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Considerazioni sul tema del “ Risarcimento del danno alla persona”

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Considerazioni sul tema del

“ Risarcimento del danno alla persona”

Dr. Antonio Nannipieri*

1°) Il tema del convegno è particolarmente impegnativo perché affrontare le varie e delicate problematiche del danno a persona da responsabilità civile con l'intento di giungere ad indicare principi, criteri, metodi e normative che possono consentire un equo risarcimento, significa sollecitare l'approfondimento di molteplici e difficili questioni giuridiche medico-legali e assicurative che rischiano di rimanere in gran parte inespresse ed insolute.

Ma se dal titolo generale scendiamo all'esame degli argomenti specifici relativi alla valutazione delle menomazioni multiple, al danno alla sfera sessuale, al danno estetico ed al danno alla vita di relazione, allora ci rendiamo conto che il compito non è solo stimolante ed interessante ma anche suscettibile di un dibattito aperto e concludente perché i temi “particolari” finiscono necessariamente per investire tutte le attuali problematiche valutative del danno da responsabilità civile di carattere generale .

Ed infatti il danno alla sfera sessuale, il danno alla vita di relazione ed il danno estetico, rappresentano figure di pregiudizio capaci, per un verso, di portarci a ripercorrere, in un mutato quadro dottrinario e giurisprudenziale, le tappe più significative del nuovo modello risarcitorio fondato sulla unitaria e prioritaria nozione del danno biologico o danno alla salute, che ha

“assorbito” le voci di danno sopra indicate e, per altro verso, di rendere attuale l'analisi di una serie di problemi legati dalla considerazione che la natura di tali danni è connotata da una frequente incidenza su altri apparati, da pregiudizi obiettivi e subiettivi e da una componente psichica e relazionale .

2°) In proposito, tra le molte questioni connesse agli effetti ed alle conseguenze dei danni in esame, è sufficiente accennare alla posizione di una parte della dottrina giuridica sull’introduzione della nuova categoria del danno esistenziale inteso come “somma di ripercussioni relazionali di segno negativo” nonché della tesi avanzata di recente dal prof. Fiori che, muovendo dall’esigenza di estendere il compito del medico-legale nella valutazione del danno alla salute, propone che quest'ultimo sia “personalizzato” direttamente dal medico stimando in giorni ed in percentuale anche gli eventuali aspetti relazionali e non solo limitandosi a quantificare la menomazione psicofisica temporanea o permanente .

E ciò con la precisazione che, spettando al danneggiato fornire la prova del genere di vita antecedente, l'invalidità permanente dovrebbe essere valutata attraverso un primo calcolo di invalidità psicofisica e l'applicazione di un successivo coefficiente di maggiorazione per il potenziale danno alla vita di relazione, nella sua più ampia accezione, consentendo così al liquidatore di scorporare la quota maggioritaria nel caso in cui il richiedente non fosse in grado di fornire la prova

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richiesta (cfr. in Dir. Econ: Assic. 2/3 1998,343, A. Fiori “La stima personalizzata del danno alla salute: a chi compete e con quale metodo”).

Avuto riguardo dei disturbi psichici che spesso insorgono a seguito ed a causa di menomazioni di carattere estetico e sessuale, i termini delle difficoltà valutative e liquidative degli stessi, sotto vari profili, sono stati più volte evidenziati dalla dottrina giuridica e medico legale e dalla giurisprudenza, e qui è opportuno solo ribadire che tali difficoltà si riflettono in maniera problematica su uno degli argomenti più controversi della tematica della valutazione del danno e cioè sulla precisa linea di distinzione e demarcazione tra danno morale e danno biologico afferente la sfera psichica (per quest'ultimo cfr. da ultimo Brondolo, Marigliano “Il Danno da menomazione psichica” in Tagete 1/99 pag.67 ). Comunque tale linea deve ritenersi tracciata nel senso che siamo in presenza di un danno psichico riconducibile nell'ambito applicativo del danno alla salute dell'art.2043 cod. civ., quando sono stati accertati disturbi psichici di carattere patologico e del danno morale (transeunte turbamento psicologico del soggetto offeso) ricondubile all'ambito applicativo dell'art. 2059 cod. civ. quando siamo in presenza di una sofferenza psichica.

Merita anche fare un cenno di riferimento al danno da attività medico-sanitarie causato da interventi di chirurgia estetica diretti a rimuovere il pregiudizio estetico subìto a causa di sinistro stradale o da interventi di interruzione di gravidanza prodotta sempre da sinistro stradale, i quali possono in certi casi determinare danni di natura temporanea o permanente all'apparato sessuale con riflessi negativi sulla vita di relazione.

