioni precancerose (Tumino e Vicario, 2004; Dobrossy, 2005).

Altri ancora, secondo recenti studi, devono essere considerati la gastrectomia (Cianci et al., 2003) ed il reflusso gastro-esofageo (Bacciu et al., 2003), che sarebbero associati ad un incremento del rischio di

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tumori del tratto aero-digestivo superiore.

In relazione alla predisposizione genetica la ricerca di base, con studi di biologia molecolare, ha compiuto passi importanti al fine di evidenziare alterazioni del corredo genomico, tali da fare ritenere assai probabile, per alcuni tumori, una predisposizione genetica (Bodnar et al., 1998).

Nella donna, secondo un recente studio, è stato ipotizzato ma non comprovato, che i fattori ormonali hanno un ruolo come fattore di rischio per il cancro della laringe e per quello della cavità orale, della faringe, dell’esofago, dello stomaco e del colon-retto (Gallus et al., 2003).

FUMO DI SIGARETTA

Numerosi studi epidemiologici hanno evidenziato la stretta relazione di causalità esistente tra fumo ed insorgenza di neoplasie. Il fumo di sigaretta, causa ben documentata del cancro del polmone e della vescica, rappresenta anche la causa principale dei tumori maligni del distretto cervico-facciale nei paesi più sviluppati.

La cancerogenicità è attribuibile alla presenza, nella fase corpuscolata e gassosa del fumo di tabacco, di centinaia di sostanze chimiche (IARC, 2003): tra i cancerogeni forti, che sono in grado d’indurre la formazione

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del tumore in animali da laboratorio, dopo trattamento con dosi relativamente basse dell’ordine dei microgrammi o milligrammi, si annoverano gli idrocarburi policiclici (es. benzopirene, benzoantracene, e fluoroantracene), le N-nitrosamine e le amine aromatiche che sono presenti in minore quantità (1-200 ng per sigaretta) rispetto ai cancerogeni deboli, come ad esempio l’acetaldeide (vicino a 1 mg per sigaretta) (Wogan et al., 2004). Tali sostanze possono interagire direttamente con il DNA, legandosi specificamente ad alcune basi per formare degli “addotti” di DNA; lo rendono perciò molto instabile, facendo aumentare sia il rischio di rotture cromosomiche in “siti fragili”, sia la comparsa di mutazioni in oncogeni e onco-soppressori (Slebos et al., 1991). Quando queste mutazioni intervengono in regioni cruciali di oncogeni, come RAS e MYC, o in geni soppressori tumorali, come TP53 e CDKN2A (che codifica per p16) (Pfeifer et al., 2002), il risultato è la perdita dei normali meccanismi di controllo della crescita cellulare e dello sviluppo del tumore (Osada et al., 2002).

Il rischio di sviluppare un carcinoma squammoso delle prime vie aero-digestive nei forti fumatori (almeno 20 sigarette al giorno) è stato stimato da 5 a 25 volte superiore rispetto ai non fumatori (Rothman et al., 1980), con una relazione quasi lineare con il numero di sigarette fumate ed il periodo di abitudine al fumo (Franceschi et al., 1990); tale rischio, tuttavia, declina sostanzialmente dopo 3 anni o più dalla

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sospensione del fumo ma, soltanto dopo circa 10 anni, il rischio si avvicina a quello di chi non ha mai fumato (Altieri et., 2002).

E’ stato altresì dimostrato che i fumatori di sigarette con filtro presentano un rischio minore (Tuyns et al., 1988) e che, per coloro che fumano il sigaro o la pipa, il rischio è simile o poco più basso per il cancro della laringe, mentre è più elevato per quello del cavo orale, dell’orofaringe e dell’ipofaringe (IARC, 1986).

Anche la masticazione di tabacco costituisce un fattore di rischio, soprattutto per i tumori del cavo orale, seppure in associazione con altri fattori (edentulia, assenza di una corretta igiene dentale, presenza di protesi dentarie). Il tabacco masticato ha un ruolo oncogeno preponderante nei Paesi in via di sviluppo, in particolar modo nel sud-est Asiatico e nell’India, dove è in uso l’abitudine di masticare una mistura di foglie di Betel e di tabacco (Gupta e Ray, 2003; Johnson, 2001).

ALCOL

Dopo il tabacco, il secondo agente responsabile delle neoplasie del distretto cervico-facciale, è il consumo elevato di bevande alcoliche (Poschl e Seitz, 1998, 2004).

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fattore di rischio indipendente, è più complessa di quella del fumo, poiché l’abitudine all’alcol spesso si associa con il fumo.

Tuttavia, anche se i tumori maligni della testa e del collo in soggetti che non hanno mai fumato sono rari, aumenti modesti di rischio sono stati dimostrati in forti bevitori non-fumatori e che il rischio di tumore è proporzionale alla quantità di etanolo assunta, indipendentemente dal tipo di bevanda alcolica consumata (vino, birra, liquori) (Brugere et al., 1986; Seitz et al., 1998, 2004; Doll et al., 1999; Garavello et al., 2006).

E’ possibile, comunque, considerare soggetti a rischio coloro che assumono ≥500cc di vino al giorno o ≥1000cc di birra al giorno (la metà di queste dosi per le donne) (Scafato, 2004).

E’ stato osservato che, solo dopo vent’anni o più dall’astensione dall’abuso degli alcolici, si ha un decremento del rischio dello sviluppo del cancro della laringe (Bosetti et al., 2002).

L’azione combinata (consumo di alcol e abitudine al fumo) sembra avere un effetto maggiore nel determinare un aumento del rischio di sviluppare queste neoplasie e, soprattutto per il cavo orale e la faringe, l’interazione moltiplicativa tra fumo e alcol, porta nei soggetti che fumano e bevono, a rischi elevatissimi (50-100 volte) (Schoettenfield et al., 1979).

L’alcol è coinvolto in molteplici meccanismi patogenetici che possono condurre allo sviluppo del cancro: in particolare può avere un effetto locale e agendo come solvente sulle mucose, facilita l’ingresso dei

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composti cancerogeni, specialmente quelli prodotti dalla combustione del tabacco.

In aggiunta il consumo cronico di alcol è responsabile dell’atrofia del parenchima delle ghiandole parotidi e sottomascellari, che porta alla diminuizione funzionale del flusso salivare e all’aumento della sua viscosità; la superficie delle mucose di conseguenza, non più sufficientemente umidificata, è quindi esposta ad una più alta concentrazione di cancerogeni e per un tempo più prolungato (Maier et al., 1994).

In passato inoltre, vari tipi di bevande alcoliche contenevano composti cancerogeni come idrocarburi policiclici, fibre di asbesto e nitrosamine, che ora sono stati completamente eliminati (Seitz et al., 1998)

Altri meccanismi cancerogenetici includono l’effetto dell’acetaldeide (AA), l’induzione del citocroma P4502E1 (CYP2E1), la modulazione della rigenerazione cellulare e le carenze nutrizionali (Poschl et al., 2004).

Il più importante tra questi meccanismi cancerogenetici riguarda l’acetaldeide, il primo metabolita dell’ossidazione dell’etanolo, altamente tossico, mutageno e cancerogeno, che si forma ad opera dell’enzima alcol-deidrogenasi-NAD-dipendente nel citoplasma degli epatociti.

