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Il rischio di mercato è rappresentato dalla possibilità che il valore di un portafoglio di investimento si riduca a causa di andamenti avversi di mercato

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Introduzione

Negli ultimi anni, è cresciuto l’interesse per la valutazione e il controllo del rischio di mercato, a causa anche dei casi di perdite clamorose, da parte di importanti società finanziarie e bancarie, imputabili a carenze dei sistemi di controllo dei rischi delle attività finanziarie.

Il rischio di mercato è rappresentato dalla possibilità che il valore di un portafoglio di investimento si riduca a causa di andamenti avversi di mercato.

Pertanto ogni posizione finanziaria esposta necessita la gestione del rischio stesso.

La maggior attenzione alla gestione del rischio da parte degli operatori finanziari è stata in parte incentivata da alcuni accordi di regolamentazione, introdotti a partire dagli anni ’80.

In particolare, grande rilevanza è riconosciuta agli accordi definiti dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria (BCBS), organo di supervisione istituito nel 1974 dalla Banca dei Regolamenti Internazionali.

La ricerca di uno strumento che potesse dare risultati più efficienti nella valutazione del rischio di mercato ha portato all’affermazione e diffusione del modello del Value at Risk (VaR), misura messa in evidenza anche in Basilea II.

Una delle prime banche commerciali a sviluppare e rendere pubblico un modello di

“valore a rischio” è stata la statunitense J.P. Morgan, autrice del modello RiskMetrics, altre istituzioni hanno poi elaborato propri modelli interni nel tentativo di perfezionare la tecnica adattandola alle proprie esigenze. I sistemi risultanti differiscono in modo considerevole tra loro, presentando evidenti divergenze per quanto riguarda assunzioni, utilizzo dei dati e procedure di stima.

L’idea teorica su cui si basa rimane unica: massima perdita potenziale.

Il VaR esprime, attraverso un numero, la misura della rischiosità di una posizione in un titolo o di un intero portafoglio, fissando una soglia per le perdite che verrà superata solo con una possibilità prestabilita.

Esso è un’importante, semplice, sintetica ed intuitiva misura monetaria del rischio, che definisce l’ammontare massimo di denaro che può essere perso a causa di movimenti avversi di prezzo su una posizione finanziaria.

Tale strumento, nella sua versione standard, ha tra i suoi pregi la facilità di

comprensione, anche per i non specialisti, che probabilmente ne ha decretato da subito il

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2 successo all’interno del sistema finanziario.

In certi casi, però, il calcolo del VaR può risultare particolarmente ostico e fallace.

Infatti, si è notato che viola alcune proprietà che una misura coerente di rischio dovrebbe possedere per esser definita tale, in particolare la subadditività.

Alcuni autori hanno evidenziato come tali limiti teorici possono essere superati da un’altra misura di rischio, l’Expected Shortfall (ES).

L’ES nasce proprio come una naturale modifica del VaR e ne eredita, perciò, tutte le proprietà, inoltre risulta essere una misura coerente di rischio. Lo stesso Comitato di Basilea negli accordi di Basilea III1 ne consiglia l’utilizzo alle banche:

“A number of weaknesses have been identified with using value-at-risk (VaR) for determining regulatory capital requirements, including its inability to capture “tail

risk”. For this reason, the

Committee has considered alternative risk metrics, in particular expected shortfall (ES).

ES measures the riskiness of a position by considering both the size and the likelihood of losses above a certain confidence level. In other words, it is the expected value of those losses beyond a given confidence level. The Committee recognises that moving to

ES could entail certain operational challenges; nonetheless it believes that these are outweighed by the benefits of replacing VaR with a measure that better captures tail

risk. Accordingly, the

Committee is proposing the use of ES for the internal models-based approach and also intends to determine risk weights for the standardised approach using an ES methodology”.

Esso sintetizza in un unico valore la perdita media che un portafoglio o una posizione può subire, in un arco temporale definito, ad un determinato livello di confidenza.

Ma questa misura di rischio tiene conto eccessivamente degli eventi estremi, infatti dipende dalla “coda” sinistra della distribuzione dei rendimenti, e potrebbe sovrastimare il rischio. Nel caso in cui il portafoglio sia costituito da titoli molto volatili o contenente valori anomali, questo difetto potrebbe tradursi in un’inadeguatezza dello strumento a misurare il rischio.

1 Basel Committee on Banking Supervision, Consultative document Fundamental review of the trading book, May 2012

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3 Certo è che accantonare una quantità eccessiva di capitale è l’atteggiamento più

prudente per gestire il rischio, ma non il più efficiente, in quanto, essendo tali strumenti utilizzati principalmente da istituti finanziari che operano con ingenti somme, la scelta della misura di rischio impatta fortemente tutta l’operatività.

In questo lavoro esamino l’utilizzo di una nuova misura di rischio, il Modified Expected Shortfall (MES), proposta da D. Jadhav T.V. Ramanathan e U.V. Naik-Nimbalkar2, come evoluzione dell’ES.

In particolare il MES come l’ES esprime la perdita media che un portafoglio o una posizione può subire, ma l’intervallo preso in considerazione è più ristretto poiché vengono trascurate le perdite con probabilità più basse.

Il MES potrebbe rappresentare una valida alternativa al VaR e all’ES in quanto presenta tutti gli attributi di una misura coerente di rischio e risulta più efficiente dal punto di vista allocativo, poiché la sua adozione comporta minori costi nella gestione del rischio.

L’obiettivo che si prefigge questa tesi è l’implementazione del MES, calcolato secondo uno stimatore, da me proposto, diverso da quelli presenti in letteratura, e valutare, attraverso il backtesting, l’efficienza di questa misura applicata a casi concreti.

Il primo capitolo è dedicato alle tradizionali misure di rischio.

Passerò in rassegna il Var, le sue diverse metodologie di calcolo e le principali caratteristiche, evidenziando le criticità che hanno spinto gli studiosi ad andare oltre, verso una misura “coerente” di rischio. Attraverso la definizione di coerenza verrà illustrato il perché si è giunti a preferire l’expected shortfall nella misurazione del rischio, infine verranno analizzate le caratteristiche teoriche e matematiche dell’Es.

Nel secondo capitolo presenterò il MES e le proprietà che lo caratterizzano e lo definiscono come misura coerente.

A partire dagli stimatori proposti originariamente dagli autori del MES, verrà proposto un nuovo stimatore più preciso, che rappresenta un evoluzione dello stimatore

formulato per l’ES.

Infine nel terzo capitolo saranno descritti alcuni, fra i più comuni, modelli di backtesting.

Il backtest è una metodologia per testare la validità e l’accuratezza delle capacità esplicative di una misura di rischio.

