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Sviluppo di una trapiantatrice da sodo

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali

Corso di Laurea Magistrale in

Produzioni Agroalimentari e Gestione degli

Agroecosistemi

Curriculum Agricoltura Biologica e Multifunzionale

Sviluppo di una trapiantatrice da sodo

Relatori

Prof. M. Raffaelli

Dott. C. Frasconi

Correlatore

Dott. D. Antichi

Candidato

Viola Guarducci

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A Diana e Bruno,

Barbara e Alfiero:

Grazie per avermi mostrato

l’importanza di accontentarsi,

(3)

Se continui a fare quello che hai sempre fatto, continuerai ad

ottenere ciò che hai sempre avuto.

(Warren G. Bennis)

Se vuoi costruire una nave, non radunare uomini solo per

raccogliere legno e distribuire i compiti, ma insegna loro la

nostalgia del mare ampio ed infinito.

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SOMMARIO

SOMMARIO ...4 1. RIASSUNTO ...6 2. INTRODUZIONE ...7 2.1 Agricoltura conservativa ...8 2.1.1 Le lavorazioni ...12 2.1.2 Le cover crops ...20 2.1.3 La diversificazione colturale ...23

2.1.4 Agricoltura conservativa vs agricoltura convenzionale: vantaggi e svantaggi ...27

2.1.5 Riflessioni ed obiettivi ad oggi perseguibili ...32

2.2 Le macchine per la semina e l’impianto ...37

2.2.1 Le trapiantatrici ...39

2.2.1.a Le trapiantatrici per piantine a radice nuda ...39

2.2.1.b Le trapiantatrici per piantine radicate con pane di terra ...42

2.2.2 Le trapiantatrici modificate per operare su terreno sodo ...43

3. SCOPO DELL’ELABORATO ...54

4. MATERIALI E METODI ...56

4.1 Il prototipo realizzato ...57

4.2 Area di sperimentazione ...63

4.3 Sperimentazione ...64

4.3.1 Rilievi e acquisizione dati ...66

4.3.1.a Percentuale di attecchimento ...68

(5)

4.3.1.c Sforzi di trazione ...72 4.3.2 Analisi statistica ...74 5. RISULTATI E DISCUSSIONE ...77 5.1 Risultati ottenuti ...78 5.1.1 Percentuale di attecchimento ...78 5.1.2 Accuratezza di trapianto ...79 5.1.3 Sforzi di trazione ...85

5.4 Discussione dei risultati ...90

5.5 Conclusioni ...95

6. BIBLIOGRAFIA ...96

7. SITOGRAFIA ...102

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1. RIASSUNTO

L’agricoltura conservativa rappresenta un’insieme di tecniche agronomiche tra le più studiate per aumentare la sostenibilità delle nostre produzioni vegetali. Questa si basa su tecniche quali il minimo disturbo del suolo, l’utilizzo di cover crop e le rotazioni colturali. Esistono pochi studi in letteratura sull’utilizzo delle tecniche di conservation agricolture in orticoltura. Uno tra i maggiori problemi che si riscontra in tale settore è il trapianto, che spesso in orticoltura viene preferito alla semina per il vantaggio competitivo dato alla coltura rispetto alle infestanti. Infatti, non esistono in commercio in Italia macchine trapiantatrici idonee per poter operare in condizioni di no-till. Lo scopo di questa tesi è stato quello di valutare le prestazioni di una trapiantatrice modificata per poter operare sia su terreno sodo che lavorato. L’operatrice oggetto di questo studio è stata sviluppata dal gruppo di ricerca afferente alla Meccanica Agraria e Meccanizzazione Agricola del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa. La tesi che si intende dimostrare è se la macchina rappresenti una soddisfacente soluzione tecnica per il trapianto in entrambe le condizioni operative prese in esame. È stata condotta una ricerca triennale in campo in cui il prototipo di trapiantatrice ha operato sia su terreno sodo che lavorato. Sono stati raccolti, posti a confronto e analizzati statisticamente i dati inerenti alla percentuale di attecchimento delle piantine trapiantate e gli indici di accuratezza di trapianto per entrambe le condizioni del terreno. Inoltre, sono stati raccolti e analizzati i dati riguardanti gli sforzi di trazione necessari per effettuare il trapianto su terreno sodo. Dai risultati ottenuti è emerso che la trapiantatrice rappresenta una soddisfacente soluzione tecnica per l’impianto di piantine con pane di terra sia in condizioni di terreno lavorato che in condizioni di no tillage, anche con l’eventuale presenza di cover crop. La percentuale di attecchimento del trapianto è stata elevata in entrambe le condizioni, e mai inferiore al 97% nel caso del terreno sodo. L’accuratezza di trapianto è stata soddisfacente anche su terreno non lavorato. Il modello adottato per la regressione multipla, condotta sui valori degli sforzi di trazione della trapiantatrice in condizioni di no-till, si è dimostrato adeguato a

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2. INTRODUZIONE

La progettazione, la realizzazione e l’analisi dei risultati ottenuti da una macchina trapiantatrice modificata in modo da renderla utilizzabile in terreni non lavorati, si è inserita nell’ambito dell’agricoltura no-tillage. Dopo un’introduzione sull’agricoltura conservativa e sui suoi principi, vengono descritte le principali tecniche e analizzati alcuni vantaggi e svantaggi, delineando i caratteri che ha nel presente l’agricoltura conservativa e quelli che probabilmente avrà in futuro. Successivamente, viene preso in esame lo stato dell’arte sulle trapiantatrici da sodo quali macchine per l’impianto colturale sia nell’agricoltura convenzionale che nella conservativa. Infine, vengono presentate le macchine ad oggi disponibili in commercio per il trapianto su terreno non lavorato.

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2.1 Agricoltura conservativa

Secondo il rapporto annuale delle Nazioni Unite (World Population Prospects

2017) il primo gennaio 2017 la popolazione ha raggiunto i 7,5 miliardi di

persone, e secondo le proiezioni dell’ONU nel 2050 saremo in 9,5 miliardi ad abitare la terra (https://esa.un.org/unpd/wpp/). Le problematiche odierne si faranno sempre più stringenti: la riduzione della fertilità e della quantità dei suoli per la produzione di risorse primarie, l’aumento della pressione per l’approvvigionamento delle risorse idriche, la diminuzione generale delle risorse del nostro Pianeta, l’utilizzo sempre più spinto delle risorse non rinnovabili nonostante le politiche lungimiranti di certe nazioni, l’aumento dell’inquinamento, l’incremento dell’effetto serra, delle temperature globali ed il relativo incremento di variabilità del clima, l’aumento della povertà con la previsione che nel 2030 quasi la metà della popolazione vivrà in aree ad alto stress idrico e sotto la sogli di povertà, un aumento della richiesta di energia nel 2030 del 60% in più (Centro Regionale di Informazioni delle Nazioni Unite, http://www.unric.org/it/attualita/).

Previsioni che mentre parliamo si stanno già realizzando, pongono problematiche stringenti e cruciali per lo sviluppo dell’umanità su questo pianeta: come sarà possibile l’approvvigionamento idrico e di cibo per 9 miliardi di persone? Come muteranno gli ambienti che conosciamo in una situazione di scarsità di risorse e di variabilità climatica? L’inquinamento provocato dai gas serra sarà compensabile da produzioni quantitativamente maggiori ma qualitativamente migliori? Quali saranno le risposte che la politica e l’industria daranno per garantire food security -approvvigionamento alimentare per un accesso e una distribuzione del cibo equa e sicura- e food

safety -sicurezza, qualità e trasparenza alimentare-? Sarà possibile la vita, in

condizioni dignitose, della nostra generazione e di quelle future?

A tutte queste domande, e molte altre, tutt’ora non esistono risposte univoche.

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Una delle possibili soluzioni a cui il mondo scientifico si rivolge con maggiore speranza per una maggiore sostenibilità ambientale e rese stabili è l’agricoltura conservativa, conosciuta in Italia anche come “agricoltura blu”. L’agricoltura conservativa è definita dalla FAO come una tipologia di agricoltura sostenibile che va ad incrementare i mezzi di sostentamento degli agricoltori, e che si basa sull’utilizzo di tre principi cardine: un minimo disturbo del suolo (no-tillage o zero tillage, strip tillage, minimum tillage), copertura permanente del suolo (mediante impiego di cover crops) e diversificazione colturale (FAO, 2010).

