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STUDIO SPERIMENTALE DELLO SCAMBIO TERMICO DURANTE EBOLLIZIONE IN UN MICROCANALE IN SILICIO

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA

Dipartimento di Ingegneria Industriale

Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Meccanica

Tesi di Laurea

STUDIO SPERIMENTALE DELLO SCAMBIO TERMICO

DURANTE EBOLLIZIONE IN UN MICROCANALE IN

SILICIO

Relatore

(2)
(3)

“Oh che meraviglia non aver mai visto e poi stupirsi vedendo; oh che meraviglia non conoscere e poi stupirsi conoscendo; che cosa stupenda lo stupore!”

(4)
(5)

v

SOMMARIO

La recente spinta alla miniaturizzazione dei sistemi di raffreddamento ha portato ad un crescente interesse verso la vaporizzazione convettiva entro microcanali. L’utilizzo di questi sistemi consenta di dissipare elevati flussi termici specifici, le loro caratteristiche di scambio termico in cambiamento di fase costituiscono un importante argomento di ricerca.

L’obiettivo di questo studio è quello di studiare lo scambio termico in un singolo microcanale in silicio. Il fluido utilizzato è il refrigerante R134a.

Dopo aver compiuto dei test preliminari in monofase, si è passati allo studio dell’innesco dell’ebollizione (ONB) e alla valutazione dei coefficienti di scambio termico in deflusso bifase. Questi ultimi saranno poi confrontati con alcuni modelli presenti in letteratura e sviluppati sia per canali convenzionali che per mini e microcanali.

I coefficienti di scambio termico misurati risultano dipendenti dal flusso termico mentre l’effetto della portata di massa specifica e del titolo di vapore può essere trascurato all’interno dei range analizzati.

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(7)

vii

INDICE

SOMMARIO ... v INDICE... vii NOMENCLATURA ... xi -1- INTRODUZIONE ... 13

1.1 Classificazione dei canali ... 15

-2- DESCRIZIONE DELL’APPARATO STRUMENTALE ... 17

2.1 Descrizione dell’impianto ... 17

2.2 Descrizione della sezione di misura e costruzione del microcanale ... 19

2.2.1 Assemblaggio della sezione di misura ... 29

2.2.2 Isolamento della sezione di misura ... 33

2.3 Strumenti di misura ... 39

2.4 Descrizione del sistema di acquisizione... 40

2.5 Calibrazione delle termocoppie ... 41

-3- TEST PRELIMINARI ... 45

3.1 Valutazione delle potenze termiche ... 45

3.1.1 Determinazione di PAMB ... 46

3.1.2 Determinazione di PIN/OUT ... 48

3.2 Bilanci termici ... 50

3.3 Corrispondenza p-T di saturazione ... 52

3.4 Post-calibrazione termocoppie di parete ... 53

-4- STUDIO DEL DEFLUSSO MONOFASE ... 61

4.1 Perdite di carico ... 61

4.1.1 Canali convenzionali ... 61

4.1.2 Moto laminare completamente sviluppato ... 63

4.1.3 Moto laminare non completamente sviluppato ... 63

4.1.4 Moto turbolento completamente sviluppato e non sviluppato ... 64

4.1.5 Perdite di carico in mini e microcanali. Stato dell’arte ... 65

4.1.6 Risultati sperimentali ... 71

4.2 Scambio termico ... 79

4.2.1 Scambio termico in canali convenzionali ... 79

4.2.2 Scambio termico in mini e microcanali. Stato dell’arte ... 81

4.2.3 Risultati sperimentali ... 83

(8)

viii -5- INNESCO DELL’EBOLLIZIONE ... 91 5.1 Introduzione ... 91 5.2 Metodi analitici ... 92 5.3 Stato dell’arte ... 99 5.4 Risultati sperimentali ... 103 5.4.1 Procedura ... 103 5.4.2 Riduzione dati ... 104 5.4.3 Risultati ... 105

5.5 Visualizzazioni con videocamera ad alta velocità ... 108

5.6 Conclusioni ... 110

-6- SCAMBIO TERMICO PER EBOLLIZIONE IN CONVEZIONE FORZATA ... 111

6.1 Canali convenzionali ... 111

6.2 Mini e Microcanali ... 114

6.3 Modelli per canali convenzionali ... 116

6.4 Modelli per mini e microcanali ... 119

-7- RISULTATI SPERIMENTALI SU CANALE LISCIO ... 123

7.1 Procedura sperimentale ... 123

7.2 Riduzione dati ... 124

7.3 Confronto nuovo/vecchio isolamento ... 126

7.4 Curve di ebollizione ... 128

7.4.1 Risultati per G=400 kg m-2 s-1 ... 129

7.4.2 Risultati per G=800 kg m-2 s-1 ... 132

7.4.3 Risultati per G=1200 kg m-2 s-1 ... 134

7.4.4 Risultati per G=1600 kg m-2 s-1 ... 136

7.5 Coefficienti di scambio termico ... 138

7.5.1 Risultati per G=400 kg m-2 s-1 ... 138

7.5.2 Risultati per G=800 kg m-2 s-1 ... 139

7.5.3 Risultati per G=1200 kg m-2 s-1 ... 139

7.5.4 Risultati per G=1600 kg m-2 s-1 ... 140

7.6 Effetto della portata di massa specifica G ... 141

7.7 Effetto del titolo di vapore x ... 142

7.8 Conclusioni ... 143

-8- CONFRONTO CON MODELLI ... 145

8.1 Risultati per G=400 kg m-2 s-1 ... 145

8.2 Risultati per G=800 kg m-2 s-1 ... 157

(9)

ix

8.4 Risultati per G=1600 kg m-2 s-1 ... 180

8.5 Applicabilità dei modelli ... 190

8.6 Conclusioni ... 193

-9- CONFRONTO CON ALTRI STUDI ... 195

9.1 Singolo microcanale ... 195

9.2 Evaporatori multicanale ... 203

-10- NUOVA SEZIONE SPERIMENTALE... 211

10.1 Costruzione della sezione sperimentale ... 211

10.2 Caratterizzazione secondo norma ISO 4287 ... 211

10.3 Termocoppie di parete ... 214

10.4 Test preliminari in monofase ... 215

-11- RISULTATI SPERIMENTALI SU CANALE RUGOSO ... 221

11.1 Curve di ebollizione ... 221

11.1.1 Risultati per G=800 kg m-2 s-1 ... 221

11.1.2 Risultati per G=1600 kg m-2 s-1 ... 225

11.2 Coefficienti di scambio termico ... 227

11.3 Confronto con canale liscio ... 228

(10)
(11)

xi

NOMENCLATURA

Ac area sezione trasversale [m2]

Aheat=6.12∙10-5 superficie di scambio [m2]

Bo=q/(λ∙G) numero di Bond

Co= [σ/(g∙( ρL- ρV)∙dh2)]0.5 numero di confinamento

cp calore specifico [J kg-1 K-1]

d diametro [m]

dh diametro idraulico [m]

dp caduta di pressione [bar]

F fattore moltiplicativo ebollizione convettiva

f fattore d’attrito

Fr=G2/(ρ

L2∙g∙dh) numero di Froude

G portata di massa specifica [kg m-2 s-1]

g=9.81 accelerazione di gravità [m/s2]

h entalpia specifica [J kg-1]

HTC coefficiente di scambio termico bifase [W m-2 K-1]

I intensità di corrente [A]

L lunghezza, posizione nel canale [m]

Le lunghezza di ingresso idrodinamico

Le,th lunghezza di sviluppo termico

M massa molare

portata di massa specifica [kg s-1]

MAE errore medio percentuale

Nu numero di Nusselt p pressione [bar] P potenza [W] Pb perimetro bagnato [m] Po numero di Poiseuille Pr=cp∙μ/λ numero di Prandtl

pr=p/psat pressione ridotta

q flusso termico specifico [W m-2]

R resistenza termica [m2 K W-1]

r raggio di bolla

r0 calore latente [J kg-1]

Re numero di Reynolds [-]

ReL=(1-x)∙G∙dh/μL numero di Reynolds liquido

ReLO=G∙dh /μL numero di Reynolds solo liquido

Rshunt=10.3097 resistenza elettrica calibrata [mΩ]

S fattore di soppressione ebollizione nucleata

(12)

xii

Simboli greci

α coefficiente di scambio termico [W m-2 K-1]

αc rapporto geometrico d’aspetto

γ fattore equazione Gnielinski

Δ differenza

ζ fattore d’attrito perdite concentrate

λ conducibilità termica [W m-1]

μ viscosità dinamica [Pa s]

σ tensione superficiale [N m-1]

τ sforzo di taglio [MPa]

