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Svolgimento del processo

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Academic year: 2022

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CASSAZIONE, Sez. III Civile, Sen- tenza 29 gennaio 2021, n. 2151 - Pres. SPIRITO - Est. IANNELLO - AGOS DUCATO spa (Avv. F. H.

DANESI) c. SCATOLIFICIO SA- BEBA sas (Avv.ti M. TERENGHI, C. BELIOTTI) c. FIDITALIA spa (Avv.ti E. GIRINO, F. ESTRANGE- ROS, M. FERRI).

Costituzione volontaria di pegno da parte del lavoratore su quote di retri- buzione e t.f.r. - Interpretazione non analogica, ma teleologica dell’art. 1 d.p.r. 180/1950 - Divieto di costituzio- ne di pegno - Nullità funzionale della pattuizione.

Vi è assimilabilità, se non struttu- rale, funzionale, tra costituzione in pegno e pignoramento di crediti:

tale assimilabilità consente di ricon- durre anche la costituzione di pegno tra gli atti vietati su stipendi, salari, pensioni ed altri emolumenti dei di- pendenti pubblici, ai sensi dell’art. 1 D.P.R. n. 180 del 1950, ciò alla luce di un’interpretazione non analogica, ma teleologica della norma, che ne consideri lo scopo.

Si giunge a conclusione non diversa considerando la causa concreta del negozio costitutivo di pegno:

l’obiettivo di eludere i limiti che, altrimenti, si frapporrebbero ad una tutela coattiva del credito mediante esecuzione forzata, è in contrasto con lo scopo della norma. Emerge in tal modo la nullità funzionale della pattuizione, per illiceità della causa (art. 1418 2° comma, c.c.) (*).

Svolgimento del processo 1. Logos Finanziaria spa (ora, Agos Ducato spa) convenne in giu- dizio avanti il Tribunale di Monza, Sez. Distaccata di Desio, C.L. e la società sua datrice di lavoro, Scatolificio Sabeba snc di B.M. &

C. (ora, Scatolificio Sabeba sas), chiedendone la condanna in solido al pagamento della somma di Euro 10.797,45 di cui assumeva essere creditrice in virtù di un contratto di pegno volontario su quote di sti- pendio e sull’intero TFR, stipulato con il C.

Costituendosi in giudizio Sabeba

(*) Il commento di Valentina Pini, Il finalismo della Corte di Cassazione interviene sul mercato del credito al

consumo, segue il testo della sentenza in epigrafe.

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snc negò di avere ricevuto notifica dei finanziamenti, evidenziando di avere invece effettuato pagamenti in favore di Fiditalia, per effetto di cessione ad essa, da parte dello stesso lavoratore, del quinto dello stipendio. Chiese, pertanto, e ottenne di poter chiamare in causa quest’ulti- ma perché fossero accertate le quote di rispettiva spettanza dell’una e dell’altra società.

Il C., per parte sua, ammise di aver sottoscritto entrambi i contratti dedotti in atti (da un lato l’“atto di pegno contratto volontario su quote di stipendio e TFR” sottoscritto in data 24/4/2007 con Agos, a titolo di garanzia del pagamento delle rate di restituzione del prestito erogatogli;

dall’altro, il “contratto di finanzia- mento contro cessione di quote di stipendio, salario o pensione” sot- toscritto con Fiditalia il 25/7/2008) e chiese la condanna della propria datrice di lavoro a corrispondere ad Agos e Fiditalia le quote di rispettiva spettanza e a tenerlo indenne da ogni ulteriore pretesa.

Fiditalia, a propria volta co- stituendosi, confermò di essere creditrice nei confronti del C. della somma di Euro 11.325,31, in forza di contratto di cessione pro solvendo del quinto dello stipendio e dell’in-

tero TFR (ai sensi del D.P.R. n. 180 del 1950 e relativo regolamento di attuazione, stipulato con il predetto e notificato a Sabeba, in qualità di debitrice ceduta).

Per l’effetto chiese: a) dichia- rarsi la nullità del pegno volontario sullo stipendio/TFR, stipulato da Agos con il C., “per violazione del D.P.R. n. 180 del 1950” con il rigetto delle domande da questa proposte;

b) dichiararsi valida ed efficace la cessione del quinto dello stipendio, stipulata con il C., con la conse- guente condanna di Sabeba sas al pagamento in favore di Fiditalia spa del TFR e di tutto quanto trattenuto al lavoratore, fino alla concorrenza della somma di Euro 11.325,31.

In subordine chiese pronunciarsi tale condanna a titolo di risarcimento del danno.

