INSTABILITA’ ROTODINAMICHE
Il presente capitolo introdurrà la formulazione del problema delle instabilità rotodinamiche in termini analitici per poi passare ad una panoramica dei risultati sperimentali ottenuti finora nei pochi impianti esistenti in grado di monitorare questo tipo di fenomeni.
3.1 Aspetti generali
Le forze agenti su turbomacchine che danno luogo a vibrazioni eccessive e guasti possono essere dovute a cause meccaniche e fluidodinamiche. Tra le cause meccaniche ci sono: vibrazioni indotte da sbilanciamenti di massa che portano ai problemi connessi con le velocità critiche flessionali, variazioni cicliche del momento di inerzia non principale e vibrazioni dovute alla non sufficiente rigidezza delle strutture di supporto. Tra le cause di natura prettamente fluidodinamica vi sono quelle dovute all’interazione del fluido di lavoro con la struttura fisica della turbomacchina. Le forze di quest’ultimo tipo nascono in particolare dallo spostamento dell’albero rispetto al suo asse teorico e dalla presenza di condizioni che distorcono il flusso, come la presenza di un flusso di ricircolazione in ingresso o le eventuali asimmetrie nella geometria sia in imbocco che in uscita.
Queste forze sono la causa delle forze rotodinamiche, delle instabilità e dei carichi trasversali.
Come già accennato (v. Cap. 1), le turbomacchine operano solitamente con un certo grado di deflessione del centro delle parti rotanti rispetto al centro geometrico della macchina stessa (a causa delle imperfezioni nell’allineamento tra componenti statorici e rotanti, della anche minima elasticità presente in qualsiasi componente meccanico e del fatto che difficilmente tutti i carichi siano distribuiti in maniera perfettamente simmetrica). In aggiunta al moto di rotazione della girante (e dell’eventuale induttore), le parti rotanti possono essere soggette ad un moto di precessione autosostentato attorno al centro geometrico della macchina (whirl). Le forze agenti sulla girante e/o induttore possono essere instabilizzanti nel senso che tendono ad aumentare la deflessione e/o aumentano la frequenza di whirl.
In letteratura si distingue spesso tra whirl “forzato” e whirl “autoeccitato”. Il primo è una forma di whirl sincrono, la cui ampiezza, come in tutti i fenomeni di vibrazione forzata, è massima in condizioni di risonanza (cioè quando la frequenza della forzante è uguale alla frequenza propria del sistema). Il whirl autoeccitato ha invece una frequenza non sincrona (in genere, vicina ad una delle frequenze critiche del rotore), e la sua ampiezza non assume valori percettibili fino a quando la velocità del rotore non raggiunge un valore ben preciso, denominato “velocità di inizio instabilità” (Onset Speed of Instability, OSI). Il whirl forzato, inoltre, è sempre positivo, mentre quello autoeccitato, pur essendo positivo nella maggior parte dei casi, può anche essere negativo.
Il whirl forzato, essendo sostanzialmente un caso di vibrazione forzata classica, è molto più semplice da predire: è possibile evitare che esso provochi vibrazioni
eccessive, a patto di scegliere opportunamente le velocità di funzionamento e la procedura di avviamento. I meccanismi che causano il whirl autoeccitato, invece, non sono ancora stati del tutto chiariti: esso, comunque, deve essere considerato notevolmente più pericoloso, sia perché è inerentemente instabile, sia perché, non essendo sincrono, impone continue inversioni del verso della sollecitazione a cui è soggetto il rotore.
3.2 Formulazione del problema
Si consideri un rotore di una turbomacchina, rotante ad una velocità angolare pari ad Ω, e si supponga di indicare con F(t) la risultante delle forze laterali (che giacciono, cioè, su un piano perpendicolare all’asse di rotazione) agenti sul centro del rotore. A parte i casi, ideali, di rotore infinitamente rigido o di carichi perfettamente assialsimmetrici, il centro del rotore si sposterà dalla sua posizione nominale di una quantità ε(t): tale situazione è illustrata nella figura 3.1, in cui si sono indicate con O la posizione effettiva del centro del rotore, e con O’ la sua posizione nominale.
Figura 3.1 – Forze laterali agenti sul centro di un rotore dotato di moto eccentrico di precessione (Jery, 1987)
Nella situazione presa in esame si genererà un moto di precessione, il che significa che il punto O descriverà una certa “orbita” attorno al punto O’, con una velocità di rotazione che verrà indicata con ω. Relativamente a questa orbita, il
vettore F(t) può essere scomposto in una componente normale, che verrà denominata FN(t), ed in una componente tangenziale, FT(t).