Proprio riguardo ad una fattispecie di mancato esercizio di diritto all’interruzione della gravidanza da parte della donna con sentenza 1.12.1998 n. 12195 (Foro Ital. 1/99 pag. 78 e Guida al Diritto n.8/99 pag. 66), è stato ritenuto che: qualora sussistano tutti gli elementi previsti dalla legge perché la gestante possa esercitare il diritto all’interruzione della gravidanza e risulti provato che la stessa, se fosse stata esattamente informata dal medico sulle malformazioni del feto, avrebbe effettivamente esercitato tale diritto, il medico che non abbia adempiuto al dovere di informazione incorre in responsabilità contrattuale e deve risarcire non solo il danno alla salute in senso stretto, ma anche il danno biologico in tutte le sue forme e il danno economico, che sia conseguenza diretta ed immediata del proprio inadempimento, in termini di causalità adeguata; inoltre un prossimo congiunto (nella specie il marito) è legittimato a chiedere il risarcimento dei danni riflessi, nel caso in cui il fatto colpevole del terzo abbia impedito ad una donna il legittimo esercizio del diritto di interruzione della gravidanza, cagionandole un danno grave alla salute.

Sempre in relazione ai danni conseguenti ad un intervento di interruzione volontaria della gravidanza, la Corte di Cassazione con sentenza 11.2.1998 n. 1421 (Giur. Ital. 1999, 21 con nota critica Guarino - Petti) ha, sia pure incidentalmente, riconfermato il principio secondo il quale il terzo che cagiona colposamente a persona sposata lesioni fisiche tali da rendere impossibile i rapporti sessuali, deve risarcire il danno biologico che ne deriva in via immediata e diretta all'altro coniuge, e un tale passaggio motivazionale riapre sul punto un noto dibattito dottrinale originato dai precedenti costituiti dalle sentenze della stessa Cassazione 11.11.1986 e 21.5.1996, che riguarda vari ed importati profili che vanno dal dubbio sulla sussistenza del danno biologico, alla collocazione dello stesso nell'ambito del danno biologico o del danno morale ed alla portata del medesimo da taluni ritenuto di natura plurioffensiva .

La citata decisione ha anche stabilito che sono risarcibili i cosiddetti “diritti riflessi” di cui sono portatori soggetti diversi dalla vittima del fatto ingiusto altrui, purché si sia verificato un danno in concreto che dovrà essere provato, sia pure mediante elementi indiziari, che, peraltro, non è risarcibile il danno dedotto subìto dal coniuge e dal figlio a seguito di una lesione che comporti per

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la moglie e la madre l’incapacità di procreare, in quanto è da escludersi la configurabilità di un diritto autonomo del coniuge e degli altri figli ad un accrescimento del nucleo familiare; che, nell'ipotesi di sopravvenienza della vittima, non è risarcibile il danno morale subìto dai prossimi congiunti della vittima per effetto dell'azione lesiva dell' integrità fisica compiuta da un terzo.

Ma tale ultimo diniego è stato, proprio a distanza di breve periodo, superato dalla innovativa sentenza della Cassazione Sezione III 23.4.1998 n. 4186 che ha affermato il principio secondo il quale i prossimi congiunti del soggetto vittima di lesioni colpose hanno diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali, ampliando la tutela dei danneggiati e aprendo nuovi percorsi risarcitori (fra i primi commenti vedi E. Pellecchia in RCP 1998 pag 1414ss. e De Marzo in Danno e resp. 1998, 686 ss.).

3°) Per quanto riguarda il contenuto specifico del danno estetico e del danno alla sfera sessuale, nell' ambito di quello più vasto del danno biologico, deve essere puntualizzato che “la funzione estetica o fisiognomica, è espressione non soltanto dei tratti del volto e della, mimica facciale, ma dell'insieme degli attributi esteriori della persona, d’ordine morfologico e funzionale, che concorrono a caratterizzarla, sotto il profilo della marmonia delle forme e della risonanza psichica che essa esercita” (Guida o.v.d. b. p. 1998,pag.243) che, invece, con il pregiudizio alla sfera sessuale ci si riferisce a quel tipo di lesione che comporta la perdita o la diminuzione degli organi sessuali anche solo in una delle loro funzioni che consistono:

a) sia nello sviluppo psicofisico dell'individuo, sia raggiunta la maturità sessuale nel suo mantenimento;

b) nella riproduzione;

c) nel soddisfacimento della libido (Franzoni).

E da tale profilo contenustico risulta evidente non solo la diversa collocazione delle due figure di danno rispetto al sistema tradizionale ma anche la necessità di adottare un criterio liquidativo che lasci spazio alla personalizzazione equitativa .

