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La prognosi per i pazienti con questo tipo di tumore è molto infausta e la maggior parte di loro decede entro un anno dalla diagnosi [1]

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INTRODUZIONE

1.1 I GLIOMI MALIGNI: BIOLOGIA E TERAPIE STANDARD.

I tumori del sistema nervoso centrale possono derivare da diversi tipi cellulari, tra cui cellule gliali come gli astrociti e gli oligodendrociti. Tra gli astrocitomi l’astrocitoma anaplastico (WHO grado III) ed il glioblastoma (GBM, WHO grado IV) rappresentano i tipi di tumore primario al cervello più diffusi. Il GBM, la forma biologicamente più aggressiva, è definito dalle distintive caratteristiche di crescita incontrollata, infiltrazione diffusa, tendenza alla necrosi, robusta angiogenesi e resistenza all’apoptosi. La prognosi per i pazienti con questo tipo di tumore è molto infausta e la maggior parte di loro decede entro un anno dalla diagnosi [1]. La terapia standard consiste nella massima resezione chirurgica, con successiva terapia radiante e trattamento con temozolomide [2]. Il GBM tende inevitabilmente a recidivare sia grazie alla presenza di cellule altamente invasive infiltrate nel tessuto cerebrale normale che grazie alla insorgenza, in sottopopolazioni cellulari, di meccanismi di resistenza specifici. Le terapie di salvataggio che vengono attuate in caso di recidiva consentono solo un minimo allungamento delle prospettive di vita. Per tutte queste ragioni nuovi approcci terapeutici sono fortemente necessari.

Il GBM è stato anche definito glioblastoma multiforme in seguito ad una significativa eterogeneità intratumorale sia dal punto di vista genomico che trascrizionale che citopatologico. In accordo agli studi di caratterizzazione molecolare condotti nell’ambito del Cancer genome atlas project il termine glioblastoma è risultato un nome generale che raccoglie numerosi sottotipi caratterizzati da distinte proprietà

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molecolari. Sulla base del profilo trascrizionale globale i GBM possono essere divisi in 4 distinti sottotipi rilevanti sotto il punto di vista clinico [3] pro-neurale, neurale, classico e mesenchimale caratterizzati rispettivamente da alterazione di PDGFRA e mutazioni di IDH1, espressione di marcatori neuronali, amplificazione di EGFR, delezioni di NF1. Tra i 4 sottotipi il tipo classico non presenta mutazioni del gene TP53 che nella globalità risultano interessare solo il 35% dei glioblastomi [4]. Oltre alla presenza di numerosi casi di GBM esprimenti p53 nella sua forma wild-type il 14% di questi tumori presenta amplificazioni dell’inibitore di p53, omologo umano di Mdm2 (Hdm2). [4]. Per questa ragione il potenziamento della attività di p53 e dei suoi target potrebbe rappresentare una opportunità per lo sviluppo di nuovi approcci per la cura di questo tipo di tumore.

1.2 GLI INIBITORI DEL PROTEASOMA COME FARMACI ANTITUMORALI

Il proteasoma è il secondo principale compartimento cellulare per la proteolisi. I proteasomi sono strutture con molte subunità e dimensioni pari a circa la metà di quelle di un ribosoma, localizzati sia nel citoplasma sia nel nucleoplasma; sono abbondanti e spesso costituiscono oltre l’1% del totale delle proteine cellulari, inoltre contengono una serie di siti proteolitici attivi sistemati sulla parete interna di una camera cilindrica. La chiave che regola la degradazione da parte dei proteosomi è il controllo dell’accesso delle molecole nella camera proteolitica centrale. Il meccanismo di marcatura più caratteristico consiste nel legare sulle proteine in modo covalente e reversibile una piccola proteina, l’ubiquitina. L’ubiquitina è una proteina

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molto abbondante e altamente conservata formata da 76 residui. A livello C-terminale si estendono quattro amminoacidi dalla struttura globulare compatta e il terminale C si lega alle proteine da marcare. L’ubiquitinazione dirige la degradazione selettiva di molte proteine diverse: proteine ripiegate in modo anomalo, proteine regolatorie, comprese alcune che controllano la progressione del ciclo cellulare; componenti dei sistemi di trasduzione del segnale e regolatori della trascrizione. Le proteine con l’ubiquitina legata sono indirizzate ai loro vari destini dall’interazione con proteine che contengono domini di legame dell’ubiquitina. L’ubiquitinazione dei substrati proteici procede lungo una via a tappe strettamente controllata, che è stata spiegata grazie alla purificazione biochimica di componenti dei mammiferi e alla ricostruzione in vitro di reazioni parziali. Lo schema complessivo può essere suddiviso in tre stadi:

- Attivazione dell’ubiquitina: l’enzima di attivazione dell’ubiquitina E1 catalizza la formazione di un legame tioestere covalente tra la catena laterale di uno dei suoi residui di cisteina e il gruppo carbossilico della glicina C-terminale dell’ubiquitina. L’uomo possiede solo alcuni enzimi E1.