L’obiettivo che si pone è quello di contrastare gli svantaggi ottenuti dall’uso intensivo dei suoli e delle lavorazioni (alte emissioni in atmosfera di gas serra come CO2, inversione degli strati, perdita di sostanza organica, alti consumi energetici), dall'abbandono di sistemi colturali complessi (riduzione biodiversità vegetale ed animale, difficoltà maggiori di difesa colturale contro parassiti e patogeni) e dalla presenza durante periodi dell’anno anche lunghi di terreno nudo (erosione, perdita di struttura del terreno, assenza di elementi di protezione verso l’azione di sole, vento e pioggia).

Le tecniche agronomiche utilizzate nell’agricoltura conservativa possono essere di diverso tipo: in relazione al sistema di lavorazione effettuata si hanno sistemi minimum tillage oppure no-tillage (Archetti, Bonciarelli e Farina, 1996). In entrambi i casi occorre avere conoscenze agronomiche avanzate e macchine agricole tali da poter mantenere il terreno fertile e idoneo alla semina e all’impianto senza una lavorazione profonda precedente.

Il minimum tillage è una metodologia basata sulla lavorazione minima del terreno che non prevede l’inversione degli strati del suolo. Può essere effettuata a una profondità di 40-50 cm (minima lavorazione profonda) con macchine con un’elevata potenza di trazione quali coltivatori diretti o ripuntatori che sgretolino il suolo, dotati anche di utensili che, lavorando superficialmente, consentano in un unico passaggio, anche l’affinamento del terreno. La potenza necessaria è inferiore a quella di un’aratro in quanto l’azione è esclusivamente di dirompimento e non di taglio e rovesciamento

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del terreno, la zollosità risulta minore, ma, in generale, è affermabile che con le comuni macchine utilizzate sono necessarie operazioni colturali complementari per la semina o l’impianto della coltura. Il minimum tillage, in alternativa, può prevedere una minima lavorazione superficiale, ad una profondità di 10-20 cm, effettuata con macchine che vadano a dirompere e mescolare lo strato superficiale del terreno, a devitalizzare infestanti ed eventualmente ad interrare i residui colturali presenti in superficie. Le macchine agricole utilizzate sono erpici, zappatrici rotative o estirpatori (Benvenuti, 2007).

Il no-tillage è un sistema che, invece, non prevede la preparazione del terreno con le lavorazioni, ma esclusivamente l’utilizzo di macchine da sodo appositamente progettate, che vadano, nello stesso momento, ad aprire il solco di semina o trapianto e successivamente effettuare l’impianto della coltura. Quindi, in questo caso, non sono effettuate lavorazioni preliminari, ma in un unico passaggio effettuato sui residui colturali precedenti (“su sodo”) si va ad impiantare la coltura. Le macchine utilizzate sono composte da utensili diversi che svolgono contemporaneamente varie funzioni (dalla formazione del solco, alla deposizione del seme o della piantina) e permettono una forte semplificazione della gestione colturale, nonché un abbattimento delle emissioni e una migliore umificazione della sostanza organica (Fernandez e Quintanilla, 1997).

Il sistema no-till in orticoltura ha spesso fallito negli Stati Uniti (dove è maggiormente sperimentato), a causa delle rese basse e della maturazione tardiva della coltura (Brainard et al., 2013). La tecnica dello strip-tillage ha dimostrato di essere un buon compromesso tra resa colturale e conservazione del terreno in orticoltura (Brainard et al., 2013). Secondo la definizione del Conservation Tillage Information Center (Crosson et al., 1986), lo strip-till è quella tecnica colturale che lascia almeno la metà della superficie coperta da residui vegetali, andando a lavorare -contemporaneamente alla semina o al trapianto- esclusivamente in banda in prossimità del solco di impianto. Quindi, tale sistema colturale da’ vantaggi quali, tra l’altro, quello di ridurre l’energia necessaria alle operazioni colturali

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e di proteggere la parte di terreno non lavorata, mantenendone la fertilità e preservandola dall’erosione (Brainard et al., 2013).

Nonostante la classificazione di queste tecniche appaia ben definita e lineare, nel mondo, in realtà, esistono molte e diverse tecniche che si sono sviluppate a partire dal concetto di agricoltura conservativa (Figura 2.1), perché il concetto che la definisce difficilmente può venire schematizzato in poche e scarne tecniche agronomiche, bensì coinvolge conoscenze, valori e sistemi in un approccio olistico, tale da sfruttare al massimo i vantaggi e minimizzare gli svantaggi che l’agricoltura blu comporta.

Figura 2.1 - Le varie forme di agricoltura conservativa nel mondo. (A)

Zappatura manuale per impianto in Zimbabwe. (B) Semina su terreno non lavorato con seminatrice diretta a trazione animale in Brasile. (C) Impianto su terreno non lavorato con utensile manuale in Burkina Faso. (D) Seminatrice da

sodo con apporto di concimazione in India. (E) Semina con l’ausilio di un bastone appuntito in Madagascar. (F) Seminatrice diretta in condizioni di no-till in Australia. (G) Terreni dove è stata effettuata una lavorazione minima in

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Ogni soluzione ha il vantaggio di essersi adattata al bagaglio culturale, alle tecniche agronomiche tradizionali, agli ecosistemi e agli strumenti presenti in ogni angolo del globo, ma comporta anche una certa variabilità, rendendo complesso il trattamento dell’argomento come un unico sistema standard applicabile in ogni situazione.

2.1.1 Le lavorazioni

“Il suolo è uno dei beni preziosi dell’umanità. Consente la vita dei vegetali, degli animali e dell’uomo sulla superficie della Terra”. Così, nel 1972, il Consiglio d’Europa, nella Carta Europea del Suolo, definiva questa risorsa naturale non rinnovabile.

Le funzioni del suolo (www.isprambiente.gov.it) sono molte ed essenziali, tra queste ricordiamo:

• la produzione di biomassa. Oltre a rappresentare il supporto fisico di tutti i vegetali sul pianeta, permette l’approvvigionamento di elementi nutritivi per le piante, necessari alla produzione di biomassa. Così, la produzione agricola ed alimentare dipende completamente dal suolo. • Permette lo svolgimento del ciclo del carbonio. Il quantitativo di

carbonio nel suolo, benché inferiore a quello contenuto negli oceani, rappresenta il serbatoio di maggiore importanza. Questo perché gli scambi suolo-vegetazione sono più veloci e, in parte, gestibili dall’uomo, tramite il controllo di erosione, gestione agronomica, forestazione.

• Svolge un ruolo di trasformazione, filtro e tampone di sostanze diverse. Infatti, il suolo, tramite le sue caratteristiche fisico-chimiche e biologiche, regola la diffusione di sostanze lungo il profilo, controlla lo spostamento dei soluti in superficie e profondità, crea le condizioni per la degradazione di alcuni tipi di inquinanti.

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nel terreno, creando tra loro una intricata rete alimentari che permette la vita delle specie ed il mantenimento di una riserva genetica.

Prove di utilizzo delle lavorazioni del terreno si hanno da tempo immemore, fin dai tempi in cui l’uomo passò dalle attività inerenti alla caccia e alla raccolta, a quelle dell'allevamento e dell’agricoltura sedentaria (Hillel, 1991). Prove dell’esistenza delle lavorazione dei terreni sono state trovate nella Mesopotamia del 3000 a.C. (Hillel, 1998). Nel diciannovesimo secolo, con l’avvento di macchine per la lavorazione del terreno sempre più efficienti, la trazione animale dei mezzi tecnici fu sorpassata e le lavorazioni divennero sempre più intensive (Hillel, 1998).

I vantaggi sono molteplici:

• arieggiare e rendere più soffice il terreno, in modo che i semi possano essere alla giusta profondità e a contatto con le particelle di terreno (ottima ed uniforme germinazione dei semi);

• maggiore competitività delle colture agricole rispetto alle infestanti, che si realizza grazie ad un’emergenza più precoce della specie coltivata;

• ottenimento di un maggiore tasso di mineralizzazione tramite l’esposizione all’aria e agli agenti atmosferici del terreno, con conseguente ossidazione dei composti chimici presenti; possibilità di interramento di residui colturali, concimi, ammendanti.

