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1.5.2 Il culto della famiglia e la solidarietà………..25

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INDICE

INTRODUZIONE……….5

CAPITOLO 1 MICROIMPRESA IN ITALIA E PICCOLO IMPRENDITORE 1.1 Attuale scenario delle microimprese italiane………...7

1.2 Quasi nove su dieci sono microimprese………...11

1.3 A capo delle nuove imprese, uomini in sette casi su dieci…...14

1.4 Evoluzione delle microimprese……….16

1.5 Caratteri distintivi delle microimprese……….24

1.5.1 La creatività e la cultura...24

1.5.2 Il culto della famiglia e la solidarietà………..25

1.5.3 La laboriosità………27

1.5.4 Flessibilità……….28

1.5.5 Relazioni con il cliente………..28

1.6 Ciclo di vita di una microimpresa……….29

1.7 Criticità delle microimprese………..31

1.7.1 L’organizzazione aziendale e formazione……….32

1.7.2 Mancanza di manodopera specializzata………...33

1.7.3 Accesso al finanziamento, procedure amministrative, e burocrazia………..33

1.7.4 Capitale e bilancio aziendale……….34

1.8 La figura del piccolo imprenditore………...35

1.8.1 Insufficiente competenza manageriale………..…....36

1.8.2 Conoscenze e competenze dei titolari di microimprese. Risultati di un indagine ad hoc………...38

1.8.2.1 Identikit del microimprenditore e delle microimprese……...….39

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CAPITOLO 2 LA CONTINUITA‟ IMPRENDITORIALE

2.1 L‟orgoglio della tradizione del “mestiere”………...45

2.2 L‟atmosfera dell‟impresa………..48

2.3 Lo spirito imprenditoriale………...51

2.4 Caratteristiche del capitalismo familiare in Italia………...54

2.5 Pregi e difetti del capitalismo familiare………55

2.6 Famiglia e impresa: etiche diverse………58

2.7 Impresa familiare ideale………59

CAPITOLO 3 IL PASSAGGIO GENERAZIONALE 3.1 Il passaggio generazionale, un fenomeno multiforme………..62

3.1.1 I protagonisti e le fasi del passaggio generazionale...63

3.1.2 Come gestire il passaggio generazionale………...65

3.2 Passare l‟impresa nelle “mani di chi sa”……….…………...68

3.3 Capitale intellettuale nelle piccole imprese familiari………73

3.3.1 Gli elementi del capitale intellettuale nelle piccole imprese familiari...75

3.3.2 La gestione del capitale intellettuale nella successione generazionale………..78

3.3.3 Il modello del capitale intellettuale nella successione generazionale………..80

3.4 Successione e trasmissione d‟impresa: un indagine ad hoc…………..88

3.4.1 La rilevanza economica e sociale del fenomeno………...89

3.4.2 Centralità dell’imprenditore nella gestione delle micro e piccole imprese……….90

3.4.3 La successione e trasmissione d’impresa: un’indagine qualitativa………...92

CAPITOLO 4 SCELTA DEL CANDIDATO ALLA SUCCESSIONE 4.1 La scelta del successore………...100

4.2 Il patto di famiglia………...102

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4.3 Il protocollo di impresa familiare………104

4.4 Le competenze indispensabili……….105

4.5 Le varie situazioni………...107

4.5.1 Chi non ha eredi in famiglia………108

4.5.2 Chi ha più figli, tutti potenziali successori in competizione fra loro………...109

4.5.3 Il figlio unico………110

4.5.4 Figlia femmina………...111

4.5.5 Indagine esplorativa delle figlie femmine alla continuità delle imprese familiari………112

CAPITOLO 5 FIGURA DEL SENIOR CHE CEDERA‟ IL TESTIMONE 5.1 Il senior, figura focale nel processo di transazione………...130

5.2 Il senior leader accentratore………134

5.3 Il senior leader rigido, tradizionalista………..135

5.4 Il senior leader di modesta cultura manageriale, ma di buon senso…136 5.5 Il senior leader vecchio e stanco………..137

5.6 Il senior leader capace di crescere ancora………...138

5.7 Principali azioni che il senior leader è chiamato a compiere………..139

5.7.1 Trasmissione della cultura d’impresa………..139

5.7.2 Esplicitare le conoscenze implicite………..141

5.7.3 Conoscenza e competenza………142

5.7.4 La delega a chi vogliamo far crescere……….143

CAPITOLO 6 VISIONE CONSAPEVOLE DELL‟IMPRESA E RUOLO DELLA CONSULENZA 6.1 Quale tipo di impresa si possiede………147

6.2 Missione aziendale………..149

6.3 Il peso della responsabilità………..151

6.4 La direzione “consapevole” riduce lo stress imprenditoriale………..152 6.5 Gli strumenti di gestione necessari per una direzione consapevole…154

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6.5.1 Quadro direzionale (tableau de bord)………156

6.6 Migliorare la conoscenza della propria impresa………158

6.7 Il ricorso alla consulenza………160

6.7.1 La scelta dei consulenti………160

6.7.2 Lo studio preliminare………...161

6.7.3 L’affidamento dell’incarico e i controlli in corso lavori………….162

6.7.4 L’affiancamento generazionale………164

6.7.5 L’approccio più efficace: passaggio programmato……….165

CAPITOLO 7 CASO AZIENDALE, MICROIMPRESA ROSSI&VERDI PASSAGGIO GENERAZIONALE AL FEMMINILE 7.1 Storia dell‟impresa………..167

7.2 L‟impresa oggi e tendenze prospettiche………..170

7.3 La figura dei titolari e la loro consapevolezza circa la transazione generazionale……….173

7.4 I candidati alla successione……….177

7.5 Il passaggio del testimone programmato……….178

7.5.1 Analisi dei candidati alla successione………..179

7.5.2 Pianificare la preparazione culturale dei figli, e prima esperienza lavorativa………180

7.5.3 Inserimento graduale nell’azienda di famiglia, e costruire una cultura comune………..181

7.6 Il ruolo del consulente, commercialista………..183

7.7 In sintesi………..184

CONCLUSIONI………186

RINGRAZIAMENTI………188

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI………...189

RAPPORTI E RIVISTE………191

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INTRODUZIONE

L‟elaborato “Passaggio generazionale al femminile” vuol far luce sull‟importante fenomeno del passaggio di testimone che si presenta nella vita di ogni impresa, a prescindere dalla forma giuridica, dimensione e caratteristiche proprie individuabili in ognuna di queste. Tale fisiologico evento verrà analizzato in particolar modo nell‟ambito delle micro imprese familiari, perché di fatto rappresentano una realtà caratterizzante il nostro Paese, infatti si procederà con una veloce visione degli elementi che principalmente caratterizzano tale assetto.

Come noto la transazione aziendale da una generazione all‟altra vede coinvolta l‟azienda sotto molteplici aspetti: quello gestionale, relazionale e strategico. Per questo motivo si è ritenuto opportuno evidenziare come si possano individuare le principali criticità che tale fenomeno porta con se, ossia principalmente la percezione della rilevanza del fenomeno, la definizione di un piano d‟azione, l‟intervento sulle variabili chiave, il passaggio delle consegne, e il consolidamento della nuova struttura imprenditoriale.

Da qui l‟esigenza di far luce sulle figure maggiormente coinvolte in tale delicato momento della vita aziendale, di fatto la generazione uscente e quella entrante. Si è cercato così di delineare i principali profili del senior leader, e dei candidati alla successione. Da questo punto di vista, si può intuire come la complessità di tale fenomeno stia soprattutto nell‟individuare le maggiori caratteristiche comportamentali, manageriali e di attitudine all‟imprenditorialità di tali personaggi. Poiché per trovare il modo più efficace di procedere nel passaggio del testimone, si deve tener presente che sarà necessario trovare un solido punto di congiunzione fra una generazione e l‟altra. Nell‟analisi della figura del successore, un particolare focus è stato riservato al ruolo della figlia femmina, e del rapporto che può intercorrere fra essa e il padre, spesso fondatore stesso dell‟impresa.