- Trasferimento dell’ubiquitina a un enzima E2: l’ubiquitina attivata è poi trasferita a un residuo di cisteina di un E2 o enzima che lega (o trasporta) l’ubiquitina.

L’uomo ha più di 40 enzimi E2.

- Ubiquitinazione di proteine bersaglio: le ubiquitina ligasi E3 catalizzano il trasferimento dell’ubiquitina da un coniugato E2 al substrato proteico, direttamente o in due tappe mediante un intermedio ubiquitina-E3. Il terminale C dell’ubiquitina è generalmente legato alla proteina bersaglio mediante un legame amide al gruppo ε- aminico di un residuo di lisina o all’N-terminale del gruppo amminico.

L’uomo ha più di 500 enzimi E3 che conferiscono specificità alla reazione di ubiquitinazione. Molecole aggiuntive di ubiquitina sono poi coniugate mediante un

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meccanismo non ancora noto sulla lisina in posizione 48 dell’ubiquitina precedente per creare una catena di poliubiquitina. In generale, catene di quattro o più ubiquitine sono sufficienti per convogliarle al proteasoma.

E’ emerso che il proteasoma è un importante obbiettivo clinco per il trattamento dei tumori, infatti l’ubiquitina-proteasoma svolge un ruolo chiave nella degradazione della maggior parte delle proteine intracellulari coinvolte nel ciclo cellulare, attivazione dei fattori di trascrizione, sopravvivenza cellulare, apoptosi e crescita tumorale [5,6]. Inoltre diversi studi hanno dimostrato che inibitori del proteasoma inducono apoptosi preferibilmente nelle cellule trasformate [7,8]. L’inibitore del proteasoma bortezomib è stato autorizzato dalla US Food and Drug Administration per studi clinici, ed un certo numero di studi di fase I hanno documentato che può essere tranquillamente utilizzato su una varietà di programmi [9-14] con risultati sorprendenti su tumori di mieloma sui quali l’attività è stata confermata con uno studio di fase II che ha mostrato il 27% della risposta globale [15].

Nonostante la promettente attività come inibitore del proteasoma e farmaco antitumorale, bortezomib perturba altamente l’omeostati cellulare e nelle sperimentazioni su pazienti si sono verificati effetti tossici che ne limitano il dosaggio clinico [16,17]. Inibitori del proteasoma hanno trovato la loro applicazione anche come mezzo per indurre chemiosentitizzazione e superare la chemioresistenza in combinazione con diversi altri farmaci [6].

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1.3 GLI INIBITORI DI HDM2 COME FARMACI ANTITUMORALI

Sovraespressione di Hdm2, un E3 ubiquitina ligasi che lega e ubiquitinizza p53, porta alla degradazione di p53 attraverso il pathway dell’ubiquitina/proteasoma [18].

Perciò, l’inibizione diretta della funzione di Hdm2 può stabilizzare p53, incrementando così i livelli di questa proteina, attivando la via apoptotica di p53 in modo genotossico. Nutlin-3 è una piccola molecola cis-imidazoline con affinità per la tasca di Hdm2 per il legame con p53. Nutlin-3 è in grado di ostacolare l’interazione p53-Hdm2, proteggendo p53 dalla degradazione proteosomica attivandone il pathway, con conseguente apoptosi in vari tumori maligni [19-22]. Nutlin-3 è selettivo per il cancro rispetto alle cellule normali, come rilevato dalla mancanza di tossicità per le cellule mononucleate del sangue periferico o derivati del midollo osseo- progenitori emopoietici e cellule epiteliali stromali del midollo osseo [23].

Nutlin-3 è recentemente entrata in trial clinici con pazienti affetti da tumori solidi avanzati o neoplasie ematologiche [23].

