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DESCRIZIONE DINAMICA ED EQUAZIONE DI POISSON-VLASOV PER UN SISTEMA DI OSCILLATORI

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Universit`a degli Studi di Bologna

Facolt`a di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

Corso di laurea in Fisica

DESCRIZIONE DINAMICA ED EQUAZIONE DI POISSON-VLASOV PER UN SISTEMA DI OSCILLATORI

COULOMBIANI

Tesi di Laurea di: Carlo BENEDETTI Relatore: Prof. Giorgio TURCHETTI Co-Relatore: Dott. Armando BAZZANI

Parole Chiave

collisioni coulombiane, equilibrio termodinamico, tempi di rilassamento, equazione di Vlasov, fasci intensi.

II Sessione

Anno Accademico 2001/2002

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(3)

Indice

Introduzione 5

1 Dinamica trasversa di un fascio di particelle 9 1.1 Hamiltoniana per un sistema di N particelle interagenti

confinate . . . 9

1.2 Lunghezza di Debye . . . 13

1.3 Approccio di Vlasov . . . 15

1.4 Equazione di Boltzmann . . . 18

1.5 Equazione di Landau . . . 21

1.6 Equazioni del moto . . . 23

1.7 Parametri di qualit`a del fascio . . . 26

1.8 Soluzioni stazionarie dell’equazione di Vlasov . . . 27

1.8.1 La distribuzione KV . . . 28

1.8.2 La distribuzione di Maxwell-Boltzmann . . . 34

2 Il modello degli oscillatori coulombiani ed il program- ma DYNAM 45 2.1 Descrizione del modello . . . 45

2.2 Posizioni di equilibrio del sistema . . . 48

2.3 La struttura del programma DYNAM . . . 57

2.4 Condizioni iniziali . . . 58

2.5 Evoluzione del sistema . . . 59

2.5.1 Integrazione numerica . . . 60

2.5.2 Calcolo del campo elettrico . . . 63

2.5.3 Trattazione degli urti . . . 69

2.6 Analisi dei risultati . . . 78

(4)

3 Simulazioni 85 3.1 Fascio KV stazionario . . . 86 3.1.1 Particelle con nucleo duro . . . 88 3.1.2 Particelle senza nucleo duro . . . 95 3.1.3 Variazione dei tempi di rilassamento in funzione

delle dimensioni del nucleo duro . . . 101 3.2 Fascio KV non stazionario . . . 103

Conclusioni 113

(5)

Introduzione

Negli ultimi anni `e andato crescendo l’interesse verso gli acceleratori ad alta intensit`a, si parla di alta intensit`a quando la corrente I trasportata dal fascio `e superiore al mA (tipicamente qualche decina di mA) e l’energia del fascio `e dell’ordine di 100 Mev. Questo tipo di fasci `e richiesto per diverse applicazioni:

1. Realizzazione di un reattore nucleare a fissione sotto-critico;

l’idea di base `e quella dell’Energy Amplifier di Rubbia, costituito da un reattore nucleare a fissione sottocritico nel quale i neutroni neces- sari a mantenere stazionario il livello di potenza del reattore sarebbero forniti appunto da un’acceleratore di protoni ad alta intensit`a. Questi protoni, urtando su un bersaglio di metallo, andrebbero a produrre un fascio di neutroni il quale a sua volta verrebbe iniettato nel nocciolo del reattore. Il vantaggio rispetto ai tradizionali reattori `e duplice: da un lato il reattore, lavorando in condizioni sottocritiche, pu`o essere spento in qualsiasi momento senza il rischio della reazione incontrolla- ta, dall’altro il materiale fissile utilizzabile (prodotti provenienti dalla fissione convenzionale oppure tipi di nuclei non utilizzabili con gli at- tuali reattori come ad esempio il torio) produrrebbe scorie dalla vita media di diversi ordini di grandezza inferiore a quelli tradizionali.

La denominazione di Energy Amplifier deriva appunto dal fatto che test effettuati al CERN 1 hanno mostrato che l’energia prodotta in questo modo `e superiore a quella consumata dall’acceleratore.

2. Fusione inerziale; oltre alla fusione mediante plasmi confinati

1C. Rubbia et al., An Energy Amplifier for Cleaner and Inexhaustible Nuclear Energy production Driven by a particle Accelerator,CERN/AT/93-47(ET) 1993

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magneticamente si stanno progettando macchine in cui la fusione sia attivata da un fascio di ioni pesanti (ad esempio bismuto) molto in- tenso che comprima una miscela di deuterio e trizio. Per questo tipo di applicazione sono necessarie correnti di fascio di diverse centinaia di mA, oggi non disponibili con le attuali tecnologie.

3. Produzione di neutroni per applicazioni mediche; `e da ricor- dare in questo ambito la Boron Neutron-Capture Therapy (BNCT).

Il boro pu`o essere fissato per via farmacologica ai tessuti tumorali.

Se il paziente viene sottoposto ad un flusso di neutroni termici, la reazione di cattura del neutrone da parte del boro provoca l’emissione di particella α e quindi un danno localizzato alle sole cellule tumorali.

L’approccio che usualmente si adotta per studiare la dinamica di particelle cariche nei fasci in regimi tali per cui non possano essere trascurati gli effetti della carica spaziale, situazione che tipicamente si presenta nei fasci ad alta intensita`a ed a bassa energia, `e quello auto- consistente alla Vlasov. Si tratta di una teoria di campo medio; la den- sit`a nello spazio delle fasi per il sistema di particelle in oggetto si fat- torizza in un prodotto di funzioni di distribuzione di singola particella, in questa schematizzazione si trascurano quindi le interazioni dirette tra particelle vicine descrivibili in termini di urti coulombiani. Tali interazioni dirette sono per`o importanti perch´e sono responsabili del rilassamento del fascio all’equilibrio termodinamico, in questo processo avviene pertanto una modifica delle qualit`a del fascio e dei parametri che lo caratterizzano, modifica che occorre tenere in considerazione se si vuole avere una descrizione accurata dello stato del fascio e che, lo ripetiamo, non `e descrivibile nell’ambito di uno schema alla Vlasov.

Sotto opportune ipotesi `e poi possibile tenere in conto (analiticamente) gli effetti degli urti modellizzando l’azione che essi hanno sulla di- namica del sistema in termini di un opportuno processo stocastico (equazione di Vlasov-Landau).