2. All’esito di istruzione docu- mentale il Tribunale accolse la do- manda della società attrice e rigettò quelle dei convenuti e della chiamata in causa. Ritenne, infatti, valido il pegno volontario costituito in favore di Agos e prevalente, poiché ante- riormente notificato, sulla successiva cessione del quinto dello stipendio in favore di Fiditalia.

3. In accoglimento del gravame interposto da Fiditalia la Corte d’ap-

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pello di Milano ha, invece, rigettato la domanda di Agos Ducato spa e accolto quella di Fiditalia, condan- nando conseguentemente Agos a restituire quanto ricevuto da Sabeba in esecuzione della sentenza di pri- mo grado e quest’ultima società a pagare a Fiditalia quanto trattenuto al C., per stipendio e TFR, fino alla concorrenza del relativo credito.

Ha infatti ritenuto che il D.P.R.

5 gennaio 1950, n. 180, artt. 1 e 5 (i quali dispongono, rispettivamente, che gli stipendi, le pensioni e gli ulteriori importi spettanti ai lavora- tori “non possono essere sequestrati, pignorati o ceduti, salve le eccezioni stabilite nei seguenti articoli ed in altre disposizioni di legge” e che

“gli impiegati e salariati dipendenti dallo Stato e dagli altri enti, azien- de ed imprese indicati nell’art. 1, possono contrarre prestiti da estin- guersi con cessione di quote dello stipendio o del salario fino al quinto dell’ammontare di tali emolumenti valutato al netto di ritenute e per pe- riodi non superiori a dieci anni ...”) costituiscono disciplina speciale e, quindi, prevalente, rispetto a quella codicistica del pegno, per cui rimane priva di rilievo ogni considerazione relativa all’eventuale conformità a quest’ultima della contrattazione tra

Agos e C.

Secondo i giudici a quibus, dun- que, “l’espressione ‘salve le ecce- zioni stabilite in altre disposizioni di legge’, contenuta nel D.P.R. n. 180 del 1950, art. 1, non può essere rife- rita alla disciplina del pegno, atteso che, altrimenti, non si spiegherebbe la ragione per cui il legislatore avrebbe emanato una disciplina ad hoc per le forme di finanziamento che contemplano pesi o vincoli su salari, pensioni e altre indennità spettanti ai lavoratori”.

Si osserva in tal senso che la re- gola generale di cui all’art. 1 è tale per cui “le eccezioni ad essa devono essere specificamente indicate da una norma speciale, contraria e in- suscettibile di applicazione analogi- ca (come accade nell’art. 5), mentre il semplice silenzio non consente di ritenere applicabile la normativa generale sul pegno”.

Inoltre, “l’esclusione esplicita riguardante la sequestrabilità e la pignorabilità dei crediti stipendiali porta con sé anche la loro non as- soggettabilità a pegno, dal momento che il pegno su crediti, qualora ine- seguito, può essere consolidato dal creditore solo attraverso procedure di espropriazione presso il terzo, ai sensi degli artt. 2803 e 2786 c.c.”.

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“Ne consegue - conclude la Corte lombarda - che, da un lato, il pegno volontario su quote di stipendio, stipulato da Agos con C.L., mira a realizzare un vincolo cedutivo non consentito dalla legge ed è, pertanto, invalido e inopponibile ai terzi; dall’altro, la cessione del credito Fiditalia rappresenta, inve- ce, una forma di cessione di quote di stipendio esplicitamente prevista dal D.P.R. n. 180 del 1950 (la cd.

cessione del quinto dello stipendio), e costituisce contratto valido ed ef- ficace, opponibile ai terzi”.

3. Avverso tale decisione Agos Ducato spa propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resistono Fiditalia spa e Scatolificio Sabeba snc, depositando controri- corsi.

L’altro intimato non ha svolto difese nella presente sede.

Fissata la trattazione in adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., il P.G. ha depositato conclu- sioni, con le quali ha chiesto l’ac- coglimento del primo e del secondo motivo di ricorso.

All’esito dell’adunanza, tenutasi il 2 luglio 2020, il Collegio, con or- dinanza in pari data, ne ha disposto il rinvio a nuovo ruolo perché fosse trattata in pubblica udienza.

Motivi della decisione 1. Con il primo motivo la ricor- rente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1260, 2784 e 2800 c.c. e ss. e del D.P.R.

n. 180 del 1950, artt. 1 e 5, per avere la Corte d’appello “rinvenuto nel pegno di crediti una fattispecie contenente un “vincolo cedutivo”, vincolo che in realtà - sostiene - non esiste e non appartiene all’istituto del pegno e, anzi, pone una evidente e netta differenza tra quest’ultimo e la cessione del credito (anche a scopo di garanzia).