1.4 BTG2 COME ONCOSOPPRESSORE.

BTG2 è membro della famiglia BTG/tob che condivide un dominio altamente conservato chiamato BTG domain [24,25,26], che svolge la funzione di modulo di interazione proteina-proteina. Grazie a tale dominio, BTG2 interagisce con molti fattori coinvolti in differenti attività cellulari. BTG2 interagisce infatti con CNOT7 e CNOT8, subunità del complesso Ccr4-Not coinvolto in molti aspetti del metabolismo dell’RNA [27,28], in particolare BTG2 inibisce l’attività deadenilasica di CNOT7 in

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vitro. BTG2 interagisce con l’arginina metiltrasferasi PRMT1 e questa interazione risulta implicata nella regolazione dell’espressione genica mediata dal recettore dell’acido retinoico [29]. Le proteine BTG 1 e 2 modulano la trascrizione mediata dal recettore per gli estrogeni alpha attraverso la loro interazione con CAF1. In questo contesto BTG2 esibisce sia un ruolo di coattivatore che di corepressore; è infatti possibile che le proteine BTG e CAF1, la cui espressione inibisce la proliferazione cellulare, possano funzionare come corepressori per geni la cui espressione attiva la proliferazione cellulare e come coattivatori per geni antiproliferativi [30]. BTG2 ad esempio inibisce la trascrizione del gene per la ciclina D1 [31]. BTG2 interagisce anche con Hoxb9 aumentandone le capacità di legame al promotore come pure l’attività trascrizionale [32]. Come questa particolare attività di BTG2 si rifletta sulle attività in vivo di Hoxb9 non è tuttavia chiaro, infatti è stato dimostrato che Hoxb9 promuove la tumorigenicità e la metastatizzazione del tumore del seno [33], dove invece l’espressione di BTG2 correla direttamente con una migliore prognosi [34,35]. BTG2 interagisce con una proteina legante la PKCalpha permettendo di supporre che BTG2 possa avere un ruolo nella trasduzione dei segnali mediata dalla PKC [36]. BTG2 interagisce anche con Cdc2 inibendo il suo legame con la ciclina B1 e quindi favorendo il blocco in G2/M [37]. Particolarmente interessante è l’interazione di BTG2 con la peptidil-prolil cis/trans isomerasi Pin1, un enzima che regola diversi processi cellulari tra cui la progressione del ciclo cellulare e l’apoptosi mediante interazione con differenti fosfoproteine [73]. Pin1 fosforila proteine su specifici residui di serina o treonina che precedono immediatamente una prolina modificandone la conformazione e la stabilità. Due studi riportano che Pin1 è necessario per un rientro efficiente nel ciclo cellulare in risposta alla stimolazione

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mitogenica dopo arresto in G0 [74,75]. Inoltre, la sovraespressione di Pin1 è stata correlata con l’oncogenesi [73].

E’ stato dimostrato che, in una linea di carcinoma renale, in seguito a stimolazione con EGF, BTG2 viene fosforilato da pERK1-2 e diviene capace di legare Pin1, trattenendolo nel citoplasma. Tale evento è poi seguito dalla morte cellulare mediata da depolarizzazione del potenziale transmembrana mitocondriale [38]. Un aspetto da sottolineare è che il sequestro di Pin1 nel citoplasma da parte di BTG2 impedisce a Pin1 di modificare le proteine nucleari necessarie per l’entrata in fase S, come pure di determinare la stabilità telomerica, due aspetti fondamentali nella scelta tra immortalizzazione e ingresso in senescenza [39,40].

Grazie alle sue interazioni BTG2 agisce come regolatore del ciclo cellulare inducendo il blocco della proliferazione cellulare, l’acquisizione del fenotipo senescente o differenziativo e talvolta l’apoptosi [41,26]. Grazie alla sua attività antiproliferativa BTG2 riveste un ruolo importante nella neurogenesi, sia durante l’embriogenesi che nel cervello adulto. Le cellule neuroepiteliali (NE) formano lo strato ventricolare del tubo neurale embrionale e sono i progenitori di tutti i neuroni e cellule gliali del sistema nervoso centrale (CNS) di mammifero. Durante la neurogenesi, che segue un andamento spazio-temporale preciso, accanto alle divisioni proliferative simmetriche (due cellule figlie NE) che servono ad aumentare il numero di progenitori compaiono nel neuroepitelio divisioni che producono neuroni post-mitotici, i quali lasciano il neuroepitelio per migrare verso l’esterno del tubo neurale dove differenziano; la gliogenesi segue la neurogenesi con qualche giorno di ritardo. BTG2 è espresso in maniera transitoria nel neuroepitelio dell’embrione di topo, limitatamente a quelle cellule neuroepiteliali che alla divisione successiva producono neuroni post-mitotici [43]. Nell’adulto, la sovraespressione di BTG2 nelle cellule progenitrici