2 Modified expected shortfall: a new robust coherent, Journal of Risk 16(1) pp 69-83

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4 Come dimostra il dibattito fra VaR ed ES, che incalza negli ultimi mesi fra i sostenitori dell’una o dell’altra misura, è necessario coordinare backtest e modello da esaminare per meglio cogliere il significato dei risultati della verifica.

Per tali ragioni è stato necessario costruire uno strumento per effettuare il backtesting del MES, utilizzando l’ambiente MATLAB per il calcolo numerico e l'analisi statistica.

In conclusione del lavoro è stata svolta un’analisi empirica, che prevede una serie di esempi atti a dimostrare la validità del MES; a tal riguardo sono stati selezionati alcuni titoli quotati alla Borsa Valori di Milano e, attraverso le funzioni elaborate in MATLAB, è stato effettuato il backtest.

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1 MISUREDIRISCHIO

In un contesto ambientale sempre più dinamico e turbolento i soggetti economici si trovano a dover affrontare una pluralità di rischi. Secondo una delle diverse accezioni, il rischio rappresenta la possibilità che si verifichi qualcosa che abbia effetto sugli

obiettivi e quindi è misurato in termini di conseguenze (impatto) e probabilità, e può portare a effetti sia positivi che negativi.

Dunque il Risk Management consiste nell'identificare opportunità per eliminare o limitare le perdite.

In generale il processo di Risk Management passa per le fasi di identificazione, misurazione e gestione del rischio; quindi è innanzitutto basilare fare una distinzione delle diverse tipologie di rischio. In base alla natura, possiamo distinguere i rischi operativi, che riguardano sia la componente strategica che operativa della gestione, dai rischi finanziari che si suddividono a loro volta in:

- Rischio di mercato: legato a variazioni generali del mercato. Diverse sono le variabili che influenzano l'andamento dei mercati e a cui corrispondono sottocategorie del rischio di mercato. Tra di esse figurano: rischio di tasso di interesse, rischio di cambio e rischio di posizioni su merci;

- Rischio di credito: concerne l'impossibilità, da parte del debitore, di adempiere ai propri obblighi di pagamento di interessi e di rimborso del capitale.

- Rischio di liquidità: riguarda la possibilità che il mercato non sia in grado di garantire in qualsiasi momento la perfetta negoziabilità di un'attività finanziaria, ossia l'eventualità che un titolo non possa essere venduto a un prezzo equo con bassi costi di transazione e in breve tempo.

In base all’ottica periodale è possibile fare un ulteriore distinzione utile ai fini di questo lavoro, tra rischio statico e rischio dinamico.

Si definisce statico il rischio legato ad una posizione di portafoglio calcolato in un’ottica uniperiodale, ossia relativo all’intero periodo (0,T); dove 0 corrisponde all’epoca

iniziale in cui viene decisa la strategia di risk management e T corrisponde all’epoca in cui deve essere calcolato il rendimento del portafoglio. Nel calcolo del rischio statico si presuppone l’invarianza nel tempo della composizione del portafoglio.

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6 Il rischio dinamico viene invece calcolato suddividendo l’intero periodo in sottoperiodi, in ciascuno dei quali viene monitorato il livello di rischio della posizione di portafoglio.

Spesso il concetto di rischio viene confuso con quello di incertezza dal quale differisce per la caratteristica della misurabilità.

Nella fase di misurazione è possibile adottare diversi approcci che ci permettono di individuare diverse categorie di misure di rischio.

Qualora si voglia focalizzare l'attenzione sulla dipendenza del valore del portafoglio da ciascun fattore di rischio sottostante si utilizzano misure di rischio locali. Esse

consistono nel calcolo di parametri espressivi della sensibilità del prezzo al variare del fattore di rischio, utilizzando derivate di primo e/o di secondo ordine del prezzo del portafoglio rispetto al fattore considerato.

Importanti misure di questo tipo sono ad esempio la duration, utile per misurare

l'esposizione al rischio di tasso di interesse delle obbligazioni, e le greche, che misurano la sensibilità dei titoli derivati alle diverse fonti di rischio che ne influenzano il pricing (il prezzo, la volatilità del sottostante, il tempo, il tasso di interesse).

Le misure di rischio locali, pur fornendo informazioni molto interessanti sulla robustezza del portafoglio rispetto a certi eventi ben definiti, presentano tuttavia diversi limiti:

- impossibilità di aggregare rischi legati a posizioni di natura diversa; non forniscono quindi una visione completa della rischiosità dell'intero portafoglio;

- anche all'interno della stessa categoria di posizioni, non è possibile sommare diverse misure di sensibilità; ad esempio è impossibile sommare il delta (misura della sensibilità del premio dell'opzione rispetto alle variazioni di prezzo del sottostante) e il vega (espressivo della sensibilità del premio di un'opzione rispetto a variazioni della volatilità implicita del sottostante);

- non considerano il diverso grado di volatilità e correlazione fra i fattori di rischio.

Un' approccio alternativo che permette di superare queste criticità, consiste nell'utilizzo di misure di rischio globali. Si tratta di misure statistiche basate sulla probabilità, che si concentrano sull'analisi del rischio complessivo di un portafoglio, studiandone la distribuzione dei profitti e perdite.

I vantaggi derivanti dall'utilizzo della “profit and loss (P&L)” riguardano

principalmente la possibilità di aggregazione dei diversi rischi, mostrando quindi il

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7 rischio dell’intero portafoglio e la confrontabilità della rischiosità dei diversi

portafogli.

1.1 Misure di rischio globale

Già negli anni ’50, grazie al pionieristico lavoro intitolato Portfolio Selection di Harry Markowitz3, si è sviluppata un’ampia letteratura che mira al raggiungimento del livello ottimale di diversificazione di un portafoglio. Si tratta dell’approccio media-varianza del portafoglio il quale sancisce che tra due strategie di investimento, valutate al tempo 0, è da considerarsi preferibile quella che presenta un rendimento atteso maggiore e una varianza minore al termine dell’orizzonte temporale considerato, assumendo che la composizione del portafoglio non cambi.

Questo modello ha decretato come strumento usato indiscussamente per la misurazione dei rischi statici delle attività finanziarie la varianza. Essa interpreta il rischio in termini di scostamento dei dati dalla media, scostamento che può essere sia positivo che

negativo. Tuttavia dal punto di vista finanziario, scostamenti positivi e negativi sono percepiti in modo diverso. I primi, infatti, indicano per l’investitore che li ottiene dei profitti inattesi, i secondi, invece, rappresentano delle perdite inattese, ovvero costituiscono l’effettiva rischiosità di un’operazione finanziaria.