I benefici di tali pratiche sono indubbi, ma occorre considerarli anche in relazione al costo che tali operazioni hanno sia da un punto di vista economico (combustibili e macchinari), sia da quello ambientale (erosione e perdita di sostanza organica). Il primo a mettere in dubbio l’assoluta utilità delle lavorazioni fu Faulkner, nel suo manoscritto ‘Ploughman's Folly’ (Faulkner 1943).

Infatti, tramite le lavorazioni, specie quelle eseguite in modo non razionale, la struttura del terreno risulta meno stabile, diminuisce la portanza rispetto al calpestamento, la resistenza all’azione battente della pioggia e si può

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generare compattamento e polverizzazione. Tutti questi fattori contribuiscono all'aumento dei processi erosivi. Inoltre, con le lavorazioni viene incrementata la macroporosità del terreno, dando luogo nell’immediato ad un maggior tasso di mineralizzazione, dovuto alla più alta areazione che promuove i processi microbici di natura ossidativa. Tutto ciò, alla lunga, genera un impoverimento della sostanza organica, con tassi di umificazione sempre minori.

Ad aggiungersi a questi svantaggi, abbiamo assistito nel secolo scorso ad un radicale cambiamento nella gestione dei suoli: in passato i suoli erano spesso trattati con metodi poco intensivi, si ricorreva alla tecnica del riposo (e quindi alla non asportazione dei residui con stabilizzazione della sostanza organica) per ripristinare la fertilità del terreno, si avevano bassi input in termini di lavorazioni, irrigazioni. Inoltre, non essendo disponibili fertilizzanti chimici di sintesi la fertilizzazione delle colture veniva effettuata tramite letamazioni, con indubbi vantaggi sul contenuto di sostanza organica del suolo. Le rotazioni erano ampie, c’era un largo utilizzo di leguminose (foraggere poliennali) che naturalmente apportano un quantitativo di azoto al terreno. In molti casi l’allevamento degli animali era di tipo estensivo e andava naturalmente ad incrementare la fertilità dei suoli (Figura 2.2).


Figura 2.2 - Lavorazioni necessarie nei diversi tipi di agricoltura:

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L’abbandono progressivo di questi sistemi colturali e l’aumentare degli input colturali hanno determinato un aumento dei costi e dell’inquinamento; l’erosione dei suoli è divenuta un problema stringente e, con essa, la diminuzione della sostanza organica necessaria per il corretto sviluppo dei vegetali. Prova di questa situazione fu la cosiddetta ‘Dust storm - tempesta di polvere’ che colpì gli Stati Uniti nel 1930. Le lavorazioni irrazionali che venivano effettuate avevano determinato una forte polverizzazione del terreno, tale da stimare in 91 Mha i suoli degradati per la forte erosione a cui erano stati sottoposti (Utz et al., 1938).

In base a tali considerazioni, che venivano via via avvallate dal mondo scientifico, per i successivi anni gli agricoltori americani furono spinti a ridurre le lavorazioni del terreno, soprattutto a vantaggio di una minore erosione dei suoli e perdita di sostanza organica (Hobbs et al., 2008).

Considerando tali svantaggi, il danno che sistemi colturali irrazionali e intensivi potrebbero causare anche nei nostri suoli sono ingenti. Occorre, infatti, tenere in considerazione che i terreni della Toscana, anche a causa di gestioni irrazionali del passato, ad oggi presentano in maggioranza una scarsa fertilità già in partenza e limitazioni alla coltivazione (Database Pedologico Regione Toscana: http://www502.regione.toscana.it/geoscopio/ pedologia.html) (Figura 2.3).

E' possibile pensare che questa situazione sia tipica esclusivamente dei terreni toscani, ma non è così. Infatti, la problematica in Europa è tale da interessare la Commissione Europea che nel 2006 si è espressa con la comunicazione “Strategia tematica per la protezione del suolo”, dove si afferma che il 45% dei terreni europei hanno una dotazione di sostanza organica da scarsa a molto scarsa (Strategia tematica per la protezione del suolo, Comunicazione della Commissione Europea 231, 2006).

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Come si può osservare dalla mappa in Figura 2.4, le aree di maggiore estensione sono quelle che vanno dal verde intermedio a quello scuro, ovvero suoli “che presentano limitazioni severe/molto severe, tali da ridurre drasticamente la scelta delle colture e da richiedere speciali pratiche conservative/accurate pratiche di coltivazione” e le aree color rosa di intensità intermedia, classificate come “suoli che presentano limitazioni severe tali da renderli inadatti alla coltivazione e da restringerne l’uso al pascolo, alla forestazione e come habitat naturale”.

Figura 2.3 - Capacità d’uso e fertilità dei suoli della Toscana

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Situazione ancor più grave è quella che riguarda l’erosione, ovvero il tasso annuo di perdita di suolo dovuto ad erosione idrica superficiale (Figura 4). La mappa è stata costruita tenendo in considerazione parametri quali l’aggressività della pioggia, i fattori topografici, l’erodibilità del terreno, la copertura del suolo e gli interventi antropici a contrasto dell’erosione (Consorzio Lamma, La carta dei suoli della Regione Toscana).

In questo caso (Figura 2.4), la carta evidenzia che la maggioranza dei terreni toscani presenta un’erosione potenziale da moderatamente bassa (10-20 t/ ha per anno) a moderatamente alta (fino a 50 t/ha per anno).

La ricerca scientifica ha studiato sistemi agricoli condotti con lavorazioni convenzionali e conservative, permettendo di dimostrare che le tecniche

Figura 2.4 - Fattori limitanti la capacità d’uso dei suoli della Toscana: limitazioni

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minimum till o no-till hanno effetti benefici su alcune delle caratteristiche del

terreno, come la porosità, ovvero la frazione di terreno non occupata da particelle solide, che si crea in seguito all’assestamento degli aggregati strutturali del terreno (Giardini, 2002).

La porosità ottimale per l’accrescimento e lo sviluppo delle piante è costituita dal 60% di micropori (spazi di dimensioni inferiori a 50 𝜇m) e dal 40% di macropori con dimensioni maggiori a 50 𝜇m, in modo tale da avere una buona ritenzione della soluzione circolante nei micropori ed un’adeguata ossigenazione delle radici grazie all’aria che occupa i macropori (Bonciarelli, 1997).

Da un confronto tra un ciclo produttivo effettuato con lavorazioni convenzionali ed uno effettuato con tecniche conservative, è emerso che queste ultime garantivano pori di dimensioni tra i 20 ed i 50 𝜇m in misura maggiore rispetto alle tecniche convenzionali (Pagliai, 1986). Inoltre, lo studio ha evidenziato come, nel periodo terminale della coltura, vi fosse un’accentuata diminuzione dei micropori nel terreno coltivato con tecniche tradizionali rispetto a quelli gestiti con tecniche conservative, a causa dei diversi passaggi delle macchine agricole che determinavano compattamento del terreno (Pagliai, 1986). La capacità di infiltrazione dell’ acqua diminuisce con l’aumentare del compattamento, a causa di fenomeni che si possono ricondurre a: riassestamento delle particelle in profondità; lavorazioni successive; eventuale suola di lavorazione determinata da alcune macchine agricole (che ostacola anche la penetrazione radicale dei vegetali).

È possibile pensare che la presenza di un elevata percentuale di micropori a scapito di quella dei macropori possa, però, determinare un effetto negativo di ristagno idrico in terreni argillosi, per la scarsa capacità drenante di questi suoli. In realtà, come ha messo in evidenza lo studio sull’infiltrazione d’acqua nel suolo di Abid e Lal (2008), la capacità drenante del terreno risultava comunque maggiore in terreni sottoposti a tecniche di agricoltura conservativa rispetto a quelle convenzionali (Figura 2.5).

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La significativa differenza tra i due risultati può essere spiegata grazie alla maggiore stabilità strutturale del terreno non continuativamente sottoposto a lavorazioni (Abid e Lal, 2008).