Erroneamente, pertanto, secondo la ricorrente, la Corte di merito ha ritenuto di poter estendere “le ipotesi di incedibilità legale, tipizzate nel codice civile e nella legislazione spe- ciale ed in deroga all’art. 1260 c.c., ricomprendendovi anche il contratto di pegno di credito che, viceversa, nulla ha a che vedere con l’istituto della cessione del credito”.

Tesi censoria di fondo è, dunque, che il D.P.R. n. 180 del 1950 è bensì

“norma speciale prevalente rispetto alla disciplina della cessione dei crediti di cui al capo quinto, libro quarto del codice civile, art. 1260 e ss., ma non lo è, con altrettanta

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certezza, rispetto alla disciplina del pegno di cui al libro sesto, sezione terza, del codice civile, artt. 2800 e ss. in materia di pegno, essendo l’uno e l’altro istituti del tutto distinti e non equiparabili tra di loro quanto a contenuti e disciplina giuridica”.

“Ciò che viene vietato dal com- binato disposto del D.P.R. n. 180 del 1950, artt. 1 e 5 ... è - secondo la ricorrente - solo ed esclusivamente il sequestro, il pignoramento o la cessione, istituti ontologicamente differenti dal pegno ed in particola- re, per quanto si è sin qui esposto, dal pegno di credito”.

2. Con il secondo motivo la ricor- rente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1322 c.c.

Assume che la regola di giudizio adottata dai giudici a quibus viola il generale principio dell’autonomia contrattuale “atteso che nessuna norma inderogabile o principio di ordine pubblico vieta di costituire in pegno di credito una parte dello stipendio e l’intero TFR”.

Afferma che solo ed esclusiva- mente al sequestro, al pignoramento o alla cessione del credito è riferito il divieto posto dal D.P.R. cit., non anche alla sottoposizione a pegno di un parte dello stipendio e dell’intero

TFR, segno evidente - sostiene - che non si è voluto negare tale possibi- lità, la quale è da ritenere viceversa pienamente meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico ex art. 1322 c.c.

3. Con il terzo motivo la ri- corrente denuncia infine, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.

Lamenta che la Corte d’appello ha omesso di pronunciare sulla pre- liminare eccezione, pur ampiamente dibattuta tra le parti, di inammissibi- lità del gravame poiché inosservante del requisito di specificità dei motivi imposto dall’art. 342 c.p.c.

4. Il terzo motivo, testé riferito, di rilievo preliminare e potenzialmente assorbente, è infondato.

L’eccezione di inammissibilità dell’appello, perché aspecifico, deve infatti ritenersi implicitamente disattesa per il fatto stesso dell’ac- coglimento del gravame.

Occorre al riguardo rammentare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancanza di espressa statuizione sul punto specifico, quan- do la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto

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(v. in particolare, Cass. n. 5351 del 2007, che ha ravvisato il rigetto im- plicito dell’eccezione di inammissi- bilità dell’appello nella sentenza che aveva valutato nel merito i motivi posti a fondamento del gravame) e che, inoltre, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di una espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto, e dovendo pertanto escludersi il suddetto vizio quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esamina- bilità pur in assenza di una specifica argomentazione (v. Cass. n. 10636 del 2007).

5. Sono anche infondati i pri- mi due motivi, congiuntamente esaminabili in quanto strettamente connessi.

Le argomentazioni censorie si appuntano sul raffronto tra cessione di credito e costituzione di pegno su crediti.

Dalla diversità delle due figure negoziali e dei relativi effetti la ricorrente fa discendere l’impossi- bilità di ricondurre la seconda alla previsione di cui al D.P.R. n. 180

del 1950, art. 1.

Omette, però, di operare analogo raffronto tra la costituzione di pegno sui crediti e gli altri atti considerati dalla norma aventi l’effetto di cre- are un vincolo di indisponibilità sui beni medesimi (sequestro e pi- gnoramento): atti che, al pari della cessione, tale norma espressamente fa divieto possano essere compiuti sugli stipendi, salari, pensioni ed altri emolumenti dei dipendenti pubblici, “salve le eccezioni stabi- lite nei seguenti articoli ed in altre disposizioni di legge”.