L’impiego della varianza del rendimento quale misura del rischio insito in un

portafoglio finanziario è apparsa tuttavia inadeguata allo stesso Markowitz, tanto che in un secondo momento optò per la sua sostituzione a favore della semivarianza che considera solamente la coda sinistra della distribuzione dei rendimenti, laddove si manifestano le potenziali perdite associate all’investimento; è da notare che più la distribuzione dei rendimenti di un’attività finanziaria è asimmetrica, più varianza e semivarianza possono differire in maniera significativa.

La semivarianza fa parte delle misure di rischio asimmetrico individuate con l’espressione downside risk measures. Esse, infatti, non sono interessate a cogliere l’intera oscillazione del rendimento di un titolo o di un portafoglio, ma solo le

manifestazioni inferiori alla media o ad un valore arbitrariamente fissato. Tali misure consentono di prendere in considerazione esclusivamente i rendimenti indesiderati dall’investitore. Il concetto di rischio downside è alla base dell’approccio assiomatico di

3 Harry M. Markowitz, Portfolio selection: efficient diversification of investments, 1959 pp 188

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8 Artzener et al4 nel quale viene proposto un insieme di caratteristiche desiderabili in una ragionevole misura di rischio.

1.2 Misure di rischio coerenti

L’approccio assiomatico pone l’attenzione sui valori netti di portafoglio alla scadenza dell’orizzonte temporale.

Per definire una misura di rischio si parte dall’individuazione dell’insieme di accettazione A costituito dai possibili valori netti finali di un portafoglio, ritenuti soddisfacenti dall’investitore. Quindi l’ampiezza dell’insieme dipenderà dal grado di avversione al rischio, dalla situazione economico- finanziaria e dagli eventuali vincoli imposti dall’Autorità di Vigilanza esterna.

Assumendo per semplicità che il tasso privo di rischio sia nullo, e quindi il valore scontato di un portafoglio coincida con il suo valore finale, una misura di rischio associata ad un portafoglio il cui valore netto finale è rappresentato dalla variabile casuale (v.c.) X, è definita come la minima somma certa m, che occorre aggiungere al tempo 0 ad X affinché X+m rientri nell’insieme di accettazione

ρA(X) = inf {m ϵ R | m+X ∈ A}

Viceversa data una misura di rischio ρ, implicitamente viene definito l’insieme di accettazione Aρ che risulta:

Aρ = {X ∈ L : ρ(X) ≤ 0}.

Dato L l’insieme di portafogli finanziari costituibili, si ritiene ragionevole che una misura di rischio finanziario, ρ : L  R , debba soddisfare le seguenti proprietà:

- Invarianza per traslazione: ρ(X + m) = ρ(X) − m ∀ X ∈ L, ∀ m ∈ R;

L’assioma di invarianza per traslazione implica che, preso una quantità m tale che m = ρ(X) avremo che ρ(X +ρ(X)) = 0. In tal modo, investendo ρ(X) nello strumento di riferimento ed aggiungendolo alla posizione iniziale X si ottiene

4 Artzner, Delbaen, Eber, Heath, Coherent measures of Risk, 1999

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9 una posizione a rischio nullo.

- Monotonia: se X ≤ Y allora ρ(Y ) ≤ ρ(X) ∀ X, Y ∈ L;

Se i valori netti finali di X sono minori di quelli del portafoglio Y in ogni scenario possibile, allora X è più rischioso di Y.

- Convessità: ρ (λX + (1 − λ) Y ) ≤ λρ (X) + (1 − λ)ρ(Y ) ∀X, Y ∈ L, ∀λ ∈ [0, 1]

Questa proprietà traduce l’idea che la diversificazione non aumenta il rischio. È una caratteristica indispensabile nei problemi di ottimizzazione che richiedono la convessità della superficie di rischio per poter selezionare il valore minimo.

Una misura di rischio che soddisfa le tre precedenti proprietà è definita misura di rischio convessa5. Un ulteriore proprietà che possono presentare le misure di rischio è la

seguente:

- Positiva omogeneità: ρ(λX) = λρ(X) ∀ X ∈ L, ∀ λ ≥ 0;

L’assioma di omogeneità positiva esprime la diretta proporzionalità del rischio rispetto alla dimensione monetaria dell’investimento nel portafoglio rischioso.

Una misura di rischio convessa che soddisfa anche la positiva omogeneità è definita misura di rischio coerente.

Qualora sia verificata la positiva omogeneità, la proprietà di convessità equivale alla seguente proprietà:

- Subadditività ; ρ(X + Y ) ≤ ρ(X) + ρ(Y ) ∀ X, Y ∈ L;

Il rischio associato ad un portafoglio composto da N posizioni è inferiore o uguale alla somma dei rischi delle N posizioni. In pratica si sta affermando che la diversificazione aiuta a ridurre i rischi. La logica alla base di questo assioma è riassunto da Arztner et al nell’affermazione che " una fusione non crea rischi extra".

5 H. Föllmer,T, Knispe, Convex Risk Measures, 2002

>@?BADC_EFC_G BC&HJG LI KNM _OP C_ QLR"S3OTC

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10 La sub-additività è la più discussa dei quattro assiomi che caratterizzano le misure di rischio coerenti, non solo perché esprime concetti fondamentali ma anche

probabilmente perché esclude il VaR come misura di rischio in determinate situazioni, come vedremo successivamente.

Ecco alcuni argomenti6 per spiegare il motivo per cui è considerata un requisito ragionevole per qualsiasi economicamente buona misura di rischio.

La subadditività riflette l'idea che il rischio può essere ridotto grazie alla

diversificazione, un principio consacrato in finanza ed economia. In particolare, l'uso di misure di rischio non- sub additive in un problema di ottimizzazione del portafoglio à la Markowitz può causare la selezione di portafogli che sono molto concentrati e

sarebbero considerati molto rischiosi rispetto alle condizioni economiche normali.

Considerando l’applicazione delle misure di rischio, se un autorità di vigilanza

scegliesse una misura di rischio non- sub additiva nel determinare la regolamentazione del capitale per un istituto finanziario, tale istituzione avrebbe un incentivo a separarsi legalmente in varie filiali al fine di ridurre i suoi requisiti patrimoniali.

Infine la sub-additività rende possibile il decentramento dei sistemi di gestione del rischio.

Notiamo che una misura convessa per essere una misura coerente di rischio deve soddisfare anche l’assioma della positiva omogeneità, al contrario una misura di rischio coerente è sempre una misura convessa di rischio.

1.3 Il Value at Risk

Sebbene a livello teorico gli studi si sono mossi verso la ricerca di misure coerenti, nella prassi la ricerca degli strumenti per la misurazione dei rischi ha avuto un percorso differente. Infatti una delle misure di rischio più comunemente impiegate, nonostante la sua non coerenza è stato il value at risk (VaR), la cui diffusione è stata incoraggiata da parte delle autorità di vigilanza.