La rotodinamica non è altro che lo studio della relazione temporale esistente tra F(t) ed ε(t). In particolare, i versi delle componenti FN(t) ed FT(t) permettono di determinare la stabilità locale del moto di whirl: la componente normale è instabile se è diretta verso l’esterno dell’orbita, cioè se tende a far aumentare il modulo del vettore ε(t), mentre la componente tangenziale è instabile se è diretta nello stesso verso della velocità ω, cioè se tende ad “alimentare” il moto di precessione.
Nel caso di whirl forzato, il valore che viene assunto da ω in condizioni stazionarie dipende sostanzialmente dalla frequenza del meccanismo forzante; il valore stazionario di ε, invece, è influenzato soprattutto dalle capacità di smorzamento del sistema, ed è massimo in condizioni di risonanza.
Nel whirl autoeccitato, lo smorzamento assume un ruolo completamente diverso. La prima cosa da notare è che questa forma di whirl non si innesca automaticamente: la forza tangenziale, cioè, non appare fino a quando l’asse di rotazione non si sposta dalla sua posizione nominale. L’inflessione iniziale è causata da un certo numero di meccanismi forzanti, i più comuni dei quali sono l’inflessione statica, il disallineamento del rotore e lo sbilanciamento delle masse.
Una volta innescato, il whirl autoeccitato è praticamente insensibile allo smorzamento: aumentare le capacità smorzanti del sistema permette soltanto di ritardare il passaggio a condizioni di forza tangenziale instabile, cioè di far sì che tali condizioni si verifichino per valori maggiori di Ω.
Da un punto di vista progettuale, però, non è quasi mai possibile ottenere un valore adeguato dello smorzamento all’interno del rotore di una turbomacchina, per una serie di motivi. In primo luogo, l’energia dissipata tramite lo smorzamento rappresenta una quota aggiuntiva, rispetto a quella strettamente necessaria al funzionamento della macchina, che deve essere fornita dal sistema di alimentazione del moto (il rendimento, cioè, diminuisce all’aumentare dello smorzamento). Inoltre, gli smorzatori sono spesso ingombranti, costosi e difficili da realizzare, soprattutto se nel progetto iniziale della macchina non è stato previsto abbastanza spazio per eventuali modifiche successive.
L’equazione del moto di un rotore dotato di moto di whirl, in forma linearizzata, può essere scritta nel modo seguente:
) ( )
( )
(t F0 t A ε t
F = + ⋅
oppure, considerando le componenti rispetto al sistema di riferimento stazionario (X,Y) di figura 3.1:
( 3.1 )
⋅
+
=
) (
) ( )
( ) ( )
( ) (
0 0
t y
t A x t F
t F t
F t F
Y X Y
X
Nelle equazioni precedenti, il vettore F0(t) viene denominato “forza radiale”, e rappresenta l’unica forza che sarebbe presente se il rotore fosse perfettamente centrato. La forza radiale può essere a sua volta scomposta in due componenti:
una parte stazionaria, dovuta alla gravità, alla spinta di Archimede ed alle pressioni statiche non bilanciate, ed una parte non stazionaria, causata dalle reazioni dei cuscinetti rotanti, dai carichi centrifughi rotanti, e dai disturbi presenti all’interno del flusso.
Maggiore importanza riveste la forza A⋅ε(t), in quanto è soltanto da essa che dipende la stabilità del moto di precessione. In particolare, la matrice A è detta
“matrice di rigidezza generalizzata”, e tiene conto degli effetti di tutte le forze (stazionarie e non) che dipendono almeno dallo spostamento del centro del rotore e/o dalla sua derivata temporale.
Per chiarire in che modo la matrice A dipenda dalla frequenza ω del moto di whirl, si consideri il semplice esempio schematizzato in figura 3.2:
Figura 3.2 – Whirl circolare in una turbopompa centrifuga (Jery, 1987)
( 3.2 )
Nella figura 3.2 sono rappresentati forze e spostamenti relativi ad una girante centrifuga dotata di moto di whirl attorno al centro della voluta, OV. Il moto è caratterizzato da una velocità angolare ω costante e da un’orbita circolare avente raggio ε, anch’esso costante; la girante, inoltre, ruota attorno al suo centro, Oi, con velocità costante Ω.