Pedici

AMB, amb scambio con ambiente attraverso superficie inferiore

app apparente

c critico

CALC calcolato con modello

cb ebollizione convettiva

CH microcanale

CHF crisi termica

EL elettrica

f fluido in condizioni medie tra ingresso e uscita

FD completamente sviluppato

in ingresso

IN/OUT relativo ai tubi da 1/16” di ingresso uscita microcanale

L liquido

LAM laminare

max massimo

min minimo

MIS misurato sperimentalmente

MS sezione di misura

nb ebollizione nucleata

ONB innesco dell’ebollizione

out uscita ref refrigerante sat saturazione TC termocoppia th teorico tp bifase

tub tubi da 1/16” di ingresso uscita microcanale

V vapore

(13)

13

- CAPITOLO 1 -

INTRODUZIONE

Due tra gli attuali motori della ricerca nel campo della refrigerazione sono la sensibilizzazione del problema ambientale e la forte spinta alla miniaturizzazione dei sistemi. Oltre ad altre soluzioni proposte, quali la ricerca di nuovi refrigeranti e l’aumento dell’efficienza delle macchine, una risposta ai problemi suddetti deriva dalla progettazione e costruzione di canali con sezione trasversale sempre più piccola. Si sta passando perciò dai canali convenzionali (con diametro di 5 – 20 mm) a mini e microcanali, con diametri decrescenti fino all’ordine di 101 – 102 μm.

I mini – microcanali consentono di ottenere una forte riduzione della carica di refrigerante presente nella macchina, ragione per cui vengono sempre più utilizzati in applicazioni quali il condizionamento domestico e delle automobili. Oltre all’aspetto ambientale anche quello economico pende a favore dei canali di più piccolo diametro; infatti il rapporto tra la superficie in contatto con il refrigerante e l’ingombro dello scambiatore, aumenta al diminuire del diametro del canale. Questo si traduce in minori quantità di materiale adoperato e quindi in minori costi di fabbricazione.

Le loro dimensioni compatte offrono inoltre la possibilità di asportare elevati flussi termici specifici. In quest’ottica il loro utilizzo diventa particolarmente prezioso nel mondo dell’elettronica, per il raffreddamento di processori ma anche di altre parti che rischiano di danneggiarsi in caso di eccessivo surriscaldamento. Tuttavia, come sempre accade nelle applicazioni ingegneristiche, vi è un rovescio della medaglia: diminuendo la sezione di passaggio, infatti, aumentano le perdite di carico e quindi la reale convenienza dei canali di più piccolo diametro, deriva da un compromesso tra i vantaggi suddetti e le maggiori spese di pompaggio.

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14

Figura 1.1 Evoluzione cronologica del flusso termico prodotto da microprocessori Intel® [2] I sistemi di raffreddamento ad aria non consentono di dissipare gli elevati flussi termici richiesti, che potrebbero arrivare, tra qualche anno, ad essere dell’ordine dei 1000 kW m-2. In

questo scenario, la soluzione tecnologica più vantaggiosa è la costruzione di dissipatori all’interno dei quali viene fatto scorrere del fluido. L’acqua, a causa della sua elevata conducibilità elettrica, non può essere utilizzata come fluido operativo; per questo motivo i fluidi alogenati, come ad esempio l’R134a, sono tra i principali refrigeranti ad essere utilizzati. Il principale obiettivo del sistema di raffreddamento nei microprocessori è evitare che la temperatura della superficie diventi maggiore di un certo valore, al di sopra del quale esso non funzionerebbe più. Generalmente un deflusso in monofase liquido porta a dei coefficienti di scambio bassi, il che farebbe incrementare rapidamente la temperatura di parete del processore.

In quest’ottica, la vaporizzazione del fluido all’interno dei minicanali, diventa la soluzione migliore, anche grazie ad altri vantaggi intrinsechi. Facendo bollire il fluido, infatti, i coefficienti di scambio termico sono maggiori rispetto al caso monofase, il che consente di mantenere la parete del microprocessore ad una temperatura più bassa. Un altro grande vantaggio è che, a meno delle perdite di carico, la temperatura del fluido rimane costante durante il deflusso, garantendo perciò una temperatura uniforme su tutta la superficie. Inoltre, variando la pressione di saturazione del fluido, tale temperatura può essere regolata a piacimento.

Per questi motivi, risulta evidente come il mondo del raffreddamento nell’elettronica si stia spingendo alla costituzione di un vero e proprio ciclo frigo nel quale il dissipatore costituito da mini e microcanali, funge da evaporatore.

(15)

15 Uno dei principali motivi che caratterizza questa differenza, è il fatto che, ai diametri più piccoli, l’effetto della tensione superficiale è maggiore rispetto alla gravità; questo influenza i regimi di deflusso che si instaurano nel canale e quindi i meccanismi di scambio termico.

La vaporizzazione in mini e microcanali è stata studiata utilizzando diverse geometrie della sezione trasversale del condotto (circolare, rettangolare e trapezioidale sono tra le più utilizzate) e fluidi operativi; sono state compiute ricerche sia in canali singoli che in prototipi costituiti da più canali in parallelo.

I coefficienti di scambio ottenuti, seppur determinati in condizioni operative simili, mostrano trend differenti. Utilizzando i dati provenienti da 13 studi differenti, Thome [3] evidenziò otto diversi andamenti del coefficiente di scambio termico in funzione dei parametri di deflusso.

Figura 1.2 Diversi andamenti del coefficiente di scambio termico in mini e microcanali [3]

I motivi che influenzano tale discrepanza non sono ancora ben chiari, ma potrebbero risedere sia sulla particolarità dei fenomeni che avvengono dentro il canale, che sugli errori di misurazione che si compiono; infatti, poiché si ha a che fare con differenti ordini di grandezza rispetto alla macroscala, la misura dei parametri di interesse risulta notevolmente più difficile.

1.1 Classificazione dei canali

Dal momento che è assodata la differenza, in termini di deflusso bifase, tra i macro e i mini/microcanali è necessario capire quale sia il confine tra queste categorie di condotto, in maniera tale da muovere la progettazione verso un approccio piuttosto che un altro.

Il criterio di classificazione non è unico ma, nel corso degli anni, ne sono stati sviluppati alcuni. Qui di seguito vengono riportati quelli più significativi e di cui si fa maggior riferimento in letteratura.

Mehendale et al. [4] riportarono la seguente classificazione basata sul diametro idraulico: - Microcanali 1 μm ≤ dh ≤ 100 μm

(16)

16

- Canali compatti 1 mm ≤ dh ≤ 6 mm

- Canali convenzionali dh > 6 mm

Kandlikar [5] propose una classificazione differente, ma sempre basata sul diametro idraulico: - Microcanali 10 μm ≤ dh ≤ 200 μm

- Minicanali 200 μm ≤ dh ≤ 3 mm

- Canali convenzionali dh > 3 mm

Kew e Cornwell [6] proposero di distinguere i canali, e quindi i relativi modelli per predire il coefficiente di scambio termico, in base al numero di confinamento Co, definito come segue

𝐶𝑜 = 1 𝑑ℎ∙ √

𝜎 𝑔 ∙ (𝜌𝐿− 𝜌𝑉)

(1.1)

Il numero di confinamento Co è la radice quadrata dell’inverso del numero di Bond Bo, il quale è il rapporto tra la forza di gravità e di tensione superficiale.

Un numero di confinamento Co > 0.5 (Bo > 4), indica condizioni di deflusso riconducibili ai microcanali.

Nel caso dello studio sperimentale svolto in questa tesi, le prove di vaporizzazione vengono condotte ad una pressione di saturazione di Tsat=30°C. Introducendo le proprietà richieste

(17)

17

- CAPITOLO 2 -

DESCRIZIONE DELL’APPARATO STRUMENTALE

In questo capitolo verrà descritto l’apparato strumentale utilizzato durante le prove condotte per questa tesi. Nella prima parte del capitolo troverà spazio una descrizione generale dell’impianto, del deflusso del fluido e degli strumenti di misura adottati. Nella seconda parte invece verrà descritta in modo approfondito la sezione di misura: partendo dalla sua costruzione si arriverà a descriverne l’assemblaggio e l’isolamento. Gli ultimi paragrafi sono dedicati al sistema di acquisizione utilizzato e a cenni sulla calibrazione degli strumenti di misura.

2.1 Descrizione dell’impianto

L’apparato sperimentale utilizzato viene raffigurato in Figura 2.1.

Figura 2.1 Schema dell’apparato sperimentale

(18)

18

sottrarre calore al primario. Le condotte entro le quali fluisce il refrigerante sono tutte in acciaio inox eccetto per il microcanale che è in silicio. Nell’impianto sperimentale è presente un’ulteriore circuito: quello elettrico. Quest’ultimo permette di fornire potenza elettrica, convertita poi in potenza termica per effetto Joule, alla sezione di misura.