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processi di riparazione e può, di conseguenza, portare allo sviluppo del tumore. Diversi esperimenti in vitro ed in vivo dimostrano la sua capacità mutagena: causa mutazioni puntiformi a livello del locus genetico della ipoxantina-guanina fosforibosil-transferasi dei linfociti umani, induce scambi tra cromatidi fratelli e gravi aberrazioni cromosomiche (Obe et al., 1986; Dell’arco, 1988; Helander et al., 1991). Il suo legame al DNA, nella formazione degli addotti instabili, rappresenta uno dei meccanismi attraverso i quali l’acetaldeide potrebbe iniziare l’evento di replicazione degli errori e/o delle mutazioni in oncogeni o geni soppressori tumorali (Fang et al., 1995).

L’acetaldeide, inoltre, inibisce l’O6-metalguanosina-metil-transferasi, un enzima importante per la riparazione degli addotti, prodotti da agenti alchilanti (Espina et al., 1988).

Infine il consumo cronico di alcol porta all’induzione del citocromo P4502E1, che non solo metabolizza l’etanolo ad acetaldeide, ma è coinvolto anche nella generazione di specie reattive dell’ossigeno e nel metabolismo di vari xenobiotici inclusi i procancerogeni ( nitrosamine, aflatossina, idrocarburi policiclici, idrazine) (Seitz et al., 1998).

Per quanto riguarda lo stato nutrizionale, esso risulta essere, negli alcolisti, seriamente danneggiato: il deficit di vitamine (Seitz et al., 2002), di acido retinoico, di folati (Crabb et al., 2001; Poschl et al., 2004), di ferro, di zinco e di selenio (Seitz et al., 1998) potrebbe

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contribuire al processo di cancerogenesi. In particolare la mancanza di folati, dovuta ad una minore assunzione di cibo e alla loro distruzione ad opera dell’acetaldeide, è comune nei forti bevitori di alcolici e contribuisce all’inibizione della transmetilazione: un importante fattore nella regolazione dei geni implicati nella cancerogenesi.

L’alcol ha un notevole impatto sulla capacità di metilazione del DNA, come risulta dalla diminuzione dei livelli di S-Adenosilmetionina, importante donatore di gruppi metile, con conseguente ipometilazione e sovraespressione di oncogeni.

FATTORI VIRALI

Mentre non sussiste alcun dubbio sul ruolo causale dell’infezione da papilloma virus umano (HPV) nella patogenesi dei carcinomi squammosi dell’area genitale, risulta ancora da definire il suo contributo nella cancerogenesi del distretto cervico-facciale.

Circa il 99% dei carcinomi della cervice uterina ed il 20% dei carcinomi laringei risulta associato ad infezione da HPV (Poljak et a., 1997).

Se la prevalenza stimata di infezione da HPV della mucosa orale di individui adulti non affetti da neoplasia è del 40-45%, solo una quota molto bassa degli HPV infetti svilupperà una neoplasia del cavo orale

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(Jenison et al., 1990). La presenza di HPV di siero-tipo 16 e 18, ad alto rischio oncogeno, è stata dimostrata nei carcinomi squamocellulari del cavo orale, della lingua, della faringe, della tonsilla e del seno mascellare.

Studi in vitro hanno mostrato la capacità dell’HPV, tipo 16, di immortalizzare cheratinociti orali umani (Park et al., 1991); tramite la tecnica di amplificazione genica (PCR), è stato possibile dimostrare la presenza di DNA dell’HPV nel 95% dei campioni di tumore del cavo orale (Woods et al., 1993) e della laringe (Almadori et al., 1995; Sugar et al., 1997).

Inoltre studi recenti dimostrano che l’HPV risulta essere un carcinogeno necessario ma, fra tutti coloro che sono affetti da tumore della testa e del collo e risultano positivi all’HPV, solo pochi casi esprimono gli oncogeni virali (E6 e E7); si deduce pertanto che l’HPV risulta essere un carcinogeno solo per una piccola proporzione di carcinomi del distretto testa-collo (Ragin et al., 2007).

FATTORI DIETETICI

Sebbene il fumo di sigaretta e l’abuso di alcol siano i due fattori di rischio determinanti nel favorire l’insorgenza del cancro della laringe

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(IARC 1986; IARC 1988), è stato supposto un ruolo importante anche per la dieta (Soler, 2001).

Dati epidemiologici suggeriscono un possibile ruolo protettivo dei carotenoidi, della frutta fresca e dei vegetali introdotti con la dieta e un’associazione inversamente proporzionale tra consumo di frutta e verdura ed incidenza di neoplasia del distretto testa-collo.

Secondo uno studio condotto, tra il 1992 ed il 2000, in Italia (provincie di Milano e Pordenone) e Svizzera (cantone Vaud), si è visto che la dieta di fibre può proteggere contro il cancro della laringe, a seconda dell’età, del sesso, della quantità di fumo di sigaretta inalato, della quantità di alcol assunta, dell’eccessiva assunzione di calorie e del BMI (Body Massa Index) (Bosetti et al., 2003).

Attraverso vari possibili meccanismi biologici, le fibre vegetali possono ridurre l’assorbimento glicemico e migliorare la sensibilità all’insulina, influenzando favorevolmente quest’ultima come fattore di crescita (IGF-1), che è un promotore del processo di carcinogenesi nei vari stadi (Garavello et al., 2006).

E’ stata osservato un ruolo ridotto di protezione delle fibre del grano nel rischio del cancro laringeo, che potrebbe essere spiegato per la maggiore raffinazione di questo cereale, altamente consumato dalla popolazione presa in esame. I cereali raffinati sono poveri di fibre (particolarmente di fibre insolubili) (Slavin e Potter, 1999) e questo può essere correlato

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direttamente al rischio di sviluppo tumorale: l’azione potenziale promossa dall’amido (Giovannucci, 1995) potrebbe sopprimere qualsiasi azione protettiva delle fibre vegetali. Lo stesso studio ha rilevato anche un’associazione positiva per le proteine di origine animale e colesterolo, mentre al contrario è stata osservata una relazione inversa per gli zuccheri.

Non è stata osservata una relazione significativa con l’assunzione totale di grassi, sebbene ci fosse un'indicazione che i grassi monoinsaturi, principalmente acido oleico (Lipworth et al., 1997), potrebbero favorire il rischio di cancro della laringe, in percentuale maggiore rispetto ad altri tipi di acidi grassi.

FATTORI OCCUPAZIONALI

Molti studi sono stati eseguiti per stabilire se esiste una compartecipazione di fattori lavorativi nella determinazione della patologia neoplastica.

E’ stato rilevato che, fra le categorie più a rischio, devono essere inclusi gli addetti ai trasporti stradali e ferroviari, i lavoratori d’industrie siderurgiche, metalmeccaniche, tessili, chimiche, conciarie, cartiarie perché soggetti all’esposizione di sostanze come nickel, amianto,

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asbesto, polveri del legno, olii grassi, arsenico, cromo, ferro, gas, amine aromatiche, mostarde azotate, alcol isopropilico, fumi di motori a combustione interna (Moffetta et al., 2003).