Inizialmente questa metodologia fu sviluppata per sintetizzare in un unico numero tutte

6J.McNeil et al, Quantitative Risk Management:Concepts,Techniques and Tools, 2005

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11 le informazioni relative ai rischi di un portafoglio, in modo che i calcoli fossero

relativamente semplici, rapidi, facilmente comunicabili e comprensibili da parte dei manager di formazione non tecnica.

Il VaR si basa sull’idea che un soggetto economico è disposto ad accettare il rischio che si manifestino valori netti finali, che non appartengono al suo insieme di accettazione (A), a condizione che la probabilità di manifestazione non sia superiore ad una certa soglia. È il soggetto stesso che in base alla propria avversione al rischio stabilisce la soglia, ossia il livello di confidenza α oltre il quale non è disposto a rischiare. Data una variabile casuale X il VaR associato ad un determinato livello α è:

𝑉𝑎𝑅𝛼(𝑋) = inf⁡{𝑚|𝑃(𝑋 + 𝑚 < 0) ≤ ⁡𝛼}

Considerando quanto detto in generale per ogni misura di rischio anche il VaR esprime il minimo importo m da aggiungere ad un portafoglio o da accantonare al tempo 0, per coprirsi dal rischio di subire perdite con probabilità superiori ad α.

Il VaR corrisponde al quantile α-esimo della distribuzione di probabilità dei profitti e delle perdite (P&L) del portafoglio.

𝑉𝑎𝑅𝛼(𝑋) = −𝑞

Si ricorda che il quantile q associato ad un livello di confidenza α è un numero reale per cui risultano verificate le seguenti condizioni:

𝑃[𝑋 ≤ 𝑞] ≥ 𝛼 𝑃[𝑋 < 𝑞] ≤ 𝛼

Che può essere riscritto nella seguente forma:

𝐹(𝑞) ≥ 𝛼 𝐹(𝑞) ≤ 𝛼

Dove F(t) indica la funzione di distribuzione della v.c. considerata, calcolata in t.

In caso di distribuzione di probabilità di tipo continuo il quantile q associato al livello di confidenza α è unico.

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Fig. 1 Fig.2

In figura 1 viene rappresentato la densità di probabilità della v.c. continua X, nella quale q indica il quantile corrispondente al livello di confidenza α, identificato dall’area ombreggiata.

In Figura 2 è rappresentata la funzione di probabilità cumulata F(x) di una distribuzione continua, rappresentata da una funzione continua non decrescente in (0,1).

Diversamente, per una v.c. X che presenta una distribuzione non continua F(x), possono esistere più valori del quantile associati al medesimo livello di confidenza 𝛼.

Essi sono rappresentati dai valori compresi nell’intervallo [qα ,qα] Dove:

𝑞𝛼 = 𝑠𝑢𝑝{𝑥: 𝐹−1(𝑥) ≤ 𝛼} , corrisponde al quantile alto;

𝑞𝛼 = 𝑠𝑢𝑝{𝑥: 𝐹−1(𝑥) < 𝛼} , corrisponde al quantile basso;

in questo caso il VaR sarà definito da:

VaRα(X) = −q𝛼

Osserviamo in figura 3 la funzione di probabilità cumulata di una distribuzione di tipo discreto; essa è una funzione costante a tratti. È rappresentato il particolare caso in cui il livello di confidenza corrisponde con uno dei gradini della funzione di distribuzione, pertanto sono individuabili il quantile alto e il quantile basso.

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13 Fig.3

Nelle funzioni di tipo discreto si può anche verificare che il medesimo quantile può corrispondere a diversi livelli di confidenza.

Una seconda accezione vede il VaR come la massima perdita potenziale nella quale un portafoglio può incorrere in un determinato orizzonte temporale (t), con una prefissata probabilità (α). La perdita è collegata ai movimenti avversi del mercato nell’intervallo di tempo considerato, detenendo il portafoglio a posizioni inalterate per tutta la durata del periodo di osservazione.

In altro modo, la perdita che ci si aspetta venga ecceduta solo con una probabilità α nei prossimi t giorni.

In generale, indicando con W0 il valore iniziale dell’investimento e con Wa,t* il valore dell’investimento nel caso della perdita peggiore, il VaR riferito al valore iniziale è dato dalla seguente differenza :

* ,

0 W t

W VaR

Il VaR può essere riferito anche ai rendimenti7, nel caso di rendimenti percentuali avremo:

7 Seguendo il metodo geometrico i rendimenti verranno calcolati con la seguente formula 𝑅𝑡,𝑡+1= ln𝑃𝑡+1𝑃

𝑡, e il VaR risulterà: 𝑉𝑎𝑅 = 𝑊0− 𝑊𝛼,𝑡 = 𝑊0− 𝑊0𝑒𝑅𝛼,𝑡 = 𝑊0(1 − 𝑒𝑅𝛼,𝑡 )

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14 𝑉𝑎𝑅 = 𝑊0− 𝑊𝛼,𝑡 = 𝑊0− 𝑊0[1 + 𝑅𝛼,𝑡 ] = −𝑊0𝑅𝛼,𝑡 [1]

Con 𝑅𝛼,𝑡 intendiamo il rendimento percentuale associato al “caso peggiore” al tempo t.

Dunque i parametri da cui il VaR dipende sono rappresentati da:

- L’orizzonte temporale (t): E’ a discrezione dell’investitore e rappresenta il periodo su cui si misura la perdita potenziale. L’orizzonte temporale varia in funzione della rischiosità e dell’entità dell’investimento, della illiquidità del mercato e del periodo di tempo durante il quale ci si aspetta di rimanere esposti ad una posizione.

- Il livello di probabilità (α): Rappresenta la fiducia che riponiamo nel fatto che potremmo incorrere in una perdita che al massimo sarà pari al valore del VaR. In generale il livello di confidenza deve riflettere il grado di avversione al rischio dell’utente. Tanto più un soggetto si dimostra essere avverso al rischio, tanto più α deve essere minore in modo da definire un VaR più conservativo, associato a una perdita meno frequente, ma, allo stesso tempo, più ingente.

- La distribuzione della curva di profitti e perdite (P&L).

Sulla base della stima della distribuzione di P&L, possiamo classificare i metodi di calcolo del VaR in parametrici e non parametrici. La prima categoria comprende tecniche basate su metodi analitici, la cui ipotesi fondamentale consiste nel fatto che, si subordina la validità dei risultati, all’assunzione di una distribuzione normale dei rendimenti degli strumenti in portafoglio. Quando questa ipotesi non risulta verificata si possono adottare modelli di simulazione per i quali non sono necessarie assunzioni relative alla forma della distribuzione di probabilità dei rendimenti della P&L.

Essi sono definiti modelli di full-valuation poiché applicano una rivalutazione piena di tutte le posizioni al variare dei fattori di mercato.