Inoltre, le lavorazioni determinano un abbassamento nei livelli di sopravvivenza dei lombrichi del terreno (Bonciarelli, 1997). Questi partecipano ad importanti fenomeni quali, fra gli altri, l’aumento di fertilità del terreno e i processi di umificazione e mineralizzazione della sostanza organica. Infine, determinano la creazione di biopori che permettono la presenza di ossigeno e l’infiltrazione dell’acqua nel profilo del suolo (Ferrazzi e Berger, 2010).

La capacità di infiltrazione dell’acqua in un terreno determina una minore presenza di fenomeni negativi quali lo scorrimento superficiale, che contribuisce all’erosione, o il ristagno superficiale che può provocare l’asfissia radicale dei vegetali (Giardini, 2002). La stabilità strutturale di un terreno può arginare questi fenomeni, ma essa può essere compromessa da lavorazioni ripetute e non eseguite razionalmente.

Figura 2.5 - Quantitativi di acqua infiltrata (mm/min) in un terreno condotto con la

tecnica convenzionale e conservativa. NT: No Tillage. CT: Conventional Tillage (Abid e Lal, 2008)

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Risultati analoghi a quelli delle studio di Abid e Lal (2008) sono stati ottenuti nel 2011 da Mrabet, dove è emersa nuovamente la maggiore capacità di infiltrazione in terreni soggetti a non lavorazione rispetto a terreni sottoposti a tecniche di lavorazione convenzionale (Mrabet, 2011) (Figura 2.6).

2.1.2 Le cover crops

L’agricoltura conservativa, tra le altre cose, si avvale di una serie di pratiche colturali che lasciano residui vegetali sulla superficie in modo da aumentare l’infiltrazione di acqua e ridurre l’erosione, come afferma la FAO (FAO, 2010). L’agricoltura conservativa è definita come tutte le successioni di lavori che sono in grado di lasciare almeno il 30% della superficie del terreno coperto dai residui colturali (Struik e Bonciarelli, 1997).

Le cover crops, ovvero colture di copertura o colture che impediscono al terreno di restare nudo nei periodi in cui esso non sia investito in colture da reddito, si possono distinguere in (Curran et al., 2006):

- green manure o sovesci, ovvero colture trinciate e/o interrate che si Figura 2.6 - Tasso di infiltrazione dell’acqua (mm/h) nel tempo (min) (Mrabet, 2011)

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- mulch o pacciamature vegetali, cioè colture devitalizzate al momento dell’impianto della coltura principale (dead mulch) o gestite in consociazione permanente o temporanea con la coltura da reddito (living

mulch), che avvantaggiano la coltivazione di interesse attraverso la

fornitura di servizi ecologici.

Nonostante i dimostrati vantaggi di queste strategie riportati in letteratura siano molti, è importante porre l’attenzione sulla complessità dei sistemi colturali che si avvalgono di colture sussidiarie, che quindi richiedono una una maggiore conoscenza delle tecniche agronomiche (Giller et al., 2015). Appare opportuno considerare il fatto che, se non gestite opportunamente (si pensi ai piccoli agricoltori o ai coltivatori part-time che spesso non hanno conoscenze agronomiche approfondite) le colture di copertura non solo apportano maggiori costi, ma possono anche portare al fallimento della coltura da reddito (Giller et al., 2015).

È quindi necessario conoscere in modo adeguato la coltura che si intenda utilizzare come cover crop e la strategia da adottare, soprattutto per quanto concerne elementi quali: il ciclo vitale; l’epoca e la densità di semina; la resistenza alle specifiche condizioni agro-pedo-climatiche; l’interazione con la coltura da reddito; l’eventuale apporto di azoto (le leguminose sono impiegate frequentemente a tale scopo); il valore nutrizionale del foraggio (se si intende reimpiegarle nel settore zootecnico); i costi da sostenere fino alla devitalizzazione naturale o antropica della coltura (Curran et al. 2006; Bonciarelli, 2002).

Spesso le colture di copertura o i miscugli utilizzati sono costituiti da specie minori, con scarsa disponibilità varietale sul mercato. Per questo, potrebbe risultare opportuno fare delle sperimentazioni aziendali che ne testino l’adattabilità e la produttività. L’obiettivo, infatti, è quello di ottenere una coltura di copertura densa ed uniforme (Morse, 1999).

L’utilizzo delle cover crops ad oggi non è così frequente: solo il 2% delle aziende strutturate degli USA utilizzano questa strategia agronomica (Bryant

et al., 2013). Nonostante ciò, alcuni benefici sono indubbi, sia per il terreno,

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L’importanza dei residui colturali lasciati in superficie si è dimostrata efficace nella conservazione delle risorse idriche del terreno, grazie ad una maggiore infiltrazione di acqua (Giller et al., 2015). Le cover crops hanno anche consentito di diminuire l’erosione del suolo, grazie soprattutto all’assenza di terreno nudo, alla maggiore infiltrazione, al minore scorrimento superficiale delle acque (Guto et al., 2011; Baudron et al., 2012).

Le cover crops utilizzate come dead mulch, sono state studiate in quanto possono ridurre l’evaporazione dal terreno, avvantaggiando le colture estive e quelle con raccolta tardiva (Scopel et al., 2004; Pittelkow et al., 2015a). Questo rappresenta un vantaggio nei paesi a clima secco o climi, come il nostro, dove le estati sono siccitose (Pittelkow et al., 2015a).

Le colture di copertura possono anche essere considerate ed utilizzate con l’intento di apportare una vera e propria concimazione alla coltura di reddito. Le leguminose, infatti, possono fissare grandi quantità di azoto dall'atmosfera (Giller, 2001) grazie all’associazione simbiontica che sviluppano con i batteri appartenenti al genere Rhizobium. Se seminate e devitalizzate nel momento opportuno, possono rappresentare un sostegno nutrizionale per la coltura da reddito coltivata (Sanchez, 2002; Da Silva et al., 2014). Inoltre, l’apporto di biomassa mantiene costante la fertilità del terreno, tenendo stabili i livelli di sostanza organica (Da Silva et al., 14).

Uno dei maggiori problemi dell’agricoltura conservativa è il controllo delle infestanti (Morse, 1999), che viene effettuato, nella maggior parte dei casi, tramite l’uso di erbicidi chimici di sintesi. Se alle tecniche di agricoltura conservativa vengono associati i principi dell’agricoltura biologica (impossibilità di ricorrere a fitofarmaci di sintesi) il contenimento della flora avventizia risulta ancora più difficile. Quindi, l’utilizzo di colture di copertura, il cui sviluppo comporti una competizione con le crescita delle malerbe, è una delle strategie più efficaci (Morse, 1999; Moonen, 2004) (Figura 2.7). In ogni caso, occorre fare attenzione a bilanciare i fenomeni di competizione che si possono instaurare tra la cover e la coltura (Hobbs et al., 2008).

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momento idoneo e in modo definitivo senza arrecare danni alla coltivazione, è ancora oggi una sfida importante per l’utilizzo su larga scala delle colture ausiliarie nell’ambito dell’agricoltura conservativa e biologica (Morse, 1999).

2.1.3 La diversificazione colturale

L’esperienza maturata dall’uomo nei secoli ha permesso agli agricoltori di rendersi conto che la costante e ripetuta successione di una stessa coltura sul terreno portava ad una perdita di fertilità del suolo ed a minori rese. Questo ha portato al detto, già usato all’era degli Antichi Romani, che “la

terra si riposa producendo cose diverse” (Paris, 2002).

Mentre nel passato la pastorizia e le coltivazioni estensive lasciavano il tempo al terreno di riposare e di ripristinare la sua fertilità (grazie anche alle deiezioni animali), con l’intensificazione colturale questo non è più avvenuto. Le rotazioni, che lasciavano parte del terreno a riposo e variavano le colture con l’obiettivo di non coltivare la stessa specie sul terreno, sono state progressivamente abbandonate (Paris, 2002). Allo stesso modo, la

POTENTIAL WEED SUPPRESSION MECHANISMS OF COVER CROPS

Mechanism 1

Weed suppression by living cover crop Mechanism 2

Weed suppression in the following crop by cover crop residue

Mechanism 3

A long-term weed suppression effect in crops with the same growing-season as the cover crop

Figura 2.7 - Meccanismi d’azione per la soppressione delle infestanti

(24)

specializzazione colturale ha messo in crisi la pratica della consociazione, ovvero la coltivazione contemporanea di due o più specie sullo stesso terreno. Sono state progressivamente abbandonate le cosiddette ‘colture promiscue’, a causa di una maggiore complessità di gestione delle operazioni colturali e grazie anche all’introduzione dei diserbanti di sintesi chimica (Paris, 2002).