In questo lavoro di tesi verr`a condotto lo studio della dinamica di

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un sistema di oscillatori coulombiani, un modello che permette di de- scrivere un fascio di particelle con semplici propriet`a e cio`e indefinito, omogeneo, soggetto ad una forza di confinamento lineare. Buona parte dei risultati presentati in questo lavoro sono stati ottenuti grazie ad un programma di simulazione (DYNAM) appositamente scritto dall’au- tore; con esso `e stato possibile integrare numericamente le equazioni del moto per un sistema di N oscillatori coulombiani e si `e quindi tenu- to conto nella dinamica degli effetti degli urti, mostrando in che modo avviene il raggiungimento dell’equilibrio termodinamico in questo tipo di sistemi fisici e quindi i limiti della approssimazione di Vlasov. Il programma DYNAM `e articolato in due moduli: il primo modulo genera un fascio di particelle descritto da una certa distribuzione nello spazio delle fasi scelta come condizione iniziale e lo fa evolvere per un certo tempo, il secondo modulo permette di rivedere ed analizzare i dati prodotti dalla simulazione. Sono previste differenti ruotines per trattare l’integrazione delle equazioni del moto e per gestire i punti pi`u problematici della simulazione come gli urti coulombiani ed il calcolo del campo elettrico generato su una particella da tutte le rimanen- ti particelle del sistema. La corretta gestione degli urti coulombiani rappresenta un requisito assolutamente necessario affinch`e si abbia un discreto livello di accuratezza nei calcoli relativi alle simulazioni, `e no- to per`o che l’implementazione di routines in grado di trattare in modo soddisfacente gli eventi d’urto non `e banale, questo perch´e la forza di interazione tra due particelle (cariche) del modello in oggetto tende all’infinito all’annullarsi della distanza relativa delle medesime (con- dizione d’urto) e proprio la presenza di questa singolarit`a `e in grado di dare molti problemi sul piano numerico. Nel programma DYNAM sono stati sviluppati due diversi tipi di routines dedicate alla trat- tazione degli urti coulombiani: in un caso le particelle vengono dotate di un hardcore e gli urti tra esse vengono trattati come urti elasti- ci tra particelle dure; nel secondo tipo di routines invece l’hardcore viene eliminato e si tratta la condizione di urto tra particelle tramite integratori di ordine superiore rispetto a quelli utilizzati per gestire

(8)

l’integrazione delle equazioni del moto.

Riguardo al calcolo del campo elettrico si `e adottata una strategia che ha permesso di ridurre la complessit`a computazionale di tale calco- lo da N2 a N3/2 tramite un opportuno sviluppo in serie di multipoli;

questa soluzione permette di guadagnare in velocit`a nella simulazione, cosa di non poco conto quando si ha a che fare con molte particelle.

Tutti gli sforzi compiuti nella stesura del programma sono rivolti a diminuire al massimo la complessit`a computazionale delle varie pro- cedure utilizzate mantenendo per`o ragionevole il livello di accuratezza nei calcoli.

Per il momento il programma permette di simulare solo fasci in cui le forze esterne di confinamento siano lineari e simmetriche, per il fu- turo `e prevista la possibilit`a di simulare fasci con una qualsivoglia configurazione delle forze esterne.

Piano della tesi:

Nel primo capitolo verr`a esposta la teoria del moto trasverso di un fascio di particelle cariche nell’approssimazione di Vlasov e verranno fatti cenni alla teoria di Landau.

Nel secondo capitolo verr`a presentato il modello degli oscillatori coulombiani ed il programma DYNAM usato per la simulazione.

Nel terzo capitolo verranno presentate alcune simulazioni effet- tuate.

L’ultimo capitolo `e riservato alle conclusioni di maggior rilievo cui si `e giunti.

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Capitolo 1

Dinamica trasversa di un fascio di particelle

In questo primo capitolo verranno esposti gli elementi di base della dinamica trasversa di un fascio di particelle cariche confinate da forze di tipo lineare (constant focusing). Lo studio di questo tipo di sis- tema si affronta mediante un approccio alla Vlasov (teoria di campo medio) nel caso in cui possano essere trascurate le interazioni dirette particella-particella (urti); qualora invece non fosse possibile fare ques- ta approssimazione `e ancora possibile, come detto nell’introduzione, un approccio di tipo analitico al problema, tale approccio `e rappre- sentato dalla teoria di Landau la quale riprende le idee base della teoria di Vlasov ma permette di tener conto degli effetti degli urti (conservativi) tra particelle modellizzandone il contributo mediante un opportuno processo stocastico.

1.1 Hamiltoniana per un sistema di N particelle interagenti confinate

L’hamiltoniana per un sistema di N particelle di massa m, cariche (e quindi interagenti), soggette ad un potenziale esterno `e :

H = XN

i=1

p2xi + p2yi + p2zi

2m + W (xi, yi, zi)



+X

i<j

Hijint (1.1)

(10)

Dove :

W (x, y, z) `e il potenziale esterno di confinamento (`e lo stesso per tutte le particelle);

Hijint `e il termine di interazione tra la particella i e la particella j.

Occorre sottolineare che essendo queste particelle cariche in moto, genereranno anche una corrente e quindi un campo magnetico con il quale poi interagirebbero, trascureremo questi contributi nell’Hamil- toniana, nell’ipotesi che i moti delle particelle siano non relativistici.

Le particelle che stiamo descrivendo sono particelle di un fascio che si propaga, supponiamo, lungo l’asse z; se facciamo l’ipotesi che il fascio sia collimato abbiamo

pxi, pyi  pzi (1.2) e allora

pi =q

p2xi+ p2yi+ p2zi ' pzi (1.3) Avendo scelto l’asse z come asse del fascio, gli assi x e y, ortogonali a z, costituiscono il sistema di riferimento rispetto al quale studiare la dinamica trasversa del fascio.

Supponiamo che il fascio sia invariante per traslazione lungo z (ovvero che sia omogeneo lungo z ), questo implica che :

i ) `e di lunghezza infinita;

ii ) la densit`a di particelle per unit`a di lunghezza del fascio non dipende da z;

iii ) perch´e ii ) possa essere vero ad ogni istante di tempo t, tutte le particelle del fascio devono muoversi alla stessa velocit`a volungo l’asse z. Allora si ha

pzi = po = mvo (1.4)

Con queste ipotesi sulle caratteristiche del fascio abbiamo che il poten- ziale della forza esterna non deve dipendere da z e allora W = W (x, y).

Sceglieremo, come gi`a anticipato nell’introduzione, una particolare forma per W (x, y) che `e quella che realizza il constant focusing

W (x, y) = 1

2k(x2+ y2) = 1

2kr2 (1.5)

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con k costante. Le forze di confinamento che sono in gioco sono per- tanto forze lineari di richiamo verso l’asse z.

Veniamo ora all’ultimo termine dell’hamiltoniana, il termine di inter- azione tra le particelle. Qualitativamente e in prima approssimazione, l’effetto della repulsione `e quello di allargare il fascio rispetto alla con- figurazione che esso avrebbe qualora le particelle non fossero cariche.

Come prima abbiamo accennato, il moto delle particelle cariche con velocit`a vo lungo z d`a origine ad una corrente e conseguentemente ad un campo magnetico ~B; una generica particella del fascio (con carica e) che si muova di velocit`a ~v, sotto l’effetto di questo campo magnetico risentir`a di una forza pari a

F~B = e~v × ~B (1.6)

con le approssimazione fatte sulla natura del fascio ~v ' ~vo e si ha che tale forza `e diretta radialmente verso l’asse del fascio (effetto confinante). A questa forza che nasce dal campo magnetico prodot- to dal fascio stesso, bisogna aggiungere quella repulsiva coulombiana generata dalla densit`a di carica associata alle particelle presenti

F~E = e ~E (1.7)

Si dimostra che

| ~FB|

| ~FE| = vo2

c2 (1.8)

nel limite relativistico vo2/c2 ' 1 i due contributi sono uguali ed op- posti e pertanto si cancellano, al contrario nel limite che ci riguarda, ovvero quello non relativistico (vo2/c2  1) si ha | ~FB|  | ~FE| e pos- siamo quindi trascurare, come si `e gi`a detto, il contributo dovuto al campo magnetico nella forza percepita dalla i -esima particella. Ecco quindi che

Hijint= 1 4π0

e2 rij

(1.9) con rij =p

(xi− xj)2+ (yi− yj)2+ (zi− zj)2.