Così omette in particolare di confrontarsi con il rilievo, già ope- rato dal giudice a quo, della perfetta assimilabilità, se non sul piano strutturale-morfologico, certamente su quello funzionale, tra costituzione in pegno e pignoramento (di crediti), avendo entrambi lo scopo di vincola- re il credito allo scopo del soddisfa- cimento del creditore pignoratizio e l’effetto di sottrarne la disponibilità al debitore pignorato, legittimando il creditore pignoratizio, in sua sostitu- zione, alla riscossione del credito, se del caso anche attraverso l’assegna- zione (art. 2804 c.c.), esattamente negli stessi termini dunque in cui è previsto per l’espropriazione presso terzi dall’art. 553 c.p.c.

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Ebbene proprio tale assimilabi- lità consente di ricondurre anche la costituzione di pegno tra gli atti vietati su stipendi, salari, pensioni ed altri emolumenti dei dipendenti pubblici ai sensi del D.P.R. n. 180 del 1950, art. 1.

Ciò alla stregua non già di una interpretazione analogica - in effetti non consentita per il rapporto di ec- cezione a regola che deve ravvisarsi tra le dette limitazioni e il principio dell’autonomia contrattuale ex art.

1322 c.c., oltre che al principio san- cito dall’art. 2740 c.c., in virtù del quale il debitore risponde dell’adem- pimento delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni - bensì alla luce di una interpretazione teleologica della norma, che ne consideri lo scopo.

Se questo è, come non sembra contestabile, quello di garantire la permanente destinazione della maggior parte degli stipendi, salari, pensioni ed altri emolumenti alla loro naturale destinazione di far fronte ai bisogni propri del dipen- dente e della sua famiglia (a difesa del dipendente anche da sé stesso, ossia dai pregiudizi che deriverebbe- ro dalla eventuale propensione a far eccessivo ricorso a finanziamenti ed a conseguenti indebitamenti), appare innegabile la piena sovrapponibilità,

rispetto ad esso, delle ipotesi, da un lato, del pignoramento di crediti, quale atto unilaterale prodromi- co alla espropriazione forzata, e, dall’altro, della costituzione volon- taria di pegno, quale atto dispositivo consensuale, volgente al medesimo risultato.

Non può sfuggire che una di- versa interpretazione della norma, che escluda dalla sua operatività la seconda ipotesi, consentirebbe di aggirare totalmente il divieto, operando una rimozione preventiva dei limiti di espropriabilità dei detti crediti, fissati da norma imperativa.

6. A non diversa conclusione deve peraltro giungersi muovendo da una prospettiva che consideri la causa concreta del negozio costitu- tivo di pegno.

Se si guarda, infatti, da un lato, allo scopo della norma quale so- pra individuato, dall’altro, alla causa concreta del negozio di che trattasi (che indubbiamente sta, ex latere creditoris, nell’obiettivo di premunirsi un vincolo illimitato sulla disponibilità dello stipendio del debitore, dipendente pubblico, a garanzia del credito), non può non apparire evidente il contrasto di questa rispetto a quello, ovvero l’obiettivo di eludere i limiti che

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altrimenti si frapporrebbero ad una eventuale tutela coattiva del credito mediante esecuzione forzata.

Emerge in tal modo la nullità fun- zionale della pattuizione per illiceità della causa (art. 1418 c.c., comma 2).

7. Non possono, dunque, essere condivise le conclusioni rassegnate dal P.G. in vista dell’adunanza ca- merale inizialmente fissata e oggi ribadite nella pubblica udienza;

conclusioni basate, essenzialmente, sui seguenti argomenti:

a) la costituzione volontaria di pegno su crediti non può assimilarsi alla cessione, poiché non trasferi- sce la titolarità del diritto ma crea soltanto un vincolo sul credito e il corrispondente diritto di prelazione;

b) la costituzione volontaria di pegno su crediti non può assimilarsi al sequestro o al pignoramento poi- ché presuppone il consenso del tito- lare del credito sottoposto a pegno, mentre il sequestro e il pignoramento sono frutto di una unilaterale inizia- tiva processuale del ceditore;

c) il pegno volontario crea solo una garanzia in vista di una futura espropriazione che potrebbe comun- que essere consentita in base alle eccezioni previste dal D.P.R. n. 180 del 1950, art. 2; “il pegno, pertanto, nella sua fase di attuazione, incon-

trerà i limiti tipici delle iniziative cautelari ed esecutive del creditore, ma non può essere colpito da sanzio- ne di nullità assoluta e preventiva”.

d) il D.P.R. n. 180 del 1950, art.

1 non può essere interpretato esten- sivamente o analogicamente.