Le associazioni meglio documentate sono quelle con l’asbesto, l’amianto, le amine aromatiche e con il legno (duro); é utile ricordare che nella regione Piemonte, unica in Italia dove esiste un Osservatorio sui tumori professionali, dal 1995 al 2001 sono stati rilevati circa 18.000 casi di tumori maligni professionali e, per quanto attiene le vie aero-digestive superiori, risultano, ad esempio, 700 casi in sede laringea, 600 nel cavo orale ed oltre 400 localizzati a livello naso-sinusale.

LESIONI PRECANCEROSE

Con il termine di “precancerosi” si definiscono alcune alterazioni morfologiche delle mucose delle vie aero-digestive superiori (leucoplasia cordale, displasia, papillomatosi, pseudopolipi), che presentano un rischio di degenerazione maligna superiore a quella della mucosa “normale”(Frangez et al., 1997).

Il concetto di “precancerosi” presuppone che le forme invasive siano precedute, attraverso varie fasi, talora clinicamente asintomatiche, da un graduale processo di trasformazione cellulare in senso maligno, sotto

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l’azione degli agenti carcinogenetici.

In effetti la carcinogenesi è un processo a scalini, con differenti tappe di trasformazione, prima di giungere alla condizione di carcinoma francamente invasivo: molte delle trasformazioni che si verificano in questo processo sarebbero controllabili ed addirittura reversibili, rimovendo i presunti fattori promuoventi (ad es.: astensione da fumo e alcol, dieta equilibrata) e grazie all’ausilio di prodotti inibitori della carcinogenesi (chemoprevenzione).

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1.3 CLASSIFICAZIONE

A livello laringeo, l’istotipo tumorale maligno più frequente (97% dei casi) è il carcinoma a cellule squammose, che può presentarsi nella forma:

¾ vegetante, con aspetto esofitico, spesso facilmente sanguinante; ¾ infiltrante, con tendenza ad interessare in profondità i tessuti

laringei;

¾ ulcerata, di cui costituisce, in un certo senso, l’inevitabile evoluzione;

meno comuni sono invece l’adenocarcinoma e i sarcomi (fibrosarcoma, rabdomiosarcoma, condrosarcoma, leiomiosarcoma, emangiosarcoma e linfoma).

Le localizzazioni metastatiche di neoplasie insorte in altri distretti come rene, prostata, ghiandola mammaria, melanomi cutanei o mucosi sono occasionali; più frequente è la diffusione-invasione della laringe da parte di carcinomi insorti nella ghiandola tiroide.

Da un punto di vista topografico la laringe viene suddivisa in sedi e sottosedi (Tabella 3).

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Sovraglottide

-Epiglottide sovraioidea (inclusi l’apice, Epilaringe

la superficie linguale ant. e laringea ( zona marginale inclusa) -Plica ariepiglottica, versante laringeo

- Aritenoide Sopraglottide

-Epiglottide infraioidea esclusa l’epilaringe -Fasce ventricolari (false corde vocali)

Glottide

- Corde vocali

- Commissura anteriore - Commissura posteriore

Sottoglottide

Tabella 3. Suddivisione topografica della laringe secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità.

La laringe è uno degli organi, cui meglio si applica la classificazione TNM dei tumori maligni, formulata dalla Unione Internazionale Contro il Cancro (UICC); la cui più recente revisione (VI edizione, 2002), presenta delle differenze rispetto a quella precedente (1997) relative a T3 e T4 della regione sovraglottica (tabella 4).

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La classificazione UICC si è rivelata di estrema utilità per i confronti tra le diverse casistiche cliniche, per la formulazione di una prognosi e per la pianificazione di protocolli terapeutici.

Tabella4. CLASSIFICAZIONE TNM DEI TUMORI EPITELIALI MALIGNI

DELLA LARINGE SECONDO UICC. AJCC Cancer Staging Manual, Sixth Edition (2002)

Tumore primitivo (T)

TX Il tumore primitivo non può essere identificato T0 Non evidenza di tumore primitivo

Tis Carcinoma in situ Sovraglottide

T1 Tumore limitato ad una sottosede della sovraglottide con normale motilità cordale

T2 Tumore che invade la mucosa di più di una sottosede adiacente della sovraglottide o della glottide o di regione al di fuori della sovraglottide (ad es.,mucosa della base lingua, vallecula, parete mediale del seno piriforme) senza fissità della laringe

T3 Tumore limitato alla laringe con fissità della corda vocale e/o che invade una delle seguenti: area retrocricoidea, tessuti pre-epiglottici, spazio paraglottico, e/o erosione minore della cartilagine tiroidea (ad es., pericondrio interno)

T4a Tumore che invade la cartilagine tiroidea e/o che invade tessuti vicini alla laringe (ad es., trachea, tessuti molli del collo compresa la muscolatura estrinseca profonda della lingua, i muscoli prelaringei, tiroide, esofago)

T4b Tumore che invade lo spazio prevertebrale, infiltra l’arteria carotide o invade strutture mediastiniche

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Glottide

T1 Tumore limitato alla/e corda/e vocale/i (può interessare la commissura anteriore o posteriore) con normale motilità cordale

T1a Tumore limitato ad una corda vocale

T1b Tumore che coinvolge entrambe le corde vocali

T2 Tumore esteso alla sovraglottide e/o sottoglottide, e/o con motilità cordale compromessa

T3 Tumore limitato alla laringe con fissità della corda vocale e/o che invade lo spazio paraglottiide e/o erosione minore della cartilagine tiroidea (ad es., pericondrio interno)

T4a Tumore che invade la cartilagine tiroidea e/o che invade tessuti vicini alla laringe (ad es., trachea, tessuti molli del collo compresa la muscolatura estrinseca profonda della lingua, i muscoli prelaringei, tiroide, esofago)

T4b Tumore che invade lo spazio prevertebrale, infiltra l’arteria carotide o invade strutture mediastiniche

Sottoglottide

T1 Tumore limitato alla sottoglottide

T2 Tumore esteso alla corda/e vocale/i con motilità cordale normale o compromessa

T3 Tumore limitato alla laringe con fissità della corda vocale

T4a Tumore che invade la cartilagine cricoidea o tiroidea e/o che invade tessuti vicini alla laringe (ad es., trachea, tessuti molli del collo compresa la muscolatura estrinseca profonda della lingua, i muscoli prelaringei, tiroide, esofago)

T4b Tumore che invade lo spazio prevertebrale, infiltra l’arteria carotide o invade strutture mediastiniche

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Linfonodi regionali (N)

NX I linfonodi regionali non possono essere identificati

N0 Non evidenza di metastasi linfonodali regionali

N1 Metastasi in un singolo linfonodo omolaterale, di dimensioni inferiori o uguali a 3 cm.

N2 Metastasi in un singolo linfonodo omolaterale, di dimensioni comprese tra 3 6 cm., o in più linfonodi ipsilaterali di dimensioni inferiori a 6 cm., o in linfonodi bilaterali o controlaterali di dimensioni inferiori a 6 cm.

N2a Metastasi in un singolo linfonodo omolaterale, di dimensioni comprese tra 3 e 6 cm

N2b Metastasi in più linfonodi ipsilaterali di dimensioni inferiori a 6 cm.

