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Carmelo Mater Unitatis

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Academic year: 2022

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Carmelo “Mater Unitatis”

Lectio divina VI DOMENICA Tempo Ordinario anno B Montiglio M.to Lev 13,1-2.45-46; Sal 31, I Cor 10,31-11,1; Lc 7,16; Mc 1,40-45

«Sii per me difesa, o Dio, rocca e fortezza che mi salva,

perché tu sei mio baluardo e mio rifugio;

guidami per amore del tuo nome» Sal 30

Il canto è un atto di fiducia assoluta nel Dio che vuole la nostra salvezza; ci difende, ci protegge, è il nostro baluardo (il latino dice ‘firmamentum’ , il che è immensamente più bello!). E di fatto le letture di questa domenica sono

l'espressione visibile della sua onnipotente volontà salvifica e liberatrice. La presenza di Gesù non si è interrotta nella storia ed Egli è qui per un appuntamento concreto: ogni uomo lo può incontrare ed essere purificato, trasformato e salvato.

Il Codice di purità del Libro del Levitico

Nella prima lettura si profila la diagnosi che si trova nella legislazione del Codice di santità o di purità, messo in bocca a Mosè, ma scritto durante e dopo l’esilio babilonese. È una legge che unisce insieme le preoccupazioni igieniche, la paura della malattia, il rispetto della vita e

l'osservanza dei riti sacri. La lebbra esprime probabilmente l’insieme delle malattie della pelle di cui si teme il contagio; da qui l'espressione «fuori dell'accampamento».

La lebbra era allora incurabile e il lebbroso era considerato come un morto, escluso dalla comunità dei viventi, scomunicato anche dalla comunità religiosa in quanto la malattia era considerata strettamente dipendente dal peccato commesso dall’uomo malato.

Anche noi a volte, trovandoci inguaiati in problemi insolubili, pensiamo di essere puniti da Dio per i nostri peccati, oppure sentendoci abbastanza fedeli, pensiamo che Dio non ci ami e sia cattivo. Il male è per noi un mistero, ma il Signore lo combatte con noi e con noi vuole vincerlo.

I miracoli di Gesù, segno messianico

Quando Giovanni Battista manda i suoi discepoli a chiedere a Gesù:

«“Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro” Gesù rispose loro: “Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano”» (Mt 11,3-6).

La guarigione del lebbroso era un autentico segno messianico.

Il Signore infatti non è venuto per i sani ma per i malati (cf. Mc 2,17) è venuto a manifestare la volontà salvifica del Padre che vuole il bene di tutti e per questo ha mandato la sua Parola onnipotente capace di vincere il male e la solitudine.

Secondo il Levitico chi era lebbroso doveva stare lontano e

«velato fino al labbro superiore, andrà gridando: “Impuro! Impuro!”»

Un lebbroso chiede a Gesù di guarirlo e il Signore lo guarisce toccandolo. Papa Francesco aveva iniziato la rivoluzione della tenerezza bruscamente interrotta dalla pandemia e dal lockdown.

Questo Covid, per certi versi, è simile alla lebbra, perché anche se non è così penoso alla vista, è però straziante per la sofferenza, la diffusione, il pericolo e soprattutto la facilità del contagio che diffonde la paura e il sospetto che il vicino sia un possibile nemico e questa situazione ci allontana senza misericordia gli uni dagli altri in modo estremo e angosciante.

Solo un cuore che si dilata per ospitare in sé questa umanità sofferente può aiutarla con la preghiera e l’amore senza trasgredire le regole. Questo vangelo è pieno di trasgressioni!

Un lebbroso, trasgredendo pubblicamente la legge si avvicina a Gesù e gli dice:

«Se vuoi, puoi purificarmi»,

la traduzione precedente era «se vuoi, puoi guarirmi» ma visto che la lebbra è la cosa più impura, si comprende il motivo di questa traduzione. Gesù

«ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: “Lo voglio, sii purificato”:

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«Ne ebbe compassione» alcuni manoscritti riportano un altro termine: «si adirò», Gesù sente rabbia per il male che domina l'umanità e con cui entra in lotta. Non era così l’uomo che la Trinità aveva creato «a sua immagine» e che Gesù è venuto a restaurare perché possa diventare «sua somiglianza».