Al riguardo occorre invero osser- vare, ribadendo quanto in preceden- za già detto, che:

- il primo argomento è inin- fluente poiché, come ammette lo stesso P.G., la sentenza non muove dall’assunto contrario ma segue un diverso ragionamento: l’espressione

“vincolo cedutivo” usata in sentenza, alla luce delle considerazioni che la precedono, non intende esprimere una affinità morfologica con la ces- sione dello stipendio, ma si propone quale formula sintetica descrittiva del meccanismo operativo del pegno volontario: meccanismo del tutto simile, nel percorso che da esso conduce all’espropriazione, a quello del pignoramento;

- quanto al secondo argomento, la indubbia differenza morfologica tra il pegno volontario e il pigno- ramento non può ritenersi decisiva, se si guarda allo scopo della norma, indubbiamente volto a considerare più l’effetto (alienazione o vincolo di indisponibilità degli stipendi, salari

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ed altri emolumenti, che la norma vuole sottoporre a rigorosi limiti) che l’atto, unilaterale o consensuale, che lo produce; non si spiegherebbe altrimenti perché anche la cessione del credito è vietata, non sembrando ragione sufficiente di discrimine il fatto che la prima comporti il trasfe- rimento di titolarità mentre il pegno solo un vincolo di indisponibilità e un diritto di prelazione; accogliere tale argomento significherebbe, come detto, aprire un evidente e ampio varco ai limiti dettati dalla norma, rendendola facilmente ag- girabile;

- il terzo argomento risulta in- conducente dal momento che nella specie si discorre di un atto di autonomia negoziale diretto per l’appunto ad eludere, come s’è detto, proprio quei limiti di pignorabilità ed espropriabilità dettati dal D.P.R.

n. 180 del 1950, art. 1 in combinato disposto con l’art. 2; non può, in tal senso, essere condiviso l’assunto secondo cui “il pegno... nella sua fase di attuazione, incontrerà i limiti tipici delle iniziative cautelari ed esecutive del creditore”; le eccezioni poste dall’art. 2 al divieto di seque- stro e pignoramento riguardano la fase costitutiva del vincolo che è, ovviamente, diversa per il pigno-

ramento, quale atto unilaterale del creditore, rispetto al pegno volon- tario; le differenze morfologiche tra pignoramento e pegno volontario su crediti non consentono, dunque, una diretta applicabilità dell’art. 2 al pegno volontario (tanto meno se si postula, come fa il P.G., una inter- pretazione rigorosamente letterale delle norme); nella prospettiva qui accolta di una ricostruzione della di- sciplina alla luce delle sue finalità, le eccezioni di cui all’art. 2 potrebbero indurre a ritenere valido ed efficace il pegno volontario solo qualora esso fosse espressamente pattuito tra le parti nel rispetto degli stessi limiti ivi dettati per il pignoramento, cosa che nella specie è pacificamente escluso sia accaduto;

- il quarto argomento, infine, è superato alla luce della qui accolta interpretazione teleologica della norma.

8. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con la conseguente con- danna della ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legitti- mità, liquidate come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versa- mento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art.

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13, comma 1-quater, nel testo intro- dotto dalla L. 24 dicembre 2012, n.

228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unifi- cato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liqui- da, per ciascuno, in Euro 3.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unifi- cato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 11 no- vembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2021.

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IL FINALISMO DELLA CORTE DI CASSAZIONE INTERVIENE SUL MERCATO DEL

CREDITO AL CONSUMO Valentina Pini 1. Premessa.

Il D.P.R. 180/1950, il cui art. 1 (1) è stato posto al centro del ragiona- mento della Corte nel caso che qui interessa, venne scritto in ambito di pubblico impiego; sono via via intervenute modifiche normative (2) che, a decorrere dai primi anni Duemila, ne hanno esteso l’appli- cabilità all’ambito dei lavoratori e pensionati privati, come pure, a certe condizioni, ai cd. parasubordinati.

La “cessione del quinto” come mezzo per accedere al credito, specie

(1) Art. 1, Insequestrabilità, impignorabilità e incedibilità di stipendi, salari, pensioni ed altri emolumenti - Comma 1: “Non possono essere sequestrati, pignorati o ceduti, salve le eccezioni stabilite nei seguenti articoli ed in altre disposizioni di legge, gli stipendi, i salari, le paghe, le mercedi, gli assegni, le gratificazioni, le pensioni, le indennità, i sussidi ed i compensi di qualsiasi specie che lo Stato, le province, i comuni, le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza e qual- siasi altro ente od istituto pubblico sottoposto a tutela, od anche a sola vigilanza dell’amministrazione pubblica (comprese le aziende autonome per i servizi pubblici municipalizzati) e le imprese concessionarie di un servizio pubblico di comunica- zioni o di trasporto nonché le aziende private corrispondono ai loro impiegati, salariati e pensionati ed a qualunque altra persona, per effetto ed in conseguenza dell’opera prestata nei servizi da essi dipendenti. Fino alla data di cessazione del rapporto di lavoro e del relativo rapporto previdenziale, i trattamenti di fine servizio (indennità di buona uscita, indennita’ di anzianità, indennità premio di servizio) non possono essere ceduti”.