Né va trascurato che il danno alla vita sessuale e quello estetico, pur se ricondotti nell' ambito del contenuto proprio del danno biologico e sottratti, quindi, alle fittizie applicazioni ricorrenti nel sistema di valutazione tradizionale , possono, in taluni casi, non solo integrare gli estremi del reato di lesioni colpose (artt. 582 583 590 c. p. e 2059 c. c.) ma anche assumere rilevanza patrimoniale e dar luogo ad un cumulo delle due o delle tre voci di danno (danno biologico, danno patrimoniale da lesione della capacità personale di produzione di reddito e danno morale), come ad esempio nel noto caso della perdita totale della capigliatura da parte di una fanciulla (Cass. 23.1.1995 n.755) o di danno estetico localizzato al viso che può avere ripercussioni non soltanto su un’attività lavorativa già svolta ma altresì su di un’attività futura, precludendola o rendendola di più difficile conseguimento in relazione all' età ed al sesso del danneggiato .

Relativamente alla rilevante fascia delle micropermanenti la S. C. ha ritenuto (in via eccezionale rispetto al principio della esclusione dell' automatismo risarcitorio) che la presunzione circa la sussistenza di un mancato guadagno futuro, è operante nel caso di postumi di lieve entità ove si tratti di lesioni di carattere estetico (Cass. 28.4.1997 in RCP 1998,435).

Peraltro (come già rilevato in R.G.C.T. n.3/97 “Il danno da riduzione della capacità produttiva”

pag. 547) nelle ipotesi spesso ricorrenti di cicatrici, una soluzione più aderente all'aspetto patrimoniale aggiuntivo del danno sembra debba muovere da un esame specifico dell’alterazione

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estetica in relazione alle doti estetiche richieste dalle particolari condizioni lavorative del danneggiato e, soprattutto da un accertamento medico-legale sulla emendabilità parziale o totale mediante trattamento chirurgico (al quale naturalmente l' interessato può non sottoporsi); in casi di risposta positiva al quesito il danno potrà essere riconosciuto in una somma pari all'esborso necessario per l' intervento finalizzato all’eliminazione della menomazione estetica come ritenuto dalla giurisprudenza di merito (Cfr. Trib. Palermo 10.11.1990 n.2890 in Arch. giur. cir. sin. strad.

1991, 395 e Trib. Pisa 8.11.1980 Mazzanti c. Bertoni Ricignolo ined. con la quale con liquidazione equitativa fu liquidato sia il costo calcolato dal C.T.U. per l'eliminazione di una cicatrice alla guancia sinistra lunga circa un centimetro, lievemente discromica ed affossata nel sorriso, sia il danno alla salute temporaneo).

Sempre con riferimento al disposto dell' art. 1227 2° comma cod. civ., la giurisprudenza e la dottrina hanno osservato che la prova della violazione del dovere intervento grava sul danneggiato e può essere rilevata anche d'ufficio, e che l' eventuale aggravamento del danno conseguente allo stesso intervento è a carico del danneggiante, qualora l'intervento stesso si presentasse di utilità sicura, od anche solo incerta, purché eseguito con perizia.

4°) Non sembra invece più configurabile un cumulo tra danno patrimoniale e danno alla vita di relazione.

Infatti il contenuto di quest'ultimo, consistente nella compromissione della capacità psicofisica di un soggetto che incide negativamente nella esplicazione di tutte le attività interpersonali diversa da quella lavorativa normale (attività familiari, sociali, ricreative o di altro genere), rende improponibile ogni riferimento alla natura mista o patrimoniale di tale danno esclusivamente legata alla superata concezione patrimonialistica del danno a persona.

A proposito di tale concezione non sembra giustificabile, se non per scrupolo ed eccesso di motivazione, il riferimento ad un orientamento che non può essere considerato minoritario ma deve più propriamente ritenersi del tutto superato (cfr. in parte motiva Cass. Sez. III 30.12.1997 n.

13125 in Dir. Econ. Assic. 2-3/1998, 647).

Tenuto conto di quanto detto sopra, anche se si tratta di un caso veramente singolare, non mi sembra da condividere la sentenza della Corte di Appello di Roma (Bettolini c. Soc. Meie Assic. del 17.3.1994 in Assicurazioni 1995 pag. 16) che, muovendo dalla natura sia patrimoniale che biologica del danno in esame, per la morte di entrambi i genitori di un bambino in tenera età, ha riconosciuto (oltre al danno patrimoniale) il danno alla vita di relazione sotto il profilo patrimoniale, subìto dallo stesso minore dal momento che quest'ultimo ha perso le maggiori possibilità d'inserimento della vita sociale che avrebbe avuto se i genitori fossero rimasti in vita; ciò in quanto tale contenuto pregiudizievole è, a mio avviso, riconducibile o ad un danno biologico iure proprio in concreto accertato (e nella specie escluso per mancanza di prova) o ad una componente del danno morale.