Quindi, la fertilità sempre minore dei terreni e le rese inferiori (a parità di input colturali) hanno spinto molti agricoltori al ritorno verso sistemi utilizzati nel passato, come gli avvicendamenti (Paris, 2002). Questi sono definiti come la “realizzazione di sequenze colturali di specie diverse, in modo da

rallentare adeguatamente il ritorno di una data specie sullo stesso terreno, alternandola con altre colture” (Paris, 2002).

La diversificazione colturale è l’approccio moderno alla pratica delle rotazioni colturali. Essa viene attuata mediante consociazioni e avvicendamenti ampi, ed ha diversi obiettivi (Progetto Life Help Soil, http://www.lifehelpsoil.eu/ agricoltura-conservativa/):

• tenere il terreno coperto il più a lungo possibile, in modo tale da proteggerlo dall’azione degli eventi climatici e contenere le perdite di sostanza organica per mineralizzazione;

• mantenere e migliorare la struttura del suolo attraverso gli apparati radicali dei vegetali;

• stimolare l’attività biologica del terreno limitando i periodi in cui si praticano interruzioni colturali;

• limitare i rischi di inquinamento delle falde (dovuto alla lisciviazione dei nitrati), di erosione e di perdita di biodiversità.

L’utilizzo di un numero maggiore di specie coltivate e di diverse famiglie botaniche permette un ampliamento delle rotazioni ed evita che le stesse colture si ripetano frequentemente sui terreni. Questo comporta che la fertilità del terreno sia stabile o, addirittura, migliori, così come le rese di

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conservativa/). Gli avvicendamenti colturali permettono una gestione migliore delle infestanti. Infatti, queste si diffondono insieme a specie con le stesse esigenze colturali. Quindi, gestire una rotazione colturale con un numero maggiore di specie e famiglie, ognuna delle quali richiede diverse pratiche colturali, può aiutare a interrompere il ciclo delle erbe infestanti e la loro diffusione (Farooq e Siddique, 2015).

Una maggiore biodiversità comporta la riduzione di problemi fitosanitari e, quindi, diminuisce la necessità di ricorrere ad agrofarmaci e fertilizzanti (Regione Emilia-Romagna, “La sfida dell’agricoltura conservativa”, 2016). Inoltre, è stato condotto uno studio sui costi che comporta l’agricoltura conservativa, ed, in particolare, sugli effetti che ognuno dei tre principi di questo sistema colturale ha sul margine lordo. È emerso che gli avvicendamenti colturali più ampi (nello studio viene sperimentata una rotazione colturale in cui vengono introdotte le leguminose) possono portare ad un aumento del margine lordo fino ad 80.70 €/ha, in uno scenario di rese alte, e 76.90 €/ha, con rese basse (Scheda Informativa Smart Soil, 2009). Questo in virtù dei minori costi da affrontare per il carburante, la manodopera ed i fitofarmaci. Le risorse dell’azienda agricola sono sfruttate in modo migliore, in quanto e macchine e gli operai fissi possono lavorare durante tutto l’anno, su colture diverse, invece di essere impegnati in una stretta finestra temporale. Infine, in un periodo in cui i cambiamenti climatici stanno sconvolgendo il clima, praticare la diversificazione colturale significa abbattere i rischi di una perdita totale del raccolto.

Gli agricoltori di tutto il mondo mostrano un interesse crescente verso l’agricoltura conservativa, anche se c’è una tendenza generale all’adozione parziale dei tre principi che la costituiscono (Jat et al., 2014). Dallo studio riportato da Jan et al., la diversificazione colturale, ottenuta mediante rotazioni colturali più ampie e consociazioni, è il principio che maggiormente adottano gli agricoltori in Burkina Faso, Africa (2014). Questo è probabilmente motivato dal fatto che l’adozione di tale principio comporta investimenti economici più bassi rispetto al principio del minimo disturbo di suolo, che necessita l’acquisto di un parco macchine adeguato. Inoltre, la diversificazione colturale non comporta problemi gestionali del tutto

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sconosciuti all’agricoltore, al pari delle altre due tecniche, per cui è necessaria una conoscenza delle tecniche di gestione del terreno sodo e delle minime lavorazioni. Infatti, l’applicazione della diversificazione comporta all’agricoltore quasi esclusivamente un numero maggiore di ore per la gestione delle specie, svantaggio che è, in genere, considerato inferiore ai vantaggi ottenibili con tale pratica (Jat et al., 2014). In realtà, l’utilizzo di un maggior numero di specie e consociazioni comporta anch’esso la necessità di conoscenze agronomiche maggiori, in quanto, se non ben gestite, queste tecniche possono comportare dei rischi per l’agricoltore inesperto.

L’Europa ha investito molto sull’agricoltura conservativa, quale sistema colturale di intensificazione sostenibile. Infatti, sono stati previsti fondi per coloro che vogliano abbracciare tali tecniche come nuovo metodo di coltivazione. In particolare, i fondi dell’Unione Europea sono stati messi a disposizione dalla Regione Toscana, che ha predisposto un pagamento agli agricoltori che tutelino la biodiversità (Misura 10 del PSR: Pagamenti agro-climatico ambientali). Tale pagamento è concesso agli agricoltori che dimostrino di attuare, con impegno quinquennale (www.regione.toscana.it):

• l’inerbimento delle colture arboree specializzate (ad esclusione dei castagneti) sul 50% della superficie aziendale;

• la semina su sodo sul 20% della superficie aziendale a seminativo; • l’introduzione di colture di copertura con lavorazione minima e senza

aratura sul 20% della superficie aziendale.

Il pagamento previsto per la coltivazione delle colture di copertura è inoltre aumentato se l’azione è combinata con l’adozione di tecniche di semina su sodo della coltura da reddito in successione.

(27)

2.1.4 Agricoltura conservativa vs agricoltura convenzionale:

vantaggi e svantaggi

Questa tesi si propone di analizzare una macchina trapiantatrice sviluppata per lavorare anche in terreni non lavorati. Le tecniche usate durante la sperimentazione sono state quelle dell’agricoltura conservativa, e sono state utilizzate cover crops e pacciamature vegetali (living mulch e dead mulch). Riassumiamo con chiarezza, quindi, quali sono vantaggi e svantaggi che tali tecniche comportano.

Tra i vantaggi maggiori della conservation agriculture si evidenziano:

• Maggiore semplicità per la riduzione delle operazioni colturali, variabile a seconda della complessità agronomica che si intende adottare: i sistemi complessi sono quelli più stabili ma di maggiore difficoltà di gestione (Giller et al., 2015).

• Migliore gestione dell’acqua (l’agricoltura conservativa per questo viene anche chiamata “Agricoltura Blu”). In particolare:

- maggiore infiltrazione di acqua nel terreno grazie all’assenza di suola di lavorazione e alla migliore struttura degli aggregati (Giller et al., 2015).

- Evaporazione inferiore, temperatura del suolo inferiore grazie a colture di copertura e pacciamature morte (Scopel et al., 2004). - Maggiore ritenzioni idrica del terreno, quindi colture estive e a

raccolta tardiva favorite in annate siccitose (Pittelkow et al., 2015a).

• Incremento della concentrazione di carbonio nel profilo superficiale del terreno. Sequestro del carbonio organico nei residui vegetali e conseguente minore emissione di gas serra (Heenan et al., 2004). • Minore disturbo del suolo e assenza di inversione degli strati. Minore o

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effettuate. Minor compattamento del terreno grazie ad un numero inferiore di passaggi con le macchine agricole (Pisante, 2008).

• Minore erosione del suolo e ruscellamento, fertilità del terreno mantenuta più a lungo, sostanza organica stabile che determina una maggiore CSC (capacità di scambio cationico) (Hobbs et al., 2008; (Guto et al., 2011; Baudron et al., 2012).