N2c Metastasi in linfonodi bilaterali o controlaterali di dimensioni inferiori a 6 cm.

N3 Metastasi in un linfonodo di dimensioni superiori a 6 cm.

Metastasi a distanza (M)

MX Le metastasi a distanza non possono essere identificare

M0 Non evidenza di metastasi a distanza

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La combinazione del grado di T e del grado di N e M permette successivamente di classificare i tumori laringei in stadi da I a IV

(tabella 5) STADIO 0 Tis N0 M0 STADIO I T1 N0 M0 STADIO II T2 N0 M0 STADIO III T3 N0 M0 T1 T2 N1 N1 N0 M0 M0 M0 STADIO IV T4 Ogni T Ogni T N0 N1 N2 Ogni N M1 M1 M1

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1.4 CLINICA

La sintomatologia del cancro laringeo, che può essere precocissima o molto tardiva, è in rapporto inizialmente con la sua sede di insorgenza e successivamente con il suo accrescimento e con le modalità di diffusione. Esistono casi molto rari in cui il primo sintomo è rappresentato da un’adenopatia metastatica; di solito la sintomatologia iniziale è costituita dalla disfonia e/o dalla dispnea.

La disfonia, espressione della pertubazione della funzione fonatoria, è spesso il primo sintomo a comparire; nelle forme cordali, insorge con carattere ingravescente e persistente non appena il cancro comincia a farsi evidente e si traduce nell’emissione di una voce con timbro legnoso, duro, che fa definire questo tipo di disfonia come sclerofonia. Il meccanismo che porta a questa disfunzione può variare da caso a caso e può dipendere da:

¾ un incompleto affrontamento dei margini liberi delle corde vocali per la presenza di neoformazioni a questo livello;

¾ parziale occupazione del lume glottico, per lo più da parte di vegetazioni neoplastiche che scendono dalla regione sopraglottica; ¾ infiltrazione neoplastica del muscolo vocale oppure della articolazione crico-aritenoidea;

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di una massa neoplastica sopraglottica che si appoggia per gravità sul piano glottico, senza comprometterne l’integrità anatomica.

Nelle neoplasie sopra o sottoglottiche invece, la disfonia si manifesta solo nelle fasi tardive e quasi sempre come espressione della diffusione neoplastica a livello cordale oppure dell’ingombro meccanico della glottide.

La dispnea, al contrario della disfonia, è un sintomo tardivo, espressione dell’ostruzione del lume laringeo, operato dalla massa tumorale stessa e dall’accumulo di secrezioni, oppure dall’immobilizzazione delle corde vocali. La dispnea può costituire il primo sintomo delle neoplasie a sede ipoglottica.

La dispnea provocata dal carcinoma laringeo, in genere, è a lungo tollerata dal paziente, poiché l’ostruzione delle vie aeree si realizza in modo lento e progressivo; non di rado però, la situazione può scompensarsi rapidamente, dando origine ad una sintomatologia dispnoica acuta, in particolare a seguito dell’intervento di processi infiammatori edemigeni oppure di manipolazioni strumentali effettuate sulla laringe.

La disfagia è tutt’altro che costante nel carcinoma laringeo,

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nelle regioni marginali della laringe. Tale sintomo è invece specifico delle lesioni interessanti la base della lingua, la regione retrocricoidea, i seni piriformi e la regione faringea posteriore.

Secondo i casi, il paziente potrà lamentare sensazione di difficoltà alla deglutizione dei cibi, oppure dolore associato all’atto della deglutizione stessa (odinofagia, spesso associata ad otalgia riflessa). In quest’ultimo caso il sintomo può esprimere l’avvenuto interessamento di strutture extralaringee (base linguale, regione retrocricoidea) oppure l’andamento infiltrativo-ulcerativo della neoplasia. Non di rado l’odinofagia si sovrappone ad una costante faringodinia, di entità di volta in volta variabile dalla semplice sensazione di “ripienezza della gola”, al dolore trafittivo ed intenso.

Tra i sintomi precoci del carcinoma laringeo, deve essere inclusa anche la comparsa di linfoadenopatie laterocervicali, che possono precedere l’insorgenza dei più caratteristici sintomi.

Tra i sintomi tardivi delle lesioni ipoglottiche e dei voluminosi tumori sopraglottici dobbiamo infine includere l’emoftoe.

La tosse, il calo ponderale e l’alitosi completano l’elenco delle possibili manifestazioni sintomatologiche del carcinoma della laringe (Alajmo, 1995).

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CAPITOLO II

OMOCISTEINA

2.1 CENNI STORICI

L’omocisteina è un amminoacido contenente zolfo, fu descritta per la prima volta nel 1952 da Du Vigneaud, che l’aveva isolata da un calcolo vescicale. Du Vigneaud studiava i composti organici contenenti zolfo ed il loro metabolismo; tra questi anche gli amminoacidi e gli ormoni quali insulina, ormoni pituitari, ossitocina e vasopressina. Ricevette il premio Nobel per la Chimica nel 1955.

Il collegamento dell’omocisteina con alcune patologie umane è stato suggerito soltanto nel 1962 da Gerritsen e coll. e da Carson e coll., che descrissero i primi casi di iperomocisteinemia ed omocistinuria in bambini che presentavano gravi patologie vascolari, come la tromboembolia polmonare, la trombosi del seno sagittale superiore, della vena cava inferiore e della vena porta, le occlusioni, simili a quelle aterosclerotiche delle arterie renali, carotidee e coronarie.

Nel 1964 Mudd e coll. dimostrarono che l’omocistinuria era dovuta al deficit della cistotionina-β-sintasi (Mudd, 1985).

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Nel 1969 McCully (McCully KS, 1969) descrisse, per primo il danneggiamento della parete vascolare di arterie di medio calibro in bambini con severo deficit di enzimi coinvolti nel metabolismo dell’omocisteina.

L’ipotesi che l’iperomocisteinemia potesse essere, anche da sola causa di danno vascolare, ha iniziato a svilupparsi dalla metà degli anni ’70. Successivamente è stato dimostrato che essa può manifestarsi sia attraverso un'omocistinuria, come nei casi di difetto genetico allo stato omozigote, sia attraverso una moderata iperomocistinemia, dovuta a fattori ambientali quali deficit nutrizionali di vitamina B12, B6 e di acido folico.

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2.2 BIOCHIMICA

L’omocisteina è un amminoacido solforato che non rientra nella composizione delle proteine plasmatiche; non ci sono cioè, specifiche triplette di basi di DNA che codificano per questo amminoacido. Essa si forma a seguito della perdita del gruppo metilico da parte della metionina, un amminoacido essenziale introdotto con la dieta. L’omocisteina è quindi un prodotto intermedio della via metabolica della metionina.

La metionina, nel momento in cui è attivata dalla Adenosiltrifosfato (ATP) a S-adenosilmetionina (SAM), funge da donatore di gruppi metilici verso una moltitudine di accettori quali guanidinoacetato, basi puriniche di DNA e RNA, neurotrasmettiori, fosfolipidi ed ormoni.

La S-adenosilomocisteina (SAH), che si forma dalla transmetilazione della SAM, è quindi convertita in omocisteina con liberazione di adenosina. (Figura 1)

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Figura 1.- Ciclo Metabolico della Metionina e dei Folati.