Tutto questo non avviene tranquillamente e Gesù muore per noi.

Secondo Sant'Efrem, un padre della Chiesa orientale, il modo di chiedere ‘se vuoi’ denota uno che dubita. Secondo alcuni esegeti però, questo ‘se vuoi’, è anche una formula di rispetto.

Più che rispetto mi pare fiducia, è infatti necessario esprimere il nostro desiderio determinato e sincero di guarigione, come Gesù richiede al paralitico della piscina di Betzaida: «Vuoi guarire?»

(Gv 5,6); per realizzare una vita bella è necessario rivolgersi a Lui che solo la può attuare. A noi tocca essere consapevoli della nostra malattia, del nostro limite, della nostra fragilità, del nostro peccato… e voler guarire!

«I racconti dei miracoli riportati nel Vangelo, sono fatti per insegnarci a liberare tutti quei desideri positivi sui quali si imbastisce la vita e a cui noi quasi non crediamo. Il Vangelo ci dice che è possibile guarire dalla lebbra, dall’egoismo, dalla morte che ci portiamo dentro. Questa possibilità si avvera nell’incontro con Gesù» (S. Fausti).

Se ci avviciniamo a Lui è solo perché Lui per primo si è avvicinato a noi… Dalla nostra fragilità che chiede aiuto nasce la comunione.

«Tese la mano»,

la sua mano potente, come quando Mosè aveva teso la mano sul Mar Rosso le acque si erano divise, così Gesù divide il male dall'umanità.

«Lo toccò».

Chi toccava un lebbroso diventava egli stesso impuro! A Gesù non basta tendere la mano, fa una cosa impensabile per un ebreo: tocca le impurità del lebbroso trasgredendo egli pure la legge. Con questo gesto Gesù supera la Legge e prende su di sé il male del mondo come aveva profetato Giovanni Battista: «Ecco l'Agnello di Dio, colui che prende e toglie (tollit) il peccato del mondo».

Quello che a Gesù importa non è il rispetto della Legge, ma il fatto che la persona viva: «La gloria di Dio è l’uomo vivente» (S. Ireneo). Così Gesù dice:

«Lo voglio, sii purificato!»

Il Signore vuole che noi viviamo, che siamo felici.

«E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato».

Non è l’impurità che passa dal lebbroso a Gesù, ma la purità di Dio che passa all’uomo. Subito! Non sono occorsi 7 giorni come per guarire Maria, sorella di Mosè, punita per aver mormorato contro il fratello (Nm 12, 4-16). Non ci fu bisogno di bagnarsi 7 volte nel Giordano come dovette fare Naaman il Siro su ordine di Eliseo (2 Re 5,8-14). La parola onnipotente di Gesù, è

immediatamente dinamica. Dice e crea. Agisce prontamente come ha intuito il centurione che, volendo la guarigione del servo, ha mandato a dire Gesù:

«Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito» (Mt 8,8).

Gesù, il Logos Creatore, è la Parola che salva e il suo tocco purifica e ricrea.

S. M. Maddalena de’ Pazzi è la Santa della purità, nelle sue Opere la parola ‘purità’ è ripetuta 503 volte circa e, cosa singolare, è l’unica mistica ad aver ricevuto, oltre alle manifestazioni consuete delle sante, un velo di purità dono dalla Vergine dopo tante tentazioni, ma la cosa più interessante è che la Santa fa coincidere la Purità con l’essenza stessa di Dio. Così nel dialogo col Padre:

«Anima: “O eterno Padre. Vorrei un poco intendere di questa purità che cosa sia. Tu mi dici tanto di essa purità, per me io non capisco”.