Scriviamo l’espressione della forza elettrostatica agente sulla i -esima

(12)

particella, troviamo

F~i = e2 4π0

X

i6=j

~rij

r3ij (1.10)

dove ~rij = ~ri− ~rj, e ~ri `e il vettore posizione della particella i -esima, mentre ~rj `e il vettore posizione della particella j -esima.

Il fatto che la forza di Coulomb sia a lungo range implica che tutte le particelle del fascio contribuiscono alla forza ~Fi che si esercita sulla particella test (la i -esima appunto). Possiamo classificare questi con- tributi in due classi :

a ) contributi piccoli relativi alle molte particelle lontane;

b ) contributi pi`u grandi relativi alle poche particelle vicine a quella test[1];

gli effetti della somma dei contributi di tipo a potranno essere de- scritti, a lato pratico, introducendo un termine di potenziale di carica spaziale φs(~r, t) derivabile dalla densit`a volumica di particelle n(~r, t) tramite l’equazione di Poisson

2φs(~r, t) = −n(~r, t)e/0 (1.11) verosimilmente, dal momento che φs(~r, t) nasce dalla somma di tanti piccoli contributi indipendenti, sar`a una funzione smooth delle coor- dinate.

Di diversa natura saranno invece i contributi di tipo b; la nostra par- ticella test vedr`a infatti le particelle nelle immediate vicinanze come cariche puntiformi (discrete) e proprio gli effetti indotti da queste saranno responsabili delle fluttuazioni su piccola scala della sua trai- ettoria. Gli incontri di una particella con le particelle nelle immediate vicinanze possono essere descritti quindi in temini di urti perch´e ap- punto causano rapide fluttuazioni nello stato di moto della particella stessa. Riscriviamo allora la forza agente sulla i -esima particella alla luce di quanto detto

F~i = −∂φs(~r, t)

∂~r |~r=~ri + e2 4π0

X

j∈Ωi

~rij

rij3 (1.12) il primo termine `e il gradiente del potenziale di carica spaziale φs(~r, t) dovuto, abbiamo detto, ai contributi delle molte particelle distanti e

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calcolato nella posizione occupata dalla i -esima; il secondo termine

`e quello delle forze collisionali dovuto alle particelle nelle immediate vicinanze (ovvero nell’intorno Ωi), della nostra particella test.

1.2 Lunghezza di Debye

Prima di procedere con la descrizione dell’approssimazione di Vlasov `e opportuno definire bene una grandezza alla quale fin qui ci si `e soltan- to indirettamente riferiti ma che gioca un ruolo importante nella trat- tazione che stiamo facendo: si tratta della lunghezza di Debye. La lunghezza (o raggio) di Debye rappresenta la scala spaziale caratteris- tica al di sotto della quale diventano importanti gli effetti collisionali (urti coulombiani) nella dinamica di un sistema di particelle cariche come quello che stiamo trattando noi; secondo lo schema delineato nel- la precedente sezione, la conoscenza di questo parametro permette di discriminare se una data particella, che si trovi ad una certa distanza da una particella test, debba essere annoverata tra quelle a lei lontane e quindi il suo campo entri a far parte del campo medio associato al potenziale di carica spaziale, oppure debba essere considerata vicina alla particella test, nel qual caso il campo da lei prodotto rientrerebbe nel computo della parte collisionale della forza percepita dalla parti- cella test.

Possiamo derivare un’espresione per il raggio di Debye nel seguente modo[1]: consideriamo un mezzo con ioni (carica +e) ed elettroni (carica -e), globalmente neutro nioni = nelettroni = n0 e in equilibrio termico. Poniamo nel mezzo una carica e e facciamo rilassare nuova- mente il mezzo all’equilibrio, ci aspettiamo, a causa dell’introduzione della carica, che si sviluppi un campo elettrico descritto dal potenziale φ(r), dove r `e la distanza misurata a partire dalla carica puntiforme introdotta. Se il sistema `e in equilibrio, la densit`a degli ioni e degli

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elettroni sar`a modificata nel seguente modo











ni(r) = n0e eφ(r)

kBT

ne(r) = n0e eφ(r)

kBT

(1.13)

e φ(r) sar`a determinato dall’ equazione di Poisson

2φ(r) = −1

0

[(ni(r) − ne(r))e + eδ(~r)] =

= −en0

0

[e−eφ(r)/kBT − eeφ(r)/kBT] − e

0

δ(~r) (1.14) dove il termine eδ(~r) tiene conto della densit`a di carica associata alla particella puntiforme nell’origine. Supponiamo (stima a priori) che eφ(r)  kBT , allora possiamo sviluppare gli esponenziali con Taylor, tenendo solo i termini del primo ordine otteniamo

2φ(r) = 2e2n0φ(r)

0kBT − e

0

δ(~r) (1.15)

definiamo quindi il Raggio (o lunghezza) di Debye

RD =

s0kBT 2e2n0

(1.16)

scriviamo ora l’operatore di Laplace in coordinate sferiche, otteniamo la seguente equazione differenziale per φ(r)

1 r

d2

dr2(rφ(r)) = φ(r) R2D − e

0

δ(~r) (1.17)

la soluzione dell’equazione `e

φ(r) = e

4π0re−r/RD (1.18)

Si vede che se r < RD allora exp(−r/RD) ' 1 e φ(r) = e/4π0r e quin- di il potenziale `e in sostanza quello generato da una carica puntiforme senza effetti relativi al plasma, tuttavia se r > RD il termine esponen- ziale diventa importante e fa tendere rapidamente a zero φ(r), questo

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fisicamente implica uno schermaggio, dovuto al plasma, del campo elettrico generato dalla particella puntiforme.

Torniamo alla condizione eφ(r)  kBT che ci ha permesso di fare i calcoli, vediamo se la soluzione che abbiamo trovato soddisfa ques- ta condizione: φ(r) cresce se r tende a zero, mentre tende a zero rapidamente se r > RD, pertanto, in quest’ultimo dominio di valori di r la condizione di cui sopra sar`a sicuramente soddisfatta; andi- amo allora a studiare la regione r < RD, in questo caso sappiamo che exp(−r/RD) ' 1 e allora

eφ(r)

kBT  1 ⇒ e2

4π0kBT r  1 (1.19) che si riscrive dopo semplici passaggi algebrici e trascurando delle costanti moltiplicative inessenziali

r  RD/ND (1.20)

dove ND `e il numero di particelle dentro la sfera di Debye.

Concludendo, data una particella posizionata nell’origine O (con cari- ca e) ed una particella test (sempre con carica e) a distanza r dall’orig- ine, sia φ(r) il potenziale prodotto dalla particella in O nella posizione occupata dalla particella test: se r  RD/ND si ha eφ(r)  kBT e quindi gli effetti sulla dinamica della particella test dovuti alla carica posta in O saranno limitati, dal punto di vista della particella test il contributo al campo da lei percepito generato dalla particella nell’orig- ine dovr`a essere annoverato tra quelli che vanno a realizzare il campo medio. Se invece si ha r < RD/ND allora eφ(r) > kBT e l’interazione tra le due particelle in esame assume caratteristiche tipiche dell’urto coulombiano.