L’omocisteina può essere, a sua volta, trans-sulfurata irreversibilmente in cistationina e quindi in cisteina; oppure, in carenza di metionina assunta con la dieta, rimetilata a metionina (Selhub e Miller, 1992); una serie di enzimi e di cofattori (acido folico, vitamina B12 e vitamina B6) regolano queste vie metaboliche.

Si pensa che la trans-sulfurazione della omocisteina e la sua rimetilazione betaina-dipendente, avvengano esclusivamente nel fegato e che la via della rimetilazione folato e vitamina B12 dipendente, sia l’unica trasformazione metabolica della omocisteina, operante nei distretti cellulari periferici.

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¾ Nella via di trans-sulfurazione l’omocisteina in eccesso è coniugata con la serina e convertita a cistationina, in una reazione irreversibile catalizzata dall’enzima cistationina β-sintetasi, che richiede come cofattore il piridossal-5’-fosfato (PLP), forma attiva della vitamina BB6, (Finkelstein e Martin, 1986).

La cistationina è quindi idrolizzata a cisteina da un altro enzima contenente B6 (PLP), la γ-cistationasi, formando così cisteina e α-chetobutirrato.

L’eccesso di cisteina va incontro ad una reazione di ossidazione, formando taurina e solfati inorganici, oppure è eliminata con le urine. In questo modo, in aggiunta alla sintesi di cisteina, questa via di transulfurazione catabolizza effettivamente l’eccesso di omocisteina, non richiesto per il trasferimento del metile, e fornisce solfato per la sintesi di eparina, di eparonsolfato, di dermatonsolfato e di condroiitinsolfato.

¾ Nella via della rimetilazione il donatore di metile è in questo caso il 5-metiltetraidrofolato(MTHF), a sua volta rigenerato dalla riduzione del metilene tetraidofolato reduttasi (MTHFR), e la reazione è catalizzata dalla metionina sintetasi che necessita, come cofattore, della transcobalamina (Vitamina B12 metilata). Poiché la metionina sintetasi viene inattivata durante la reazione, è necessario l’intervento della metionina sintetasi reduttasi, riboflavinadipendente, per rigenerare

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metionina sintetasi attiva. Una via alternativa di rimetilazione interessa sia la betaina, come donatore di metili, sia l’enzima betaina-omocisteina metiltransferasi; è da sottolineare, infine, che la rimetilazione agisce a basse concentrazioni di omocisteina e di metionina, mentre la transulfurazione entra in gioco per concentrazioni più elevate di omocisteina (Finkelstein e Martin, 1986).

Inoltre la SAM funge da fine regolatore di queste due vie metaboliche, essendo sia un inibitore allosterico della metilene-tetraidofolato-reduttasi, sia un attivatore della cistationina β-sintetasi.

Si comprende allora, come un ottimale funzionamento degli enzimi coinvolti nelle due vie metaboliche insieme ad un adeguato apporto di cofattori vitaminici con la dieta (vitamine B6, B12 e folati), sia essenziale per il mantenimento dei livelli plasmatici di omocisteina.

I Folati pertanto insieme alla vitamina B12, sono coinvolti nella donazione di gruppi metilici nel ciclo della metilazione e nella sintesi di DNA e RNA quindi, nella regolazione dell’espressione genica.

La deficienza di folati è spesso associata ad un'elevazione dei livelli di omocisteinemia e la supplementazione riduce l’iperomocistinemia (Selhub e Miller, 1993).

L’omocisteina presente nel sangue e nelle urine può essere libera, sotto forma di dimero (omocistena-omocisteina e omocisteina-cistina) o legata a proteine, soprattutto all’albumina ed è, pertanto, determinata dal

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valore totale nel plasma delle varie forme di omocisteina (Araki e Sako, 1987).

Nel plasma il valore normale è di 5-12 µmol/L. Per valori compresi fra i 12-30 µmol/L si parla di lieve iperomocisteinemia, per valori fra i 30-100 µmol/L di iperomocisteinemia moderata, per valori superiori ai 30-100 µmol/L di grave iperomocisteinemia (Welch e Lo scalzo, 1998).

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2.3 FATTORI CHE AUMENTANO LA CONCENTRAZIONE EMATICA DELLA OMOCISTEINA

1. FATTORI GENETICI

¾ anomalie di transulfurazione (Mudd et al., 1995): difetto di cistationina-β-sintetasi: il cui gene è posto sul braccio lungo del cromosoma 21.

¾ anomalie di rimetilazione: difetto di 5-10-metilentetraidrofolato

reduttasi (MTHFR) (Frosst et al., 1995). ¾ difetto di metionina-sintetasi;

¾ difetto di conversione della cobalamina a metil-cobalamina;

2. ETÀ/SESSO

¾ aumenta con l'età; ¾ il sesso maschile;

¾ nella donna nel periodo post-menopausa.

3.FATTORI NUTRIZIONALI

¾ nei deficit di folati e vitamina B12 (causa più frequente nell'anziano); ¾ nei deficit di vitamina B6 ;

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4. PATOLOGIE

¾ Intestinali: (malassorbimento Vit. B12);

¾ Renali: (ridotta escrezione da insufficienza renale); ¾ Psoriasi: (per riduzione dei folati);

¾ Leucemia linfoblastica, ¾ Ipotiroidismo;

¾ Diabete;

¾ Ipertensione essenziale.

5. FARMACI

¾ Metotrexate: (deplezione di 5-metil-tetraidrofolato); ¾ nitrati: (antagonizzano la vitamina B12 );

¾ estrogeni: (causano deficit di vitamina B6 ); diuretici;

¾ anticonvulsionanti, carbamazepina, isoniazide e fentoina (interferiscono con i folati).

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2.4 ASPETTI FISIOPATOLOGICI

L’iperomocisteinemia è un noto fattore indipendente di rischio accertato per: malattia aterosclerotica cardiovascolare, ictus, patologia occlusiva arteriosa e trombosi (Ebbsen, 2004); è dunque un sensibile marcatore del deficit dei folati, Vit. B12 ,Vit. BB6.

In questi anni il ruolo dell’iperomocisteinemia risulta sempre più evidente in un’ampia gamma di condizioni fisiologiche o patologiche, quali complicanze nel corso della gravidanza e della nascita (Lopez-Quesada et al., 2003), menopausa, insufficienza renale cronica, trapianto di rene, diabete di tipo 1 e 2 (Yermeneko et al., 2001), ipotiroidismo. Inoltre l’aumento plasmatico di omocisteina è stato correlato con neoplasie del colon-retto (Giovannucci, 2002), pancreas (Stolzenberg-Solomon et al., 1999), della mammella (Zhang et al., 2003), cervice uterina (Goodman et al., 2000) e con i tumori del distretto testa-collo (Almadori et al., 2005).

Tra queste correlazioni quella maggiormente documentata, finora, è quella dell’omocisteina come fattore di rischio cardiovascolare (Ebbsen, 2004).

Al fine di evidenziare maggiormente il ruolo patogenetico dell’omocisteina nel processo di carcinogenesi, in associazione con il

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deficit di folati e di vitamina B12, si stanno sviluppando negli ultimi anni nuove ricerche.