Il refrigerante viene mosso da una pompa ad ingranaggi ISMATEC ISM-405 e fatto fluire attraverso un misuratore di portata ad effetto Coriolis (CFM). Da qui attraversa la valvola di laminazione (TV2) e un filtro meccanico (MF) prima di giungere alla presezione (PS). La presezione è uno scambiatore tubo in tubo, dove da un lato scorre il refrigerante, mentre dall’altro fluisce, in controcorrente, dell’acqua distillata proveniente dal bagno termostatato Lauda mod. ProLine RP1845. Dalla PS il refrigerante esce e va alla sezione di misura (MS); regolando il bagno Lauda è possibile ottenere la temperatura desiderata del refrigerante all’ingresso della MS.

Durante i test di ebollizione, il fluido viene fatto evaporare nella sezione di misura. Il calore necessario all’evaporazione viene fornito per effetto Joule dalla resistenza di platino applicata sulla parete inferiore del microcanale. Il compito di alimentare la resistenza è demandato a due generatori di tensione posti in serie: il primo (V1) è un alimentatore ALN mod. 20-20 (0-20 V) mentre il secondo (V2) è un alimentatore MICROSET mod. PD105a (0-15V).

Dopo l’evaporazione, e l’uscita dalla sezione di misura, il fluido viene fatto condensare in un post-condensatore: esso è uno scambiatore tubo in tubo, dove in controcorrente viene fatta scorrere dell’acqua distillata proveniente dal bagno termostatato ThermoHaake mod. CT50W. Dopo la condensazione il refrigerante viene fatto fluire attraverso un filtro disidratatore (FD) prima di essere nuovamente aspirato dalla pompa.

La pressione del circuito primario è regolata da un vaso di espansione, pressurizzato esternamente con azoto. La variazione della pressione mediante il vaso di espansione permette di realizzare una gamma di condizioni operative termodinamicamente differenti.

Come accennato, nel circuito secondario della presezione fluisce dell’acqua distillata proveniente da un bagno Lauda mod. ProLine RP1845. La portata d’acqua viene regolata con una valvola a spillo per regolazione fine, mentre la sua misura è affidata ad un flussometro ad effetto Coriolis. La temperatura di set point del bagno Lauda viene scelta dall’operatore e, una volta raggiunta, viene mantenuta entro un intervallo di ±0.01°C.

La temperatura dell’acqua in ingresso alla PS viene misurata da una termocoppia in rame-costantana, mentre la differenza di temperatura dell’acqua tra ingresso e uscita viene determinata con una termopila rame-costantana a 3 giunzioni.

(19)

19 formazione locale di vapore, dovuta alla presenza di eventuali hotspot, il quale intaccherebbe il funzionamento della pompa nonché la stabilità del deflusso stesso.

Figura 2.2 Bagno termostatato Lauda (sinistra) e ThermoHaake (destra)

2.2

Descrizione della sezione di misura e costruzione del microcanale

La sezione di misura è composta dal microcanale vero e proprio e da una serie di condotti ausiliari necessari all’adduzione e al disimpegno del refrigerante. Essa può essere schematizzata in Figura 2.3, nella quale si riconoscono: i pozzetti di temperatura di ingresso (1) e uscita (7) con i relativi raccordi a T Swagelok da 6 mm; inoltre si vedono i raccordi a T Swagelok da 1/16” (2 e 6). Si hanno poi i tubi da 1/16” di ingresso (3) e di uscita (5) oltre al microcanale (4), vero cuore della sezione di misura e della cui costituzione si parlerà in seguito.

(20)

20

Figura 2.4 Schematizzazione della maschera in PVC per l’assemblaggio e supporto della sezione di misura con relativi componenti. Ganasce grandi (1), ganasce piccole (2) e base (3). Si riconosce anche la sede

per il microcanale (4)

La sezione di misura è montata in un sostegno in PVC, schematizzato in Figura 2.4. Quest’ultimo ha una triplice funzione: facilitare l’assemblamento dei vari componenti della sezione di misura, fornire un supporto stabile all’assemblato finale e garantirne il montaggio nell’impianto. Nelle ganasce piccole (2) e in quelle grandi (1) il bloccaggio avviene con dei bulloni, i quali non vengono riportati in Figura 2.4 per chiarezza espositiva. Sempre per questo motivo si è scelto di non rappresentare in un'unica figura la dima e la sezione di misura.

Come si vede in Figura 2.3, la sezione sperimentale gode di simmetria rispetto al piano medio verticale, sicchè la sua costituzione all’uscita ricalca esattamente quanto avviene all’ingresso. Quando raggiunge la sezione di misura, il refrigerante fluisce all’interno del pozzetto di temperatura (1) il quale ha una duplice funzione: permettere l’allogiamento di una termocoppia in inox in grado di misurare la temperatura in ingresso del refrigerante e variare il diametro della sezione di passaggio, che passa da 6 mm a monte a 1/16” a valle. Il pozzetto di temperatura viene mostrato in dettaglio nella figura seguente.

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21

Figura 2.5 Viste e sezione del pozzetto di temperatura

Una volta lasciato il pozzetto di temperatura il fluido incontra il raccorda a T Swagelok da 1/16” (2). Questo raccordo a T permette l’inserimento di un terzo tubo da 1/16”. Quest’ultimo tubo viene collegato ad un trasduttore di pressione e consente la misurazione della pressione del refrigerante in ingresso. A valle del raccordo a T (2) il fluido entra nel microcanale (4) fluendo attraverso un tubo da 1/16” (3) che impone una variazione nella direzione del deflusso; tale tubo è saldato al prototipo con modalità che verranno in seguito descritte. Data la costruzione del microcanale, prima di poter scorrere all’interno di esso, il fluido compie un’ulteriore brusca deviazione a 90°.

Dopo avere attraversato il microcanale in silicio, il refrigerante esce ed abbandona la sezione di misura fluendo attraverso dei componenti uguali a quelli introdotti e descritti per il suo ingresso.

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Figura 2.6 Componenti del microcanale: Microcanale in silicio (1), Copertura in vetro borosilicato (2), Ti/Ni/Au (50/350/100 nm) (3), Heater Ti/Pt (20/200 nm) (4), Pad Ti/Ni/Au (50/350/100 nm) (5)

La costruzione del microcanale inizia da un wafer in silicio avente spessore 525 μm, diametro di 4” e orientazione del reticolo cristallino <100>. Allo stato di fornitura dell’azienda, il wafer risulta lucidato da un solo lato, questo perchè in molti processi di microfabbricazione è richiesta la lavorazione di una sola faccia. Nella nostra applicazione, invece, sono richieste lavorazioni su entrambe le facce del wafer. Per tale motivo il primo step necessario è la lucidatura della seconda faccia mediante Chemical-Mechanical Polishing (CMP). Tale operazione riduce lo spessore del wafer da 525 a 500 μm.

Figura 2.7 Aspetto del wafer in silicio dopo CMP

Dopo l’operazione di lucidatura, sulle due superfici del wafer viene depositato uno strato di diossido di silico (SiO2) dello spessore di 2 μm. Tale operazione viene chiamata ossidazione

termica. Il diossido di silicio isola e protegge il silicio sottostante nelle successive operazioni di fabbricazione, oltre a venire utilizzato come maschera per il trasferimento dei diversi pattern sul wafer. Il silicio, come accade per l’alluminio e il rame, è soggetto a ossidazione se lasciato in atmosfera; tuttavia, l’ossido passivante che si forma naturalmente, non è adatto alla microfabbricazione per due principali motivi: lo spessore che si ottiene, in tempi ragionevoli di esposizione all’atmosfera, non è sufficiente a garantire un’adeguata protezione; inoltre esso non è SiO2 in condizioni stechiometriche, dunque non è chimicamente stabile. Proprio per

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23

Figura 2.8 Wafer di silicio dopo ossidazione termica

Dopo l’applicazione del diossido di silicio si passa alla fotolitografia, la quale consente il traferimento di un’immagine da una maschera alla superficie del wafer, proprio come accade in una comune macchina fotografica dove la luce viene impressa nella pellicola fotografica, mostrando così l’immagine inquadrata.

L’intero processo di fotolitografia può essere scomposto in quattro principali operazioni: a) applicazione del film fotosensibile (resist) sulla superficie del wafer;

b) allineamento maschera-wafer;

c) esposizione del film fotoresistente alla luce UV; d) rimozione del resist esposto

a cui segue poi

e) rimozione del substrato di SiO2.

Il risultato dopo ciascuna operazione viene visualizzato in Figura 2.9.