1.3 Approccio di Vlasov

Come noto dalla meccanica hamiltoniana, un sistema di N particelle `e descritto da una hamiltoniana Htot e da una funzione di distribuzione ρtot definita nello spazio delle fasi 6N dimensionale. Se indichiamo le

(16)

posizioni delle N particelle con ~q1, ~q2, ..., ~qN e con ~p1, ~p2, ..., ~pN i rispetti momenti si ha

Htot = Htot(~q1, ~p1, ~q2, ~p2, ..., ~qN, ~pN) e ρtot = ρtot(~q1, ~p1, ~q2, ~p2, ..., ~qN, ~pN)

con ρtot normalizzata a 1.

Nel nostro caso

Htot = XN

i=1

p2xi + p2yi + p2zi

2m + 1

2k(x2i + yi2)

+X

i>j

1 4π0

e2 rij

(1.21)

dove rij=p

(xi− xj)2+ (yi− yj)2+ (zi− zj)2, notiamo che Htot non

`e somma di hamiltoniane di singola particella a causa del termine di interazione.

La ρtot soddisfa l’equazione di Liouville che si scrive dρtot

dt = ∂ρtot

∂t + [ρtot, Htot] = 0 (1.22) ovvero

∂ρtot

∂t + XN

i=1

∂ρtot

∂~qi

~q +˙i ∂ρtot

∂~pi

~p˙i

= 0 (1.23)

dove ˙~q e ˙i ~p sono dati dalle equazioni di Hamiltoni







~q = ∂H˙i ∂~ptoti

~p = −˙i ∂Htot

∂~qi

(1.24)

Possiamo semplificare l’equazione (1.22)facendo opportune ipotesi: sup- poniamo, come gi`a anticipato, di trascurare la parte di interazione tra le particelle relativa agli urti coulombiani, se questo `e vero allora la forza agente su ogni particella di prova `e quella derivabile dal poten- ziale di carica spaziale; l’assenza degli urti inoltre, permette di scri- vere la ρtot come un prodotto di funzioni di distribuzione di particella singola[2, 3]

ρtot = YN i=1

ρ(~qi, ~pi, t) (1.25)

(17)

dove la ρ `e una funzione definita nello spazio delle fasi 6-dimensionale (~q, ~p) ed `e normalizzata a 1. Sostituiamo questa relazione nella equazione di Liouville, otteniamo l’equazione di Vlasov

dρ dt = ∂ρ

∂t + [ρ, H(1)] = 0 (1.26) dove H(1) `e l’hamiltoniana di singola particella

H(1) = p2x+ p2y+ p2z

2m +1

2k(x2+ y2) + eφs(~r, t) (1.27) e φs(~r, t) `e il potenziale di carica spaziale precedentemente introdotto.

Con le ipotesi fatte prima sulle caratteristiche del fascio (fascio colli- mato, di lunghezza infinita, omogeneo per tutta la sua lunghezza, tutte le particelle hanno la stessa velocit`a vocostante lungo z) possiamo sep- arare la dinamica trasversa da quella longitudinale, infatti si ha che ρ(x, y, z, px, py, pz, t) = ρ(x, y, px, py, t)δ(pz− po), con po = mvo, e dal momento che la densit`a volumica di particelle nel fascio non `e altro che la proiezione nello spazio 3-dimensionale ordinario della densit`a nello spazio delle fasi, arriviamo a concludere che

n(x, y, z, t) = n(x, y, t) ⇒ φs(x, y, z, t) = φs(x, y, t) ⇒ ~E = (Ex, Ey, 0)

e allora possiamo scrivere

H(1)= H+ H// (1.28)

con 









H = p2x+ p2y

2m + 12k(x2+ y2) + eφs(x, y, t) H//= p2z

2m

(1.29)

Il sistema di equazioni che governa la dinamica trasversa di un fascio nell’approssimazione di Vlasov `e quindi



 dρ dt = ∂ρ

∂t + [ρ, H] = 0 (Vlasov)

2φs(x, y, t) = −en(x, y, t)/0 (Poisson)

(1.30)

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con n(x, y, t) = NR R

ρ(x, y, px, py, t)dpxdpy, dove N `e la densit`a di particelle per unit`a di lunghezza del fascio.

Come ben si vede le due equazioni (la Vlasov e la Poisson) sono ac- coppiate, infatti un cambio nella ρ produce un cambio in φs e quindi, tramite H, un cambio nella equazione di Vlasov di cui ρ `e soluzione.

Una ρ che sia soluzione di entrambe le equazioni `e detta soluzione autoconsistente.

1.4 Equazione di Boltzmann

Qualora non trascurassimo nella forza agente sulla generica particel- la il contributo relativo agli urti coulombiani abbiamo detto che l’e- quazione di Vlasov non sarebbe valida, infatti come effetto dipen- dente dalla parte collisionale dell’interazione avremo una variazione nel tempo della funzione di distribuzione ovvero

dρ dt = ∂ρ

∂t + [ρ, H] =

∂ρ

∂t



urti

(1.31) quest’ultima equazione `e nota come equazione di Boltzmann[1, 4]. Ci aspettiamo che qualunque sia la distribuzione di particelle all’inizio, tale distribuzione rilasser`a a quella di equilibrio termodinamico grazie proprio agli urti coulombiani. Analizzaremo in una successiva sezione alcune soluzioni dell’equzione di Vlasov tra cui appunto la soluzione che descrive un fascio in equilibrio termodinamico. Torniamo ancora sull’equazione di Boltzmann, per studiarla `e necessario conoscere la forma del termine (∂ρ/∂t)urti, sfortunatamente la sua espressione `e complessa, e quindi risulta difficile, se non impossibile, tovare esplici- tamente le soluzioni delle equzioni, anche nei casi pi`u semplici.

Da un punto di vista fenomenologico, per descrivere gli effetti degli urti in un sistema di molte particelle, si fa ricorso nelle equazioni del moto di ogni particella ad un termine di forza aleatoria per simulare appunto l’effetto degli urti casuali con le altre particelle e ad un ter- mine di dissipazione che contrasti la crescita di energia delle particelle dovuta al termine aleatorio. Le equazioni del moto per una perticella

(19)

test sarebbero 





d~rdt = ~v

m d~vdt = ~F − mγ~v + α~Γ(t)

(1.32)

dove ~F rappresenta la forza esterna di confinamento (se presente) pi`u quelle dovute alla carica spaziale, il termine −mγ~v `e la forza dis- sipativa mentre αΓ(t) `e la forza fluttuante che descrive gli urti (il vettore ~Γ(t) = (Γ1(t), Γ2(t), Γ3(t)) `e composto da variabili aleatorie gaussiane con < Γi(t) >= 0 e < Γi(t)Γj(t0) >= δijδ(t − t0)). Qualora non ci fosse il termine fluttuante la densit`a di probabilit`a nello spazio delle fasi (ρ(~r, ~v, t)) che descrive il sistema soddisferebbe l’equazione di continuit`a che si scrive