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CAPITOLO III

FOLATI

3.1 CENNI STORICI

La scoperta dell’acido folico o acido pteroil-glutammico o Vitamina B9 risale agli anni ’30, quando Lucy Willis osservò che l’anemia macrocitica della donna in gravidanza poteva trarre giovamento da estratti di lievito o di fegato (Willis, 1930; Willis, 1931). Si dimostrò successivamente, che il componente attivo degli estratti era essenziale per la crescita dei pulcini e necessario nei terreni di crescita di alcuni batteri, principalmente il Lactobacillus casei e lo Streptococcus faecium. Queste osservazioni consentirono la messa a punto di un saggio biologico rapido basato sulla crescita di questi batteri, che portò in breve all'isolamento nel 1941 e all'identificazione strutturale nel 1943, da parte di Strokstard (Angier et al., 1945), del fattore attivo; si trovò che la vitamina era abbondante nelle verdure a foglia larga come gli spinaci e fu di conseguenza chiamata acido folico .(dal latino=foglia).

Per molti anni l'acido folico, presente nelle verdure a foglia verde come gli spinaci, ma anche nel fegato, nella carne, nelle uova, negli

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asparagi, nei pomodori, nei fagioli, nei legumi e nelle arance, è stato impiegato quasi esclusivamente in ambito ematologico per le anemie macrocitiche e/o megaloblastiche.

Dall'inizio degli anni '80 sono emersi sempre più evidenti gli stretti rapporti fra carenza di folati ed aumentato rischio di sviluppo di malformazioni del tubo neurale (NTD) (Feldkamp et al., 2002) quali la spina bifida e l' anencefalia, in bambini nati da donne che hanno avuto un insufficiente apporto nutrizionale di folati durante la gravidanza (Persad et al., 2002; Ray et al., 2002).

In condizioni normali, durante la gravidanza il tasso di acido folico nel sangue del cordone ombelicale è tre volte superiore al tasso del sangue materno, in quanto questa sostanza, è indispensabile al feto per i suoi bisogni metabolici (metabolismo degli aminoacidi, delle purine e delle pirimidine).Se le madri sono in una condizione di carenza di folati, i valori, invece, sono molto bassi; per tale motivo dal 1992, a tutte le gravide, il FDA (Food and Drug Adminisration) ha consigliato di assumerne, a scopo preventivo, 0,4 mg/die per tutta la durata della gestazione (Erickson, 2002).

Nel corso degli anni, grazie a numerose indagini, sono emerse altre potenziali manifestazioni da carenza di folati: iperomocisteinemia con aumentato rischio di malattie vascolari occlusive (Hankey e Eikelboom, 1999), crisi convulsive neonatali, (Torres et al., 1999), disturbi

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neuropsichiatrici di tipo depressivo (Taylor et al., 2003), neuropatie periferiche, degenerazione subacuta combinata del midollo spinale, demenza di Alzhaimer (Malouf et al., 2003), malattia di Parkinson. La carenza di folati è stata messa in relazione, inoltre, ai tumori del distretto testa-collo (Almadori et al., 2002, 2005) e di lesioni preneoplastiche gastrointestinali, della cervice uterina e del polmone (Green e Miller, 1999; Giovanucci, 2002; Coppola e Di Mimmo, 2004). Da quanto fin qui esposto appare evidente che la carenza di folati, un tempo considerata responsabile solo di una particolare forma di anemia, è ora riconosciuto come fattore determinante di molteplici condizioni patologiche.

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3.2 BIOCHIMICA

Chimicamente l'acido folico è formato da tre porzioni distinte: ¾ L'anello doppio di una pteridina eterociclica, la 6-metilpterina; ¾ L'acido p-aminobenzoico (PABA);

¾ L'acido glutammico.

Queste tre componenti sono mostrate nella Figura 2.

Pirimidina Pirazina

6-Metilpterina PABA Glutammato

Acido pteroico

Acido pteroilglutammico (acido folico)

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La combinazione delle prime due componenti costituisce l’acido pteroico; i folati sono quindi pteroilglutamati.

I folati naturali differiscono dall’acido folico per tre aspetti: ¾ riduzione dell’anello pteridinico;

¾ presenza di unità monocarboniose legate agli atomi di azoto in posizione 5 (N5) e/o 10 (N10): -CHO, formile; -CH2 OH, idrossimetile -CH3, metile; -CH2-, metilene; -CH, metenile; -CH = NH-, formimino;

¾ presenza di catene di lunghezza variabile costituite da residui glutammici (da 3 a 7) legati con legame gamma peptidico all'acido glutamico. I folati con catene laterali sono denominati pteroil o folil poliglutamati (come i triglutamati).

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3.3 ASPETTI FISIOPATOLOGICI

Le cellule animali non sono capaci di sintetizzare l'acido paraminobenzoico (PABA) o di attaccare il primo glutamato all'acido pteroico; per cui, contrariamente ai batteri ed alle piante, gli animali richiedono acido folico nella dieta; la cui maggior sorgente è costituita dalla verdura (asparagi, spinaci, broccoli, lattuga, indivia), dalla frutta (limoni, arance, banane, meloni, nocciole), dal fegato, dal lievito, dai funghi ed dal cioccolato.

Nelle piante, l'acido folico esiste soprattutto come pteroileptaglutamato, nel fegato come pentaglutamato. Questi peptidi sono resistenti all'idrolisi, da parte dei comuni enzimi proteolitici presenti nell'intestino, poichè la catena laterale polare ne impedisce l’assorbimento; sono scissi però da uno specifico gruppo di enzimi intestinali (γ-glutammilcarbossipeptidasi), che convertono i poliglutammati in mono- e glutammati. Solo la forma monoglutammata è assorbita e, la maggior parte, ridotta a tetraidrofolato (H4 folato) e metilato a N5 -metil-H4, folato nelle cellule intestinali, come parte integrante del processo di assorbimento, ma tale reazione è alterata nella steatorrea idiopatica, nella sprue tropicale ed in altri disordini intestinali. Nel plasma circa 2/3 del folato è legato a proteine: il folato plasmatico è soprattutto presente nella forma di N5-metiltetraidrofolato, un

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monoglutamato trasportato all’interno della cellula da un carrier specifico per la forma tetraidrata della vitamina.

CONVERSIONE DEL FOLATO IN TETRAIDROFOLATO

Una volta all'interno della cellula, il folato è convertito nelle sue forme attive, mediante due riduzioni successive della porzione pirazinica dell'anello pteridinico, reazioni catalizzate dalla diidrofolato riduttasi, un enzima specifico per il NADPH. La prima riduzione dà il 7,8-diidrofolato e la seconda produce il 5,6,7,8-tetraidrofolato. La diidrofolato riduttasi è stata studiata a fondo, in quanto bersaglio dell'azione di un certo numero di antimetaboliti di grande utilità clinica. Nel 1948 due analoghi del folato, l'aminopterina e l'ametopterina (anche conosciuta come metotrexato), furono sintetizzati e fu dimostrato che erano capaci di indurre remissioni nelle leucemie acute; dieci anni più tardi, si scoprì che questi composti inibivano la diidrofolato reduttasi, legandosi all'enzima con un'affinità almeno mille volte superiore rispetto a quella del normale substrato. Questi analoghi bloccano quindi l'utilizzazione del folato e del diidrofolato ed oggi sappiamo che il loro effetto deriva dal fatto che la diidrofolato riduttasi è coinvolta nella biosintesi dei nucleotidi timidinici; di conseguenza nella

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biosintesi del DNA e, inibendo la sintesi del DNA, viene bloccata la proliferazione delle cellule cancerose.