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24

Prima di applicare il film fotoresistente la superficie che lo accoglie deve essere preparata. Per fare ciò viene prima lavata accuratamente con perossido di idrogeno, poi riscaldata a circa 150°C per rimuovere l’umidità. Per evitare la formazione di condensa viene applicato uno strato sottile di HDMS (Hexamethyldisilazane) allo stato gassoso, il quale reagendo con il diossido di silicio rende la superficie idrofobica e permette l’evacuazione dell’eventuale condensa formatasi. Quest’ultima operazione garantirà inoltre una migliore adesione del film fotosensibile.

La deposizione del film fotosensibile sulla superficie del wafer viene compiuta mediante spin

coating. Alcuni millilitri di resist, posti in soluzione con un solvente che ne regola la viscosità,

vengono applicati sulla superficie del wafer, il quale viene successivamente posto in rotazione a ca. 5000 rpm; questo permette una distribuzione continua e uniforme del film fotosensibile sulla superficie. Per la rimozione del solvente, il wafer viene posto in forno a T=60°C-90°C per mezz’ora permettendone così l’evaporazione. Nel nostro caso lo spessore finale del film fotoresistente è di 2 μm.

Dopo l’applicazione del film si passa ad allineare la maschera e il wafer, in modo tale da garantire il trasferimento esatto dell’immagine.

Successivamente il film fotoresistente viene esposto a luce UV. L’esposizione però non è totale ma localizzata, poiché prima di giungere al film, la luce UV attraversa una lente, la cosidetta maschera, sulla quale è riportata la geometria, al negativo, di ciò che si vuole ottenere sulla superficie del wafer.

Il film fotoresistente esposto alla luce UV subisce un cambiamento chimico e può essere rimosso mediante l’applicazione di un cosidetto photolitography developer. Il risultato che si ottiene è il positivo dell’immagine della maschera, riportata sulla superficie di diossido di silicio. Nel nostro caso l’immagine positiva è data dal canale e il risultato viene schematizzato in Figura 2.10 dove si nota il film fotoresistente rimasto e quello mancante poiché rimosso.

Figura 2.10 Wafer di silicio dopo rimozione del film fotoresistente esposto

L’ossido esposto, non protetto dal film fotoresistente può essere rimosso mediante etching al plasma (plasma etching) che avviene utilizzando C4F8 ionizzato prodotto in scariche a bassa

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Figura 2.11 Plasma etching per rimozione di SiO2

Successivamente eventuali tracce di film fotoresistente vengono rimosse mediante due successive operazioni: un plasma di ossigeno e, successivamente, un bagno in un liquido ausiliario (liquid stripper) il quale altera le proprietà del foresistente e ne permette il distacco dal substrato di SiO2. Il risultato dopo queste due operazione viene mostrato in Figura 2.12.

Figura 2.12 Wafer dopo l’intero processo di fotolitografia

A queso punto il wafer è pronto per la fase successiva, la quale consiste nello “scavo” dei canali nel silicio. Tale operazione viene fatta per plasma etching utilizzando SF6. L’utilizzo del

plasma, e l’orientamento del reticolo cristallino del silicio, consentono di ottenere pareti verticali perpendicolari. La schematizzazione del processo ricalca quanto visto in Figura 2.11 dove a “difesa” del subsrato di silicio vi è ora l’ossido (SiO2) non rimosso nella fase

precedente.

L’esposizione al plasma si potrae fintantochè viene raggiunta la profondità di 400 μm. Il risultato viene schematizzato in Figura 2.13.

Figura 2.13 Sezione del wafer a seguito dell’incisione della costruzione dei canali

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etching fino a lasciare 50 – 100 nm di SiO2 e poi in un bagno detto BOE (Buffered Oxide

Etching). L’operazione di rimozione non può essere fatta solo con plasma etching altrimenti ne risulterebbe una superficie ruvida e non adatta alle successive fasi di bonding anodico.

Figura 2.14 Wafer dopo la rimozione del SiO2 dalla superficie superiore

La copertura del microcanale è costituita da un wafer in vetro borosilicato (commercialmente detto anche vetro pyrex) avente spessore pari a 525 μm. In esso vengono ricavati due fori per ciascun canale. I fori vengono creati mediante foratura con punta diamantata e presentano un diametro pari a 1.6 mm con interasse di 51 mm.

Successivamente, i due wafer vengono uniti attraverso legame anodico (anoding bonding). Prima di passare all’ bonding, il wafer di silicio viene accuratamente pulito immergendolo in un bagno contenente una miscela di acido solforico e perossido di idrogeno (acqua ossigenata). Il mix dei due componenti è 4 mol di H2SO4 e 1 mol di H2O2, che corrisponde al

92% in massa di acido solforico. Questo metodo di lavaggio viene comunemente chiamato

piranha cleaning, per il caratteristico rumore che si genera dopo l’immersione del wafer nel

bagno.

Dopo la pulizia le due superfici sono pronte per essere unite. Il processo di bonding anodico viene schematizzato in Figura 2.15.

Figura 2.15 Legame anodico tra i wafer di silicio e di pyrex

Quando la temperatura del vetro supera i 400 °C l’ossido di sodio in esso contenuto, si decompone in ioni Na+ e ioni O2-. Applicando una differenza di potenziale lungo il wafer si

ha la migrazione degli ioni Na+ verso la parte superiore di esso. Questo spostamento crea

(27)

27 e fornendo una tensione; altro incipit fondamentale è l’applicazione di una pressione per avviare la diffusione degli ioni all’intefaccia.

Figura 2.16 Wafer di silicio e vetro dopo legame anodico

Per completare la parte superiore è necessaria la deposizione di tre strati metallici di Ti/Ni/Au in una zona circostante ai due fori praticati nel pyrex. I tre strati vengono depositati mediante un pocesso chiamato sputtering. Del metallo, allo stato solido, viene bombardato con ioni inerti (Argon) ad alta energia. Il risultato del bombardamento è che atomi individuali o gruppi di atomi sono rimossi dalla superficie e spinti verso il wafer. Affinchè la deposizione sia confinata alle zone di interesse e sia omogenea si utilizza una mashera fissa che, proprio come accade nella litografia, limiti il passaggio degli atomi di metallo.

Figura 2.17 Processo di deposizione degli strati metallici (sputtering)

Il primo strato a contatto con il vetro è composto da titanio ed ha uno spessore di 50 nm. Il titanio ha lo scopo di migliorare l’adesione dei successivi strati. Sopra di esso si trovano 350 nm di nichel, metallo che garantirà la saldatura tra i tubi da 1/16” di ingresso e uscita del refrigerante e il microcanale stesso. Come ultimo layer viene depositato uno strato di oro di spessore 100 nm; esso fungerà da flussante nelle fasi successsive di assemblaggio della sezione di misura.

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substrato in tutte le operazioni fino a qui svolte, tuttavia ora la sua presenza non è più necessaria. Dopo la rimozione dello strato di ossido il wafer si presenta come in Figura 2.18.

Figura 2.18 Wafer pronto per la costruzione degli heater

Mediante il processo di fotolitografia visto prima, nella superficie inferiore del wafer, viene creata l’immagine negativa degli heater. In sostanza il silicio è completamente ricoperto dal film fotoresistente eccetto nelle zone dove alloggeranno gli heater. Il risultato di questa litografia viene illustrato in Figura 2.19.

Figura 2.19 Disposizione del resist nella superficie inferiore

Successivamente vengono depositati, mediante sputtering, due strati di metallo: il primo è di titanio mentre il secondo è di platino, con spessore di 20 nm e 200 nm rispettivamente. Dopo la deposizione dei due strati la conformazione del wafer può essere schematizzata come in Figura 2.20.

Figura 2.20 Deposizione di titanio e platino (20/200 nm)

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Figura 2.21 Wafer con heater

L’intero processo per la costruzione degli heater, riassunto da Figura 2.19 a Figura 2.21 viene anche detto lift-off.

Alle due estremità di ciascun heater vengono depositati tre strati di metalli diverso: titanio, nichel e oro con spessore di 50, 350 e 100 nm rispettivamente; il processo di deposizione avviene mediante sputtering e utilizzo di una maschera che funge da guida come illustrato in Figura 2.17. La presenza di questi tre strati agevolerà la saldatura dei cavi elettrici all’heater.

Figura 2.22 Deposizione di Ti/Ni/Au (50/350/100 nm) alle estremità degli heater

A questo punto il wafer viene tagliato mediante una speciale lama rotante per ricavarne 9 microcanali separati. La macchina che esegue l’operazione di taglio si chiama Automatic Dicing Saw.

2.2.1 Assemblaggio della sezione di misura

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Figura 2.23 Componenti della sezione di misura

La prima operazione di assemblaggio della sezione di misura prevede la saldatura dei tubi (3 e 5) al microcanale (4).