Padre: “O figlia e sposa del mio Verbo unigenito, tu mi domandi una cosa tanto alta e sublime, che non sarai mai capace di poterla intendere appieno, perché la mia purità è una cosa tanto intrinseca che né tu ne altri, ancor che siano santi, sapienti, potenti e colmi d'ogni virtù e scienza, mai, mai, mai la potranno intendere e capire appieno. Pur non dimeno, per tuo contento, te ne dirò quel poco che ne potrai per ora esser capace. Poi, quando sarai disciolta da cotesto corpo e verrai da me, all'ora l'intenderai al quanto

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meglio, però che mai appieno se ne può esser capace ancor quassù, perché solo, solo, e per me stesso, può esser compreso e capito. Però che questa purità propriamente è il mio proprio essere» (CO 48),

C'è un'antica antifona gregoriana delle vergini composta per la liturgia di Sant'Agnese che dice: «Cum tetigero casta sum, quando lo toccherò sarò casta». È il Corpo di Gesù nell'Eucaristia che toccandoci, ci guarisce e ci salva tutti, così come salvava i suoi contemporanei ai quali bastava toccare il lembo del suo mantello.

Anche papa Francesco ci esorta a toccare le ferite dei nostri fratelli perché sono Carne di Cristo.

Ma dobbiamo noi stessi diventare Suo Corpo, per riconoscerlo nei fratelli e poterli efficacemente aiutare. Pure noi dobbiamo saper dire con umiltà: «Se vuoi, puoi purificarmi», come anche papa Francesco prega quotidianamente.

Gesù, guarendo il lebbroso, mostra la volontà del Padre così espressa da S. Paolo: «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità» (I Tm 1,2).

Poi però il Signore appare severo, perché? Dispiaciuto perché entrambi hanno trasgredito la Legge?

«Ammonendolo severamente lo cacciò via subito e gli disse: “Guarda di non dire niente a nessuno; va’

invece a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».

L’espressione ‘ammonendolo severamente’, Silvano Fausti l’ha tradotta con «sbuffando».

Gesù non crea dipendenza, lo lascia andare, libero! Gesù manda il risanato dal sacerdote «come testimonianza per loro» così capiscono che Gesù può guarire i malati e nello stesso tempo non trasgredisce la Legge, ma la porta a compimento. Esorta pure colui che aveva appena guarito ad osservarla, imponendo però un rigoroso silenzio.

Il ‘segreto messianico’ di Marco è così motivato: al tempo di Gesù l’attesa del Messia pur essendo molto viva, non era affatto unitaria. Le diverse classi del popolo giudaico avevano una loro

particolare immagine del Messia e lo attendevano sotto aspetti molto differenti: i farisei diversamente dagli esseni, i sacerdoti in modo molto diverso dai rappresentanti delle correnti politiche, gli apocalittici in modo diverso dagli studiosi della legge, le persone colte diversamente dalla massa, gli zeloti in modo diverso dalla quieta gente della campagna. Gesù non poteva assolutamente presentarsi agli ebrei annunciando loro di essere il Messia, senza provocare un equivoco radicale sulla sua missione e causando il pericolo di un movimento politico con l'intervento dei romani. Anche dopo la sua Resurrezione Gesù ha conservato il segreto nei confronti degli ebrei. Infatti non si è manifestato a tutto il popolo ma soltanto «ai testimoni

preordinati da Dio» (At 10,41). Anche noi ci creiamo delle immagini di Dio che non corrispondono alla verità e per questo dobbiamo umilmente chiedere sempre al Signore di farsi conoscere nella verità…

Gesù prendendo su di sé il male e il peccato del mondo è stato cacciato «fuori dall'accampamento»

(Eb 13,13) coperto di piaghe, colmo di sofferenza; ha preso su di sé la nostra lebbra per donarci nell'Eucaristia il «farmaco dell'immortalità».

L’uomo guarito è invitato al silenzio, ma il fatto è così straordinario che il fortunato ex lebbroso, per una traboccante riconoscenza, non può trattenersi dalla gioia di divulgare l'accaduto, tanto che la situazione si capovolge: ora è Gesù che deve andare «in luoghi deserti» e «rimanere fuori» non potendo più entrare pubblicamente in una città

«e venivano a lui da ogni parte».