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Non vi è da dimenticare l‟importanza, quasi essenziale in alcuni casi, della figura del consulente o commercialista, che può fornire un prezioso sostegno all‟imprenditore, aiutandolo a gestire al meglio questo delicato momento, che di fatto si traduce in un‟occasione di nuovo posizionamento dell‟azienda sul mercato ed altre volte presupposto per esplorare nuove opportunità, sempre se saggiamente pilotato.

A chiusura si presenta un caso aziendale di una micro impresa toscana, con appunto due candidate figlie femmine. Questa realtà è stata scelta proprio come emblematico esempio di una delle tante realtà presenti nel tessuto imprenditoriale italiano. E come spunto di riflessione per tanti piccoli imprenditori per sensibilizzarli all‟idea di prendere in considerazione alla successione della propria impresa anche le figlie femmine, seppur detengano un‟attività di genere, starà poi al loro buon senso attuare validi accorgimenti al fine di creare le migliori condizioni perché le figlie possano svolgere nel migliore dei modi la loro guida all‟interno dell‟impresa di famiglia.

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CAPITOLO 1 MICROIMPRESA IN ITALIA E MICRO IMPRENDITORE

1.1 Attuale scenario delle microimprese italiane

Per meglio comprendere l‟ambito di analisi di tale elaborato, viene qua di seguito introdotta una formale definizione di micro impresa. Secondo il D. M del Ministero delle attività produttive 18/04/2005, G. U. 12/10/2005 n. 23 viene definita Micro Impresa quella categoria di aziende riconosciute e definite a livello europeo che occupano fino a 10 addetti e che ha un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 2 milioni di euro.1 Le micro imprese individuali attive a fine 2014 sono in termini assoluti 3.161.195, cioè il 61% del totale delle imprese italiane (5.148.413). Esse rappresentano, invece, il 54 % circa del totale delle imprese registrate (6.041.187). Sempre nel 2014 si è registrato un saldo positivo pari a +32.040 per le imprese in generale, al quale è corrisposto un saldo negativo per le microimprese, con una perdita di circa 11.000 ditte individuali. Il tasso di crescita generale delle imprese ammonta a poco più di mezzo punto percentuale (+0.53%) mentre quello delle microimprese individuali è negativo (-0.34%).2

La struttura produttiva italiana continua ad essere caratterizzata da una larga presenza di microimprese (con meno di 10 addetti), da cui deriva la prevalenza della presenza di lavoro indipendente (63,5 per cento): esse rappresentano il 94,9 per cento delle imprese del Paese, assorbono il 47,8 per cento degli addetti, realizzano il 26,8 per cento del fatturato e il 31,4 per cento del valore aggiunto

1 Il Ministero delle Attività produttive emana il Decreto del 18 aprile del 2005 vista la Raccomandazione della Commissione Europea del 6 maggio 2003, 2003/361/CE, relativa alla definizione di micro, piccola, e media impresa, entrata in vigore l’1 gennaio 2005. La raccomandazione stabilisce i criteri per identificare se una società è una microimpresa, una piccola o una media impresa (PMI). Queste diverse categorie, basate sul numero di dipendenti di una società e sul suo fatturato o bilancio annuo, ne determinano l’ammissibilità ai pogrammi finanziari e di sostegno comunitari e nazionali. Le definizioni sono entrate in vigore dall’1 gennaio del 2005.

2 Dati Rapporto Unioncamere, 2015

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complessivo, si ricorda inoltre che le micro imprese producono il 7 per cento dell‟export italiano.

Le microimprese (unità con 3-9 addetti) adottano strategie quasi esclusivamente difensive. Solo in alcuni casi cercano di ampliare la gamma di prodotti e servizi o di accedere a nuovi mercati. Le assunzioni, nella maggior parte dei casi di personale non altamente qualificato, riguardano nel 2013 una microimpresa su quattro.3

Figura 1 – Le microimprese in Italia, 2015 iscritte, registrate, attive, cessate. Fonte Elaborazione Enm su dati Unioncamere 20154

Le microimprese sono una presenza assai rilevante nel panorama imprenditoriale dei rispettivi paesi, in alcuni paesi si raggiungono punte del 95% rispetto alla totalità delle imprese nazionali, e offrono un notevole apporto all‟economia interna sia in termini di fatturato totale che di capacità di resistenza alla turbolenza dei mercati. L‟assetto del nostro paese presenta dati interessanti sotto questo aspetto:

3 Rapporto Istat, 2013, Microimprese in Italia

4 Fonte: Elaborazione Enm su dati Unioncamere relativi all’annualità 2015. I dati riportati nella figura 1, confermano che nel periodo preso a riferimento dell’annualità 2015, si registra un tasso di crescita generale delle imprese per poco più di mezzo punto percentuale (+0,53%), mentre per quanto riguarda le micro imprese individuali il tasso di crescita risulta essere negativo (-0,34%).

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 4,2 milioni di imprese con meno di 10 addetti (microimprese) equivalenti a circa il 95% delle unità produttive del paese.

 7,8% milioni di addetti occupati in tale categoria, risultante il 47,8% del totale verso il 29% della media europea.

 La struttura che presentano questa tipologia di imprese è molto semplificata, infatti il 63,5 % risulta essere impresa individuale.

Si ricorda che tra il 2001 e il 2011, il 64 % dei nuovi posti di lavoro sono stati creati proprio nelle micro imprese 5.

Figura 2 – Tassi di nascita di microimprese individuali. Fonte dati Eurostat annualità 2008- 20126

Le imprese con 1 addetto sono caratterizzate da bassa produttività e limitata propensione all‟innovazione. Di fatto sono 2,2 milioni le microimprese con 1 solo addetto, che contribuiscono per il 10% al valore aggiunto del sistema pur rappresentando il 55,4% delle imprese attive in Italia 7.

5 Dati Rapporto SBA Italia, 2014

6 Dati Eurostat riferiti alle annualità 2008-2012, relativi al tasso di natalità d’impresa (numero di nascite nel periodo di riferimento diviso il numero di imprese attive) per imprese individuali – nell’ordine del tasso di più alta natalità. Si tiene presente che gli spazi vuoti nella tabella, indica che ci sono dati non a disposizione. Inoltre si ricorda che non ci sono dati a disposizione per Croazia e Grecia.

7 Dati Frame-Sbs, Istat

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Poiché sono soprattutto ditte individuali (autoimpiego) raramente si associano ad obiettivi di crescita e di produttività 8.

Nel sistema produttivo italiano, anche considerando le sole imprese con dipendenti, prevalgono quelle di piccolissima dimensione. Nel 2013, l‟86,4 per cento delle unità produttive con dipendenti appartiene al segmento delle “micro- imprese” che assorbono il 20,5 per cento degli addetti complessivi. La quota più alta di microimprese (90,3%) si riscontra nei settori delle Costruzioni e del Commercio, la più bassa nell‟industria in senso stretto (71,9%). Si stima che le imprese con dipendenti nate nel 2014 siano 111.823. Il tasso di natalità rimane pressoché stabile, passando dall‟8,1 per cento nel 2013 all‟8,2 per cento nel 2014. Il tasso di mortalità registra in media, invece, un calo di 0,3 per cento tra il 2012 e il 2014 (da 9,2% a 8,9%). Si veda figura 4.

Figura 4 - Tassi di natalità-mortalità delle imprese con dipendenti, anni 2012-2014.

Fonte Dati Rapporto Istat 2015 9

Fra il 2009 e il 2012, in un periodo di persistente recessione economica, i tassi di sopravvivenza delle imprese con dipendenti nate negli anni 2008-2012 sono differenziati a seconda del settore. Nell‟industria in senso stretto si registrano quelli più alti: l‟84,4 per cento delle imprese sopravvive dopo un anno, mentre il

8 Rapporto Istat, 2015

9 Fonte Dati Rapporto Istat relativi alle annualità 2012-2014. Cosi come emerso dall’indagine Istat si può rilevare che il tasso di natalità delle imprese con dipendenti dall’anno 2012 all’anno 2013 risente di un calo, passando da circa il 9,8% all’8,1%, per risalire all’anno 2014 ad una percentuale di circa l’8,2%. In riferimento al tasso di mortalità si registra un calo da 9,2% a 8,9% riferiti alle annualità dal 2012 al 2014.