(2) Fino al 2005 si trattava, appunto, dei soli dipendenti pubblici. L’art. 1, comma 137, D.L. 13 dicembre 2004, n. 311, e l’art. 13-bis, comma 1, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 13-bis, hanno allargato la platea dei potenziali fruitori, comprendendovi i dipendenti privati.

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al consumo, è divenuta espressione di comune utilizzo sociale.

Lo stadio attuale dell’elaborazione sull’assai denso articolato norma- tivo vede la proposta della “tipizzazione contrattuale” della cessione del quinto, come negozio connotato da alcuni elementi-cardine, uno dei quali sicuramente è la natura lavoristica del credito ceduto (3).

La vicenda è di comune verificazione nelle aziende; non è raro riscon- trare da parte del medesimo lavoratore plurime cessioni.

Non di rado si assiste a “cessioni a catena”, per così dire, nel senso che la seconda cessione del credito ha in realtà lo scopo di consentire al lavoratore una pronta liquidità a copertura della prima, e così via.

Merita accennare anche, per un minimo tentativo di collocazione sistematica, al tema dei lavoratori separati con ordine di pagamento diretto dell’assegno di mantenimento ex art. 156, 6° comma, c.c.; tale ordine di pagamento non incontra, invece, limiti quantitativi normati- vamente espliciti e la sua applicazione può condurre, quindi, ad esiti assai pesanti per la sfera patrimoniale del debitore (4).

Il D.P.R. 180/1950, sicuramente, non contempla (e, quindi, non assoggetta a limiti) l’ipotesi della costituzione di pegno su retribu- zione corrente e/o trattamento di fine rapporto: ipotesi sulla quale si è appunto espressa la Corte, chiarissima negli intenti interventistici sul mercato del credito al consumo, per impedire fenomeni da “so-

(3) MALVAGNA, La “cessione del quinto” come tipo contrattuale, in Banca, Borsa, Titoli di credito, fasc. 2, Aprile 2021, p. 203 segg.

(4) Non vi è norma che disciplini la concorrenza tra pignoramento ed ordine di pagamento. L’ingiunzione di pagamento regolata dal Codice nei confronti di soggetto terzo (che sia debitore dell’obbligato al mantenimento) ha un effetto sostanziale assimilabile ad una cessione coattiva del credito. Il Giudice della separazione non trova, di per sé, limite quantitativo nella determinazione della quota di retribuzione da pagare in favore del beneficiario: egli potrebbe, quindi, disporre il pagamento diretto dell’intera somma dovuta dal terzo (soluzione che viene ritenuta astrattamente coerente ad un più ampio contesto normativo costituito dall’art. 148 c.c., dall’art.

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vraindebitamento” del lavoratore/consumatore (5).

2. La motivazione.

La Corte enuclea un primo convincimento, riportato nella prima delle due massime.

Se si legge di “piena sovrapponibilità (...) delle ipotesi, da un lato, del pignoramento di crediti quale atto unilaterale prodromico alla espropriazione forzata e, dall’altro, della costituzione volontaria di pegno, quale atto dispositivo consensuale, volgente al medesimo risultato”, è chiara la rotta presa.

In forza del richiamo alla cd. “interpretazione teleologica” si travol- gono non solo dettati normativi letterali, ma strutture e confini tra atti processuali (esecutivi) compiuti su istanza del creditore e negozi di diritto sostanziale stipulati dal debitore, dall’altra. Tale esito viene raggiunto, va sottolineato, contraddicendo le conclusioni del Procu- ratore Generale, volte invece a ribadire le differenze (6).

All’interpretazione della legge è dedicato l’art. 12 disp. prel. c.c., che vieta all’interprete di attribuire alla legge altro senso che quello fatto

(5) Merita appena rammentare, in tale contesto, come la Legge n. 3/2012, art.

9, c. 3-quater preveda esplicitamente come normale il caso per cui il credito nei confronti del consumatore sia garantito da pegno. Il deposito della proposta di ac- cordo o di piano del consumatore sospende, ai soli fini del concorso, il corso degli interessi convenzionali o legali, a meno che i crediti non siano garantiti da pegno o privilegio, salvo quanto previsto dagli articoli 2749, 2788 e 2855, commi secondo e terzo, del codice civile.