1.3.1 VaR parametrico

L’approccio parametrico per il calcolo del VaR rappresenta il metodo più usato e conosciuto presso le istituzioni finanziarie. La sua diffusione è legata al fatto di essere

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15 stato sostanzialmente il primo approccio utilizzato dalle banche che hanno intrapreso metodologie interne di gestione del rischio e quindi risulta il più testato operativamente.

Inoltre un ulteriore fattore di successo deriva dalla decisione della banca d’affari J.P.Morgan di rendere pubblici e gratuitamente disponibili, dal 1996, i dati principali necessari per la sua implementazione, favorendo un’applicazione omogenea e

standardizzata del modello presso altre istituzioni finanziarie.

Nei modelli parametrici si fanno due assunzioni importanti:

1) le variazioni dei fattori di rischio, Xi, che influenzano il valore del portafoglio siano estratti da una distribuzione normale multivariata;

2) le variazioni che subisce il portafoglio sono linearmente dipendenti dalle variazioni dei fattori di rischio;

Le due assunzioni precedenti implicano che anche i rendimenti del portafoglio sono distribuiti normalmente.

Segue che i rendimenti percentuali R del portafoglio nel periodo (0, T), sono descritti da una distribuzione di probabilità con media 𝜇𝑝 e varianza 𝜎𝑝 , per cui è possibile

individuare il rendimento 𝑅𝛼,𝑡, relativo al livello di confidenza α:

𝑅𝛼,𝑡 = 𝑧𝜎𝑝+ 𝜇𝑝 8

- 𝜎𝑝: scarto quadratico medio della distribuzione dei rendimenti percentuali del portafoglio;

- 𝜇𝑝 : rendimento medio percentuale del portafoglio;

- z deriva dalla standardizzazione statistica e corrisponde alla costante che determina l’intervallo di confidenza desiderato.

Per cui l’equazione [1] del paragrafo precedente diventa:

𝑉𝑎𝑅𝑝 = −𝑊𝑜⁡(𝜇𝑡+ 𝑧 ∗ 𝜎𝑡) [1.1]

8Per distribuzioni di rendimento di tipo normale N(µ,σ), abbiamo α=∫ 𝑓(𝑅)𝑑𝑅 = ∫ 𝑍(𝑡)𝑑𝑡−∞𝑅 −∞𝑧 ; dove z=𝑅𝜎−𝜇 e Z(t)=N(0,1).

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16 In presenza di un portafoglio complesso in cui sono presenti più fattori di rischio,

l’applicazione del metodo parametrico richiede la conoscenza della matrice delle correlazioni, 𝛤, fra i vari fattori di rischio.

Ricordiamo che la correlazione fra due fattori di rischio è rappresentata dall’indice di correlazione, 𝜌𝑖,𝑗 =𝜎𝜎𝑖𝑗

𝑖𝜎𝑗 , quindi la matrice 𝛤 è una matrice quadrata di dimensione nXn, aventi sia sulle righe che sulle colonne gli n fattori di rischio. La matrice è

simmetrica, cioè 𝜌𝑖,𝑗 = 𝜌𝑗𝑖 e i coefficienti sulla diagonale valgono 1, in quanto 𝜌𝑖,𝑖 =𝜎𝜎𝑖𝑖

𝑖2 .

Essa è necessaria per la determinazione della varianza del portafoglio:

𝜎𝑝2 = 𝑤⁡𝜎⁡𝛤⁡𝜎⁡𝑤′

Dove :

- w è il vettore dei pesi e w’ il suo trasposto;

- σ è la matrice diagonale delle volatilità Xi; - Г indica la matrice delle correlazioni;

sostituendo la varianza all’equazione [l.1] , il VaR del portafoglio risulta:

𝑉𝑎𝑅𝑝 = −𝑊0(𝑧 ∗ √𝑤⁡𝜎⁡𝛤⁡𝜎⁡𝑤+ 𝜇𝑝)

Di solito nel calcolo del VaR riferito a v.c. normali si assume che il valore atteso di ogni Xi sia nullo e di conseguenza lo sarà anche il valore atteso del rendimento del portafoglio, µp9. Questa ipotesi dal punto di vista pratico semplifica il calcolo, poiché si tralascia la

9 In questi casi il calcolo del Var si reduce a : 𝑉𝑎𝑅𝑝= −𝑊0𝑧√𝑤⁡𝜎⁡𝛤⁡𝜎⁡𝑤 che è possibile calcolare in alternativa utilizzando la seguente formula : 𝑉𝑎𝑅𝑝= √𝑉𝐴𝑅⁡𝛤⁡𝑉𝐴𝑅′ dove VAR e VAR’ sono

rispettivamente il vettore dei VaR individuali di ciascun fattore di rischio e il suo trasposto.

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17 stima di µp, ma bisogna tenere in considerazione che ciò è realistico tanto più è breve l’orizzonte temporale considerato.

Tale approccio, costituisce l’impostazione generale di un tipico modello varianze covarianze. La posizione di rischio totale deriva dunque dal fattore di volatilità σ, d. s. dei rendimenti dei fattori di rischio, nel quale sono incluse le correlazioni fra i fattori di rischio, e dal relativo parametro z che determina il livello di confidenza.

Un evidente problema dell’approccio appena descritto, deriva dalla mancanza di

linearità del valore del portafoglio rispetto ai sottostanti fattori di rischio. L’esistenza di strumenti con payoff non lineare (ad esempio un contratto di opzione) pregiudica l’uso del metodo parametrico, in quanto viola la seconda ipotesi.

Esiste un ulteriore approccio di misura parametrica del valore a rischio, chiamato Delta Normale, utilizzato in caso di lieve non linearità fra i rendimenti e i fattori di rischio.

Le fasi in cui si articola questo metodo sono:

- individuazione dei fattori di rischio e stima della matrice varianza-covarianza C fra le variazioni di tali fattori.

- scomposizione degli strumenti di portafoglio in posizioni equivalenti su

portafogli elementari (posizioni standardizzate) ciascuno dei quali esposte ad un unico fattore di rischio. In pratica, dato un portafoglio di valore F esposto a n fattori di rischio fi avremo n posizioni standardizzate Si tali da verificare le seguenti condizioni:

1) F=∑𝑛𝑖=1𝑆𝑖

2) ∆𝐹 = ∑𝑛𝑖=1∆𝑆𝑖 ≈ ∑ 𝑑𝑓𝑑𝑆𝑖

𝑖 𝑛𝑖=1 ∆𝑓𝑖

Questo processo si basa sull’ipotesi di linearità fra ∆𝑆𝑖 e ∆𝑓𝑖 e rappresenta la sensitività della posizione Si al variare dell’i – esimo fattore di rischio fi. - determinazione del valore della volatilità del portafoglio mediante l’utilizzo

della matrice C, e del vettore delle posizioni standardizzate S :

𝜎𝑝⁡ = √𝑆′𝐶𝑆 [1.2]

Il VaR del portafoglio si ricava inserendo nella [1.1] la varianza determinata nella [1.2]:

(18)

18 𝑉𝑎𝑅𝑝 = −(⁡z ∗ √𝑆𝐶𝑆)+W0 µp [1.3]

In questo caso non è necessario moltiplicare la d.s. per il valore iniziale del portafoglio W0 essendo esso già incluso nelle posizioni standardizzate.