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42,1 per cento è ancora attivo a cinque anni dalla nascita. Nel settore delle Costruzioni troviamo invece i più bassi: solo il 69,1 per ceno delle imprese sopravvive dopo un anno e dopo cinque anni è ancora attivo il 25,7 per cento delle nuove imprese.

Nel 2013 la quota di dipendenti delle nuove imprese sul totale dipendenti scende all‟1,5 % dal 2,1 % del 2008. E‟ il settore delle Costruzioni che di fatto registra il calo maggiore sia dei nuovi dipendenti sia di quelli che perdono l‟occupazione : i primi (“job creation”, ossia l‟ambito in cui si creano nuovi posti di lavoro) passano da 4,4% nel 2008 a 2,6 % nel 2013; i secondi (“job destruction”, ossia l‟ambito in cui si perdono posti di lavoro) da 5,0 % a 3,6 %.

Le imprese nuove nate assumono occupati dipendenti relativamente più giovani (gli occupati under 30 sono il 29,3 % contro il 16,2 % di quelli di imprese già attive) ma hanno anche quote più basse di lavoratori “full time” (58,4 % contro 77,1 %) e a tempo indeterminato (da 3,3 a 6,7 addetti in media). In questo ambito di fatto vengono assunti occupati di età inferiore ai trent‟anni, ma nella fattispecie presentano quote basse di assunzioni a tempo indeterminato e a tempo pieno.

Nel 2014 l‟incidenza delle imprese High-growth (aziende a forte crescita occupazionale, ossia quelle con crescita media annua di dipendenti superiore al 20 % per tre anni consecutivi) sul complesso delle imprese passa da 2,5 % del 2013 a 2,7% nel 2014.10

1.2 Quasi nove su dieci sono microimprese

La dimensione delle imprese prese in analisi, svolge un ruolo rilevante nella formulazione di politiche di crescita economica. Si vuole così sottolineare la

10 L’imprenditorialità in Italia. Anni 2012-2014, Statistiche Istat, 22 dicembre 2015. Come si può notare dall’indagine riportata dalle Statistiche Istat tra gli imprenditori delle nuove imprese con dipendenti oltre sette su dieci sono uomini (71,2 %), più della metà hanno tra i 30 e i 49 anni (56,7 %) e quasi nove su dieci sono nati in Italia (86,8 %). Nelle imprese High-growth e Gazzelle (cioè le imprese High-growth giovani) la percentuale di imprenditori maschi è maggiore (rispettivamente 75,8 e 74,4 %) ma anche l’età è più alta (56,1 e 52,9 % di imprenditori ultra cinquantenni) mentre i nati in Italia superano il 95%.

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differenza che intercorre tra piccole e grandi imprese; è così che si può notare come le piccole imprese risultano le più propense alla crescita mentre le più grandi, in genere, presentano vantaggi di competitività in termini di economie di scala e accesso al credito. Secondo le indicazioni OCSE-Eurostat 11, gli indicatori utilizzati per descrivere la performance imprenditoriale si basano sulla struttura e assetto demografico delle imprese con dipendenti e sulle caratteristiche dell‟imprenditore, in quanto persona che genera valore economico all‟interno del nostro tessuto imprenditoriale.

Figura 5 - Imprese attive con dipendenti per classi dimensionali e settori di attività economica.

Fonte Dati Rapporti Istat relativi all‟annualità 201312

Da come si evince dai dati riportati da un recente rapporto Istat (riguardante dati dell‟annualità 2013), emerge che l‟86,4 % delle imprese con dipendenti sono micro imprese, ovvero hanno meno di 10 addetti (figura 5). Le quote più alte di micro imprese sono nei settori delle Costruzioni e del Commercio (90,3%),mentre la quota più bassa risulta nell‟Industria in senso stretto (71,9%).

Sempre in riferimento al comparto dell‟Industria in senso stretto, esso presenta le percentuali più alte sia di piccole (10-49 addetti) e medie (50-249 addetti)

11 Per una conoscenza più dettagliata di tutti gli indicatori di performance imprenditoriale si rimanda a

“OECD-Eurostat Entrepreneurship Indicators Program Manual”

12 Fonte: Dati Rapporti Istat relativi all’annualità 2013, riportando di seguito i principali risultati delle imprese attive con dipendenti, in riferimento alle classi dimensionali e settori di attività economica, per mettere in evidenza come le piccole imprese risultino essere di fatto le più propense alla crescita, che si distinguono rispetto alle imprese con un maggior numero di addetti (ossia quelle con numero di addetti maggiore a 10 unità), le microimprese attive con dipendenti, rilevate da questa indagine si presentano per un valore dell’86,4%, e ne viene riportata la ripartizione anche per settore di attività economica, distinguendo il settore delle Costruzioni e del Commercio in una percentuale di 90,3%, a seguire il settore di Altri servizi per l’88,9%, e da ultimo il settore dell’Industria in senso stretto per un valore di 71,9%.

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imprese (24,1% e 3,5%), sia di quelle più grandi (ossia quelle con più di 250 dipendenti rilevano una percentuale dell‟0,5%).

Altro dato interessante risulta essere quello relativo al numero di addetti delle imprese attive con dipendenti, in riferimento al comparto di attività e all‟assetto dimensionale delle rispettive aziende prese in analisi. Anche se la quota di occupazione nelle micro e piccole imprese è relativamente contenuta, la loro esposizione ai fenomeni di natalità/mortalità e il potenziale contributo alla dinamica occupazionale, rende questo segmento di imprese rilevante in termini di politiche economiche, per questo se ne riportano i dati prevalenti . Nel 2013 la quota di addetti delle micro imprese attive con dipendenti è del 20,5 % (figura 6), più bassa nell‟Industria in senso stretto (9,7%), più alta nelle Costruzioni (44,6%). Viceversa è il comparto degli Altri servizi a detenere la quota maggiore di addetti delle imprese più grandi (44,2%), mentre per le Costruzioni il numero di addetti delle imprese con 250 addetti e oltre è solo dell‟8,1%.

Figura 6 - Numero di addetti delle imprese attive con dipendenti per classi dimensionali e settori di attività economica. Anno 2013. Valori percentuali. Fonte Dati rapporti Istat relativi

all‟annualità 201313

13 Fonte Dati Rapporti Istat relativi all’annualità 2013. A seguito del precedente studio dove sono state analizzate le imprese attive con dipendenti per classi dimensionali e settori di attività, si è voluto evidenziare come nella stessa annualità del 2013 fossero suddivisi gli impieghi degli addetti relativi ai vari settori di attività economica, e di fatto si è potuto come rispetto alle altre imprese di maggiori dimensioni (superiori ai 10 addetti) le micro imprese vedono occupati il maggior numero di addetti nel settore delle Costruzioni per un valore di 44,6% rispetto all’8,1% delle imprese con più di 250

dipendenti, mentre nel settore dell’Industria in senso stretto registra il numero più basso di occupati

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1.3 A capo delle nuove imprese, uomini in sette casi su dieci

L'imprenditore è colui che detiene i fattori produttivi in termini di capitali, mezzi di produzione, forza lavoro e materie prime, sotto forma di imprese, attraverso i quali contribuisce alla creazione di nuova ricchezza e valore sotto forma di beni e servizi utili alla collettività.

Al fine di individuare la figura dell‟imprenditore (o degli imprenditori) in ciascun tipo di impresa, sia essa impresa individuale o società di persone o società di capitali o cooperative, è stata messa a punto una metodologia che sfrutta le informazioni di fonte amministrativa utilizzate per l‟individuazione dell‟occupazione indipendente del registro delle imprese attive (ASIA).