Gesù è il centro dell’universo, il desiderio e la gioia di ogni cuore!

«Di mio non ho che Dio.

O Dio tre volte mio, grazie d’esser tua creatura!

Tu sei il mio centro e stando stretta a Te faccio con te ogni passo.

Seguendo il canto,

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mi muovo danzando, intanto col mio braccio traccio con Te girando i cerchi del tuo amore, e invito amici

vicini e lontani

e più lontani ancora…

e mentre Tu mi abbracci, abbraccio tutti anch’io e tutti io ti dono.

Di mio non ho che Dio e tutto in Te, mio Dio!

E Tu sei tutto mio e io son tua creatura o mio diletto Dio».

Dio è per tutti quel luogo di rifugio che abbiamo cantato all'inizio della messa e ripetiamo ora nel ritornello del salmo 31.

Tu sei il mio rifugio mi liberi dall'angoscia

Col Salmo 31 la liturgia ci orienta deliberatamente verso un'interpretazione spirituale della lebbra celebrando la gioia di essere perdonati.

Gesù è venuto a salvarci dalla lebbra del peccato ben più pericolosa della malattia, e il salmo ci apre la porta della beatitudine concessa a chi si pente.

«Beato l'uomo a cui è tolta la colpa e perdonato il peccato.

Beato l'uomo a cui Dio non imputa il delitto e nel cui spirito non è inganno».

Nel salmo non è immediatamente evidenziato il fenomeno psicologico del rimorso, della vergogna, bensì la rottura dell’Alleanza, e la ripresa del dialogo d’amore fra due esseri che si amavano, che si sono fatti del male e che poi si sono perdonati.

Il salmo continua così:

«Tacevo e si logoravano le mie ossa, mentre gemevo tutto il giorno.

Ti ho fatto conoscere il mio peccato, non ho nascosto la mia colpa.

Ho detto: “Confesserò al Signore le mie iniquità e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato”».

Gli studi della biologia e della psicologia hanno messo in evidenza la profonda unità e interazione dell’essere umano: l’attività mentale reagisce su quella corporale e questa a sua volta influenza lo spirito. Gesù aveva detto:

«Chi fa la verità viene verso la luce » e «la verità vi farà liberi» (Gv3,21; Gv 8,32),

e la verità lampante è che noi siamo peccatori. Ecco cosa ci chiede il Vangelo oggi: riconoscerci peccatori, confessare i nostri peccati e chiedere a Gesù di purificarci.

«Purificami, oSignore, e sarò più bianco della neve.

Il mio peccato io lo riconosco» (Sal 50).

Sono parole pronunciate 3000 anni fa e ancora attualissimamente nostre, anche se la nostra cultura vuole convincerci che è sbagliato riconoscerci peccatori: non dobbiamo crearci sensi di colpa; ciò che noi chiamiamo peccato è solo il frutto di tabù, condizionamenti e inibizioni per cui nei momenti critici è meglio andare da uno psicanalista al quale esprimere la nostra angoscia.

Ma riconoscere il proprio peccato fa parte della psicologia più sana dell'uomo. E confessarlo mi libera dal suo veleno. Nulla vi è di più falso del superuomo, incapace di ammettere e di

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riconoscersi colpevole del più piccolo torto. Il Superman non esiste.

«Eccelso è il Signore,e guarda verso l’umile;

ma al superbo volge lo sguardo da lontano» (Sal 138,6).

Lui è venuto a salvare i peccatori, cioè noi! Facciamo nostre perciò le parole che recitiamo nella celebrazione:

«Confesso a Dio Onnipotente che ho peccato …»

«Signore non sono degno che tu venga dentro di me…»

Secondo Max Scheler, citato da Giovanni Ferretti, tutte le spiegazioni e le

accuse sul pentimento fatte dai filosofi all'avanguardia sono basate su grandi errori:

«Il pentimento non è una zavorra spirituale, né un autoinganno, al contrario il pentimento è una forma di autoguarigione dell'anima. Noi siamo ancora padroni del passato in quanto lo possiamo gestire

inquadrandolo in modo nuovo nell'insieme della nostra vita. Riconoscendo il male del passato sono libero dal suo influsso nel presente. Il pentimento uccide il nucleo vitale della colpa, sfratta dal centro della persona l'azione malvagia con le sue radici, rendendo così possibile l'inizio libero e spontaneo, verginale, di una vita nuova. Forze giovani e innocenti dormono in ogni anima».