L’utilizzo del metodo delta normale può condurre ad una stima del VaR non accurata sia a causa della presenza di un’accentuata non linearità del rendimento del portafoglio rispetto alle variazioni dei fattori di rischio, sia per la possibile non normalità del rendimento stesso.

L’approssimazione di primo ordine tralascia gli effetti di convessità (secondo ordine) e di ordine superiore, in particolare, per movimenti ampi dei fattori di rischio.

Una stima più accurata del VaR può essere ottenuta introducendo degli aggiustamenti al metodo parametrico che prevedono l’inclusione di termini di secondo ordine, tali

metodi vengono definiti delta gamma.

Tali metodi tuttavia non producono soluzioni soddisfacenti se l’ipotesi di normalità della distribuzione dei rendimenti è inaccettabile; è preferibile in tali casi abbandonare il metodo parametrico e ricorrere ai metodi simulativi per il calcolo del VaR.

1.3.2 Punti di forza e di debolezza del modello parametrico

Il VaR parametrico presenta, rispetto ad altri approcci di misurazione, il vantaggio fondamentale della semplicità. Tale semplicità riguarda non tanto il profilo concettuale, quanto l’onerosità dei calcoli e dunque dei sistemi informativi di supporto.

Grazie all’ipotesi di normalità è possibile ridurre il problema del calcolo del VaR alla stima dei parametri relativi alla media, deviazione standard e correlazione dei fattori di rischio, problema facilitato ulteriormente dalla possibilità di far ricorso ai dati già

disponibili10. Indubbiamente il vantaggio del VaR risiede nelle due ipotesi che da un lato

10 Per esempio la J.P Morgan mette a disposizione i dati relativi alle volatilità dei fattori di rischio e alle correlazioni.

(19)

19 garantiscono una relativa semplicità d’implementazione dall’altro costituiscono il limite applicativo del modello.

Infatti, l' ipotesi della distribuzione normale dei rendimenti è irrealistica; si è osservato infatti che la distribuzione dei rendimenti è leptocurtica, cioè presenta delle code più spesse di una distribuzione normale;

L'ipotesi di linearità esclude di fatto dal campo di applicabilità dell'approccio parametrico tutti quei prodotti finanziari con rendimenti non lineari.

1.3.3. Modelli di Full valuation

I modelli di simulazione sono definiti modelli di full-valuation. La loro caratteristica principale consiste nella rivalutazione di tutte le posizioni di portafoglio al variare dei fattori di mercato, dove la dinamica dei prezzi dei fattori di mercato è generata da appropriati modelli di pricing basati o su dati storici (tecniche di simulazione storica) o sulla generazione di scenari ad hoc (tecniche Monte Carlo).

I modelli di full valuation, pur non essendo privi di difetti, superano i problemi relativi alla forma effettiva della distribuzione di probabilità dei rendimenti, mediante l’utilizzo della distribuzione di probabilità simulata dei valori del portafoglio. Inoltre consentono l’applicabilità a quei portafogli i cui rendimenti non sono una combinazione lineare dei fattori di rischio.

La rivalutazione del valore del portafoglio, ad ogni iterazione del processo simulativo, è effettuata attraverso il repricing, nel quale vengono applicati i dati simulati relativi ai possibili valori dei fattori di mercato.

Un secondo aspetto che accomuna i modelli di simulazione riguarda la logica del

“taglio”, secondo la quale l’intervallo di confidenza desiderato è ottenuto

semplicemente tagliando la distribuzione empirica di probabilità derivante dal repricing del portafoglio, opportunamente ordinata dalla variazione peggiore a quella migliore.

(20)

20 1.3.4. Simulazione storica

L’idea sottostante questo approccio è quella di utilizzare la distribuzione storica dei rendimenti relativi alle posizioni attualmente presenti in portafoglio per simulare una distribuzione di rendimenti da cui derivare il VaR.

L'approccio della simulazione storica assume che le serie storiche dei fattori di rischio siano stazionarie e ci permettano di simulare i prezzi futuri partendo da quelli passati.

Attraverso la simulazione si ottiene sempre una distribuzione di probabilità di tipo discreto ed equiprobabile.

Disponendo delle serie storiche sincrone dei rendimenti dei fattori di rischio si calcola la variazione di valore del portafoglio in ogni scenario attraverso un model pricing.

Successivamente si ordinano i valori trovati in ordine crescente ottenendo una

distribuzione empirica delle variazioni di valore del portafoglio (P&L). Per ottenere il VaR è necessario “tagliare” la distribuzione nel livello di confidenza stabilito.

I passi necessari per ottenere questo risultato sono:

- Identificazione delle posizioni o fattori di rischio del portafoglio e selezione di un campione di rendimenti storici per un certo periodo; successivamente, si determina la variazione percentuale tra un periodo e quello seguente. In questo modo viene prodotto un numero elevato di scenari di mercato.

- Rivalutazione del portafoglio corrente sulla base degli scenari di mercato dei fattori di rischio, determinando per ognuno di essi quale sarebbe stato il profitto o la perdita del portafoglio in corrispondenza di ogni scenario;

- Ricostruzione della distribuzione empirica di frequenza dei valori del portafoglio ottenuti dalla rivalutazione; la distribuzione è empirica, cioè estrapolata dall’osservazione della realtà, e non forzata ad avere una determinata forma come nei modelli analitici.

- Taglio della distribuzione in corrispondenza del percentile relativo al livello di confidenza desiderato.

Un evidente problema di trade-off fra stabilità e rappresentatività è rappresentato nella scelta dell’ampiezza del campione e dell’intervallo di confidenza. Le simulazioni storiche ipotizzano implicitamente la stabilità temporale (stazionarietà) della distribuzione di probabilità, ciò è tanto più realistico tanto più breve è l’orizzonte temporale riferito alle serie storiche. Dall’altro lato la limitatezza delle serie storiche si traduce in una scarsa definizione delle code della distribuzione. Code poco definite

(21)

21 portano a stime del VaR basate su poche osservazioni, la cui significatività statistica non è sufficiente a dare una buona rappresentazione dell’intera serie storica considerata.