• Maggiore biodiversità ecosistemica se si considera l’utilizzo di colture di copertura laddove erano previste solo colture da reddito. Maggiore vitalità della micro e mesofauna utile (Pisante, 2008).

• Potenziale alternativa all’uso di erbicidi chimici di sintesi, in quanto l’uso di cover crop (opportunamente gestite con mezzi fisici) permette un’efficace controllo delle infestanti (Morse, 1995; Morse, 1999). Questo è un vantaggio molto importante nei paesi sottosviluppati dove i fitofarmaci di sintesi corrispondono ad uno dei maggiori costi per le aziende (Lal, 2009).

• Possibilità di operare interventi colturali tempestivi anche dopo un evento piovoso, grazie alla maggiore stabilità strutturale degli aggregati del suolo ed alla maggiore capacità di infiltrazione idrica (Morse, 1998) (Figura 2.8).

Figura 2.8 - Stato del terreno a confronto dopo un evento piovoso

(29)

• Sistema colturale più equilibrato e sostenibile a lungo termine con rese accettabili (Bisset e O’Leary, 1996). L’agricoltura conservativa ha rese simili a quelle delle tecniche convenzionali se utilizzata con cover

crops e rotazioni colturali, con rese che si sono dimostrate addirittura

maggiori in climi secchi o aridi (Rusinamhodzi et al., 2011; Pittelkow et al., 2015a).

• Risparmio per la messa in coltura variabile tra un 20% ed un 35% a seconda che si utilizzi il minimum tillage o il no-tillage (Cera, Peruzzi e Sartori, 1997). Costi variabili in base alla complessità colturale, al numero di specie ed alle operazioni colturali necessarie. Riduzione dei costi per un quantitativo minore di lavorazioni. Minore uso di carburante per macchine con minori consumi (lavorazioni a profondità minore) e conseguente minori emissioni di gas serra. Alcuni studi dimostrano riduzioni significative dei costi per il carburante grazie alle tecniche no-tillage (Hobbs e Gupta, 2004).

D’altra parte, anche le lavorazioni minime o la non lavorazione hanno dei limiti quali:

• Con l’adozione delle tecniche di agricoltura conservativa, è stata evidenzata una diminuzione di produzione nei climi temperati del 10%, soprattutto per quanto riguarda i cereali (Pittelkow et al., 2015).

• Aumento iniziale dei costi per la sostituzione del parco macchine. Sono necessarie macchine agricole idonee per l’impianto su sodo (seminatrici, trapiantatrici per no-till) (Rutledge, 1999). Inoltre, è indispensabile avere macchine che non sempre sono presenti in azienda, quali quelle per la lavorazione degli strati superficiali del terreno (erpici rotanti e combinati, coltivatori leggeri), e, se necessario, quelle che effettuano il decompattamento del terreno (ripuntatori). • Impossibilità di gestione in terreni compromessi, fortemente mal

(30)

risistemazione del terreno e della sua regimazione idrica prima di procedere (Rutledge, 1999).

• Necessità di tempo affinché si raggiunga stabilità ecosistemica e produzioni costanti. Nei primi 5-7 anni è possibile che si verifichino problemi nel controllo di malerbe e altre avversità (Rusinamhodzi et

al., 2011).

• Necessità di maggiori conoscenze. A volte risulta necessario avvalersi di tecnici qualificati ed effettuare prove aziendali per l’impianto di nuove essenze. È impossibile “improvvisarsi” agricoltori nell’ambito della conservation agriculture (Giller et al., 2015).

L’assenza di interramento in sistemi no-till non ostacola la diffusione di patogeni, i cui inoculi rimangono in superficie (Ferrari et al., 2006). Infatti, l’interramento dei residui, effettuato ad esempio con un’aratura, può essere utile per distruggere i vegetali infestati da parassiti (Ferrari

et al., 2006)

Strati abbondanti di pacciamature morte o cover crops viventi, se mal gestite, possono interferire nella germinazione del seme e nella emergenza della coltura da reddito (Morse, 1999).

Nella tabella successiva (Tabella 2.1) è possibile osservare un sintetico confronto tra i diversi tipi di agricoltura presi in esame:

l’agricoltura convenzionale (traditional tillage, TT).

L’agricoltura che si avvale di tecniche di non lavorazione (conservation

tillage, CT). Qui l’agricoltura conservativa è intesa in senso stretto,

ovvero è basata solo sui concetti di semplificazione colturale e del minore impatto possibile sul suolo.

L’agricoltura conservativa (conservation agricolture, CA). È qui intensa in senso integrato con altre tecniche, tra cui l’utilizzo delle cover crops e delle consociazioni.

(31)

Traditional Tillage (TT) Conservation Tillage (CT)

Conservation Agriculture (CA)

Lavorazioni Disturbo del suolo e terreno nudo per lunghi periodi

Minore disturbo di suolo e terreno maggiormente coperto

Minimo disturbo di suolo e suolo permanentemente coperto

Erosione Erosione: massima Erosione: ridotta sensibilmente Erosione: la minore delle tre Stabilità degli

aggregati del suolo

La minore delle tre Sensibilmente migliore La maggiore delle tre Compattamento

del suolo

Compattamento e distruzione dei biopori

Ridotto compattamento del suolo

Ridotto compattamento. L’uso di cover crop lo riduce Vitalità biologica

del terreno

La maggiore delle tre per il maggiore disturbo

Intermedia Massima, con popolazioni varie e diverse

Infiltrazione d’acqua La minore delle tre dopo che i pori sono collassati

Buona infiltrazione d’acqua La maggiore delle tre

Contenuto in sostanza organica

Ossidazione della sostanza organica e perdita di fertilità

Minore ossidazione per inferiore ossigenazione del

terreno Processi di umificazione e mineralizzazione al loro optimum Infestanti Le lavorazioni controllano le infestanti ma possono anche

propagarle

Le ridotte lavorazioni controllano in modo inferiore le

infestanti

Rischi alti i primi anni, ma con le cover crop e la stabilizzazione dell’agro-ecosistema il problema è ridimensionato Temperatura del terreno

Superficie del suolo con temperature molto variabili

Range di variabilità intermedio Range di variabilità minimo

Carburante Uso elevato Uso intermedio Uso molto ridotto

Costi di produzione Costi maggiori Costi intermedi Costi minori

Rese Possono essere basse se le semine sono tardive

Rese pari a TT

Colture a raccolta tardiva favorite, le rese possono essere

maggiori

Tabella 2.1 - Vari modelli di agricoltura a confronto (Hobbs et al., 2008).

TT: Traditional Tillage, tecniche di lavorazione del terreno convenzionali; CT: Conservation Tillage, tecniche di lavorazione basati sul minimo disturbo del suolo;

CA: Conservation Agricolture, agricoltura conservativa che integra Conservation Tillage e cover crops.

(32)

2.1.5 Riflessioni ed obiettivi ad oggi perseguibili

La sfida di una produzione maggiore, assieme ad una qualità migliore degli alimenti, non è assolutamente banale. È essenziale per gli agricoltori ridurre i costi ed aumentare o mantenere stabili nel tempo i loro redditi. Al contempo è necessario mettere a punto sistemi che implementino la qualità biologica e fisico-chimica del terreno, in modo da ottenere una fertilità stabile nel suolo che permetta rese costanti negli anni.

Ai giorni d’oggi, sono diversi gli obiettivi che un imprenditore agricolo deve fronteggiare per portare a termine la coltura nell’ambito dell’agricoltura conservativa.

Sono quattro gli steps entro cui è possibile raggruppare le fasi critiche del

no-till o minimum no-till effettuato su pacciamatura morta (Morse, 1999) (Figura 2.9):

fase pre-impianto della coltura da reddito e impianto della cover crop:

occorre valutare se il terreno risulti idoneo alle tecniche di agricoltura conservativa, e se sia necessario il dirompimento del terreno per la presenza di una suola di lavorazione. Successivamente, nella fase di impianto deve essere seminata in modo corretto ed uniforme la cover

crop.

• Fase pre-impianto della coltura da reddito: la coltura di copertura deve

essere gestita in modo da ottenere una uniforme ed adeguata copertura pre-impianto per la cash crop.