IL TETRAIDROFOLATO NEL METABOLISMO DELLE UNITA’ A UN ATOMO

DI CARBONIO

La funzione principale di queste vitamine è trasferire un'unità di carbonio, sotto forma di gruppi metilici o formilici, a vari composti organici. La fonte di tali unità di carbonio è in genere la serina, che reagisce con il tetraidrofolato e forma glicina e N

5-10-metilene tetraidrofolato.

Una fonte alternativa è rappresentata dall'acido formiminoglutummico, un prodotto intermedio del catabolismo dell'istidina che, cedendo il gruppo formimino al tetraidrofolato, produce N5

forminotetraidrofolato e acido glutammico. Questi prodotti favoriscono l'ingresso in un pool di donatori interconvertibile, costituito da derivati del tetraidrofolato che hanno legato un'unità di carbonio. I costituenti di questo pool di donatori, possono cedere la loro unità di carbonio a diversi composti accettori, dando così origine a metaboliti intermedi che costituiscono gli elementi fondamentali nella sintesi di macromolecole.

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Gli elementi più importanti sono:

¾ Le purine, in cui gli atomi C-2 e C-8 sono introdotti mediante reazioni folato-dipendenti;

¾ il desossiltimidilato monofosfato (dTMP), sintetizzato dalla N5-10 -metilene tetraidrotolato e il desossiuridilato monofosfato (dUMP); ¾ la metionina formata dal trasferimento di un gruppo metile dall’N5 -metiltetraidrofolato all’omocisteina.

In tutte le reazioni di trasferimento di carbonio, eccetto una, si produce tetraidrofolato, che può immediatamente accettare un'unita di carbonio e rientrare nel pool di donatori.

L'eccezione è rappresentata dalla reazione di sintesi del timidilato (dUMP→dTMP), in cui si produce diidrofolato, che deve essere ridotto a tetraidrofolato dall’enzima diidrofolato reduttasi prima di poter rientrare nel pool dei donatori.

In carenza di folati può verificarsi un accumulo di omocisteina per mancanza diretta o indiretta di metiltetraidrofolato.

Le cellule, che si dividono rapidamente, sono particolarmente vulnerabili ad una mancanza di folati o di vitamina B12. e tale deficit determina una difettosa sintesi di DNA nelle cellule che si dividono, sintesi particolarmente evidente nel midollo osseo (anemia

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megaloblastica) e nell’embrione (incremento del rischio di malformazioni congenite) (Istituto Superiore di Sanità).

La carenza di folati è uno dei deficit vitaminici più comuni e può essere conseguente ad inadeguata introduzione, ad aumentato fabbisogno, ad alterato assorbimento e metabolismo o ad assunzione di farmaci. Nei paesi sviluppati, il deficit nutrizionale di folati si incontra soprattutto nei gruppi economicamente meno privilegiati, come ad esempio gli anziani.

Le richieste di folati aumentano in caso di gravidanza, di allattamento e di prematurità.

Alcune malattie alterano l’assorbimento dell’acido folico, come la celiachia, la malattia di Crohn, e la gastrite-atrofica; stati carenziali di acido folico, spesso subclinici ed asintomatici, si verificano in seguito a trattamenti con alcuni tipi di farmaci: ad esempio chemioterapici antiblastici, come il metotrexate, ma anche con anticonvulsivanti come la difenilidantoina e la carbamazepina, contraccettivi orali o chemioterapici antitubercolari.

Mutazioni della metionina sintetasi, in modo particolare della 5,10-metilentetraidrofolato reduttasi (MTHFR), sono oggi ritenute le più frequenti cause dell’alterato metabolismo dei folati e della conseguente iperomocisteinemia.

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CAPITOLO IV

VITAMINA B12

4.1 CENNI STORICI

Nel 1926, due medici di Harvard, George Minot e William Murphy, durante gli studi sull’anemia perniciosa, scoprirono che i sintomi della malattia potevano essere alleviati nutrendo i pazienti con grandi quantità di fegato crudo. Il materiale attivo nel fegato, che fu chiamato vitamina B12, era presente in quantità molto basse e passarono molti anni prima che fosse possibile isolarne abbastanza per caratterizzare la molecola.

Nel 1964, in Inghilterra, Dorothy Hodgkin e i suoi collaboratori usarono la cristallografia ai raggi X e riuscirono a completare la determinazione della struttura di questa sostanza attiva: per questo lavoro la Hodgkin fu insignita del Premio Nobel.

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4.2 BIOCHIMICA

Per vitamina B12 si intende un gruppo di sostanze chimicamente affini (cobalamine), la cui struttura è costituita da un gruppo planare (anello corrinico) che si lega ad un nucleotide (5,6-dimetilbenzimidazolo legato a ribofosfato) disposto inferiormente e quasi perpendicolarmente ad esso (Figura 3).

5,6—dimetilbenzimidazolo NH2COCH,CH NH2COCH CH,CH,CONHC NH,COCH NHCOCH2CH2CH3 CH, / CH2CH2CONH CH CH—CH HOCH

Figura 3. Struttura della Vitamina B12

L'anello corrinico è simile a quello delle porfirine ed è formato da 4 anelli pirrolici che legano centralmente un atomo di cobalto (Co).

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Il Co può legare covalentemente, al di sopra dell’anello corrinico, diversi radicali, a seconda dei quali prende nome il particolare composto cobalaminico:

¾ -CN (cianocobalamina); ¾ -OH (idrossicobalamina); ¾ -CH3 (metilcobalamina);

¾ 5-desossi-5'-adenosina (adenosilcobalamina);

L'adenosilcobalamina, scoperta da H.A.Parker, è la principale forma della vitamina B12 in natura; una seconda forma enzimaticamente attiva è la metilcobalamina o metil-B12. L'esposizione alla luce converte rapidamente l'idrossicobalamina in adenosil e metilcobalamina, che sono i coenzimi fisiologici. La cianocobalamina è la forma più stabile e perciò è quella prodotta commercialmente dalla fermentazione batterica ed è solubile in acqua e stabile al calore.

Nell'uomo vi sono solo due reazioni enzimatiche (Ludwige Matthews, 1997) in cui la cobalamina entra come coenzima:

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¾ La metilazione dell'omocisteina a metionina, che avviene nel citoplasma ed utilizza la metilcobalamina come coenzima ed il N5 -metil-tetraidrofolato come sorgente di metili.

La metionina sintetasi lega la cobalamina e l’N5-metiltetraidrofolato, trasferendo il gruppo metilico al gruppo prostetico cobalaminico.

Il gruppo metilico è quindi trasferito all’omocisteina, generando metionina; l'assenza di cobalamina esercita un blocco in questa reazione ed un accumulo di N5-metiltetraidrofolato, cofattori necessari per numerose reazioni biochimiche, che comportano il trasferimento di un gruppo monocarbonioso.