∂ρ

∂t + div~x(ρ~φ) = 0 (1.33) con ~x =

~r

~v

 e ~φ =

 ~v

−γ~v + ~F /m



oppure

∂ρ

∂t = −∂

∂~r ρ~v + ∂

∂~v (γ~v − ~F /m)ρ

(1.34) La presenza del termine fluttuante modifica l’equazione di continuit`a introducendo (al secondo membro) un termine di diffusione D2 ∂2ρ

∂v2 e l’equazione diventa

∂ρ

∂t = − ∂

∂~r ρ~v + ∂

∂~v (γ~v − ~F /m)ρ +D

2

2ρ

∂v2 (1.35) che, dopo semplici passaggi, si riscrive

∂ρ

∂t + ~v∂ρ

∂~r + F~ m

∂ρ

∂~v = γ∂(~vρ)

∂~v +D 2

2ρ

∂v2 (1.36)

questa forma dell’equazione di Boltzmann `e nota come equazione di Fokker-Planck. Notiamo che il primo membro pu`o essere riscritto come segue

∂ρ

∂t + ~v∂ρ

∂~r + F~ m

∂ρ

∂~v = ∂ρ

∂t + [ρ, H] (1.37) dove, al solito,

H= p2x+ p2y

2m + W (x, y) + eφs(x, y, t) (1.38)

(20)

e W (x, y) `e il termine di energia potenziale della forza di confina- mento mentre φs, il potenziale di carica spaziale, `e determinato dalla equazione di Poisson. Dal confronto con l’equazione di Boltzmann si ha, in questo caso, che

∂ρ

∂t



urti = γ∂(~vρ)

∂~v + D 2

2ρ

∂v2 (1.39)

Senza forze di confinamento (W = 0) e senza attrito (γ = 0), non es- iste soluzione stazionaria, la distribuzione di particelle si espande nello spazio all’aumentare del tempo. Quando `e presente una forza di con- finamento esiste uno stato di equilibrio anche se γ = 0, tuttavia le particelle a pi`u alta energia riescono ad uscire dal fascio se la loro energia cinetica supera l’energia potenziale di confinamento, questo meccanismo di fuga delle particelle ha rilevanza negli anelli di accu- mulazione degli acceleratori, la perdita di particelle incide infatti sulla durata della vita di questi fasci. `E interessante il caso in cui non ci siano forze di confinamento esterne ma ci sia dissipazione, esiste una soluzione stazionaria che `e possibile trovare ponendo uguali a zero tutte le derivate

dt = 0 ∂ρ

∂t = 0

∂ρ

∂t



urti

= 0 (1.40)

e allora

γ∂(~vρ)

∂~v + D 2

2ρ

∂v2 = 0 (1.41)

Si verifica che

ρ(~v) = ( γ

πD)3/2e γv2

D (1.42)

`e soluzione (normalizzata) di (1.41).

Notiamo che questa soluzione `e formalmente identica alla distribuzione di Maxwell-Boltzmann

ρ(~v) = ( m

2πkBT)3/2e mv2

2kBT (1.43)

l’identificazione si realizza ponendo D

2γ = kBT

m (1.44)

(21)

1.5 Equazione di Landau

Un approccio sempre di stampo fenomenologico ma che prevede la trattazione degli urti tra particelle in modo conservativo, e quindi rap- presenta un approccio pi`u soddisfacente di quello esposto nel paragrafo precedente proprio perch´e gli urti coulombiani tra particelle cariche sono conservativi, `e rappresentato dall’equazione di Landau[4, 5]. Al- la base della modellizzazione del fenomeno offertaci dalla equazione di Landau ci sono le seguenti ipotesi:

1. la distanza media di due particelle `e molto maggiore del parametro d’impatto duro classico (b = e2/4π0mvth2 ) e quindi questo implica che gli urti coulombiani siano soft;

2. le diverse interazioni di una particella test con le altre sono con- siderate indipendenti tra loro sicch`e `e possibile approssimare gli urti semplicemente come interazioni a due corpi;

3. i tempi di interazione sono piccoli rispetto allo step di evoluzione e allora i cambiamenti nella quantit`a di moto della particella test sono il risultato di molte collisioni indipendenti.

In accordo con le precedenti ipotesi, la variazione ∆~p della quantit`a di moto causata dagli urti nell’intervallo di tempo ∆t, pu`o essere vista come somma di variabili casuali indipendenti con una varianza finita, e pu`o cos`ı essere invocato il teorema del limite centrale. Allora

< ∆~p >= −2πmn(~r)∆t Z

d~v0~uu Z π

θmin

dθ sinθ

2σ(θ, u) sin θρ(~v0, ~r) (1.45) dove m `e la massa delle particelle test, n(r) `e la densit`a spaziale di particelle, ~u = ~v − ~v0 `e la velocit`a relativa delle particelle test (con velocit`a ~v) rispetto ad una generica altra particella (con velocit`a ~v0) con la quale va ad urtare, θ `e l’angolo di deflessione del vettore ~u in conseguenza dell’urto, σ(θ, u) `e la sezione d’urto differenziale per il processo di scattering coulombiano tra le due particelle cariche (en- trambe di carica e ) coinvolte nel processo ed infine, ma non per ultimo, ρ(~v0, ~r) `e la funzione di distribuzione di singola particella. Notiamo che, nell’integrale angolare, l’estremo di integrazione inferiore non `e

(22)

zero, ma `e posto uguale a θmin, non teniamo in conto quindi i casi di urti che comportino piccole deflessioni angolari, questo equivale a porre artificialmente un taglio nel raggio di azione delle forze coulom- biane che noi assumeremo essere dell’ordine della lunghezza di Debye (RD). Tutto questi si fa per ovviare artificiosamente a problemi di convergenza della (1.45) che si presenterebbero se tenessimo in conto la vera natura a lungo range dell’interazione coulombiana, fatto che non `e compatibile per`o con le ipotesi da noi test`e adottate, le quali ci forzano in pratica a considerare le interazioni binarie come istantanee.

Inserendo nella (1.45) l’espressione della sezione d’urto differenziale data dalla formula di Rutherford, otteniamo

< ∆~p >= −8πe4n(~r)L (4π0)2m ∆t

Z ~uρ(~v0, ~r) u3 dv0 =

= 2L m∆t ∂

∂~vΦv (1.46)

dove Φv `e formalmente il potenziale elettrostatico generato dalla dis- tribuzione di carica nello spazio delle velocit`a data dall’espressione seguente

ρv(~v0) = e4n(~r)

4π20 ρ(~v0, ~r) (1.47) e L `e il logaritmo di Coulomb

L = − ln sin θmin

2 (1.48)

si ha inoltre, per quanto riguarda la matrice dei momenti secondi

< ∆pi∆pj >= 4πe4n(~r)L

(4π0)2 ∆t ∂2

∂vi∂vj

Z

uρ(~v0, ~r)d~v0 =

= L∆t ∂Gv

∂vi∂vj

con i = 1, 2, 3 (1.49)

dove

Gv = Z

k~v − ~v0v(~v0)d~v0 (1.50) Le precedenti assunzioni implicano che l’equazione del moto per una particella test possa essere interpretata come una equazione differen- ziale stocastica, sicch`e nel tempo ∆t i cambiamenti nell’impulso (∆~p)

(23)

e nella posizione (∆~r) delle particelle saranno dati da









∆ri = pi

m ∆t

∆pi = ~F ∆t + 2Lm ∂Φv

∂vi ∆t + r

L ∂2Gv

∂vi∂vj∆wj

(1.51)

dove ~F tiene conto delle forze esterne di confinamento (se presenti) pi`u quelle di carica spaziale e ∆wj `e l’incremento di un processo di Wiener.