Due segmenti di tubo da 1/16” vengono tagliati, sagomati e ogivati ad una delle due estremità. L’ogivatura non è eseguita in modo standard, ma avviene utilizzando due materiali diversi: acciaio per l’ogiva e ottone per la controgiva. Questo accorgimento permetterà di ottenere una migliore saldatura tra tubo e microcanale. Il risultato finale dell’operazione di ogivatura viene illustrato in Figura 2.24.

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31 L’unione tra i tubi da 1/16” e il microcanale avviene per saldobrasatura a stagno. La deposizione dei strati di titanio, nichel e cromo attorno ai fori nel pyrex, garantisce la buona riuscita della saldatura. Il risultato viene illustrato in Figura 2.25.

Figura 2.25 Tubo da 1/16” saldato con stagno al microcanale e ricoperto di colla

Per la saldatura, il prototipo (4) viene inserito nell’apposita sede sulla dima in PVC; nell’apposito foro praticato sul vetro, si inserisce il tubo da 1/16”, il quale viene poi mantenuto in posizione avvitandolo nel raccordo a T (2). Durante la fase precedente, abbiamo lasciato che il tubo da 1/16” sporgesse di 1 – 2 mm dall’ogiva (Figura 2.24), in modo che ora possa autocentrarsi nel foro sul pyrex. Il raccordo a T (2) viene fissato nell’apposita ganasca piccola della dima in PVC.

Una volta che tutto è in posizione, si procede alla saldatura del tubo da 1/16” sul microcanale. Durante l’operazione, in (4) viene fatto scorrere azoto in pressione: in questo modo si evita che dello stagno fuso entri all’interno del condotto. La pressione dell’azoto insufflato è di 3 bar; una pressione maggiore provocherebbe lo spargimento dello stagno fuso e quindi una saldatura non ottimale. Dopo aver completato l’unione, la zona unita e l’intera parte ogivata scoperta, vengono cosparse di colla Araldite 20/20 per ottenere una perfetta tenuta.

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L’operazione successiva che si compie è l’incollaggio delle termocoppie di parete e la saldatura dei cavi elettrici di alimentazione all’heater del microcanale. Per fare questo l’assemblato ottenuto nelle fasi precedenti viene innanzitutto smontato dal sostegno in PVC. Le termocoppie vengono incollate una ad una all’heater mediante colla epossidica (Araldite 20/11). Durante la polimerizzazione della colla (ca. 1h) esse vengono mantenute in posizione mediante l’ausilio di un supporto snodabile dotato di pinza, comunemente detto terzo dito. Una volta incollate tutte le termocoppie si lascia ad asciugare per una notte.

I due elettrodi vengono saldati con stagno in corrispondenza delle due pad, alle estremità dell’heater.

Il risultato dell’assemblato viene visualizzato in Figura 2.26.

Figura 2.26 Sezione sperimentale pronta per il montaggio

L’assieme viene ora rimontato sulla maschera in PVC. Si fanno passare i cavi elettrici e i fili delle termocoppie attraverso l’apertura rettangolare e quindi si incastra il microcanale nell’apposita sede. Vengono posizionati i raccordi a T da 1/16” (2 e 6) nelle ganasce piccole mentre nei tubi da 1/16” (3 e 5) si inserisce il dado e l’ogiva in teflon; una volta fatte queste due operazioni si provvede ad avvitare il dado, con l’ogiva al suo interno, sul relativo raccordo a T da 1/16”. E’ fondamentale, in questa fase, assicurarsi che il tubo curvo da 1/16” arrivi in battuta nel raccordo a T, garantendo così un perfetto accoppiamento.

Successivamente, sempre con la basetta in PVC sul tavolo, vengono inseriti i due pozzetti di temperatura (1 e 7) posizionando i raccordi a T da 6 mm nelle ganasce grandi. Il pozzetto di temperatura viene fissato avvitando il dado nel corrispondente raccordo a T da 1/16” (2 e 6); per quest’ultimo accoppiamento viene utilizzata un’ogiva in teflon.

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33 infine le termocoppie in acciaio inox nei pozzetti di temperatura. Ultimata questa fase si innestano i tubi da 1/16” (10 e 11) nei raccordi a T (2 e 6) che mettono in comunicazione la sezione di misura con i trasduttori di pressione e si avvitano i corrispondenti dadi.

Per la rimozione della sezione di misura dall’impianto si segue innanzitutto la procedura per il recupero del refrigerante, successivamente vengono chiuse le valvole di ingresso e uscita e si ripercorrono, in senso inverso, le operazioni di montaggio.

2.2.2 Isolamento della sezione di misura

Al fine di limitare le dispersioni termiche nel microcanale e nei tratti di adduzione e disimpegno del refrigerante è necessario provvedere ad isolare la sezione di misura.

I pozzetti di temperatura vengono isolanti mediante dei cilindri cavi in armaflex tagliati a misura e sagomati. Uguale soluzione viene adottata per i tubi da 6 mm di ingresso e uscita del refrigerante. Il risultato viene visualizzato in Figura 2.27.

Figura 2.27 Isolamento dei tubi di adduzione e uscita del refrigerante, dei pozzetti di temperatura e delle prese di pressione

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2.2.2.1 Vecchio isolamento

La prima configurazione di isolamento pensata per il microcanale, consiste in una lastra rettangolare di armaflex di dimensioni 100 x 50 x 5 mm appoggiata sopra il vetro. Nei due lati corti della lastra vengono eseguiti due intagli in maniera tale che essa si possa incastrare tra i due tubi da 1/16”. I due tubi da 1/16” vengono isolati sagomando ad hoc dei blocchetti di armaflex. Nella parete inferiore, l’isolamento consiste in tre pezzi di armaflex adesivo.

2.2.2.2 Nuovo isolamento

A causa di alcuni problemi riscontrati durante il lavoro di questa tesi, di cui si discuterà più avanti, è stato necessario passare ad una nuova configurazione dell’isolamento della sezione di misura.

Innanzitutto la cava presente nella superficie inferiore della dima in PVC viene completamente riempita di isolante. Per evitare scivolamenti verso il basso dello stesso, si apllica del nastro isolante come si vede in Figura 2.28.

Figura 2.28 Applicazione del nastro adesivo isolante per evitare scivolamenti dell’isolante contenuto nella cava del PVC

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Figura 2.29 Applicazione del nastro biadesivo sulla dima in PVC

Figura 2.30 Primo strato inferiore di isolante e applicazione del nastro biadesivo per il secondo strato di isolante

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Dopo aver concluso la parte inferiore, si ritagliano due lastre rettangolari di isolante avente spessore 5 mm. Le due sagome vengono incollate alla superficie superiore della dima in PVC utilizzando del nastro biadesivo. Il risultato di tale operazione viene mostrato in Figura 2.32.

Figura 2.32 Isolamento della parte superiore della sezione di misura.

Come si vede in Figura 2.32, la zona circostante al microcanale non viene inglobata in quest’ultimo isolamento. Per isolare la parte superiore del microcanale si usa una lastra rettangolare di armaflex di spessore 5 mm, la quale dopo essere sagomata ed intagliata per alloggiare i tubi di ingresso e uscita del refrigerante, viene adagiata e incastrata nella sede precedentemente ricavata. Un isolamento mobile offre la possibilità di effettuare visualizzazioni con la videocamera ad alta velocità.

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Figura 2.33 Risultato dopo l’applicazione del secondo strato superiore

Dei ritagli rettangolari di armaflex dello spessore di 5 mm vengono incollati tra loro a formare due blocchetti identici che servono ad isolare i tubi di ingresso e di uscita rimasti scoperti, come visibile in Figura 2.33. I blocchetti non vengono incollati agli strato superiori per facilitare il disassemblaggio dell’isolante. Dopo il piazzamento dei blocchetti la parte superiore della sezione di misura si presenta come in Figura 2.34.

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Nelle superfici verticali degli strati inferiori si applicano delle strisce laterali di nastro biadesivo che serviranno successivamente per incollare le coperture laterali. La copertura laterale avviene con lastre rettangolari di armaflex dello spessore di 5 mm. L’incollaggio di esse avviene esclusivamente sugli strati inferiori per non precludere la possibilità di rimozione di quelli superiori in fase di visualizzazione con telecamera ad alta velocità.

Figura 2.35 Applicazione del nastro biadesivo per l’incollaggio delle coperture laterali

Figura 2.36 Sezione di misura dopo l’incollaggio delle coperture laterali

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Figura 2.37 Configurazione finale della sezione di misura con il nuovo isolamento

2.3 Strumenti di misura

In questo paragrafo vengono elencati, e brevemente descritti, gli strumenti di misura adottati durante lo studio sperimentale svolto.