Il 71,2% degli imprenditori delle nuove imprese con dipendenti risulta essere di sesso maschile (figura 7).

Questo valore è influenzato soprattutto dal settore economico piuttosto che dall‟assetto demografico delle imprese stesse (figura 8).

Per quanto riguarda l‟imprenditorialità femminile delle imprese nuove nate si può notare che la concentrazione risulta maggiormente nel settore del Commercio (32,9% contro il 67,1% dell‟imprenditorialità maschile) e nel settore degli Altri servizi (31,7 % contro il 68,3 %). Mentre la quota più bassa di imprenditrici si osserva nel settore delle Costruzioni (15,4%).

Figura 7 – Caratteristiche socio-demografiche degli imprenditori delle imprese nate con dipendenti per macro settore economico, anno 2013, valori percentuali. Fonte Dati Rapporti

Istat, 201314

con un 9,7%, come desumibile dal precedente studio dove vedeva appunto la minore percentuale di presenza di micro imprese attive con dipendenti proprio nel settore dell’Industria in senso stretto.

14 Fonte Dati Rapporti Istat relativi all’annualità 2013, come si evince da tale indagine, andando a rilevare informazioni relative a fonti amministrative utilizzata l’individuazione dell’occupazione

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Per quanto riguarda la classe di età degli imprenditori delle imprese nate con dipendenti, riferite al macro settore economico, si può rilevare che la maggior percentuale (56,7%) degli imprenditori delle imprese nuove nate ha un‟età compresa tra i 30 e i 49 anni, e la maggiore concentrazione di essi si rileva nel settore delle Costruzioni (59,3%). Per quanto riguarda gli imprenditori più giovani (meno di 30 anni) sono nella percentuale più bassa rispetto alle altre classi di età di imprenditori (13,8%), e questa categoria registra la percentuale più alta nel settore del Commercio (14,5%), mentre quelli con 50 anni e oltre lo sono nell‟Industria in senso stretto con 31,4%.

Per quanto riguarda il paese di nascita degli imprenditori delle imprese nate con dipendenti per macro settore economico, vediamo che il comparto dell‟Industria in senso stretto che registra la quota più alta di imprenditori nati in Paesi extra UE (16,4%), mentre nel settore degli Altri servizi è presente la quota più alta di imprenditori italiani (89,6%). Per quanto riguarda l‟analisi delle differenze nelle caratteristiche della figura dell‟imprenditore, rispetto alle quattro ripartizioni geografiche vediamo non emergere significative differenze (Figura 8), relativamente al genere dell‟imprenditore delle imprese nuove nate.

L‟imprenditorialità femminile, infatti, varia da un minimo del 27,9 % nel Nord- ovest a un massimo di 29,9% nel Centro. Cosi come per l‟imprenditoria maschile oscillando da un massimo di 72,1% nel Nord-ovest e un 70,1% nel Centro.

Nel Sud e Isole gli imprenditori sono più giovani: la quota di imprenditori con meno di 30 anni raggiunge il 17,7% contro l‟11,2% di quella registrata nel Nord- est. Nel Sud e Isole le quote di imprenditori provenienti da Paesi esteri UE

indipendente del registro delle imprese attive, è emerso che a capo delle nuove imprese vi sono uomini in sette casi su dieci, infatti l’indagine rileva una percentuale del 71,2% in termini di genere, senza prendere in tal caso a riferimento il territorio ma constatando che questo dato sia prevalentemente influenzato dal settore economico. Si rileva infatti che nel settore delle Costruzioni gli imprenditori sono uomini per una percentuale dell’84,6% contro l’appena 15,4% delle imprenditrici donne. L’unico settore in cui si può constatare una presenza maggiore in termini relativi al genere femminile è quello del settore del commercio, che di fatto registra una percentuale del 32,9% di imprenditoria femminile.

Condensando l’esito di tale analisi l’imprenditoria femminile si registra nella percentuale più bassa proprio nel settore delle Costruzioni e nella percentuale più alta nel settore del Commercio, questo a riferimento del fatto che si registra ancora una distinzione per le attività di genere nell’imprenditoria femminile.

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(1,9%) e extra UE (4,4%) sono molto più basse rispetto ai valori medi nazionali rispettivamente del 2,7% e del 10,4%.

Figura 8 – Caratteristiche socio-demografiche degli imprenditori delle imprese nate con dipendenti per ripartizione geografica. Fonte Rapporti Istat 201315

1.4 Evoluzione delle microimprese

Dopo aver introdotto la definizione e descrizione delle caratteristiche distintive, anche in termini analitici, delle micro imprese, nel loro assetto nazionale, risulta interessante capire come siamo giunti a tale struttura imprenditoriale tipicamente italiana, e come questa sia caratterizzata dalla figura del piccolo imprenditore.

La categoria della micro impresa non è esistita nell‟ordinamento Europeo fino raccomandazione 1442 della Commissione Europea del 6 maggio 2003: sino a quel momento quando ci si riferiva ad una PMI si parlava di generiche imprese da 50 a 250 dipendenti per indicare rispettivamente piccole e medie imprese,

15 Fonte Dati Rapporti Istat relativi all’annualità 2013. In riferimento all’analisi delle caratteristiche dell’imprenditore, adesso l’attenzione si sposta verso la ripartizione geografica, da qui si evince che l’imprenditoria maschile è maggiormente sviluppata nel Nord-ovest con una percentuale del 72,1%, mentre per l’imprenditoria femminile la percentuale più alta si registra nel Centro con una percentuale del 29,9% . Per quanto riguarda tale ripartizione, in riferimento alla classe di età l’imprenditoria fino a 29 anni presenta la percentuale più alta nella ripartizione Sud-isole, così come per la fascia di età compresa tra i 30 e 49 anni, mentre se ci riferiamo alla fascia età che va dai 50 anni ed oltre la percentuale più alta, ossia il 32,9% si trova nella ripartizione del Nord- est. Se facciamo riferimento poi al paese di nascita, possiamo constatare come gli imprenditori nati in Italia, registrano la loro presenza maggiormente nella ripartizione del Sud-isole con la percentuale del 93,7%, dove invece si registra la percentuale più bassa degli imprenditori nati nell’UE con l’1,9%, così come per gli imprenditori nati nell’Extra-UE si registra la percentuale più bassa con un 4,4%, mentre la percentuale più alta si riscontra nel Nord-Est con un 14,8%.

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quindi senza nemmeno prendere in considerazione l‟esistenza di piccole imprese con un numero di dipendenti inferiore ai 50.16

Con la raccomandazione del 6 maggio 2003 si è definita una nuova categoria di imprese denominata micro impresa: la micro impresa è una categoria di aziende riconosciute e definite a livello Europeo che occupano fino a 10 addetti e fatturano annualmente fino a 2 milioni di euro. I motivi principali di questa segmentazione all‟interno delle PMI vanno ricercati nel migliorare la corretta determinazione della classe dimensionale delle imprese destinatarie di aiuti pubblici, nonché nell‟analisi dell‟impatto di qualsiasi decisione comunitaria sulle micro e sulle piccole imprese 17. Ricordiamo che ad oggi si delineano le tre categorie delle PMI in questo modo: media impresa con 250 addetti, 50 milioni di euro di fatturato annuo; piccola impresa con 50 addetti, 10 milioni di euro di fatturato annuo; micro impresa con 10 addetti, 2 milioni di euro di fatturato annuo. Se vogliamo rivolgere l‟attenzione verso l‟ultima di queste sopracitate, allora possiamo identificare caratteri distintivi non solo dal punto di vista di caratteristiche fisico-dimensionali. Infatti le micro imprese si distinguono per la loro forte presenza nel panorama imprenditoriale dei rispettivi paesi, in alcuni paesi toccano punte del 95 % rispetto alla totalità delle imprese nazionali, di fatto quello che si è potuto rilevare per il nostro Paese, e offrono un notevole apporto all‟economia interna sia in termini di fatturato totale sia di capacità di resistenza alla turbolenza dei mercati. Si ricorda che in Italia le microimprese sono il 95 %

16 In riferimento alla raccomandazione 1442 della Commissione Europea del 6 maggio 2003, la Commissione delle Comunità Europee, visto il trattato che istituisce la Comunità Europea, considerando una relazione presentata al Consiglio nel 1992 su richiesta del Consiglio “Industria” del 28 maggio 1990, la Commissione aveva proposto di limitare la proliferazione delle definizioni di piccole e medie imprese in uso a livello comunitario. La raccomandazione 96/280/CE della Commissione del 3 aprile 1996 riguardante la definizione delle piccole e medie imprese, era fondata sull’idea che l’esistenza di definizioni diverse a livello comunitario e a livello nazionale potesse essere fonte di incoerenza.