(6) Si riporta appunto, in motivazione, come il Procuratore Generale abbia evidenziato non essere assimilabile la costituzione volontaria di pegno su crediti né alla cessione, né al sequestro o al pignoramento. Non alla prima, in quanto la costituzione di pegno non trasferisce la titolarità del diritto, ma crea solo un vincolo e corrispondente diritto di prelazione; non alla seconda, in quanto presuppone il consenso del titolare del credito sottoposto a pegno, mentre gli altri sono rimedi affidati all’iniziativa processuale del creditore.

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palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse (c.d. interpretazione letterale) e dalla intenzione del legislatore (c.d. interpretazione, appunto, evolutiva o funzionale o teleologica).

Si intende, nel secondo caso, non certo una volontà psicologica irre- alistica da ricostruire, quanto piuttosto gli obiettivi avuti di mira dal legislatore medesimo.

Se è indubbio, per dirla con la più autorevole dottrina, che l’interpre- te, dovendo restare sempre fedele alla lettera della legge, deve anche valutare con la dovuta sensibilità le mutate esigenze sociali (7), pare d’altra parte che, nel caso in esame, della “lettera” si sia operata la più decisa cancellazione.

La Corte si rivela, forse, consapevole del livello di forzatura nel mo- mento in cui (ed è il secondo “corno” della motivazione) ragiona di causa del negozio costitutivo di pegno, nel senso di “causa concreta”, accolto dalla giurisprudenza di legittimità ormai da decenni (8).

(7) Per tutti, BETTI, voce Interpretazione della legge, in Novissimo Digesto Italiano, Vol. VIII, Torino 1962, p. 896. Il quale menziona il cd. “metodo evoluti- vo” nell’interpretazione della norma, per commentare come segue: “se, da parte di alcuni autori più audaci e radicali, questa tendenza ha portato ad un atteggia- mento di indipendenza nei confronti della stessa legge scritta, sino ad affermare la possibilità di disapplicarla ove non si stimi più rispondente a mutate esigenze, o di creare nuove ed adatte norme quando il Magistrato lo ritenga necessario (Scuola del diritto libero, o della libera ricerca del diritto), la dottrina di gran lunga domi- nante non ha, anche in omaggio a questa esigenza evolutiva, attuato un completo distacco dalle posizioni del passato, e si attiene ad un metodo storico-evolutivo, secondo il quale si ammette l’opportunità, per la applicazione ed interpretazione della norma, della indagine della lunga evoluzione passata di cui la norma può essere frutto, contemperando i risultati ottenuti con un savio adattamento alle condizioni presenti”.

(8) V. in tal senso ad es. l’ampia motivazione di Cass. Sez. III Civile, Senten- za 08.05.2006, n. 10490, in Riv. Notariato 2007, 1, 180 con NOTA di UNGARI TRANSATTI “(…) si discorre da tempo di una fattispecie causale ‘concreta’,

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obsolescenza della matrice ideologica che configura la causa del contratto come strumento di controllo della sua utilità sociale, affonda le proprie radici in una serrata critica della teoria della predeterminazione causale del negozio (che, a tacer d’altro, non spiega come un contratto tipico possa avere causa illecita), ricostruendo tale elemento in termini di sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare (al di là del modello, anche tipico, adoperato). Sintesi (e dunque ragione concreta) della dinamica contrattuale, si badi, e non anche della volontà delle parti. Causa, dunque, ancora iscritta nell’orbita della dimensione funzionale dell’atto, ma, questa volta, funzione individuale del singolo, specifico contratto posto in essere, a prescindere dal relativo stereotipo astratto, seguendo un iter evolutivo del concetto di funzione economico-sociale del negozio che, muo- vendo dalla cristallizzazione normativa dei vari tipi contrattuali, si volga alfine a cogliere l’uso che di ciascuno di essi hanno inteso compiere i contraenti adottando quella determinata, specifica (a suo modo unica) convenzione negoziale (...)”. La rivisitazione in tal modo operata dell’elemento causale come concreto ha trovato ampio seguito; cfr. Cass., sez. un., 18.03.2010, n. 6538, in Foro It., 2010, I, c. 2460, nella cui motivazione si rileva il superamento della vecchia concezione di “causa del negozio quale tradizionalmente individuata in base alla nota definizione della relazione al codice civile - la funzione economico-sociale che il diritto riconosce ai suoi fini e che solo giustifica la tutela dell’autonomia privata -; ed applicata negli anni immediatamente successivi dalla giurisprudenza secondo una concezione unificante le varie tipologie (c.d. causa tipica) e perciò fondata sull’astrattezza di tale requisito”. Si afferma poi l’esigenza di tenere conto “dell’evoluzione che ha interessato la nozione di causa del negozio in questi ultimi decenni” e “dei risultati al riguardo raggiunti dalla più qualificata dottrina e dalla giurisprudenza di le- gittimità”. Tali risultati si riassumono nella elaborazione di Cass. 2006/10490, che