Per misurare la portata di massa specifica di refrigerante circolante nell’impianto viene utilizzato un misuratore di portata ad effetto Coriolis.

Per le misure di temperatura sia in presezione che nella sezione di misura, vengono utilizzate delle termocoppie. Concentrandoci sulla sezione di misura, per la determinazione della temperatura di ingresso e di uscita del refrigerante si usano due termocoppie di tipo K (in acciaio inox), mentre per la misura della temperatura di parete si utilizzano due termocoppie di tipo T (rame-costantana).

La misurazione di pressione del refrigerante all’ingresso del microcanale è affidata ad un trasduttore di pressione relativo Rosemount in grado di misurare fino a 50 bar. Il trasduttore è collegato alla presa di pressione posta localmente sulla sezione di misura attraverso un tubo da 1/16”.

La presa di pressione in ingresso, e quella di uscita, vengono collegate a due trasduttori differenziali di pressione Rosemount posti in parallelo. Il primo permette di misurare una perdita di pressione fino a 1 bar con risoluzione di 0.01 bar; il secondo invece ha una portata di 0.01 bar con risoluzione di 0.1 mbar.

Per le prove di ebollizione si fornisce una potenza elettrica, convertita poi in termica per effetto Joule, alla sezione di misura. Come è noto la potenza elettrica è il prodotto tra la differenza di potenziale e l’intensità di corrente circolante. La misura della tensione viene affidata direttamente al sistema di acquisizione, mentre per l’intensità di corrente, la si calcola dalla misura della differenza di potenziale ai capi di una resistenza calibrata (shunt resistance Rshunt=10.3097 mΩ). Quest’ultima permette di trasformare il segnale di corrente in uno di

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2.4 Descrizione del sistema di acquisizione

Si vuole ora descrivere il sistema di acquisizione il quale consente di tradurre i segnali elettrici (tensione) generati dagli strumenti di misura visti nel paragrafo precedente, in valori numerici visibili a monitor e salvabili in un file di testo.

Figura 2.38 Flow chart per l’ottenimento dei risultati sperimentali

In Figura 2.39 viene riportato lo schema della sezione di misura con indicati i dati di output dell’acquisizione. Tali dati verranno poi elaborati per ottenere i risultati sperimentali: la parte di riduzione dati verrà curata più avanti nel testo.

Figura 2.39 Grandezze fisiche rilevate e posizionamento di esse nella sezione di misura

Le grandezze fisiche di nostro interesse, e rilevate dal sistema di acquisizione sono: - Temperatura del refrigerante in ingresso alla MS (Tin);

- Temperatura del refrigerante in uscita MS (Tout); - Pressione del refrigerante all’ingresso della MS (pinMS); - Differenza di pressione tra ingresso e uscita (dpMIS); - Temperature di parete (Tw i-esima);

- Tensione applicata ai capi della resistenza in platino (V); - Intensità di corrente circolante (I);

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41 Il sistema di acquisizione in dotazione al laboratorio è composto principalmente dai seguenti elementi: due componenti hardware, ovvero una scheda di acquisizione e un PC, e il software LabVIEW.

Il software LabVIEW consente di visualizzare a monitor le grandezze misurate. Esso permette inoltre di compiere operazioni booleane tra di esse, nonché il collegamento istantaneo con RefProp, offrendo così la possibilità di una prima, grezza, elaborazione dati e di avere un maggior controllo sull’impianto. Un altro aspetto pratico di LabVIEW è la visualizzazione a monitor dell’andamento temporale delle variabili misurate. In questo modo risulta facile individuare il sopraggiungimento delle condizioni di stabilità dell’impianto. L’acquisizione dei dati dura 50 secondi, durante i quali il software registra altrettanti valori di ciascuna grandezza. In output, LabVIEW restituisce tre file dati composti da una matrice di numeri, in cui ciascuna colonna corrisponde ad una grandezza misurata. Due di questi file contengono rispettivamente il valore medio e la deviazione standard di ciascuna variabile; il terzo, invece, riporta tutti i 50 valori registrati ad ogni acquisizione.

Poiché l’acquisizione viene fatta in condizioni stabili, i valori medi sono quelli più significativi e verranno usati in fase di riduzione dati.

2.5 Calibrazione delle termocoppie

Prima di procedere con l’acquisizione dei dati sperimentali e con l’assemblaggio della sezione di misura, viene svolta la calibrazione di tutte le termocoppie utilizzate.

Per la calibrazione viene utilizzato un pozzetto di temperatura, il quale viene schematizzato in Figura 2.40.

Nella cavità esterna scorre dell’acqua distillata proveniente dal bagno termostatato Lauda, mentre in quella interna vi è dell’acqua in quiete.

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Figura 2.40 Schematizzazione del pozzetto per la calibrazione delle termocoppie utilizzate

Denominando T* la temperatura misurata dal super termometro, e TTC quella misurata dalla termocoppia in esame, possiamo scrivere la seguente uguaglianza

𝑇∗= 𝑇

𝑇𝐶+ (𝑇∗− 𝑇𝑇𝐶) (2.1)

I risultati della calibrazione vengono plottati in un grafico come quelli riportati in Figura 2.41. In ascissa si riporta la temperatura misurata dalla termocoppia da tarare, mentre in ordinata vi è la differenza di temperatura tra la misura del super termometro e quella della termocoppia (T*-T

TC).

Per ciascuna termocoppia i risultati vengono interpolati con una retta, perciò la correzione sarà una funzione lineare.

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Figura 2.41 Calibrazione delle termocoppie per canale liscio

Termocoppia Blocco LabVIEW

Inox, ingresso refrigerante y=x+(-0.0037*x+0.1674) Inox, uscita refrigerante y=x+(0.0012*x+0.0292)

Tipo T, parete 1 y=x+(0.0016*x+0.0322)

Tipo T, parete 2 y=x+(0.002*x-0.0827)

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- CAPITOLO 3 -

TEST PRELIMINARI

Nella prima parte di questo capitolo verrà esposto il modello considerato per la valutazione dei flussi termici scambiati tra la sezione di misura e l’ambiente esterno. Saranno dunque descritte le ipotesi fatte e i test condotti per determinare ciascuna potenza termica scambiata. Nei paragrafi successivi saranno curati, invece, i test preliminari eseguiti per validare le misurazioni effettuate, e confermare sperimentalmente i flussi termici prima supposti. Seguirà infine un’ultima sezione nella quale si ricaverà una correlazione in grado di correggere a posteriori la misura delle termocoppie di parete, consentendo una migliore stima della temperatura di parete stessa.

3.1 Valutazione delle potenze termiche

Considerata la geometria della sezione di misura illustrata nel precedente capitolo, si ipotizza la presenza dei flussi termici schematizzati in Figura 3.1.

Figura 3.1 Potenze termiche considerate nella sezione di misura

Per convenzione, la potenza termica (o flusso termico) è considerata positiva, se è entrante nella sezione di misura, ovvero assorbita dal fluido.

Si indica con PEL la potenza elettrica fornita all’heater del microcanale. Si ipotizza che la trasformazione da potenza elettrica a termica per effetto Joule avvenga con rendimento unitario.

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46

temperatura tra la temperatura media di parete e la temperatura ambiente, nonché delle condizioni di isolamento adottate.

Come mostrato in Figura 3.1 si considera inoltre, la potenza termica PIN/OUT la quale viene assorbita dalla sezione attraverso i tubi da 1/16” di ingresso e di uscita del refrigerante. Per ipotesi, tale flusso termico è dipendente dalla differenza di temperatura tra la temperatura media del fluido tra ingresso e uscita e la temperatura ambiente. Si ipotizza inoltre che il valore di PIN/OUT dipenda dalle condizioni di isolamento.

Detta P la potenza termica globale assorbita dal prototipo, essa può essere calcolata come riportato in Eq. 3.1

𝑃 = 𝑃𝐸𝐿+ 𝑃𝐴𝑀𝐵+ 𝑃𝐼𝑁/𝑂𝑈𝑇 (3.1)

Conoscendo la pressione e la temperatura del refrigerante all’ingresso e all’uscita della sezione di misura, l’Eq. 3.1 può essere riscritta come:

𝑃 = 𝑚̇ ∙ (ℎ𝑜𝑢𝑡− ℎ𝑖𝑛) (3.2)

dove h è l’entalpia specifica, mentre ṁ la portata di massa specifica. Qualora il deflusso sia monofase, l’Eq. 3.2 diviene:

𝑃 = 𝑚̇ ∙ 𝑐𝑝∙ (𝑇𝑜𝑢𝑡− 𝑇𝑖𝑛) (3.3)

Si capisce dunque che durante l’analisi sperimentale condotta alcuni termini come la potenza

PEL e P sono sempre note grazie alle misurazioni effettuate. Tuttavia per chiudere l’Eq. 3.1, e quindi determinare il reale flusso termico assorbito dal fluido, è necessario conoscere anche gli altri due termini PIN/OUT e PAMB.