Incrementare la lunghezza della serie storica di riferimento potrebbe essere

controproducente perché diverrebbe più probabile la violazione dell’ipotesi di stabilità della distribuzione. Per tali motivi sono stati proposti vari metodi, tra cui:

- L’approccio ibrido11 cerca di combinare i pregi dell’approccio varianze covarianze con quello delle simulazioni storiche. Tale modello applica ponderazioni esponenzialmente decrescenti alla serie dei rendimenti e non assume alcuna ipotesi relativa alla forma funzionale della distribuzione dei rendimenti dei fattori di mercato. Si utilizza una serie storica di riferimento relativamente lunga ma viene attribuito un peso più elevato ai dati più vicini nel tempo. A ogni osservazione passata viene assegnata una ponderazione tanto maggiore quanto più recente è la stessa osservazione.

- Il bootstrapping12 prevede un diverso utilizzo dei dati a disposizione. Dalla serie storica dei rendimenti giornalieri dei prezzi viene estratto un campione casuale di m rendimenti al tempo t, e il procedimento viene ripetuto il numero desiderato di volte fino ad ottenere un numero di vettori dei rendimenti sufficientemente elevato. Su questo viene poi calcolato il quantile corrispondente, che applicato al valore attuale del portafoglio identifica la stima del VaR.

- Approccio volatility weighted13: si basa sull’ipotesi che è possibile aggiustare i dati storici sulla base delle condizioni attuali (o previste) della volatilità dei fattori di rischio. In presenza di un incremento della volatilità, i rendimenti storici vengono corretti al rialzo conducendo a stime di VaR superiori di quelle implicite nella distribuzione storica.

11 J. Boudoukh , M. Richardson and R. F. Whitelaw , The Best of Both Worlds: A Hybrid Approach to Calculating Value at Risk

12 Cfr. Efron (1979)

13 Cfr. Hull e White (1998)

(22)

22 1.3.5.. Punti di forza e di debolezza

La simulazione storica non necessita della stima della forma della distribuzione e dei suoi parametri.

Inoltre il metodo della simulazione storica prescinde da ogni valutazione di non linearità. Disponendo delle serie storiche sincrone questo metodo include

implicitamente la correlazione fra i fattori di rischio evitando così eventuali errori relativi alla stima di questa ulteriore componente di rischio.

Bisogna osservare che la simulazione storica, limitando la sua analisi ai dati passati, risulta fortemente dipendente da questi e potrebbe non cogliere i segnali di

cambiamento strutturale del mercato.

La quantità e la qualità dei dati storici influenza eccessivamente l’applicazione di questa metodologia portando quindi, come abbiamo già osservato, ad un trade-off tra stabilità e rappresentatività. A tal proposito diversi autori hanno provato a ricercare l’ampiezza ottimale del campione che permetta di ottenere risultati soddisfacenti14.

Ciò comporta che in presenza di strumenti innovativi o con serie storiche limitate l’applicazione di questo metodo potrebbe non essere adeguata.

1.3.6. Simulazione Monte Carlo

Un’altra metodologia per il calcolo del VaR è la simulazione Monte Carlo, approccio utilizzabile soprattutto per ovviare alla carenza dei dati legata alla simulazione storica.

In generale, è un metodo statistico numerico che fornisce la stima della distribuzione della variabile obiettivo.

Mentre le simulazioni storiche generano gli scenari relativi ai fattori di rischio a partire dalla distribuzione empirica delle variazioni passate dei fattori di mercato, le

14 Hendricks (1996) Vlaar (2000) affermano che la simulazione storica tende a dare stime più accurate all’aumentare dell’ampiezza del campione.

(23)

23 simulazioni Monte Carlo richiedono che venga definito un modello stocastico che rappresenti correttamente le evoluzioni future dei fattori di rischio.

Il procedimento della simulazione segue degli steps differenti nel caso di una singola posizione o di un portafoglio.

Simulazione monte Carlo di una singola posizione:

Il calcolo del VaR di una singola posizione, il cui rischio dipende da un unico fattore di mercato, segue un processo articolato nelle seguenti fasi15:

1. Scelta del modello stocastico che meglio approssima l’evoluzione dei rendimenti del fattore di mercato in esame;

2. Stima dei parametri del modello prescelto (calibrazione del modello);

3. Simulazione di n scenari futuri per il fattore di mercato ottenuti attraverso l’introduzione di numeri casuali all’interno del modello stocastico prescelto;

4. Calcolo della variazione del valore di mercato della posizione per ognuno degli scenari simulati;

5. Taglio della distribuzione di probabilità in corrispondenza del percentile relativo al livello di confidenza desiderato.

Simulazione Monte Carlo di un portafoglio:

Una delle criticità della simulazione stocastica risiede nell’incapacità, a differenza della simulazione storica, di cogliere le correlazioni fra i diversi fattori di rischio. Pertanto nell’applicazione di questo metodo ad un portafoglio è necessario prestare attenzione alla struttura delle correlazioni, in quanto se si procedesse a simulare i vari scenari in maniera indipendente per ogni fattore di mercato il valore del VaR risulterebbe alquanto irrealistico.

15 Altman E., Resti A. and A. Sironi , 2005

(24)

24 Dopo aver individuato e calibrato il modello stocastico che descrive l’evoluzione

temporale di ciascun fattore di rischio, è possibile schematizzare il procedimento simulativo attraverso cinque fasi16:

1. Stima della matrice delle varianze-covarianze dei rendimenti dei fattori di mercato ( ∑ );

2. Scomposizione della matrice ∑, attraverso un procedimento noto come

scomposizione di Cholesky, in due matrici simmetriche, A e AT, con ∑ = A *AT, dove A è una matrice triangolare inferiore e AT la sua trasposta;

3. Generazione degli scenari relativi alle variazioni dei fattori di mercato, attraverso il prodotto della matrice AT e un vettore di numeri casuali;

4. Calcolo della variazione del valore di mercato del portafoglio, per ognuno degli scenari simulati, ottenendo così la distribuzione empirica di probabilità dei rendimenti del portafoglio;

5. Calcolo del VaR attraverso il taglio della distribuzione empirica

precedentemente ottenuta in corrispondenza del percentile precedentemente prescelto.

1.3.7 Punti di forza e di debolezza

La simulazione stocastica presenta diversi vantaggi:

- È innanzitutto un modello molto utilizzato qualora gli altri metodi si rivelassero inapplicabili o inaccurati. Può infatti essere applicato indipendentemente dalla forma funzionale della distribuzione di probabilità e dalla presenza di serie storiche complete.

- Vengono superati i problemi legati a portafogli non lineari.

- Poiché viene simulato il percorso evolutivo dei fattori di rischio è possibile valutare il profilo di rischio di strumenti path-dependent.

16 Altman E., Resti A. and A. Sironi 2005

(25)

25 - Risulta essere un metodo più efficiente rispetto ad altre procedure

numeriche.