• Fase di impianto della coltura da reddito: la semina o il trapianto

devono essere eseguite col minor disturbo di suolo e il migliore posizionamento dei vegetali possibile.

• Durante tutte le fasi: è assolutamente indispensabile il controllo delle

infestanti. Può essere fatto in modo meccanico, fisico o chimico, in base al tipo di agricoltura che si intenda effettuare, ma l’importante è la sua tempestività.

(33)

Di seguito si riporta un’analisi delle azioni da eseguire e degli obiettivi da perseguire ad ogni step operativo.

Innanzitutto, occorre valutare il drenaggio e l’eventuale compattazione del terreno a causa di lavorazioni precedenti. In tal caso sarà necessario prevedere lavorazioni di dirompimento della suola di lavorazione con operatrici (ad es. ripuntatore) che vadano a ripristinare la presenza di fessurazioni in profondità.

Un’altra fase critica è la scelta a livello agronomico della coltura di copertura. La cover crop deve essere adattabile a livello pedo-climatico al luogo di impianto, in modo tale da produrre una coltura densa e uniforme. In questo modo, la coltura sussidiaria potrà dare un vantaggio competitivo a quella da reddito nella lotta alle infestanti, permettere interventi tempestivi in campo e determinare una maggiore infiltrazione di acqua.

Cover crop che non crescono in modo appropriato comportano problemi

anche per la coltura da reddito, primo fra tutti il controllo delle malerbe (situazione ancora più grave nel caso in cui si associno all’agricoltura conservativa i principi dell’agricoltura biologica).

Obiettivi per la buon riuscita dell’impianto in AC

Pre-impianto e impianto cover crop Analisi terreno

Uniforme e densa cover crop Pre-impianto cash crop Devitalizzazione cover crop Uniforme e densa mulch Impianto cash crop Minor disturbo di suolo

Corretta deposizione semi/plantule Pre-impianto + Impianto

Continuo e precoce controllo infestanti

1

2

3

4

Figura 2.9 - Schematizzazione degli obiettivi per la buona riuscita di

(34)

Il secondo obiettivo da perseguire riguarda la fase di devitalizzazione della coltura di copertura. Questa è la casistica più semplice, ma in realtà le cover

crops potrebbero essere utilizzate anche durante le vita della coltura e

devitalizzate in un secondo momento. Questa fase è essenziale per fare in modo che non si verifichino fenomeni di competizione tra la coltura da reddito e quella di copertura. Quindi, è necessario creare una pacciamatura che permetta un contenimento dello sviluppo delle infestanti, ma non tale da ostacolare lo sviluppo delle piantine. Infatti, la cover crop deve essere correttamente devitalizzata ed eventuali ricacci andranno tempestivamente controllati.

La devitalizzazione delle colture di copertura può essere fatta sia mediante l’ausilio di diserbanti chimici di sintesi, sia meccanicamente con dispositivi quali, ad esempio, rulli o barre falcianti portati dalla trattrice.

Durante la fase di impianto della coltura, una particolare attenzione deve essere riposta sulla scelta della macchina trapiantatrice o seminatrice adatta a lavorare su terreno sodo. Avere macchine veloci, efficienti ed efficaci nella deposizione del materiale per l’impianto è un prerequisito fondamentale. È necessario che la macchina impiegata raggiunga diversi obiettivi:

• i solchi devono essere idonei per le piantine o i semi, sia a livello di

forma che di dimensione;

• occorre avere un adeguato ricoprimento del seme, del pane di terra

radicato o della radice nuda;

• è necessaria una lieve compattazione del terreno in modo da far

aderire le particelle del suolo alle radici o ai semi;

• il sesto d’impianto e la dose di seme impostata devono essere

rispettati;

• nel caso del trapianto, le piantine devono essere deposte

(35)

È inoltre essenziale che l’ottenimento di tali risultati non comprometta il terreno con un disturbo considerevole, altrimenti non sarà possibile ottenere i vantaggi derivanti dalle tecniche di minimum o dello zero tillage.

In tutte le fasi colturali, è importante gestire opportunamente il controllo delle infestanti e i ricacci delle cover crop utilizzate in precedenza. Risulta opportuno porre l’attenzione su questo punto soprattutto nei casi in cui non si voglia fare ricorso a erbicidi chimici di sintesi (come nell’agricoltura biologica). In questi casi, infatti, le azioni permesse per la lotta alle infestanti sono esclusivamente di tipo fisico.

Ma cos’è nel presente l’agricoltura conservativa e come può essere sfruttata al meglio, nella prospettiva di una crescita della domanda e della qualità dei prodotti alimentari?

Secondo Giller et al., il modello attuale di agricoltura conservativa non è il migliore per fronteggiare le sfide del futuro ed andrebbe sviluppato (Giller et

al., 2015). Più precisamente, Giller et al. auspicano un approccio che più si

adatti alla sfida moderna di ‘intensificazione sostenibile’. Al contempo, un modello di questo tipo dovrebbe adattarsi anche alle diversità territoriali, agro-ecosistemiche, culturali e di risorse a disposizione per gli agricoltori in tutto il mondo (considerando anche le aree meno sviluppate). Infatti, anche oggi, l’agricoltura conservativa è praticata su 155 milioni di ettari in ogni angolo del globo con tecniche fortemente differenziate (Kassam et al., 2014). La proposta portata avanti da Giller et al. rappresenta una visione ‘storica’

delle tecniche agronomiche (Figura 2.10). Nell’agricoltura del recente

passato venivano utilizzate le tecniche dell’agricoltura convenzionale e la

conservation tillage (CT). Nel presente, invece, si studiano le tecniche

dell’agricoltura conservativa. Giller et al. pensano ad un futuro in cui applicare “l’Agronomia dei Sistemi”. Questa rappresenta un approccio pragmatico su più fronti: maggiore produzione; redditi per gli agricoltori stabili nel tempo; utilizzo migliore e sostenibile delle risorse; ecosistemi stabili grazie a rotazioni ampie e flessibili; gestione delle lavorazioni e dei residui vegetali strategiche, in modo da massimizzare i vantaggi e minimizzare i lati negativi.

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Quindi, mentre l’agricoltura conservativa ad oggi considera esclusivamente le tecniche di rotazione colturale, gestione dei residui e minori lavorazioni, nel futuro i ‘principi conservativi’ dovrebbero includere:

• minime lavorazioni;

• rotazioni colturali;

• gestione dei residui vegetali;

• gestione nutrizionale delle colture;

• protezione dalle avversità.

L’integrazione nell’ “Agronomia dei Sistemi” della gestione nutrizionale delle colture sarebbe possibile, secondo Giller et al., attraverso i risultati scientifici di bilanci nutrizionali in diverse condizioni operative. Il controllo delle avversità, invece, sarebbe gestibile tramite politiche di salvaguardia ambientale (IPM, Integrated Pest Control), fitofarmaci più efficienti e colture OGM. In questo modo, secondo Giller et al., si ridurrebbero drasticamente i rischi di degradazione del suolo, aumenterebbero le rese delle colture, e, di conseguenza, più imprenditori agricoli aderirebbero a questo sistema

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2.2 Le macchine per la semina e l’impianto

L’obiettivo nella preparazione del terreno per la semina o il trapianto di semente, barbatelle o piantine con pane di terra, è quello di ottenere le migliori condizioni possibili per la germinazione e l’attecchimento dei vegetali (Lazzeri e Mazzetto, 2016). Le operatrici utilizzate devono, quindi, avere delle caratteristiche ben precise: non solo permettere la preparazione di un solco adeguato, ma porre correttamente il seme o la piantina secondo parametri ben precisi. Tra questi, molto importanti sono la profondità di deposizione, la verticalità delle piantina, la precisione della dose di semina e della distanza di impianto. Tutte le caratteristiche dell’impianto devono essere di volta in volta modificabili, in base alle differenze delle essenze vegetali, i tipi di suolo e i sesti d’impianto. La macchina utilizzata deve, quindi, essere il più possibile versatile e accurata.