In particolare il depauperamento di tetraidrofolato previene la sintesi di adeguate quantità di deossitimidilato (dTMP) e delle purine necessarie per la sintesi del DNA nelle cellule in rapida divisione. L'accumulo del folato come N5

metiltetraidrofolato, ed il depauperamento associato dei tetraidrofolati cofattori nella carenza di vitamina B12 sono stati indicati come "trappola del metil-folato": questo è il passaggio biochimico che collega il metabolismo della vitamina BI2 con quello dell'acido folico (Jacques et al., 1999).

L'acido folico può essere ridotto a diidrofolato dall'enzima diidrofolato reduttasi e servire, perciò, come fonte di tetraidrofolati necessari per la sintesi di purine e dTMP, essenziali per la sintesi di DNA.

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¾ La seconda reazione enzimatica che utilizza la cobalamina è l'isomerizzazione dell’ L-metilmalonil-CoA a succinil-CoA, mediante l'enzima L-metilmalonil-CoA mutasi ed il coenzima 5'-deossiadenosilcobalamina.

La carenza di questo fattore provoca l’accumulo nei tessuti di metilmalonil-CoA e del suo precursore, il propionil-CoA; ne conseguono la sintesi e l’incorporazione neuronale di acidi grassi non fisiologici, contenenti un numero anomalo di carboni (Metz, 1992) ed anche questa anomalia biochimica, potrebbe contribuire alle complicanze neurologiche del deficit di cobalamina.

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4.3 Aspetti Fisiopatologici

La vitamina B12 naturale è sintetizzata solo da alcuni microrganismi. L’uomo la ottiene dai cibi: carne, fegato, pesce, uova, latte e prodotti caseari. Il fabbisogno giornaliero minimo di vitamina B12 è di circa 2,5 μg; le riserve di un uomo adulto normale si aggirano sui 5 mg ed il fegato ne contiene 1 μg/g.

La maggior parte della vitamina B12 si trova nei mitocondri come adenosilcobalamina, mentre la metilcobalamina è la forma predominante nel sangue.

La perdita obbligatoria giornaliera è pari ad 1/1000 della riserva corporea e si riduce proporzionatamente al ridursi delle riserve; per cui occorrono da due a quattro anni prima che la mancanza completa di assorbimento della vitamina (per esempio per gastrectomia totale), si manifesti come carenza.

Nell'uomo esistono due meccanismi di assorbimento intestinale: uno attivo e molto efficiente, l'altro passivo ed a bassa efficienza.

Durante la digestione, a livello gastrico, la cobalamina dei cibi viene rilasciata e forma un complesso stabile con il vettore gastrico R, glicoproteina di significato incerto che si ritrova nelle secrezioni (saliva, latte, secrezioni gastriche, bile), nei fagociti e nel plasma. Penetrando nel

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duodeno, il complesso cobalamina-proteina vettore R viene digerito, con liberazione della cobalamina che si lega al fattore intrinseco. Questa glicoproteina, di peso molecolare di 50 Kda, è prodotta dalle cellule parietali dello stomaco.

La secrezione del fattore intrinseco è generalmente proporzionale a quella dell’acido cloridrico. Il complesso cobalamina-fattore intrinseco è resistente alla digestione proteolica e può così raggiungere l'ileo termininale, dove recettori specifici, presenti sull'orletto a spazzola della mucosa, lo legano rendendo possibile l'assorbimento della vitamina. Così il fattore intrinseco, come del resto la transferrina, svolge il ruolo di vettore proteico verso le cellule. Il complesso cobalamina-fattore intrinseco, legato al recettore, si porta all’interno delle cellule della mucosa ileale dove, nel giro di alcune ore, il fattore intrinseco è distrutto e la cobalamina viene trasferita a un’altra proteina di trasporto, la transcobalamina II (TCII). Il complesso con la transcobalamina raggiunge i tessuti, si lega a specifici recettori di membrana ed entra nelle cellule mediante endocitosi. Nella frazione citoplasmatica solubile, la vitamina è liberata come idrossicobalamina e, o è convertita a metilcobalamina o entra nei mitocondri, dove il cobalto è ridotto e si forma 5’deossiadenosil cobalamina.

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CAPITOLO V

CORRELAZIONE TRA IL CICLO DELLA METIONINA,

DEI FOLATI E CARCINOGENESI

Nei tumori del distretto testa-collo, i due più importanti fattori di rischio sono il fumo di sigaretta e l’assunzione di alcol, cui vengono associati fattori dietetici, virali ed occupazionali.

Poiché anche una predisposizione genetica nello sviluppo dei tumori del distretto testa-collo è molto probabile, negli ultimi anni, un numero crescente di polimorfismi genetici è stato valutato in relazione al rischio di sviluppo di questo tipo di tumore (Rebbeck, 2000; Zheng, 2001).

Sono state analizzate inoltre anche le alterazioni metaboliche, che sono frequentemente associate allo sviluppo dei tumori e che possono essere secondarie o precedere lo sviluppo della neoplasia, favorendone la progressione (Almadori, 2005).

Il danno a carico del DNA può essere spontaneo in normali condizioni metaboliche, ma si verifica più frequentemente nel caso in cui sono presenti mutageni ambientali che agiscono in un background metabolico alterato (Ames et al., 1995).

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A causa dell’alta correlazione tra l’accumulo di mutazioni e sviluppo del tumore è diventato fondamentale capire quali fattori possano influenzare il progressivo danneggiamento delle cellule umane (Mendelsohn, 1991). E’ noto che la deficienza di specifici fattori nutritivi e di molecole introducibili con la dieta influenza il grado di mutazione nelle cellule, in virtù del loro ruolo di antiossidanti e cofattori del metabolismo del DNA. Molti fattori presenti in natura risultano essere importanti intermediari nella sintesi di quei nucleotidi che sono necessari per la replicazione e la riparazione del DNA (Mendelsohn, 1991; Mac Gregor, 1990).

Negli ultimi anni sono aumentati esponenzialmente gli studi sul ruolo metabolico dell’acido folico e sulla sua influenza nel danneggiamento genetico cellulare.

L’acido folico è un importante intermediario metabolico nella sintesi di timina necessaria per la sintesi e per la riparazione del DNA. Inoltre interferisce anche nella sintesi della SAM (S-adenosil-metionina), fondamentale per la produzione dell’omocisteina (Holiday, 1987).

Il deficit di folati, quindi, può determinare un incremento dei livelli plasmatici di omocisteina considerata attualmente un importante fattore di rischio cardiovascolare (Pancharuniti et al., 1994).

La ridotta assunzione di acido folico è correlata anche ad un più alto rischio di instabilità genetica (Mac Gregor, 1990) e ad una varietà di

Figura

Tabella 1. Tumori maligni della testa e del collo in Italia, 1988-92.
Tabella 2: Prevalenza del tumore della laringe in Italia nel 1995 estratto  da: Micheli A, Francisci S, Krogh V, et al
Tabella 3.  Suddivisione topografica della laringe secondo l’Organizzazione  Mondiale della Sanità.
Tabella 5. Stadiazione del tumore della laringe.
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