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dell’ippocampo ne accelera il differenziamento, provocando difetti nelle funzioni di plasticità sinaptica e apprendimento [44]. La sua delezione invece determina un aumento della proliferazione delle cellule progenitrici nel giro dentato del topo adulto impedendone allo stesso tempo la maturazione finale [45]. BTG2 è considerato un importante oncosoppressore in vari tipi di tumore. Infatti l’espressione forzata di geni BTG determina un’inibizione della crescita tumorale [45,46] e l’analisi di campioni clinici di vari tumori evidenzia una ridotta espressione di membri della famiglia BTG o una loro inattivazione mediante fosforilazione [34,47-52]. L’omologo murino di BTG2 è sottoespresso nei gliomi indotti dalla sovraespressione di PDGF [53].

L’espressione di BTG2 è regolata in funzione di numerosi fattori ed a diversi livelli.

In primis, la trascrizione di BTG2 è fortemente indotta da p53 [54,55] suggerendo che l’inattivazione di BTG2 possa giocare un ruolo chiave nella carcinogenesi. Tuttavia la presenza nel promotore di BTG2 di siti di legame per altri fattori trascrizionali come NF-kB, AP1 e GATA1 [56] suggerisce che questo gene risponda ad anche altri induttori. Una volta indotto, BTG2 reprime la proliferazione attraverso meccanismi sia Rb-dipendenti [31] sia rb-indipendenti [72]. Dati di letteratura indicano che BTG2 è anche soggetto ad uno stretto controllo post-traduzionale dovuto ad una rapida degradazione ad opera del proteasoma [64].

Molti segnali extracellulari sono coinvolti nella regolazione dell’espressione di BTG2, ad esempio i livelli di espressione di questo gene sono incrementati dalla somministrazione di NGF nelle cellule PC12 [57], di TPA nelle cellule NHI3T3 [58]

come pure di acido retinoico in una serie di linee cellulari [59,60,29].

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SCOPO DELLA TESI

Questa tesi ha avuto il duplice scopo di individuare un approccio farmacologico finalizzato a stimolare l’azione antiproliferativa di p53 e di analizzare l’espressione e la funzione e del suo target BTG2 nei gliomi. Esistono numerose evidenze a dimostrazione della efficacia dell’inibitore di HDM2 Nutlin-3 e degli inibitori del proteasoma usati come agenti farmacologici singoli nel ridurre la crescita di linee cellulari di glioma [61,62,63]. Il presente lavoro si basa sul presupposto che gli inibitori del proteasoma e gli inibitori di HDM2 producono entrambi la stabilizzazione di p53 e di alcuni dei suoi effettori, agendo su tappe diverse dello stesso pathway. Quindi parte del presente lavoro è stata quella di indagare se il trattamento con la Nutlin-3 potenziava gli effetti antiproliferativi dell’inibitore del proteasoma MG132 nella linea di glioma umano U87-MG che esprime p53 nella sua forma wild-type. A tale scopo sono state individuate le concentrazioni di MG132 idonee a inibire l’attività del proteasoma e le combinazioni di Nutlin-3 e MG132 che permettevano di ottenere un effetto sinergico nella riduzione della vitalità cellulare.

Mediante un approccio multidisciplinare si sono inoltre valutati gli effetti a livello molecolare, cellulare ed ultrastrutturale della Nutlin-3 e dell’MG132. Una seconda fase di questa tesi si è invece focalizzata sullo studio del ruolo di BTG2 nella biologia dei gliomi in quanto, in seguito a studi di quantificazione dei trascritti BTG2 in una collezione di tessuti di glioma e di sistema nervoso normale, è emerso che questo gene, comunemente considerato come un oncosuppressore, è espresso o addirittura sovraespresso nei tessuti di glioma. Per questa ragione abbiamo iniziato a studiare l’effetto della sovraespressione di BTG2 nella linea U87-MG con lo scopo di comprendere la funzione svolta da questa proteina nei gliomi.

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