Qualora si desideri predisporre la semina di una coltura, è possibile avvalersi di seminatrici a righe, seminatrici di precisione o effettuare una semina a spaglio utilizzando una spandiconcime centrifuga (Lazzeri e Mazzetto, 2016). Nelle seminatrici a righe il seme è alloggiato in una tramoggia, e passa, grazie all’azione di un agitatore, all’organo distributore, che è composto da un dispositivo a rullo dentellato o scanalato. Qui, grazie alla rotazione del dispositivo a rullo, il seme passa all’assolcatore. Il movimento del seme può avvenire sia per gravità sia tramite flusso d’aria, che spinge la semente fino all’organo assolcatore.

Le moderne seminatrici di precisione hanno distributori pneumatici a depressione, ovvero dischi verticali forati rotanti su asse orizzontale, a cui, tramite una camera di depressione in comunicazione con la tramoggia, restano aderenti i semi fino alla caduta verso l’assolcatore.

Nella semina diretta si opta per la contemporaneità di semina e lavorazione superficiale del terreno su tutto il fronte di lavoro della macchina. In questo caso si utilizzano seminatrici combinate dotate di elementi per la lavorazione, la deposizione del seme ed il pareggiamento finale del terreno (Figura 2.11).

(38)

Nella semina su sodo si utilizzano, invece, operatrici che solitamente lavorano esclusivamente la fila di impianto (Figura 2.11). Queste seminatrici sono dotate di strumenti più resistenti per la creazione del solco che vada a dirompere le particelle più compatte della striscia di suolo sulla fila che interesserà la semina.

In entrambi i casi sono presenti dispositivi chiudi-solco ed elementi che permettono un leggero compattamento per un’adesione ottimale del terreno

Figura 2.12 - Sinistra: tipi di organi assolcatori per la semina su sodo:

A e B) Disco semplice o doppio - per terreni franchi e tenaci, umidi e plastici, e con presenza di biomassa vegetale. C) Falcione - per terreni duri, secchi, tenaci, fino al medio impasto. D) Stivaletto - per terreni sciolti, asciutti e liberi da residui vegetali.

Destra: tipi di dispositivi chiudi-solco (Pascuzzi, 2014).

Figura 2.11 - Seminatrici idonee per l’agricoltura conservativa.

A sinistra una macchina per la semina diretta (Peruzzi e Sartori, 1997). A destra una seminatrice per la semina su sodo

(39)

La scelta di una seminatrice per la semina diretta e su sodo, deve ricadere su macchine adattabili alla coltura ed al terreno di interesse. Sono da considerare, eventualmente, elementi per la gestione di residui colturali (se si prevede l’utilizzo di cover crops), oltre a organi assolcatori e chiudi-solco idonei rispetto al tipo di terreno su cui si impianterà la coltura (Figura 2.12).

2.2.1 Le trapiantatrici

Lo scopo del trapianto è quello di impiantare in pieno campo o in coltura protetta piantine radicate con lo scopo di ottenere il livello di attecchimento più alto possibile (Amirante, 2016). Le piantine possono essere allevate in vassoi alveolati con pane di terra o ottenute in semenzaio e trapiantate a radice nuda (Amirante, 2016).

La maggior parte delle macchine trapiantatrici attualmente in commercio sono agevolatrici, ovvero macchine in cui è necessaria la presenza di un operatore per svolgere particolari mansioni, come l’immissione dei vegetali nei dispositivi di distribuzione (Lazzeri e Mazzetto, 2016). Tuttavia, esistono anche operatrici totalmente automatiche, ma risultano ancora poco diffuse nel nostro paese (Lazzeri e Mazzetto, 2016). Le trapiantatrici, a seconda delle loro dimensioni, possono essere macchine portate, trainate o semoventi. Si differenziano a seconda che siano utilizzabili con piantine a radice nuda o con pane di terra.

2.2.1.a Le trapiantatrici per piantine a radice nuda

Queste macchine per il trapianto sono costituite da un telaio e da unità trapiantatrici. Il telaio principale è costituito da barre in profilato ed è dotato di dispositivi di collegamento per l’attacco a tre punti della trattrice. La posizione delle unità trapiantatrici sul telaio principale può essere variata in modo tale da sistemarle all’esatta distanza desiderata tra le file. Sono presenti ruote che svolgono sia una funzione di sostegno per il telaio che una funzione di ruote di aderenza per la trasmissione del moto ai cinematismi degli organi

(40)

distributori (Figura 2.13). In questo modo è possibile ottenere una velocità distribuzione delle piantine proporzionale alla velocità di avanzamento.

Il dispositivo trapiantatore, collegato al telaio, è costituito da diverse parti: è presente il sedile dell’operatore che immette le piantine negli organi distributori, l’organo assolcatore, un dispositivo di distribuzione dei piantine e l’elemento rincalzatore. Vediamo la struttura di questi elementi nel dettaglio (Amirante, 2016):

• Assolcatore: costituito da un coltro con due ali regolabili in distanza per ottenere solchi di diverse dimensioni. Può essere presente, anteriormente, un elemento atto a frantumare o allontanare le zolle o lo scheletro di grosse dimensioni che ostacoli l’impianto. Il dispositivo assolcatore può essere costituto anche da un unico elemento a stivaletto, come nelle macchine seminatrici.

• Distributore: ne esistono di due tipi:

‣ Distributore a dischi - è composto da due dischi inclinati simmetricamente rispetto alla verticale, con la parte inferiore a contatto e quella superiore maggiormente distanziata. Possono essere presenti delle sporgenze sulla faccia interna dei due dischi per permettere una migliore aderenza della piantina. La piantina viene affidata a quest’organo in posizione orizzontale e a fine rotazione si troverà posta verticalmente rispetto alla superficie del terreno.

Figura 2.13 - Telaio, ruote motrici/di sostegno e gruppi trapiantatori di una

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‣ Distributore a pinze (Figura 2.14) - il distributore è fornito di elementi che si aprono e si chiudono (apertura sempre automatica tramite un sistema di molle e chiusura possibile anche manualmente a scatto). L’operatore provvede a inserire i l v e g e t a l e c o n l a r a d i c e n u d a v e r s o l ’ e s t e r n o . Successivamente, nel momento in cui la piantina arriva al solco, dei dispositivi fissi permettono l’apertura della pinza e la disposizione verticale della piantina (Figura 15).

• Organi rincalzatori: costituiti da due ruote contro-rotanti e oblique che permettono la chiusura del solco e la compattazione del terreno in prossimità delle radici della piantina.

Questo tipo di trapiantatrici hanno una velocità di avanzamento di circa 0,5-0,6 m/s, con capacità di impiantare un numero di vegetali di 1500-2500 piantine/ora. La potenza necessaria è dell’ordine di 1-1,5 kW per ogni elemento trapiantatore.

Figura 2.14 - Struttura di un gruppo distributore con pinze a molle per l’impianto di

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2.2.1.b Le trapiantatrici per piantine radicate con pane di terra

L’utilizzo di piantine radicate in contenitore alveolato e provviste di pane di terra è sempre maggiormente in uso per via del minore stress da trapianto subito dai vegetali e percentuali di attecchimento maggiori (Amirante, 2016). L’operatrice è costituita dagli stessi elementi della trapiantatrice che opera con piantine a radice nuda, ma è provvista di un diverso organo distributore (anche se le piantine con pane di terra sono trapiantati anche con trapiantatrici a dischi o o a pinze opportunamente modificate). Il gruppo distributore più comune in questo tipo di macchine agricole è quello a corona di tazze a fondo apribile (Amirante, 2016).

L’organo distributore è modellato a giostra rotante secondo un asse verticale, il cui moto è trasmesso dalle ruote di aderenza (Figura 2.15).

La giostra rotante è dotata da diversi alloggiamenti tronco-conici, chiamati tazze, in cui gli operatori depongono le piantine col pane di terra rivolto verso il basso. Le pareti inferiori delle tazze sono costituite da due valve simmetriche ed apribili, in modo tale che, per gravità, all’apertura inferiore degli alloggiamenti, le piantine vengano convogliate verso il solco predisposto dall’assolcatore.

Figura 2.15 - A) Struttura di un gruppo distributore con corona di tazze a fondo apribile

per l’impianto di piantine con pane di terra. B) Particolare di piastra rotante a 12 tazze ad asse verticale (Amirante, 2016)

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