3.1.1 Determinazione di P

AMB

Creando il vuoto nella sezione di misura, il bilancio in Eq.3.1 può essere riscritto nella seguente forma

𝑃𝐸𝐿= 𝑃𝐴𝑀𝐵 (3.4)

Infatti, nessun assorbimento né dispersione di potenza avviene nei tratti di ingresso e di uscita, i quali si portano all’equilibrio termico con l’ambiente stesso. Inoltre, proprio a causa dell’assenza del fluido all’interno della sezione di misura, la potenza totale P è nulla.

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47 I test per la determinazione di PAMB iniziano applicando una differenza di potenziale di 1 V ai capi dell’heater. La temperatura misurata dalle termocoppie di parete aumenta fino a raggiungere un valore costante nel tempo. Al sopraggiungere di questo, viene fatta partire l’acquisizione. Successivamente la tensione viene aumentata di 1 V e le operazioni si ripetono. Le prove terminano quando una o più termocoppie di parete misurano una temperatura superiore ai 55°C, la quale rappresenta il limite di sicurezza per evitare il degrado termico della colla che le unisce alla parete stessa.

Come detto in apertura di capitolo, si ipotizza che la potenza termica PAMB sia funzione della differenza di temperatura tra la parete inferiore (Tw) e l’ambiente (Tamb), nonché delle condizioni di isolamento.

La temperatura di parete viene calcolata come media aritmetica dei valori registrati da ciascuna termocoppia incollata. La temperatura ambiente, invece, viene misurata da una termocoppia posta localmente. Tale termocoppia è inserita in un tubicino di PVC che garantisce la schermatura da eventuali correnti d’aria che porterebbero ad oscillazioni transitorie della misura.

I risultati sperimentali vengono plottati in un grafico (Figura 3.2) recante in ascissa la differenza di temperatura tra parete e ambiente, e in ordinata la potenza elettrica imposta.

Figura 3.2 Risultati sperimentali per flusso termico attraverso la superficie inferiore (PAMB) Come si vede in Figura 3.2 i dati misurati ben si adagiano su di una semiretta uscente dall’origine.

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48

al di sotto della temperatura ambiente e determinare quindi la potenza termica assorbita dall’ambiente (PAMB>0).

Per sopperire a tale mancanza di dati, si ipotizza che i meccanismi di scambio termico siano indipendenti dalla direzione del flusso.

Fatta questa ipotesi, in Figura 3.3 viene mostrata la curva definitiva usata per valutare la PAMB su tutto il campo di differenza di temperatura tra la superficie inferiore del microcanale e l’ambiente esterno.

Figura 3.3 Determinazione sperimentale di PAMB Le rette interpolatrici dei risultati sperimentali hanno equazione

𝑃𝐴𝑀𝐵 = −0.0299 ∙ (𝑇𝑤− 𝑇𝑎𝑚𝑏) (3.5)

per il vecchio isolamento, mentre

𝑃𝐴𝑀𝐵 = −0.0206 ∙ (𝑇𝑤− 𝑇𝑎𝑚𝑏) (3.6)

per il nuovo isolamento.

3.1.2 Determinazione di P

IN/OUT

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49 Qualora fosse applicata potenza elettrica nulla, l’Eq. 3.1 può essere riscritta nella seguente forma

𝑃𝐼𝑁/𝑂𝑈𝑇 = 𝑃 − 𝑃𝐴𝑀𝐵 (3.7)

in cui viene evidenziato il termine cercato.

Per compiere le misurazioni utili alla risoluzione del metodo analitico proposto in Eq. 3.7, è necessario ripristinare il refrigerante all’interno della sezione di misura.

Dopo il ripristino del refrigerante, il circolatore viene acceso e la pressione dell’impianto viene aumentata fino ad un valore di ca. 15 bar assoluti, in modo tale da garantire un deflusso monofase del refrigerante.

Le prove vengono condotte a tre differenti valori di portata di massa specifica, compresi tra 1000-2300 kg m-2 s-1. Per ciascuna portata la temperatura di ingresso dell’R134a nella sezione

di misura viene fatta variare impostando diversi valori di set point del bagno Lauda. La potenza elettrica è nulla.

Per risolvere l’Eq. 3.7, e quindi calcolare sperimentalmente PIN/OUT, la potenza termica globale P viene determinata secondo la Eq. 3.3, mentre la PAMB secondo la Eq. 3.5 o Eq. 3.6 in funzione delle condizioni di isolamento.

Come detto in apertura di capitolo, si ipotizza che PIN/OUT sia dipendente dalla differenza di temperatura tra la temperatura media del fluido e l’ambiente. Poiché la conformazione dell’isolante attorno ai tubi da 1/16” non varia nelle due configurazioni di isolamento, quest’ultimo parametro non influisce sul valore di PIN/OUT.

La temperatura media del fluido (Tf) viene calcolata come la media aritmetica tra i valori di ingresso e di uscita del fluido, misurati rispettivamente da ciascuna delle due termocoppie in inox. La misura della temperatura ambiente (Tamb) avviene utilizzando la stessa termocoppia descritta nel paragrafo precedente

In Figura 3.4 vengono plottati i valori sperimentali di PIN/OUT, in entrambe le configurazioni di isolamento, in funzione della differenza di temperatura Tf - Tamb.

Il flusso termico PIN/OUT, presenta una dipendenza lineare da Tf -Tamb. I punti sperimentali risultano simmetrici rispetto all’origine, il che ci consente di fittare i dati con un’unica retta passante per l’origine di equazione

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Figura 3.4 Determinazione sperimentale di PIN/OUT

3.2 Bilanci termici

Come visto nei paragrafi precedenti, la determinazione sperimentale delle diverse potenze termiche da e verso l’ambiente viene fatta ricostruendo condizioni ad hoc che ci permettono di trascurare uno o più termini del bilancio termico riportato in Eq. 3.1.

Tuttavia, nel lavoro sperimentale eseguito, le condizioni operative saranno ben diverse da queste, e saranno in genere presenti tutti i contributi sopra descritti. E’ necessario perciò accertarsi che le correlazioni trovate, abbiano un riscontro sperimentale anche quando siano applicate in situazioni diverse da quelle per le quali sono state esse determinate.

Viene dunque eseguita una campagna di test la quale prevede di verificare sperimentalmente il seguente bilancio termico

𝑚̇ ∙ 𝑐𝑝∙ (𝑇𝑜𝑢𝑡− 𝑇𝑖𝑛) = 𝑃𝐸𝐿+ 𝑃𝐴𝑀𝐵+ 𝑃𝐼𝑁/𝑂𝑈𝑇 (3.9) Le prove sono condotte in un range di portata specifica di massa che varia da 900 a 5500 kg m-2 s-1, mentre la potenza elettrica fornita spazia da 1.5 – 12 W. Il deflusso del refrigerante è

allo stato monofase liquido. Il bagno termostatato Lauda viene fatto lavorare ad una certa temperatura di set point che rimarrà costante durante tutti i test.

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51 Per ogni punto sperimentale, oltre alla misura di portata, vengono registrate le temperature del fluido in ingresso e uscita dal microcanale, le temperature di parete; da queste misure, e applicando le Eqq. 3.5 – 3.8, si calcola ciascun termine contenuto nell’Eq.3.9.

Definendo PMIS=ṁ∙cp∙ΔT e PCALC=PEL+PAMB+PIN/OUT possiamo plottare in un unico grafico questi due valori, il che ci permette una verifica visiva del bilancio termico. Il risultato di questa analisi viene illustrato in Figura 3.5.

Figura 3.5 Verifica sperimentale del bilancio termico

Come si vede dalla Figura 3.5, v’è un’ottima accordanza tra i valori di potenza misurata sperimentalmente e calcolata. Questo porta a confermare la validità delle correlazioni prima esposte e ci consente di utilizzarle in qualsiasi condizione operativa.

Utilizzando gli stessi dati, possiamo anche validare le misure di temperatura e pressione all’ingresso e all’uscita. In particolar modo, essendo il deflusso monofase deve valere la seguente uguaglianza

𝑚̇ ∙ 𝑐𝑝∙ (𝑇𝑜𝑢𝑡− 𝑇𝑖𝑛) = 𝑚̇ ∙ (ℎ𝑜𝑢𝑡− ℎ𝑖𝑛) (3.10) dove i valori di entalpia specifica hin e hout vengono calcolati conoscendo il valore di temperatura e pressione del fluido rispettivamente all’ingresso e all’uscita della sezione di misura. La valutazione dell’entalpia specifica viene fatta utilizzando il database RefProp ver. 7.0.