Nell’ottica del mercato unico, privo di frontiere interne si era già considerato che il trattamento delle imprese dovesse essere fondato su una base costituita da regole comuni. La conferma di tale approccio è tanto più necessaria se si tiene conto delle numerose interazioni tra provvedimenti nazionali e comunitari di sostegno alle micro imprese, alle piccole e alle medie imprese, ad esempio in materia di Fondi strutturali e di ricerca, e per evitare che la Comunità indirizzi le sue azioni ad un certo tipo di PMI e gli Stati membri ad un altro. Inoltre il rispetto della stessa definizione da parte della Commissione degli Stati membri della Banca europea per gli investimenti (BEI) e del Fondo europeo per gli investimenti (FEI) può rendere più coerenti ed efficaci tutte le politiche a favore delle PMI, limitando i rischi di distorsione della coerenza.

17 Fonte: Barricelli, Russo, “Think micro first”, Franco Angeli, 2005

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delle imprese nazionali e occupano il 47,8 % dei lavoratori italiani. Sono, inoltre, un fondamentale bacino occupazionale, come nel caso di soggetti in uscita dall‟occupazione delle aziende di più grandi dimensioni, e in alcuni paesi sono la maggiore fonte di offerta di lavoro.

Le micro imprese, spesso, risultano essere un importante bacino di assorbimento nei confronti dei disoccupati fuoriusciti dalle grandi imprese, fornendo così anche un sostegno sociale ed economico al proprio territorio18.

L‟assetto tipico delle micro imprese nel territorio italiano, risente di quella che è stata storicamente l‟attitudine di molte piccole attività artigiane, di radicarsi nel territorio e formare in alcuni specifici territori dei veri e propri distretti industriali caratterizzati da una rete complessa di interrelazioni di carattere economico e sociale e dalla specializzazione in un comparto industriale. Spesso per specifiche tipologie di attività, la necessità alla vicinanza a fiumi, zone con climi e temperature particolari, ha fatto si che più imprese si dislocassero in una particolare zona, così che vi si insediassero e mettessero radici, creando rapporti oltre che con le altre organizzazioni, anche fra i diversi soggetti; spesso negli stessi distretti il singolo lavoratore, una volta imparato il mestiere, spesso tramandato dal padre o addirittura dal nonno, poteva decidere di proseguirlo autonomamente, dando alla luce una nuova organizzazione, dove venivano coinvolti uno o più soggetti appartenenti alla famiglia stessa. Si ricorda che il nostro Paese ha una formazione come nazione relativamente recente rispetto alle altre maggiori nazioni europee, e si è vista la sua costituzione dopo il Risorgimento, dall‟unione di vere e proprie nazioni che avevano loro poli produttivi destinati a servire un loro mercato interno, anche perché ci si sta riferendo ad un periodo in cui i tempi del commercio oltre confine era poco sviluppato, perché reso difficile dallo stato in cui perversavano le condizioni delle strade, dai tempi di percorrenza elevati, e gravato da pesanti dazi . Di

18 Marocchini A., La microimpresa, caratteri distintivi e criticità, Roma 2009. In riferimento ai numeri relativi alle micro imprese italiane si riscontrano appunto il 95% delle micro imprese rispetto al totale delle imprese del Paese. Di fatto le imprese con meno di 10 dipendenti costituiscono il 95% delle imprese italiane, danno lavoro al 47,2% degli addetti, producono il 31,4% del PIL, nonché il 7%

dell’export nazionale. Si riscontra inoltre che tra il 2001 e il 2011 le microimprese italiane abbiano creato il 56,7% dei nuovi posti di lavoro.

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conseguenza, ogni città capoluogo aveva le sue fabbriche, le sue aziende distributrici, le sue aree ove si concentravano i servizi e le sue zone specializzate nella fabbricazione di specifici prodotti. Quando fu costituita l‟unità, l‟Italia si è trovata con numerosi e radicati distretti nei quali talvolta per secoli si erano concentrati la produzione di particolari prodotti e quindi anche il conseguente know-how 19. Ecco perché, ancora oggi, il nostro Paese, risente di tale assetto, e molte PMI fanno parte di questi distretti nei quali la specializzazione si trasmette da padre in figlio, da generazione in generazione, e crea una cultura tecnologica e una mentalità orientata, che è il miglior modo di coltivare la nascita e lo sviluppo di intere famiglie specializzate in uno specifico ramo di attività, e quindi non vi è da meravigliarsi se ancora oggi vi sono piccole imprese di famiglia che sono di fatto specializzate e assai preparate nella produzione di prodotti di elevata qualità (figura 9).

Figura 9 - Elenco e distribuzione principali distretti industriali italiani.

Fonte Dati Rapporti Istat 201520

19 Per distretto industriale s’intende un sistema produttivo costituito da un insieme di imprese, prevalentemente di piccole e medie dimensioni, caratterizzate da una tendenza all’integrazione orizzontale e verticale e alla specializzazione produttiva, in genere concentrate in un determinato territorio e legate da una comune esperienza storica, sociale, economica e culturale. In riferimento ai cenni storici, il primo autore a studiare questa specifica forma di organizzazione della produzione è stato A. Marshall, che in Principles of economics (1890) ne delinea le principali caratteristiche. Uno degli elementi fondamentali è il concetto di “atmosfera industriale”, quando in un territorio circoscritto lavora un numero molto elevato di soggetti che svolgono mestieri simili, “i misteri dell’industria non sono più tali. E’ come se stessero nell’aria, e i fanciulli ne apprendono molti inconsapevolmente”. E’

come se l’esperienza necessaria per svolgere un determinato lavoro (non necessariamente solo manuale) si sviluppasse in maniera innata, quasi “respirandola nell’aria”.

20 Fonte Dati Rapporto Istat 2015. Data pubblicazione 24 febbraio 2015, in riferimento al periodo dell’annualità del 2011. Sono 141 i distretti industriali identificati dall’Istat a partire dai sistemi locali del

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Per distretto industriale s‟intende una zona nella quale, nel corso di anni, si sono concentrate imprese specializzate in lavori simili o sussidiari, in tal caso si vedranno imprese in accesa concorrenza l‟una verso l‟altra, oppure che svolgono una parte di lavorazione e lavorano in collaborazione con altra azienda, infatti può esservi il caso del passaggio del semilavorato ad altra azienda del distretto per realizzare la lavorazione successiva, fino al prodotto finale. Ma non solo, vedremo come i distretti rappresentino molto di più. Vi sono micro distretti composti da sole tre o quattro piccole aziende, uniche però a fabbricare in Italia quello specifico prodotto. Famosi esempi sono il distretto del marmo di Orosei, o il distretto tessile di Prato; vi sono poi paesi nei quali si concentra una gran quantità di micro imprese e poche piccole e medie imprese, come il paese di Permana, in provincia di Lecco, specializzato in forbici e coltelli, o come nel paese di Palosco, in provincia di Brescia, dove fino a pochi anni fa, si fabbricavano compassi. Gli esempi, in effetti, potrebbero essere diversi, ma il focus centrale rimane quello che in tali distretti italiani venivano e, in alcuni casi, vengono ancora svolte attività, che danno luogo a prodotti di alta qualità, e inevitabilmente la notorietà giunge non solo al nostro Paese, ma spesso è riconosciuta a livello europeo, nonché all‟estero, e ciò viene riconosciuto da un fatturato anche all‟estero di notevole rilevanza. Di fatto questo assetto organizzativo, rappresenta il modello di sviluppo seguito dalla nostra economia, fondato sulla famiglia che, raccolta attorno al focolare, concentrava tutte le proprie risorse lavorative, nonni e nipoti compresi, alternativo al lavoro dell‟agricolture, nel rispetto della famiglia patriarcale. E‟ proprio da queste origini che si possono intravedere le caratteristiche tipiche delle micro imprese, che a seguito saranno illustrate.