Adimensionalizzando gli spostamenti tramite il raggio di uscita della girante, r2, si ottiene:
=
=
2
2 )
) sin(
(
) ) cos(
(
r t t
y
r t t
x
ω ε
ω ε
e l’equazione (3.2) può essere riscritta nel modo seguente:
⋅
+
=
) sin(
) cos(
) (
) ( )
( ) (
2 0
0
t A t
r t F
t F t
F t F
Y X Y
X
ω ω Ω
ω ε
La (3.4) mette in evidenza come la matrice A sia ora funzione del rapporto (ω/Ω).
In molti modelli utilizzati per lo studio dei fenomeni rotodinamici, la prima operazione che si compie è un’espansione in serie della (3.2), che porta a scrivere (si omette, per semplicità, l’indicazione della dipendenza dal tempo):
) (
0
0 ε
o
y M x y C x y K x F
F F
F
Y X Y
X +
⋅
−
⋅
−
⋅
−
=
in cui le matrici K, C ed M vengono denominate, rispettivamente, matrice “di rigidezza pura”, “di smorzamento” e “di inerzia”; gli elementi di queste tre matrici sono denominati “coefficienti rotodinamici”.
Per capire il ruolo giocato dai coefficienti rotodinamici, si supponga di essere in un caso particolarmente semplice, in cui il centro del rotore si muove solamente lungo l’asse X. Se si suppone che, ad un certo istante, il moto di tale punto sia caratterizzato da posizione, velocità ed accelerazione unitarie, e si trascurano i termini di ordine superiore al secondo, la (3.5) diventa:
−
−
−
=
−
−
−
=
YX YX
YX Y
Y
XX XX
XX X
X
M C K t F t F
M C
K t F t F
) ( ) (
) ( )
(
0 0
( 3.5 )
( 3.6 ) ( 3.3 )
( 3.4 )
Si noti come la forza non agisca solo nella direzione del moto, ma anche in direzione perpendicolare ad esso: questa seconda componente è strettamente imparentata con la forza tangenziale agente su un rotore dotato di moto di whirl.
Per esempio, può accadere che un rotore che opera con una leggera inflessione statica (anche, semplicemente, quella dovuta al suo peso proprio) sia soggetto ad una forza laterale, perpendicolare al piano della deflessione, capace di innescare un moto di precessione; affinchè ciò si verifichi, è sufficiente che la matrice K abbia qualche elemento non nullo al di fuori della sua diagonale principale. Una volta innescato il whirl, però, la storia successiva del moto dipenderà non solo da K, ma anche da C ed M. Studiare le instabilità rotodinamiche di una macchina significa studiare i meccanismi attraverso cui si originano queste forze trasversali, ed il modo in cui i coefficienti rotodinamici influenzano la stabilità complessiva del moto del rotore.
Spesso si ipotizza che le componenti di A siano legate a quelle delle matrici di rigidezza pura, di smorzamento e di inerzia del fluido attraverso le potenze del rapporto (ω/Ω), nel modo seguente:
−
+
=
−
−
=
−
+
=
−
−
=
YY YX
YY YY
YX YY
YX YX
XY XX
XY XY
XX XY
XX XX
K C
M A
K C
M A
K C
M A
K C
M A
Ω ω Ω
ω
Ω ω Ω
ω
Ω ω Ω
ω
Ω ω Ω
ω
2 2 2 2
L’esempio di figura 3.5 mostra cosa succede nel caso in cui si abbia un moto di precessione circolare ben organizzato della girante di una pompa; questa è la situazione che si verifica negli apparati sperimentali attualmente esistenti per lo studio dei fenomeni rotodinamici, nei quali si tende proprio ad imporre dall’esterno un moto di precessione circolare alla girante, in modo da studiarne gli effetti. Nelle turbopompe reali, però, l’orbita effettivamente seguita dal centro della girante è ben lontana dall’essere una circonferenza perfetta.
Da un punto di vista pratico, imporre un moto di whirl circolare al rotore della pompa, misurando le forze che ne conseguono, permette di correlare tali forze alla posizione ed alla velocità del rotore lungo l’orbita; è inoltre possibile, almeno teoricamente, determinare completamente le forze radiali e la matrice rigidezza generalizzata relative alle particolari condizioni di funzionamento scelte. Imporre ( 3.7 )
un moto ad orbita circolare equivale ad eseguire un esperimento di vibrazione forzata in un sistema meccanico; ne consegue che i coefficienti rotodinamici ottenuti possono essere impiegati anche per una analisi dinamica più generale del sistema, finalizzata ad esempio alla determinazione delle velocità critiche e della OSI.