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Figura 3.6 Validazione delle misure di temperatura e pressione in ingresso e uscita

3.3 Corrispondenza p-T di saturazione

Come è noto dalla termodinamica, per la legge delle fasi di Gibbs, lo stato di equilibrio di un fluido in regime bifase è completamente definito a meno di una variabile; ragione per cui fissando la pressione, la temperatura sarà univocamente definita e viceversa. Basandosi su tale principio termodinamico, si vuole compiere un’ulteriore validazione delle nostre misurazioni andando a verificare sperimentalmente la corrispondenza pressione-temperatura. L’idea è quella di riscaldare il fluido a monte della sezione di misura affinché giunga all’ingresso di essa con titolo x>0. Non viene fornita alcuna potenza elettrica sull’heater e il fluido la abbandona ancora allo stato liquido-vapore.

Tali prove hanno un duplice obiettivo: da una parte verificare che la misura della termocoppia in inox e della presa di pressione siano in accordo, dall’altra accertarsi che nel nostro impianto fluisca del refrigerante R134a puro.

Si definisce Tsat la temperatura misurata dalla termocoppia in inox e Tsat*=f(pout) la temperatura ricavata da RefProp sulla base della pressione misurata dai traduttori di pressione. Il confronto tra queste due grandezze viene mostrato in Figura 3.7.

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53

Figura 3.7 Corrispondenza pressione-temperatura di saturazione

3.4 Post-calibrazione termocoppie di parete

Nei paragrafi precedenti di questo capitolo è stata verificata la validità delle misurazioni, tuttavia prima di procedere con la sperimentazione è necessario accertarsi dell’esattezza della temperatura di parete ottenuta dalle termocoppie ivi incollate.

Questo viene fatto con delle prove in regime monofase a portata costante (G=2300 kg m-2 s -1) senza fornire potenza elettrica. La temperatura di set point del bagno Lauda viene fatta

variare in modo tale da ottenere diversi valori di temperatura media del fluido nel microcanale. In particolar modo la differenza di temperatura tra la temperatura media del fluido e quella ambiente viene variata da -9 a +13 °C.

Questi test vengono condotti sia con il nuovo che con il vecchio tipo di isolamento. I risultati ottenuti vengono riportati in Tabella 3.1 e Tabella 3.2.

VECCHIO ISOLAMENTO G pin MS Tamb Tin Tout Tw1 Tw2 [kg/m2 s-1] [bar] [°C] [°C] [°C] [°C] [°C] 2322 14,591 26,56 17,47 18,45 19,74 20,11 2324 14,597 26,47 19,06 19,87 20,95 21,26 2324 14,621 26,56 22,07 22,57 23,23 23,41 2323 14,582 26,44 23,79 24,04 24,37 24,46 2325 14,623 26,42 27,00 26,94 26,74 26,68 2325 14,653 26,32 30,38 29,95 29,22 29,00 2325 14,670 26,40 33,00 32,26 31,10 30,78 2327 14,661 26,10 35,50 34,55 32,97 32,51 2323 14,678 25,89 39,61 38,16 35,91 35,28

(54)

54 NUOVO ISOLAMENTO G pin MS Tamb Tin Tout Tw1 Tw2 [kg/m-2 s-1] [bar] [°C] [°C] [°C] [°C] [°C] 2371 14,146 25,40 16,88 17,67 18,51 18,68 2374 14,164 25,63 18,53 19,13 19,79 19,94 2374 14,211 26,25 21,54 21,94 22,35 22,43 2376 14,264 26,77 23,88 24,10 24,33 24,37 2375 14,299 26,82 27,15 27,12 27,03 27,01 2375 14,336 27,10 30,09 29,83 29,47 29,39 2375 14,365 27,27 32,71 32,29 31,69 31,55 2374 14,379 27,13 35,68 34,98 34,08 33,86 2374 14,409 27,09 40,05 39,04 37,73 37,42

Tabella 3.2 Test post calibrazione termocoppie parete con nuovo isolamento

Come si vede in Tabella 3.1 e Tabella 3.2, il nuovo isolamento porta a dissipazioni minori a parità di salto di temperatura tra fluido e ambiente. Tale conclusione può essere graficamente visualizzata in Figura 3.8, dove viene riportata la potenza globale P calcolata come in Eq. 3.3 in funzione della differenza tra temperatura media del fluido (Tf) e la temperatura ambiente (Tamb).

Figura 3.8 Potenza termica totale scambiata dalla sezione di misura

Conoscendo la potenza termica globale P e la differenza di temperatura Tf -Tamb, applicando l’Eq. 3.1 e l’Eq. 3.8 si calcola il termine PAMB, ricordando che durante i test PEL=0.

(55)

55

Figura 3.9 Potenza termica scambiata nella superficie inferiore

Dalla Figura 3.9, si nota la riduzione del flusso termico PAMB nel caso del nuovo isolamento, che si dimostra quindi essere migliore del vecchio.

Nel caso di deflusso completamente adiabatico, la temperatura di ingresso del fluido corrisponderebbe a quella di uscita; inoltre, in tal caso, la temperatura di parete sarebbe pari a quella del fluido.

Dai risultati sperimentali mostrati in Tabella 3.1 e Tabella 3.2, è evidente, però, la presenza di un flusso termico; ci si aspetta quindi una temperatura di parete diversa da quella del fluido. Viene a questo punto ipotizzato un modello monodimensionale di resistenze termiche in serie che viene schematizzato in Figura 3.10. Nella figura si riporta anche l’andamento di temperatura ipotizzato. Si fa notare che, in prima istanza, si pensa che la colla con cui è fissata la termocoppia di parete abbia un effetto modellizzabile con una resistenza termica aggiuntiva

(56)

56

Figura 3.10 Profilo di temperatura ipotizzato in corrispondenza della termocoppia di parete

La resistenza termica R1 lato interno fluido, può essere espressa come 𝑅1= 1

𝛼𝑓 , dove 𝛼𝑓

rappresenta il coefficiente di scambio termico convettivo lato fluido. Esso viene valutato utilizzando la correlazione proposta da Gnielinski e riportata in Eq. 3.11 e Eq. 3.12.

𝛼𝑓 = (𝛾8) ∙ (𝑅𝑒 − 1000) ∙ 𝑃𝑟 1 + 12.7√𝛾8 ∙ (𝑃𝑟23− 1) ∙ [1 + (𝑑ℎ 𝐿) 2 3 ] ∙𝜆𝑓 𝑑ℎ (3.11) con 𝛾 = (1,8 ∙ 𝑙𝑜𝑔10(𝑅𝑒) − 1,64) −2 (3.12)

La resistenza termica R2 invece è riconducibile alla conduttività del silicio e al suo spessore secondo l’Eq. 3.13.

𝑅2= 𝑠𝑆𝑖

𝜆𝑆𝑖 (3.13)

Lo spessore del silicio risulta pari a sSi=100 μm mentre la conduttività del materiale è pari a

λSi=147 W m-1 K-1.

Nel modello monodimensionale sviluppato, dato il piccolo spessore e l’elevata conduttività dei materiali utilizzati (200 nm di platino e 20 nm di titanio) non si considera la resistenza termica data dall’heater.

(57)

57 𝑇𝑤,𝐶𝐴𝐿𝐶 = 𝑇𝑓+

𝑃𝐴𝑀𝐵 𝐴ℎ𝑒𝑎𝑡

∙ (𝑅1+ 𝑅2) (3.14)

Il valore di temperatura media di parete calcolato secondo l’Eq. 3.14, viene confrontato con quello misurato dalle termocoppie (Tw,MIS). In Figura 3.11 viene riportata la differenza tra le due temperature in funzione del flusso termico PAMB.

Figura 3.11 Differenza tra la temperatura di parete CALCOLATA e MISURATA

Come si vede dalla Figura 3.11, i punti seguono un andamento lineare; inoltre, indipendentemente dalle condizioni di isolamento, essi si adagiano su di un’unica retta di equazione:

𝑇𝑤,𝑀𝐼𝑆 − 𝑇𝑤,𝐶𝐴𝐿𝐶 = 7.2162 ∙ 𝑃𝐴𝑀𝐵 (3.15) In base allo schema di Figura 3.10, la resistenza termica R3 è esprimibile come in Eq. 3.16

𝑅3=

𝑇𝑤,𝑀𝐼𝑆− 𝑇𝑤,𝐶𝐴𝐿𝐶 𝑃𝐴𝑀𝐵

𝐴ℎ𝑒𝑎𝑡 (3.16)

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