Nell‟affrontare l‟argomento dei Distretti Industriali ci limiteremo agli aspetti più interessanti per le imprese familiari e per la loro continuità imprenditoriale. La

lavoro (SLL) sulla base dell’analisi della loro specializzazione produttiva, come emerge dai dati delle unità economiche rilevati nel 2011 attraverso il IX censimento generale dell’industria e dei servizi. Rispetto al 2001 il numero dei distretti industriali diminuisce di 40 unità. I distretti industriali costituiscono circa un quarto del sistema produttivo del Paese, in termini sia di numero di SLL (23,1% del totale) sia di addetti (il 24,5% del totale), sia di unità locali produttive (il 24,4% del totale). L’occupazione manifatturiera distrettuale rappresenta oltre un terzo di quella complessiva italiana, in linea con quanto osservato dieci anni fa. All’interno dei distretti industriali risiede circa il 22% della popolazione italiana.

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prima constatazione riguarda la loro formazione e natura: è ormai noto che la formazione dei distretti industriali, sia riconducibile alle naturali condizioni favorevoli della zona (vicinanza a sorgenti d‟acqua, fiumi, giacimenti metalliferi o altri materiali naturali, ma anche disponibilità di manodopera con certe caratteristiche, ecc..). Tutto questo non deve meravigliarci, in quanto le nostre antiche origini sono da ricercare in quegli individui che facevano la “corsa all‟oro”, stanziandosi necessariamente in quelle zone che presentavano le caratteristiche naturali che permettevano l‟estrazione; così si vedevano molti soggetti spostarsi alla ricerca di lavoro, e spesso si vedeva lo spostamento di uno o più componenti della stessa famiglia. Ciò che di fatto è divenuto rilevante dal punto di vista di questa analisi, è che questi luoghi hanno accolto numerosi avventurieri che organizzatisi in imprese, piccole e numerose, sono state poi capaci nel corso degli anni di sviluppare al massimo grado molte tecnologie di nicchia e ogni accorgimento di specializzazione del settore.

La seconda osservazione riguarda l‟efficienza di tali distretti, che ha dato origine alle maggiori imprese familiari, che di fatto sono rimaste note per molti decenni.

Spesso tali organizzazioni sono situate in un unico paese, dove tutti si conoscono, e sono spinte da un‟intrinseca forte concorrenza, da identificare nella consueta abitudine dei visitatori italiani e stranieri dei decenni scorsi, quando ancora Internet non esisteva, che si recavano personalmente nel luogo di fabbricazione del prodotto desiderato, per visionare di persona se e quale fosse il migliore prodotto offerto della zona, e una volta constatate le migliori caratteristiche in termini di prezzo e qualità, procedevano ad ordini di una certa rilevanza, anche annuali. Questa diventava per le piccole imprese, un‟occasione da sfruttare al meglio. Spesso i figli del proprietario, si interessavano di instaurare un rapporto interpersonale con il cliente stesso, e veniva fatto di tutto per accontentare le sue esigenze, affinché non si perdesse il cliente, che nel caso non fosse stato del tutto soddisfatto, poteva tranquillamente dirigersi verso altra impresa, nel giro di poche centinaia di metri21. I parametri così principalmente seguiti, erano appunto,

21 Da questa osservazione si può facilmente intuire come di fatto si siano gettate le basi per quello che è ad oggi una delle caratteristiche principali delle micro imprese, ossia lo stretto rapporto che intercorre

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qualità, prezzo, ma anche l‟affidabilità che riusciva ad ispirare nel corso degli incontri e visite nell‟azienda, e spesso anche dalla composizione materiale dell‟impresa, ossia gli impianti di cui era fornita. In queste occasioni le imprese familiari ebbero modo di mostrare il meglio di se, e nel frattempo i fratelli o i figli del proprietario, riuscivano ad entrare in contatto con i diversi clienti, ed instaurarvi rapporti duraturi, da cui riuscivano a maturare preziose esperienze relazionali. Proprio da questo elemento si sono gettate le basi per quello che sarà visto come punto di forza delle micro imprese, il rapporto diretto e stretto con la propria clientela. Ancora la contiguità delle imprese fa comprendere come sia stato favorito il passaggio della manodopera specializzata da un‟impresa all‟altra.

Infatti a quel tempo, “era molto facile che un operaio insoddisfatto del proprio lavoro o del proprio titolare, potesse prendere la bicicletta e spostarsi a brevissime distanze, verso un‟altra impresa, per offrire la propria opera”22. Questa facilità con cui gli operai, soprattutto specializzati, si potevano spostare da una organizzazione all‟altra, conduceva al conseguente trasferimento di know- how, arricchendo così aziende nuove, ma ahimè impoverendo quelle abbandonate perché troppo rigide nel trovare un punto d‟incontro, per aumenti di merito, retribuzione, ecc. Se valutiamo questo fenomeno, ci si può rendere conto di quanto possa essere da sempre stato importante, e in alcuni casi essenziale il know-how non trasferibile, cioè quello posseduto dai familiari, che non lasciano così facilmente, alla prima difficoltà, la propria famiglia.

Con il passare degli anni, alcuni di questi raggruppamenti organizzativi, si sono sviluppati, hanno creato veri e propri centri pluri culturali, finalizzati alle stesse produzioni, ma che di fatto all‟interno diversificavano e ampliavano sempre più le conoscenze e abilità: chi si è specializzato nel disegno dei tessuti, delle piastrelle, dei prodotti, chi si è interessato alla progettazione di macchine utensili specifiche del settore, cosicché venivano fornite idee alle altre imprese. Si sono creati anche delle vere e proprie diversificazioni all‟interno della stessa azienda,

tra il piccolo imprenditore e i propri clienti, infatti questa peculiarità deriva da questa tendenza di stringere rapporti personali con i propri clienti, cercando di vincere la concorrenza, conoscendo al meglio le preferenze dei propri consumatori, anticipandone i bisogni, il piccolo imprenditore in questo modo si conquista il favore dei propri clienti.

22 Montecamozzo C. F., Guida al passaggio generazionale nelle Pmi, Ipsoa, 2012

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in termini di gestione e organizzazione del personale, basti pensare come spesso ed involontariamente in molte imprese avviate in quegli anni, avveniva un‟implicita suddivisione dei ruoli tra fratelli e sorelle, ossia la figlia femmina stava in loco all‟azienda a svolgere le mansioni produttive (si pensi alle aziende produttrici tessuti o prodotti alimentari) e il figlio maschio si interessava della parte commerciale, ritenuto più consono ad intrattenere rapporti commerciali, e se era necessario lo si mandava in giro per il mondo a cercar materie prime e instaurare rapporti di fornitura indispensabili per l‟attività di famiglia. Questa era di fatto già un‟implicita suddivisione di mansioni all‟interno della stessa impresa.

Tutte queste iniziative hanno sviluppato negli anni, le potenzialità tipiche del distretto facendolo diventare un vero e proprio “cluster” 23, ove ogni mestiere o attitudine si specializza in quello specifico business. In questo ambito le imprese familiari hanno avuto la loro rilevante importanza, perché molti fratelli minori o figli di imprenditori hanno costituito imprese collaterali alla produzione tradizionale, di famiglia, sfruttando indubbiamente la compagine di rapporti ormai creatasi negli anni, le conoscenze nel settore e la predisposizione della famiglia ad ampliare l‟ambito di applicazione operativa dell‟originaria azienda.