Così Gesù dice:

«Va’ a presentarti al sacerdote!»

È probabile che si trovi più pace nel sacramento della penitenza che nello studio dello psicanalista! Anche se certamente a volte anche loro ci possono aiutare…

Qualcuno obbietta: “Ma perché passare attraverso una mediazione umana che a volte non è proprio delle più spirituali?” C'è una lettura del beato Isacco della Stella che ne spiega il motivo:

«A Dio solo infatti spetta rimettere i peccati e perciò a lui ci si deve confessare, ma l'Onnipotente avendo preso in sposa una debole e di bassa condizione, da schiava ne ha fatta una regina divenendo con lei una cosa sola. Perciò nulla può rimettere la Chiesa senza Cristo e Cristo non vuol rimettere nulla senza la Chiesa. Nulla può rimettere la Chiesa se non a chi è pentito cioè a colui che Cristo ha toccato con la sua grazia; Cristo nulla vuol ritenere per perdonato a chi disprezza la Chiesa. “Quello che Dio ha congiunto l’uomo non lo separi. Questo mistero è grande, lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa” (Ef 5,32).

Senza la Chiesa Cristo non sarebbe più tutto intero come la Chiesa non è mai intera senza Cristo. Infatti il Cristo totale e integro è capo e corpo ad un tempo. Questi è il solo che rimette i peccati».

L’amore del Signore, hesed, la parola chiave dell’Alleanza, con la sua fedeltà circonderà coloro che hanno fiducia in lui; possiamo fidarci di Lui, dargli del Tu!:

«Tu sei il mio rifugio, mi liberi dall’angoscia, mi circondi di canti di liberazione».

Tomasz Szymczak dice che oggi col Covid abbiamo scoperto collettivamente e all’unanimità che

«i ‘negativi’ sono molto più graditi e positivi dei ‘positivi’. I ‘positivi’ vengono isolati, perché li consideriamo ‘negativi’. Siamo riusciti a capovolgere il senso dei due aggettivi sopra evocati.

Riusciamo a farlo con qualcos’altro? Riusciamo ad esempio a pensare che questo strano tempo, tempo di crisi, a prima vista totalmente negativo, possa essere ‘positivo’? Esiste qualcuno che poterebbe insegnarci l’arte della trasformazione del tempo da un periodo buio, di pietra, in un’era d’oro? Piena di risorse? Se rivolgiamo queste ultime domande alla Bibbia, essa ci mostrerà tanti protagonisti che dentro una crisi hanno visto un’opportunità e tante storie in cui un tempo buio e spaventoso ha portato frutti benedetti».

È il tempo di guardare alla Croce come segno positivo di Benedizione. Occorre mettere sul segno negativo (–) quella linea verticale che lo trasforma totalmente in positivo…(+)

Il ringraziamento per tutto il bene già ricevuto e per le piccole luci che ogni giorno riceviamo ci apre al sorriso, ci unisce nella comunione e ci dona la grazia di chiedere insieme il ‘miracolo’!

“Signore se vuoi puoi purificarmi e in tutte le situazioni ti vedrò avvicinarti a me, toccarmi e trasformarmi in Te”. Bellissima è la meditazione sul Salmo 31 di Charles de Foucauld:

«“Beati coloro i cui peccati sono rimessi”: undici anni fa, in questo periodo tu mi hai convertito, senza che io ti cercassi, tu hai riportato all’ovile la mia anima peccatrice. E tra quali dolcezze tu mi hai fatto questa grazia! Non dico che non ci siano state sofferenze in questi anni, il dolore è necessario per purificare

l’anima, ma come mi hai fatto sentire la dolcezza della tua mano!...Come sono state dolci e care le persone di cui ti sei servito ! Come sei stato buono! Divinamente buono, non soltanto per il dono infinito, veramente

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infinito della conversione, ma per le mille delicatezze e le carezze divine con cui l’hai circondato! Mio Dio, com’è dolce e potente la tua mano, e come sai essere tenero nelle cose più piccole mentre doni le più grandi!