“ha definito causa del contratto, qualificandola ‘concreta’ in contrapposizione alla nozione tradizionale, lo scopo pratico del negozio, la sintesi, cioè, degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare (c.d. ‘causa concreta’), quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato. E le successive decisioni di questa corte, rese anche a sezioni unite ... hanno ripetutamente condiviso e ribadito la nozione di causa concreta”.

Cfr. ancora più di recente, ad es., Cass. Civ. sez. III, 28.04.2017, n. 10498, in Arch.

locazioni 2017, 4 , 428.

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Si giunge così all’accertamento della nullità “funzionale” (9) della pattuizione per ritenuta illiceità della causa, in quanto la pattuizione medesima sarebbe “elusiva”: come riportato, appunto, nella seconda massima.

Il fine elusivo quale “falla” (si conceda l’espressione del tutto atecnica) di un congegno negoziale non è, del resto, novità dell’occasione; la memoria corre, ad esempio, a norma (poi abrogata), quale l’art. 37 bis, comma 1, del D.P.R. 600/1973 (10) (con le limitazioni, peraltro, dei commi successivi) (11).

3. Brevi considerazioni.

La tesi della nullità del negozio costitutivo di pegno su quote di retribuzione era stata già proposta, ma risolta negativamente (non mancano, anzi, pronunzie che, nel loro iter motivazionale, considerano

(9) O strutturale che dir si voglia. Le gradazioni (se non etichette) apposte al concetto di nullità ormai abbondano, a fronte di un dettato normativo che ne intro- duceva due, la “testuale” o espressa e la “virtuale”. V. in tema ad es. GALGANO, Della Nullità del Contratto, in Commentario del Codice Civile Scialoja – Branca, Libro Quarto: Obbligazioni art. 1414-1446, 1998, p. 79 “La nullità è, fra le due specie di invalidità legislativamente previste, quella di portata generale: non oc- corre, perché un contratto sia nullo, che la nullità sia prevista dalla legge come conseguenza della violazione di una data norma imperativa; basta che una norma imperativa sia stata violata. È la cosiddetta nullità virtuale, che supera l’antico principio della nullità testuale, secondo la massima della più antica giurisprudenza francese ‘pas de nullité sans texte’”.

(10) Art. 37-bis. Disposizioni antielusive:

“1. Sono inopponibili all’amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti”.

(11) L’ambito è limitato dal comma 2 e con le prescrizioni formali di cui ai

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come normale l’ipotesi di costituzione di pegno su tali importi) (12).

Ad esempio di recente, in sede di merito, non si è ravvisata violazione dell’art. 2784 c.c., né dell’art. 2744 c.c. anzi rilevando come l’art. 2803 c.c. (norma speciale rispetto appunto al 2744) consenta espressamente che, qualora il credito garantito sia scaduto, il creditore pignoratizio possa ritenere il credito in denaro, costituito in pegno, fino a soddisfa- zione delle sue ragioni; rimane fermo il riferimento all’art. 1 D.P.R.

180/1950, ma solo per quanto attiene al limite del quinto (13).

L’orientamento della Corte pare in grado di incidere sul mercato del credito al consumo, rendendo più arduo l’accesso al medesimo;

vietare la costituzione di pegno su retribuzione e tfr, plausibilmente, significherà una minore propensione a concedere crediti.

Parrebbe, d’altro canto (la motivazione sul punto è un po’ sintetica) che il Collegio di legittimità avrebbe potuto concludere, dalle proprie stesse premesse, in modo diverso a fronte di un negozio costitutivo di pegno che limitasse la garanzia alle stesse soglie-limite previste per la cessione, proprio dal D.P.R. 180/1950.

(12) V. ad es. Tribunale Teramo sez. lav., 20.11.2013 n. 705, in Banca dati DeJure; Cfr, Trib. Novara-Borgomanero, 31.05.2011, in www.ilcaso.it.

(13) Così ad es. Trib. Novara, Sez. Lav., sentenza 5.10.2017 n. 244, in Banca dati DeJure.

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