Fatto molto importante da ricordare è che anche quando un‟impresa entrava in crisi e falliva, il suo know-how non si perdeva perché qualche dipendente o qualche altro individuo, della stessa famiglia o di altra famiglia già pratica del settore, si metteva in proprio e continuava l‟attività. Una prova di grande vitalità e una ricchezza, quella di voler fare e saper fare gli imprenditori, che in molti Paesi del modo è completamente assente, ma che in Italia è radicata in molte famiglie.24

23 Per meglio comprendere la terminologia “cluster” si rimanda alla definizione: gruppo omogeneo, cluster industriale visto come insieme di imprese, fornitori e istituzioni strettamente interconnesse.

Concentrazioni settoriali e geografiche di imprese. Sottoinsieme di imprese o professionisti all’interno dello stesso settore di attività, contrassegnati da caratteristiche strutturali comuni.

24 Montecamozzo C. F., “Guida al passaggio generazionale nelle Pmi”, IPSOA, 2012. Questo concetto anticipa ciò che verrà di seguito analizzato, cioè la tendenza allo spirito imprenditoriale che si denota nell’imprenditore italiano, che tendenzialmente cerca di salvaguardare il know how proseguendo l’attività dell’impresa familiare, avendone i mezzi a disposizione, e le opportune capacità.

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1.5 Caratteri distintivi delle micro imprese 1.5.1 La creatività e la cultura

Ovviamente non tutte le Pmi appartengono ai distretti industriali. Spesso esse sono nate dall‟intuito e dal talento del singolo, che ha cercato e saputo incontrare l‟occasione di misurarsi con il mercato. Infatti un altro importante fattore che distingue la nostra imprenditoria dalla media europea è la creatività ed intraprendenza degli italiani, decisamente più propensi di altre popolazioni all‟avventura imprenditoriale sia nell‟industria che nel commercio 25.

Un altro elemento fondamentale da cui trae forza oggi il “made in Italy” è la presenza di una grande tradizione culturale. Di seguito si riportano alcuni esempi per chiarire come molti fabbricati abbiano saputo cogliere le occasioni che la nostra grande tradizione culturale ci ha offerto e ci offre tuttora.

Nel “cluster” delle piastrelle di Sassuolo (Emilia-Romagna) nato, come in altre parti del mondo, per l‟esistenza in luogo di vaste riserve di materia prima, si è poi sviluppato un business rinomato nella fabbricazione e nella decorazione di piastrelle, si è affermato sempre più in concorrenza con i numerosi altri siti nei quali si producono da secoli prodotti simili. Ciò che ha permesso ai nostri prodotti di ottenere fama mondiale è stata la decorazione aggiuntiva cosiddetta di

“terzo fuoco” successiva alla seconda, di ispirazione al buon gusto italiano, eredità della nostra civiltà e talvolta direttamente conseguito dalle opere degli artisti del nostro passato, presentando indubbie caratteristiche di eleganza. Le imprese specializzate nel “terzo fuoco” sono sempre state e sono tuttora poche e di piccola dimensione rispetto a quelle che si interessano esclusivamente ai primi due fuochi, ma il loro apporto è stato talmente determinante da apportare successo e fama anche alle altre. Questo inciso serve a far luce come delle particolari lavorazioni, site in specifiche zone del nostro Paese, rendano uniche le nostre lavorazioni.

Lo stesso fenomeno si è rilevato in molti altri settori: semplicemente a titolo informativo, si possono ricordare le imprese italiane che fabbricano strumenti

25 Da questo elemento si denota come nel nostro Paese vi sia la tendenza alla creatività che spinge ad una innata intraprendenza degli italiani a mettersi in gioco avviando attività d’impresa.

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musicali, che sono nate in Italia ma hanno avuto l‟agio di svilupparsi anche in altri Paesi nella patria di musicisti famosi. Nella maggior parte dei casi siamo pure conosciuti e assai apprezzati per il successo della nostra industria della moda nel mondo, fondata sull‟eredità diretta della nostra antica cultura e civiltà, ma il prestigio che ne deriva è stato coltivato negli anni di vita di queste aziende dalla continua ricerca di prodotti di estrema qualità, eleganza, di fatto contraddistinti dalla creatività di chi li aveva sviluppati. Ciò rende onore a chi in tale settore è riuscito a distinguersi, e mantenersi all‟altezza della tradizione italiana.

Spesso molte aziende del nostro territorio possono poi avvalersi delle favorevoli condizioni climatiche, che negli anni hanno saputo sfruttare a loro vantaggio. E‟

il caso delle nostre industrie turistiche, delle fabbriche di barche da diporto, che in molti casi con piccoli cantieri si è sviluppata una forte specializzazione, da cui vengono costruite barche con l‟antica e preziosa esperienza tramandata da secoli.

Lo stesso vale per le piccole imprese artigiane e per quelle aziende di piccola dimensione che si occupano della fabbricazione e vendita di attrezzi per le scalate (corde, piccozze, scarponi da montagna, scarpe per il “free climbing”) che, se la nostra struttura orografica non fosse dotata della catena di montagne più estesa d‟Europa, non avremmo mai pensato di fabbricare. Quindi tutti questi elementi di peculiarità orografiche, climatiche nonché la storica creatività che contraddistingue il nostro Paese e chi lo popola fa intendere come abbiano inciso nello sviluppo delle nostre imprese.

1.5.2 Il culto della famiglia e la solidarietà

Un altro elemento che ha fortemente inciso nello sviluppo di imprese piccole e compatte all‟interno del nostro Paese, è stato sicuramente la solidarietà familiare, dato assai radicato nella cultura degli italiani, sia per l‟importanza che la religione cristiana (in cui si è sviluppato il nostro bel Paese) ha da sempre dato all‟istituto della famiglia, sia per le arcaiche usanze fin dai tempi degli antichi

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romani, la famiglia è sempre stata alla base della nostra etica 26. Questo elemento ha favorito l‟impresa-famiglia e ha dato luce al fenomeno del “capitalismo familiare”. E‟ per questo motivo, importante sottolineare, come sia per tradizione religiosa (ispirata ai principi del Cristianesimo), sia per gli usi e costumi di aree appartenenti alla nostra penisola, anche meno sensibili al culto religioso, tutti sono fortemente orientati alla conservazione delle tradizioni familiari. Perciò si può affermare che in Italia la famiglia è sempre stata un‟istituzione forte e la solidarietà familiare una virtù praticata e tenuta in grande considerazione.

E‟ di notevole importanza riflettere sul fatto che ogni qualvolta che la solidarietà familiare è diminuita o è entrata in crisi per una ragione qualsiasi, ecco che il forte spirito di indipendenza dei singoli membri della famiglia, tutti molto ben predisposti ad assumersi il rischio imprenditoriale e poco disposti a perdere tempo in futili discussioni, ha condotto a scissioni dell‟unità organizzativa e la conseguente nascita di nuove realtà aziendali. In altre parole, la carenza di cultura organizzativa, unico elemento che avrebbe potuto smussare gli angoli di forti incomprensioni fra fratelli, cugini e familiari, di solito, è stata causa del fenomeno della scissione aziendale per molti decenni. Da qui si evince come fratelli e cugini, che perpetuando gli sforzi imprenditoriali dei familiari fondatori, avrebbero potuto condurre la ereditata realtà aziendale da piccola a media dimensione per poi eventualmente crescere ancora di più, si sono in realtà divisi, e hanno fatto di una piccola azienda che vantava buone prospettive andamentali e di crescita, due piccole imprese che di fatto non potevano crescere e prosperare più di tanto per la limitata disponibilità di risorse, in termini di capitale umano e finanziario. Fortunatamente le divisioni delle imprese familiari dovute a scontri caratteriali, molto frequenti in passato, sono oggi in flessione. La migliore prospettiva dunque si prospetta nel caso in cui vi sia l‟acquisizione della capacità di lavorare in team e di collaborare condividendone la leadership, soltanto una volta raggiunto tale assetto organizzativo si potrà vedere il passaggio di un buon

26 Si vuol far notare come l’assetto delle imprese familiari presenti per l’80% nel nostro Paese, derivi da origini assai lontane, la tradizione, gli usi e costumi, nonché la solidarietà familiare è proprio da ricercare nella cultura degli italiani, di fatto il nostro Paese si è sviluppato nella religione cristiana che ha da sempre dato ampia importanza all’istituto della famiglia.