L’evoluzione della funzione di distribuzione di singola particella `e data dall’equazione

∂ρ

∂t + ~v∂ρ

∂~r + F~ m

∂ρ

∂~v = − ∂

∂~v( ~FDρ) +1 2

2

∂~v∂~v(Dρ) (1.52) nota come equazione di Landau, dove i coefficienti di frizione dinamica ( ~FD) e diffusione (D) sono dati, per quanto detto prima, dalle seguenti espressioni

F~D = n(~r)e4 4π20m2L ∂

∂~v

Z

d~v0 ρ(~r, ~v0) k~v − ~v0k



(1.53)

D= n(~r)e4 4π20m2L ∂2

∂~v∂~v

Z

d~v0k~v − ~v0kρ(~r, ~v0)



(1.54)

1.6 Equazioni del moto

Riprendiamo di nuovo l’hamiltoniana di singola perticella che ci inter- essa studiare

H= p2x+ p2y 2m + 1

2kr2+ eφs(x, y) (1.55) le equazioni del moto per la dinamica trasversa sono





























˙x = ∂H∂px = px m

˙y = ∂H∂py = py

m

˙px = −∂H

∂x = −kx − e∂φs

∂x = −kx + eEx(x, y)

˙py = −∂H

∂y = −ky − e∂φs

∂x = −ky + eEy(x, y)

(1.56)

(24)

dove Ex(x, y), Ey(x, y) sono le componenti del campo elettrico gen- erato dalla carica spaziale. Abbiamo precedentemente fatto l’ipotesi che tutte le particelle del fascio si muovano lungo z con velocit`a vo, abbiamo altres`ı ipotizzato che il fascio sia collimato, cio`e

vx, vy  vz = vo (1.57) v =q

vx2+ vy2+ vz2 ' vz = vo (1.58) sicch`e possiamo concludere che, indicando con ds la variazione dell’as- cissa curvilinea di una particella del fascio nel tempo dt, si ha

ds = vdt ' vzdt = vodt (1.59) in letteratura dagli anni ’60 in poi, come variabile indipendente per la dinamica viene scelta proprio l’ascissa curvilinea s al posto del tempo t. In conseguenza del cambio di variabile abbiamo (lavorimo con x )

vx = dx dt = dx

ds ds dt = vo

dx

ds ≡ vox0 (1.60)

px = mvx = mvox0 (1.61)

ax = dvx

dt = vo2x00 (1.62)

e per y il discorso `e analogo. Le equazioni del moto diventano









x00 = − kmvo2x + e

mvo2Ex(x, y) y00= − kmvo2y + e

mvo2Ey(x, y)

(1.63)

dove ~E = −~∇φs, ∇2φs = −eN0

R R dpxdpyρ(x, y, px, py) e vale la con- dizione di normalizzazione R R

ρdpxdpydxdy = 1.

Definiamo ora le seguenti quanti`a φs= eN

4π0

φˆs (1.64)

E =~ eN 4π0

Eb~ (1.65)

(25)

possiamo riscrivere (1.63) nel seguente modo









x00 = − kmvo2x + e2N

4π0mvo2x(x, y) y00= − kmvo2y + e2N

4π0mv2oy(x, y)

(1.66)

dove, a questo punto,E = −~~ˆ ∇ ˆφs, ∇2φˆs= −4πR R

dpxdpyρ(x, y, px, py) e vale la solita condizione di normalizzazione su ρ.

Il parametro

ωo =

s k

mvo2 (1.67)

`e detto avanzamento di fase per unit`a di lunghezza ed `e legato alla forza confinante, mentre il parametro adimensionale

ξ = e2N

2π0mvo2 (1.68)

chiamato perveance, misura il peso della carica spaziale nella dinamica del fascio. In un fascio con protoni di qualche Mev cui corrisponda una corrente di circa 30 mA, ξ vale circa 10−6. Come si vede dall’espres- sione sopra, al crescere dell’energia del fascio la perveance tende a zero e ritroviamo quindi quanto precedentemente detto, e cio`e che gli effetti della carica spaziale diventano via via meno importanti quanto pi`u l’energia delle particelle del fascio cresce.

Riportiamo infine le equazioni del moto nella seguente forma







x00 = −ω02x +ξ

2Eˆx(x, y) y00 = −ω02y +ξ

2Eˆy(x, y)

(1.69)

e possiamo ora riscrivere anche l’hamiltoniana trasversa per la parti- cella test in esame in termini di px = x0e py = y0, ottenendo la seguente espressione adimensionale per H

H= p2x+ p2y

2 + 1

02(x2 + y2) + ξ

2φˆs(x, y) (1.70)

(26)

1.7 Parametri di qualit` a del fascio

Passiamo ora a definire i parametri medi del fascio, meglio noti come parametri rms (Root Mean Square). L’apertura-rms del fascio nella direzione x `e definita da

xrms =√

< x2 > (1.71)

una definizione analoga vale per la coordinata y. Per < a > si intende la media definita tramite la funzione di distribuzione (normalizzata all’unit`a) ρ(x, y, px, py, t), e cio`e

< a >=

Z

a(x, y, px, py, t)ρ(x, y, px, py, t)dxdydpxdpy (1.72)

Qualora il fascio sia a sezione circolare ha senso definire anche il raggio quadratico medio

rrms =√

< r2 > =p

< x2 > + < y2 > =p

x2rms+ yrms2 (1.73)

Altro importante parametro `e l’ emittanza ed `e cos`ı definita





x,rms=p

< x2 >< p2x> − < xpx >2

y,rms =p

< y2 >< p2y > − < ypy >2

(1.74)

l’emittanza `e il parametro che meglio descrive la qualit`a del fascio, es- sa misura il grado di collimazione delle particelle: quando le particelle del fascio hanno uno spread ampio in posizioni e momenti, l’emittanza

`e maggiore, quando invece le particelle sono collimate e si muovono vicine all’asse di propagazione (l’asse z nel nostro modello) l’emittan- za `e minore e migliore la qualit`a del fascio, questo perch´e la lumi- nosit`a di un acceleratore (ovvero il parametro legato alla quantit`a di eventi che un collider riesce a produrre) `e inversamente proporzionale all’emittanza-rms.