Alternativamente, è anche possibile usare l’approccio della vibrazione libera, che consiste nel misurare le forze indotte dal moto di whirl direttamente sulla turbomacchina che ne è affetta, o su un suo modello scalato. L’approccio della vibrazione libera, non ponendo imposizioni di alcun genere sul moto del rotore, fornisce informazioni sicuramente più veritiere; esso, però, non permette di tenere continuamente sotto controllo la posizione del rotore, in modo da correlarla ai corrispondenti valori delle forze.
3.3 Panoramica su alcuni risultati sperimentali
Sebbene non sia l’unico laboratorio di ricerca impegnato in studi sulla rotodinamica delle turbomacchine, quello del California Institute of Tachnology presenta molte somiglianze con quello di Centrospazio, pertanto si ritiene opportuno riassumere nel seguito i principali risultati sperimentali ottenuti dai colleghi americani.
I dati sono qui presentati in ordine cronologico a partire da quelli più datati.I lavori di riferimento dai quali sono state attinte le informazioni sono le tesi di dottorato di B. Jery [17], R. J. Franz [16], e A. Bhattacharyya [6].
Il primo gruppo di esperimenti (Jery, 1987) ha riguardato la girante X gia menzionata al Cap. 2 operante in condizioni non cavitanti. I risultati più significativi al riguardo sono:
I termini F0X ed F0Y (3.2) rappresentano effettivamente la componente stazionaria (da intendersi come indipendente dalla velocità di whirl ω) delle forze rotodinamiche (avendo avuto cura di sottrarre preventivamente le forze dovute alla spinta di galleggiamento e la forza peso). La figura 3.3 mostra infatti l’andamento delle due componenti in questione per tre diversi valori del coefficiente di flusso φ , rispettivamente pari a 0.000 (condizioni di “shut-off”), 0.092 (condizioni di progetto), 0.132 (massima portata), in funzione del rapporto (ω/Ω). Il fatto che entrambe le componenti siano praticamente nulle per le condizioni di progetto dimostra che la girante X è effettivamente ben accoppiata alla sua voluta.
La forza F0 è adimensionalizzata nel modo seguente:
3 2 2
2 r
Lb Ω πρ
* 0 0
F = F
essendo r2 il raggio esterno della girante, e b2 la larghezza della girante al bordo d’uscita.
Figura 3.3 Componenti della forza radiale agente sulla girante “X” in condizioni non cavitanti
( 3.8 )
Per quanto riguarda le forze dipendenti dallo spostamento ε del centro del rotore, i risultati possono essere presentati sia in forma di grafici dei singoli elementi di A=A(ω/Ω) mediati sull’orbita di whirl, sia in forma di grafici delle componenti FN(t) ed FT(t) date da:
( XX YY)/2
N A A
F = +
( XY YX)/2
T A A
F = − + adimensionalizzate come segue:
In particolare, per gli elementi di A i risultati rivelano la particolare struttura della matrice di rigidezza generalizzata che appare essere data dalla somma di una matrice antisimmetrica (AXY = - AYX) ed una diagonale (AXX = AYY). Questa antisimmetria era spesso stata ipotizzata dagli studiosi di rotodinamica, ma è stata provata per la prima volta proprio da questi esperimenti.
= Ω
= Ω
2 2 2 2
*
2 2 2 2
*
r b F F
r b F F
L T T
L N N
ε πρ
ε πρ
( 3.9 )
( 3.10 )
Figura 3.4 – Elementi della diagonale (sopra) e fuori dalla diagonale (sotto) della matrice di rigidezza generalizzata in funzione di (ω/Ω) per la girante “X”
Ragionando invece in termini di FN(t) ed FT(t), i risultati (figura 3.5) mostrano come la componente normale sia sempre positiva, cioè diretta verso l’esterno dell’orbita, ovvero instabilizzante, praticamente per ogni valore del rapporto (ω/Ω) ed in particolare anche per valori nulli della velocità di whirl. Al contrario, la componente tangenziale è stabilizzante (ovvero di segno opposto alla velocità di whirl) ad eccezione di un piccolo intervallo (0 < (ω/Ω) < 0.4). Entrambe le componenti risultano poi essere sostanzialmente indipendenti dalla velocità di rotazione della girante Ω, ovvero dal valore del numero di Reynolds nell’intervallo considerato.