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numero di piccole imprese familiari, dalla dimensione di piccola impresa monocratica con mentalità artigiana a quella di media dimensione condotta da un Consiglio di Amministrazione ben organizzato e ben condotto.

1.5.3 La laboriosità

Un elemento da riconoscere alle piccole imprese popolanti il nostro Paese, è sicuramente quello della laboriosità di coloro che vi operano, sempre disponibili a sacrificarsi per lavorare un‟ora in più quando si deve tener fede ad una data di consegna o se si deve far qualcosa di particolare per soddisfare le esigenze del cliente. Questa conduzione di lavoro, questo orientamento al sacrificio sul lavoro, è tipica della stragrande maggioranza di piccole imprese, artigiane e non, e questa attitudine deriva in gran parte dalle antiche discendenze contadine dei nostri avi, che non potevano certo permettersi di lasciare a metà il raccolto per paura della pioggia, e di certo non contavano le ore di lavoro quando i campi dovevano essere arati o seminati al momento giusto, cosicché ciò si è trasferito nelle nostre piccole imprese familiari, più che in ogni altro tipo di impresa, dove invece gli orari sono regolati da orari rigidi stabiliti dai contratti di lavoro.

Si ritiene opportuno, a tal proposito, ricordare l‟ovvia considerazione che il fatto di avere una propria attività, quindi lavorare in autonomia, stimola il soggetto a dedicarsi al proprio lavoro con maggiore devozione, impegnandosi per ottenere risultati concreti sempre più soddisfacenti, sia nei confronti del cliente e dunque conseguentemente in termini di maggiorato profitto che ne deriva per l‟azienda stessa. Spesso l‟imprenditore, è colui che ci impiega più ore di lavoro nella propria attività, rispetto a chi, a fronte di una retribuzione a tariffa sindacale, si è impegnato a fare il proprio dovere nei confronti di una grande azienda posseduta da anonimi azionisti. Vantaggio che rischia di annullarsi soltanto se, oltre al maggiore impegno, non ci si mette anche più materia grigia e cultura d‟impresa27.

27 Da questa osservazione ne deriva che il semplice sacrificio e devozione al lavoro non può di per se essere unico ed esclusivo indice di successo della gestione d’impresa, infatti come si denoterà tra le principali criticità della figura del micro imprenditore, spesso quello che viene a mancare non è tanto lo spirito di sacrificio nei confronti del proprio lavoro, quanto le competenze manageriali, e una adeguata preparazione, formazione culturale di supporto al proprio operato, infatti il micro imprenditore si

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1.5.4 Flessibilità

Un dato rilevante da riconoscere alle micro imprese è proprio la loro flessibilità sia in termini operativi che di work-flow: a differenza delle grandi imprese, infatti, riescono facilmente ad adattarsi ai cambiamenti sia delle condizioni economiche generali, sia delle trasformazioni all‟interno del proprio settore d‟appartenenza e dei propri mercati. Quando si parla di flessibilità della micro impresa molto spesso ci si riferisce esclusivamente alla possibilità per la micro impresa di espandere e contrarre il proprio organico in modo facile e veloce, dimenticandosi di evidenziare come la flessibilità di tale tipologia di impresa si delinea invece nella capacità di diversificare la propria produzione seguendo i trends del mercato, di riconfigurare la propria offerta e di re- inventarsi ogni volta che occorre, per riuscire a sopravvivere e ad offrire prodotti e servizi di nicchia che le grandi imprese riescono con difficoltà ad individuare ed aggredire in tempi brevi 28.

1.5.5 Relazioni con il cliente

E‟ opportuno riconoscere alla micro impresa una caratteristica che di fatto la distingue dalle grandi aziende, che assai difficilmente potranno eguagliare: il contatto diretto con il cliente. Ogni piccolo imprenditore conosce a memoria i propri clienti più fedeli e importanti, ne conosce i gusti, le preferenze, e ne sa anticipare le scelte, sa consigliarli al meglio e sa offrirgli offerte mirate e persuasive, ideate spesso a pennello sulla base di una profonda conoscenza. Il management delle grandi aziende ha invece, il più delle volte, un‟idea confusa della propria clientela, e se vuole approfondire le preferenze della ampia compagine dei propri consumatori, si vede costretto ad investire ingenti somme di denaro per poter condurre ricerche di mercato e focus group, spesso tra l‟altro senza ottenere risultati così soddisfacenti o profili attinenti dei segmenti di clientela indagati. La relazione con la propria clientela è un asset fondamentale

attiene soltanto alla formazione sul lavoro data dall’esperienza più che alle conoscenze apprese da corsi specifici di valido supporto alla propria attività.

28 In questo caso si vuol far presente che sarà sempre richiesta una forte capacità da parte del micro imprenditore di mettersi continuamente in gioco, per far fronte ai cambiamenti che si prospettano nello scenario del mercato che ad oggi risulta sempre più turbolento e denotato da forti spinte competitive.

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per una micro impresa, quasi indispensabile, che permette all‟azienda stessa di disegnare una mappa percettiva dei propri clienti, permettendo all‟impresa di migliorarsi continuamente allineandosi ai desideri della clientela. In sostanza, si sa, riuscire a stabilire una relazione con il cliente consente di creare un rapporto di fiducia che, se alimentato costantemente, potrà far aumentare il Customer Life Time Value del cliente.29

1.6 Ciclo di vita di una micro impresa

Le micro imprese hanno un proprio ciclo vitale in qualche modo simile a quello degli essere umani, quindi nascita, sviluppo, maturità, e decadenza. In realtà tale ciclo sarà molto più complesso dato che il ciclo di vita di un‟impresa può svilupparsi sia indietro che in avanti. Basti pensare ad una micro impresa che si trova in una fase di decadenza, una volta che poi questa viene acquisita da un‟altra proprietà, a seguito di un intervento mirato, può ritornare ad una fase di sviluppo.

Dinamicità delle micro imprese. David Birch e la teoria della dinamica delle micro imprese. Uno degli studi più importanti sulla dinamicità delle micro imprese e sui loro cicli vitali è stata realizzata dal professor David Birch del MIT di Boston: lo studio di Birch resterà fondamentale per aver posto sotto osservazione un campione sterminato, ben 22 milioni di imprese in un arco temporale molto lungo, 22 anni, dalla fine degli anni „60 fino agli anni „80 , e i

29 Nota : Customer Life Time Value: è un indicatore che misura i profitti prevedibili in base alla relazione con i clienti, a partire dal loro comportamento di acquisto. In altri termini, si può definire come il guadagno che ogni nostro cliente può generare nel tempo. Dalla definizione di CLV emergono subito alcune caratteristiche: viene calcolato considerando i comportamenti di acquisto; è un indicatore che misura la profittabilità dei clienti; viene calcolato su un arco temporale definito, la “vita del cliente”, intesa come relazione con l’azienda. Per calcolare il CLV esistono diversi metodi: somma delle entrate del singolo cliente; oppure somma delle entrate del singolo cliente*tempo di vita, oppure margine di profitto* somma delle entrate (tempo di vita/1+tasso di sconto-tempo di vita). Da non dimenticare che ogni azienda ha l’obiettivo di accrescere il valore della propria clientela attuale e futura attraverso l’acquisizione, l’investimento sui clienti più profittevoli, il mantenimento e la minimizzazione dei suoi costi nel lungo periodo, ecc. Aumentare il valore della propria base clienti equivale ad aumentare il valore complessivo dell’azienda. (il Customer Life Time Value per il marketing, Davide Camera, Febbraio 2016)

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