(27)

1.8 Soluzioni stazionarie dell’equazione di Vlasov

Il sistema di equazioni da risolvere `e



 dρ ds = ∂ρ

∂s + [ρ, H] = 0

2φˆs = −4πR R

ρ(x, y, px, py, t)dpxdpy

(1.75)

dove

H= p2x+ p2y

2 +1

02r2+ ξ

2φˆs (1.76)

e

px = dx

ds py = dy

ds (1.77)

Dobbiamo, come si `e gi`a detto, trovare una ρ che sia soluzione di entrambe le equazioni, ovvero una soluzione autoconsistente. Tra le tante soluzioni possibili di questo sistema noi siamo interessati a quelle stazionarie, ovvero quelle per cui si abbia ∂ρ

∂t = 0. Sono soluzioni stazionarie ad esempio quelle che dipendono dagli integrali primi del moto, siano infatti I1, I2, ... i nostri integrali primi (cio`e dIj

dt = 0) allora ρ = ρ(I1, I2, ...) `e soluzione della equazione di Vlasov infatti

dt =X

j

∂ρ

∂Ij dIj

dt = 0 (1.78)

Nel caso generale tuttavia non `e semplice trovare gli integrali primi del moto per un sistema di particelle, nel nostro caso per`o, con le ipotesi fatte sulla natura del fascio che ci hanno permesso, tra l’altro, di separare la dinamica in una parte longitudinale ed una trasversale, H viene ad essere integrale primo del moto e allora ρ = ρ(H) `e soluzione dell’equazione di Vlasov. La scelta di una o di un’altra forma funzionale per la dipendenza della ρ da H oltre chiaramente a descrivere fasci pi`u o meno interessanti da una punto di vista fisico, ha rilevanza da un punto di vista strettamente computazionale, nel senso che con alcuni tipi di dipendenza funzionale `e possibile portare i calcoli fino in fondo in modo analitico, ovvero si calcolano esattamente,

(28)

ad esempio, la distribuzione di particelle nel fascio, il campo elettrico prodotto dalla carica spaziale, le emittanze e gli altri parametri rms mentre, con altri tipi di dipendenza funzionale, questo non `e possibile e bisogna allora ricorrere, come `e stato fatto nel programma DYNAM, a strategie numeriche per il calcolo dei parametri di interesse.

1.8.1 La distribuzione KV

La prima soluzione presentata `e la KV (abbreviazione di Kapcinschij e Vladiminschij), la distribuzione si scrive

ρ = ρ0δ(H− E) (1.79)

dove δ(x) `e la funzione di Dirac e ρ0 la costante di normalizzazione determinata da R

ρdxdydpxdpy = 1.

Veniamo al calcolo delle quantit`a di interesse, notiamo subito che avendo scelto una forza di confinamento che `e simmetrica rispeto al- lo scambio x ←→ y, incontreremo questa simmetria anche in seguito.

Cominciamo con il calcolo della densit`a volumica di particelle n(r) = N

Z Z

ρ(r, px, py)dpxdpy =

= ρ0

Z Z

δ p2x+ p2y

2 + 1

02r2+ξ 2φˆs

dpxdpy (1.80) passando in coordinate polari (px, py) −→ (P, Θ) ed utilizzando le pro- priet`a della funzione δ di Dirac, si calcola l’integrale sopra e si ottiene (dopo aver aggiustato anche la costante di normalizzazione)

n(r) =



 N

πR2 r < R

0 r > R

(1.81)

con N densit`a di particelle per unit`a di lunghezza e R raggio del fascio, otteniamo quindi particelle disposte uniformemente all’interno di un cilindro indefinito a sezione circolare.

Passiamo ora a calcolare il potenziale di carica spaziale, l’equazione da risolvere `e

2φˆs = 1 r

d dr rd ˆφs

dr

= −4πn(r) = − 4

R2θ(r − R) (1.82)

(29)

con le condizioni al contorno ˆφs(0) = ˆφ0s(0) = 0, dove θ `e la funzione a gradino; la soluzione per r < R (e quindi all’interno del fascio) `e

φˆs(r) = −r2

R2 (1.83)

Possiamo quindi riscrivere l’hamiltoniana nella seguente forma H= p2x+ p2y

2 +1

02r2− ξ 2

r2 R2 =

= p2x+ p2y

2 +1

2(ω02− ξ

R2)r2 (1.84)

ovvero

H = p2x+ p2y

2 + 1

2r2 (1.85)

con

ω2 = ω02− ξ

R2 (1.86)

dove ω2 misura l’intensit`a della forza di confinamento efficace pari a quella applicata dall’esterno pi`u il contributo di space charge che, come detto, si oppone all’azione di confinamento e tende ad allargare il fascio.

Il fatto di avere densit`a costante di particelle all’interno del fascio ha portato ad avere forze di space charge lineari e relativi potenziali quadratici, avendo poi noi scelto un termine di energia potenziale di confinamento quadratico otteniamo, come si vede, che l’energia poten- ziale totale `e una forma quadratica in x e y. La dinamica associata a questo tipo di hamiltoniana `e quindi tra le pi`u semplici che si possano avere, il moto trasverso delle particelle del fascio`e quello di un oscilla- tore armonico bidimensionale con le due frequenze del moto entrambe uguali ad ω. L’equazione della traiettoria di una particella test nello spazio x,y sar`a un’ ellisse la cui orientazione ed eccentricit`a dipender- anno dalle condizioni iniziali.

Come ben si vede dall’espressione della funzione di distribuzione ρ, l’energia associata al moto trasverso `e la stessa per tutte le particelle, sia E il suo valore. Possiamo a questo punto calcolare il raggio del fascio notando che le particelle che si allontanano di pi`u dall’asse sono

(30)

quelle la cui traiettoria ellittica `e degenerata in un segmento passante per l’origine, il loro moto sar`a pertanto una oscillazione radiale, R (il raggio nominale dal fascio) sar`a la distanza massima che possono raggiungere, allora deve valere

1

2R2 = E ⇒ 1

2(ω20− ξ

R2)R2 = E (1.87) da cui si ricava

R = r2E

ω2 = s ξ

ω02 1 + 2E ξ

 (1.88)

Un importante parametro che nei fasci KV misura il peso della carica spaziale `e il tune depression, definito da

σ = ω

ω0 (1.89)

sappiamo che ω ≤ ω0, e quindi σ ≤ 1, possiamo distinguere diversi regimi di carica spaziale

0.9 ≤ σ ≤ 1.0 Debole carica spaziale 0.6 ≤ σ ≤ 0.9 Carica spaziale sostenuta

σ ≤ 0.6 Forte carica spaziale

A questo punto possiamo calcolare i parametri rms caratteristici del fascio, si verifica facilmete che

< x2 >=< y2 >= R2

4 (1.90)

e allora

< r2 >=< x2 > + < y2 >= R2

2 ⇒ rrms =√

< r2 > = R

√2 (1.91) e poi

< p2x >=< p2y >= E

2 (1.92)

per le simmetrie della distribuzione si ha inoltre

< xpx >=< ypy >= 0 (1.93) le emittanze valgono allora

x,rms = y,rms = R√ E 2√

2 = rrms

√E

2 (1.94)

(31)

Possiamo calcolare anche la temperatura trasversale (T) del fascio calcolando l’energia cinetica media del moto trasverso, utilizzando le solite variabili adimensionali abbiamo

α ≡ kBT

mv2o =< p2x+ p2y

2 >= 1

2(< p2x > + < p2y >) = E

2 (1.95) e allora possiamo riesprimere le emittanze in termini del raggio quadrati- co medio e del parametro α (ovvero della temperatura)

x,rms= y,rms = rα

2rrms (1.96)