Però è evidente che il metodo Monte Carlo necessiti di un’elevata capacità di calcolo a cui deve corrispondere una elevata sofisticazione computazionale, quindi risulta essere un metodo molto oneroso in termini di tempo e risorse informatiche. Inoltre è possibile incorrere in rischi di modello qualora il modello utilizzato per spiegare l’evoluzione delle variabili considerate non sia adeguato.

1.4 Critiche al VaR

Nonostante l’importanza del VaR nel processo evolutivo della misurazione dei rischi finanziari, questo modello presenta ancora molti limiti.

Le numerose critiche al VaR sono state sintetizzate in un articolo di Giorgio Szegö dal significativo titolo «No more VaR (this is not a typo)» nel quale manifesta

l’inadeguatezza della misura a cogliere il reale rischio insito in un portafoglio con la rappresentativa frase:

“To try to measure risk with Var is like measuring the distance between two points using a rubber band instead of a ruler!”

Gli aspetti negativi del VaR riguardano17:

- Incapacità di dare delle informazioni relative alle perdite oltre il VaR; è una misura che non riesce a stimare la gravità delle perdite possibili oltre la quantità soglia indicata; non distingue, infatti, fra perdite di poco superiori e quelle potenzialmente fatali.

- In presenza di distribuzioni discrete, può accadere che il VaR associato a diversi livelli di confidenza sia il medesimo. Ciò potrebbe contrastare con la ricerca di maggiore prudenza.

17 G. Szegö, Measures of Risk, Journal of Banking & Finance 26 (2002)

(26)

26 - Il VaR non è una misura convessa di rischio, pertanto non può essere utilizzata

nei problemi di ottimizzazione dei portafogli per i quali occorre la convessità della superficie di rischio sulla quale sia possibile individuare minimi globali.

- Date le proprietà di coerenza il VaR non risulta essere sempre una misura coerente di rischio, in particolare non rispetta l’assioma della subadditività in caso di distribuzione dei rendimenti diversa da quella ellittica. Questa proprietà è però fondamentale per una misura di rischio, in quanto esprime il fatto che un portafoglio composto da diverse componenti avrà un ammontare di rischio che al massimo sarà uguale alla somma dei rischi delle singole componenti. Quindi grazie alla diversificazione di un portafoglio è possibile avere un rischio globale inferiore all’ammontare di rischio dei singoli elementi che lo compongono. Il VaR, invece, può scoraggiare la diversificazione di un portafoglio.

1.5 Misure oltre il Var

Una caratteristica richiesta alle misure di rischio è la prudenza, poiché stiamo trattando di possibili perdite è preferibile un atteggiamento più conservativo. In tal senso, il VaR è una misura “ottimistica” perché trascura le possibili perdite di frequenza inferiore al livello α.

Per questi motivi, inizialmente è stata proposta come alternativa al VaR, il TCE (Tail Conditional Expectation) o TailVaR.

Artzner et al propongono il TCE18 come misura delle perdite relative alla coda sinistra della distribuzione della v.c considerata.

Il TCE, di un portafoglio X, calcolato al livello di confidenza α corrisponde alla media dei valori inferiori al quantile associato al VaR:

TCE(𝛼)(X) = −E[X|X ≤ −𝑉𝑎𝑅(𝑋)] [1.4]

18 Artzner et al. , Coherent measure of risk, 1998

(27)

27 Concettualmente, passando dal VaR al TCE, ci si sposta dal considerare la massima perdita potenziale relativa ad un livello di confidenza al tenere in considerazione tutte le possibili perdite inferiori ad essa.

L’impostazione di questa misura di rischio risponde quindi alla carenza informativa del VaR rispetto alla coda sinistra della distribuzione e permette di ottenere una stima del rischio più prudente, infatti

TCE(𝛼)(X) ≥ 𝑉𝑎𝑅(𝑋).

Nelle distribuzioni di probabilità non continue si deve comunque distinguere fra TCE

“lower” e TCE “upper”.

Corrispondenti rispettivamente a

TCE α (X)=E [ X| X < xα] TCEα(X)=E [ X| X < xα],

dove xα e xα sono il quantile “basso” e il quantile “alto” individuati nella ricerca del VaR.

“Lower” e “upper” non sempre portano alla stessa porzione di quantità, in generale

TCE α ≥TCEα.

In questi casi il TCE può variare molto in corrispondenza di piccole variazioni dell’intervallo di confidenza.

Nonostante il TCE superi alcuni limiti del VaR, ne conserva uno dei più grandi punti deboli, infatti, come dimostra Delbaen19, non è una misura sub-additiva per

distribuzioni di probabilità non continue.

19F. Delbaen, Coherent risk measures on general probability spaces, 1998

(28)

28 Lo stesso autore introduce una nuova misura di rischio definendo il worst conditional expectation (WCE) attraverso la seguente espressione:

𝑊𝐶𝐸𝛼(𝑋) = −inf⁡{𝐸[𝑋|𝐴], 𝑃[𝐴] > 𝛼} [1.5]

Da cui appare evidente come il WCE dipenda non solo dalla distribuzione di X ma anche dalla struttura del sottostante spazio di probabilità.

Il risultato a cui si è giunti con questa nuova misura è ambiguo.

Da un lato finalmente abbiamo di fronte una misura di rischio coerente che rispetta tutti gli assiomi fra cui quello della sub-additività, infatti dalla definizione è chiaro che per qualsiasi coppia di variabili casuali X e Y definite sullo stesso spazio di probabilità avremo

𝑊𝐶𝐸𝛼(𝑋 + 𝑌) ≤ 𝑊𝐶𝐸𝛼(𝑋) + 𝑊𝐶𝐸𝛼(𝑌)

Dall’altra parte meno soddisfacente si rivela la mancanza della law- invariance20, caratteristica che identifica le misure di rischio che assegnano la stessa rischiosità a portafogli finanziari che sono identicamente distribuiti in rispetto della probabilità P fissata a priori.

Un’ulteriore complicazione potrebbe essere l’individuazione del sottostante spazio di probabilità.

Contestualmente a queste due proposte avanzate da Artzner e Delbaen, altri autori si sono concentrati su misure di rischio che considerano le perdite oltre il VaR, ottenendo risultati molto simili, in particolare Rockafellar e Uryasev hanno condotto uno studio sulla misura definita conditional VaR (CVaR)21.

20Kusouka nell’articolo intitolato “ON LAW INVARIANT COHERENT RISK MEASURES” definisce una proprietà per una buona misura di rischio. Un’applicazione P da L in R è “Law invariant“ se P(X)=P(Y) per ogni X,Y ϵ L che vengono descritti dalla stessa distribuzione di probabilità.

21R. Tyrrell Rockafellar , Stanislav Uryasev , Conditional value-at-risk for general loss distributions, 2002

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