Figura 3.5 - FN(t) ed FT(t) agenti sulla girante “X” in funzione di (ω/Ω) per diverse velocità di rotazione Ω
La componente normale e quella tangenziale sono invece dipendenti dal coefficiente di flusso φ, anche se questa dipendenza risente del tipo di voluta impiegato insieme alla girante.
Inoltre, nel caso della componente tangenziale, la presunta dipendenza delle forze rotodinamiche dal quadrato della velocità di whirl risulta essere verificata soltanto per coefficienti di flusso φ sufficientemente elevati (intorno alle condizioni di progetto o maggiori), mentre per valori minori, ed in particolar modo verso le condizioni di shut-off, i dati sono meglio approssimati da polinomi di ordine superiore (figura 3.6).
Figura 3.6 – FT(t) agente sulla girante “X” in funzione di (ω/Ω) per φ = 0.03 e relativo polinomio di approssimazione (5° grado)
Più di ogni altra cosa, questo ciclo di esperimenti ha dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio che il fluido di lavoro è in grado di sostenere moti instabili del rotore all’interno di una turbomacchina.
Nel caso di giranti centrifughe operanti in condizioni cavitanti, gli esperimenti condotti usando ancora il tipo X precedentemente menzionato (Franz, 1989), hanno mostrato i seguenti risultati:
Le forze rotodinamiche sono sostanzialmente indipendenti dalla presenza o meno di cavitazione nella macchina. La figura 3.7 mostra infatti FN(t) ed FT(t) in funzione del rapporto (ω/Ω) per due valori del numero di cavitazione, σ = 4.24 e σ pari ad una perdita del 3% in ψ.
Figura 3.7 - FN(t) ed FT(t) agenti sulla girante “X” in funzione di (ω/Ω) per uno stesso valore di φ per flusso in assenza di cavitazione e con una perdita del 3% in ψ.
Per alcuni valori di φ e del rapporto (ω/Ω), c’è la possibilità che operazioni in regime cavitante possano dare luogo ad incrementi, rispetto al valore assunto in assenza di cavitazione, nella intensità della componente tangenziale instabilizzante , sebbene quella della componente normale, responsabile dell’aumento dell’ampiezza della vibrazione laterale, diminuisca, come mostrato dalla figura 3.8 .
Figura 3.8 – FN(t) ed FT(t) agenti sulla girante “X” in funzione del numero di cavitazione σ per tre diversi valori del coefficiente di flusso φ.
Infine, passando alle macchine a flusso assiale, ed in particolare agli induttori, i risultati ottenuti (Bhattacharyya, 1994) sull’induttore VII (v. Cap.2) mostrano che:
La forza radiale F0(t) mostra anche in questo caso una sostanziale indipendenza dalla velocità di whirl sia in condizioni cavitanti che non.
FN(t) ed FT(t) , in regime non cavitante (figura 3.9), sono caratterizzate da diverse inversioni di segno al variare di (ω/Ω) e dall’esistenza di consistenti picchi destabilizzanti per bassi valori del coefficiente di flusso. La dipendenza dal quadrato della velocità di whirl è pertanto un’ipotesi da abbandonare e con essa si deve anche rinunciare ad una rappresentazione del problema rotodinamica in termini di matrici di rigidezza, smorzamento e inerzia. Nel caso di macchine a flusso assiale FN ed FT sono adimensionalizzate come segue:
( 3.11 )
= Ω
= Ω
2 2
*
2 2
*
T T
T i L
N N
r l F F
r l F F
ε πρ
ε πρ
dove li è la lunghezza assiale delle pale.
Figura 3.9 - FN(t) ed FT(t) agenti sull’induttore “VII” in regime non cavitante in funzione di (ω/Ω), per tre diversi valori del coefficiente di flusso φ.
In condizioni cavitanti (figura 3.10), FT(t) può diventare destabilizzante anche per (ω/Ω)<0 ed i picchi per entrambe le componenti sono accentuati al decrescere di σ , permanendo comunque anche il comportamento, già evidenziato nel caso non cavitante, al decrescere di φ.
Figura 3.10 – Confronto del valore di FN(t) ed FT(t) agenti sull’induttore “VII” per diversi numeri di cavitazione σ.