Fin qui abbiamo analizzato un fascio KV che non `e tra i pi`u generali possibili, questo `e dovuto al tipo di forza di confinamento scelta che in questo caso `e una forza di richiamo verso l’asse del fascio e il modulo di tale forza `e proporzionale alla distanza con costante ω20. Volendo sempre mentenere forze lineari possiamo per`o scegliere un potenziale di confinamento di questo tipo

W (x, y, s) = 1

2(ω0x(s))2x2 +1

2(ω0y(s))2y2 (1.97) in questo caso la forza di confinamento non `e pi`u radiale (ω0x 6= ω0y) e dipende da s. Il fascio che si ottiene in questo caso ha una sezione ellit- tica le cui dimensioni variano al variare di s (cio`e del tempo). Possiamo studiare in questo caso l’evoluzione dell’inviluppo del fascio ovvero come varia, in funzione di s, l’ampiezza massima delle oscillazioni trasverse che una particella pu`o compiere. Per ricavare l’equazione cui soddisfa l’inviluppo cominciamo con lo scrivere le equazioni del moto di una particella test dentro il fascio, nel caso (asimmetrico) che stiamo trattando l’hamiltoniana del problema `e

H= p2x+ p2y

2 +1

0x2 (s)x2+ 1

0y2 (s)y2+ ξ

2φˆs (1.98) dove ˆφs`e il potenziale, calcolato in cgs, generato da una distribuzione cilindrica di carica a sezione ellittica con semiassi Ax(s), Ay(s), allora







 d2x

ds2 = −ω0x2 (s)x + ξ 2Eˆx

d2y

ds2 = −ω0y2 (s)x + ξ 2Eˆy

(1.99)

(32)

dove 









x = −∂ ˆφs

∂x = 4x

Ax(s)(Ax(s) + Ay(s)) Eˆy = −∂ ˆφs

∂y = 4y

Ay(s)(Ax(s) + Ay(s))

(1.100)

possiamo quindi scrivere











 d2x ds2 = −



ω0x2 (s)x − 2

Ax(s)(Ax(s) + Ay(s))



x ≡ −ωx2(s)x

d2y ds2 = −



ω0y2 (s)x − 2

Ay(s)(Ax(s) + Ay(s))



y ≡ −ωy2(s)y (1.101) Cerchiamo una soluzione a queste equazioni del tipo Ax(s) exp(i(φx(s) + γx)), Ay(s) exp(i(φy(s) + γy)), in modo che





x(s) = Re(Ax(s) exp(i(φx(s) + γx))) y(s) = Re(Ay(s) exp(i(φy(s) + γy)))

(1.102)

Ax(s), Ay(s) sono proprio le ampiezze massime di oscillazione delle particelle test e descrivono quindi la forma dell’inviluppo del fas- cio. Lavoriamo con la componente x (con y il discorso `e analo- go) e sostituiamo l’espressione formale della soluzione scritta nella (1.101), dopo semplici passaggi algebrici e separando parte reale e parte immaginaria, otteniamo il seguente sistema







A00x− Axφ02x + ω2xAx = 0

2A0xφ0x+ Axφ00x = 0 ⇒ d(A2xφ0x) ds = 0

(1.103)

dalla seconda equazione abbiamo

A2xφ0x = cost = Cx (1.104) ricavando φ0x da quest’ultima ed inserendolo nella prima equazione del sistema otteniamo

A00x(s) − Cx2

A3x(s) + ωx(s)2Ax((s) = 0 (1.105)

(33)

ripetendo i calcoli per y otteniamo il seguente sistema di equazioni differenziali accoppiate











A00x(s) − Cx2

A3x(s) + ω20x(s)Ax(s) − 2ξ

Ax(s) + Ay(s) = 0

A00y(s) − Cy2

A3y(s) + ω0y2 (s)Ay(s) − 2ξ

Ax(s) + Ay(s) = 0

(1.106)

e si pu`o mostrare che le costanti Cx, Cy sono legate alle emittanze.

Il sistema (1.106) ammette diversi tipi di soluzione, a seconda anche delle caratteristiche delle funzioni ω0x, ω0y, in particolare se quest’ul- time sono periodiche ammette anche soluzioni periodiche; nel caso di costant focusing queste soluzioni periodiche divengono costanti e, come ben si sa, se facciamo l’ipotesi di simmetria del fascio

ω0x(s) = ω0y(s) = ω0 = cost (1.107) la soluzione dell’equazione di envelope descrive un cilindro indefinito a sezione circolare di raggio R (costante). L’equazione di envelope, oltre ad avere soluzioni periodiche, ammette anche soluzioni non periodiche (o mismatched ) che descrivono stati di non equilibrio. Per trovare questo tipo di soluzioni consideriamo una piccola perturbazione di una soluzione periodica e scriviamo la corrispondente equazione dif- ferenziale che la determina tenendo solo i termini al primo ordine nella perturbazione, quindi se Ax(s), Ay(s) `e una soluzione periodi- ca delle equazioni di envelope, consideriamo la soluzione perturbata Ax(s) + ηx(s), Ay(s) + ηy(s), sostituendo queste espressioni in (1.106) e facendo le dovute approsimazioni abbiamo





η00x+ k1ηx+ τ (ηx+ ηy) = 0 η00y + k2ηy + τ (ηx+ ηy) = 0

(1.108)

dove

k1 = ω20x+ 3ω2x k2 = ω0y2 + 3ωy2 (1.109) e

ω2x,y = ω0x,y2 − 2ξ

Ax,y(Ax+ Ay) τ = 2ξ

(Ax+ Ay)2 (1.110)

(34)

E’ possibile calcolare a questo punto i modi propri di vibrazione del sistema e, nel caso simmetrico con

ω0x = ω0y= ω0 ωx = ωy = ω Ax = Ay = R (1.111) otteniamo

k1 = ω02+ 3ω2 k2 = 2(ω02+ ω2) (1.112) i corrispondenti autovettori sono (1, −1) e (1, 1), quindi il primo modo di vibrazione corrisponde ad una deformazione del fascio in una ellisse i cui semiassi sono

R + η0cos(p

k1s) R − η0cos(p

k1s) (1.113) il secondo modo di vibrazione corrisponde invece ad un fascio pulsante con raggio

R + η0cos(p

k2s) (1.114)

1.8.2 La distribuzione di Maxwell-Boltzmann

La seconda distribuzione che presentiamo `e la distribuzione di Maxwell- Boltzmann autoconsistente, si scrive

ρ = ρ0e−H (1.115)

dove α = kBT

mvo2 `e un parametro legato alla temperatura trasversale del fascio e ρ0 `e la solita costante di normalizzazione. Abbiamo gi`a avu- to modo di dire che questa distribuzione `e importante perch´e se non trascuriamo gli effetti collisionali nella dinamica, come si fa nell’ap- prossimazione di Vlasov, allora la generica distribuzione che descrive il fascio si modifica al passare del tempo e ci aspettiamo che tenda a quella di equilibrio termodinamico che `e appunto la distribuzione di Maxwell-Boltzmann autoconsistente.

Procediamo con il calcolo delle grandezze che ci interessano, cominci- amo con la densit`a volumica di particelle

n(r) = N Z Z

ρ(r, px, py)dpxdpy =

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