Quand’anche io restassi tutta la notte, tutta la settimana, tutto il mese per dirti “Grazie!” senza fine, questo non sarebbe ancora sufficiente!... Come ringraziarti abbastanza per una grazia infinita?»

Paolo ci vuole tutti imitatori di Cristo

Quando l’uomo gode della remissione dei peccati si trova ad essere

“nuovo”! La grazia avvolge la sua intera esistenza e non desidera altro che piacere a Dio! Questa è la sua etica. Paolo ci dà un suggerimento regale:

«Fate tutto per la gloria di Dio»,

così possiamo mangiare, bere, lavorare, leggere, chattare, divertirci, fare sport, coltivare amicizie, viaggiare, fare del bene con l’intenzione pura - e sempre da purificare - di piacere al Signore.

Pertinente e bella è l’orazione letta in questi giorni di S. Scolastica, sorella di S. Benedetto:

«Concedi a noi di amarti e servirti con purità di cuore per sperimentare sempre la gioia della tua amicizia».

Così sperimentava e viveva la nostra Madre: «“Tutto ormai è una partecipazione dell’Essere di Dio. La purità essenziale è deposta in te, e la purità è l’Essere stesso di Dio”. Dio solo ormai ha tutti i diritti e la sua volontà sola mi deve dominare! So solo che tale dono mi obbligava a vivere per Dio» (spm 19/2/’57)

La pura intenzione di piacere al Signore ci rende liberi, ma occorre vigilare per non dare scandalo al fratello perché solo nella carità si trova l'autentica verità.

Paolo sta rispondendo alla domanda fattagli dai Corinzi se si può mangiare o no la carne immolata agli idoli. Il loro problema, è simile a quello dei farisei che chiedono a Gesù:

«Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?» (Mc 7,5). Gesù risponde loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro» (Mc 7,14-15).

Omnia munda mundo, tutto è puro per chi è puro! Chi è liberato dalla colpa e segue Cristo ha acquistato una libertà interiore che gli permette di usare delle cose senza esserne condizionato.

Però la sua carità è attenta a quanto può scandalizzare il fratello più fragile «per il quale Cristo è morto» (Rm 14,15).

Perciò Paolo risponde che non è più la Legge che ci salva, ma la grazia di Cristo e, per piacere al Signore, mi sforzo di piacere a tutti in tutto senza cercare il mio interesse, ma quello di molti perché tutti giungano alla salvezza. Così oggi per fortuna qualcuno si chiede:

«Che cosa faccio rimettendo in questione certi dati del discorso tradizionale su Gesù, sulla Vergine Maria, sul Quarto Vangelo e infine sulla formulazione dogmatica elaborata nel corso dei secoli? Un apertura del discorso tradizionale o un’iconoclastia brutale e stupida?» (B. Standaert).

Cristo accoglie chi lo cerca con cuore sincero, amando i fratelli come li ha amati Lui e così desidera fare colui che lo segue e cerca di imitarlo.

Tu che sei isolato, evitato, rifiutato, respinto, tu che gli uomini non vedono, non vogliono vedere, tu lebbroso, sei mio fratello.

Gesù ti ha toccato, ti ha amato, ti ha guarito.

In te, lebbroso, io vedo lui, il mio Dio.

Tu, lebbra, sei nemica degli uomini. Tu, lebbroso, mio fratello.

Insegnaci, Signore, a non amare solo noi stessi, a non amare soltanto i nostri cari,

a non amare soltanto quelli che ci amano. Insegnaci a pensare agli altri, ad amare anzitutto quelli che nessuno ama» (Raoul Follereau).

Miniature del Codice di Torino

Pro manoscritto www.carmelomaterunitatis.it

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