Né può tralasciarsi di considerare (anche ai fini dell'incidenza sulla tesi del danno esistenziale) il principio di stretto collegamento tra aspetto giuridico e medico-legale del danno alla salute secondo il quale, quest'ultimo, per quanto normalmente si risolva in un peggioramento della qualità della vita, presuppone pur sempre una lesione dell’integrità psicofisica, di cui quel peggioramento è solo conseguenza per cui non la minore godibilità della vita è in se risarcibile ma solo la lesione della salute costituente il bene giuridicamente tutelato dall'art. 32 della Costituzione. In difetto, pertanto di prova di una lesione dell'integrità psicofisica del soggetto che sia conseguita alle sofferenze indotte da rumore illecitamente provocato da un comportamento integrante gli estremi di reato, non

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è configurabile secondo la Cassazione (v. da ultimo Cass. III 3.2.1999 n. 911 in G. D. n.11/1999, 89) un danno biologico risarcibile.

5°) La peculiarità del danno estetico e del danno alla vita sessuale e, per alcuni aspetti più limitati, anche alla vita di relazione, ci offre l'occasione per riconfermare la fondamentale importanza dell’articolazione dei quesiti e la necessità di tipizzare (in attesa di un intervento aggiuntivo al progetto ISVAP) la formulazione degli stessi in maniera esauriente ed equilibrata (quesiti base di carattere generale ed analitici con aggiunta di opportune varianti in relazione alla particolare natura del danno dedotto ed all'ampliamento delle figure di pregiudizio elaborate dalla giurisprudenza e dalla dottrina).

Tale linea di conduzione processuale consentirà meglio di raccordare il momento di acquisizione del materiale probatorio, che deve precedere e non seguire la C.T.U. ed è onere della parte, con il momento accertativo e valutativo demandato al C.T.U., e di ridurre, in sede di giudizio di primo e secondo grado, pronunce contraddistinte da forzature, duplicazioni, lacune risarcitorie che trovano spesso la loro causa nell'effetto negativo a catena dovuto proprio a conclusioni peritali erronee e scorrette in quanto connesse a quesiti non in linea con l' evoluzione contenutistica delle tre componenti risarcitorie e difficilmente contrastate sul piano del contraddittorio tecnico da osservazioni e rilievi delle parti controinteressate.

Per quanto concerne poi il momento della formulazione del quesito (anche in relazione all'accennata tesi del prof. Fiori) deve essere fatto presente che con il nuovo rito del processo civile si determinano preclusioni circa le allegazioni di fatti nuovi dopo l' udienza ex art. 183 c.p.c., per cui se queste assumono rilevanza ai fini della prova degli aspetti relazionali pregiudicati dalla dedotta lesione alla salute, non possono essere prospettate dopo detta udienza; da tale esigenza processuale deriva la necessità di disporre il quesito dopo la stessa udienza e dopo l' acquisizione probatoria, qualora talune di queste allegazioni fosse contestata da controparte (in tal senso anche D. Spera “L'accertamento e la liquidazione del danno alla persona” in Incontro di studio C. S. M.

13- 17 ottobre 1997).

E in non pochi casi l'errore nella formulazione dei quesiti che si riflette nella quantificazione del danno, porta ad un appesantimento dei costi e dei tempi processuali perché le parti condannate in primo grado, con sentenza provvisoriamente esecutiva (art. 5 bis legge 39/77 e 282 c.p.c.), richiedono in appello la sospensione della esecutività della sentenza od ordinanza ex art. 186 quater c. p. c. proprio lamentando un’erronea ed eccessiva liquidazione del danno globale o relativo ad alcune voci.

Così ad esempio con ordinanza presidenziale 8.4.1998 ex art. 351 c. p. c. (in corso di pubblicazione su “Toscana Giurisprudenza” 1999) è stata accolta l' istanza di sospensione dell'ordinanza ex art 186 quater u. c. emessa dal G. I. del Tribunale di Firenze (proc. n. 7538/ 94 R. G.) limitatamente al capo relativo alla somma liquidata a titolo di danno biologico iure successionis per un ammontare di L. 420.000.000 in relazione alla componente risarcitoria del danno biologico sofferto da persona di 74 anni deceduto senza aver ripreso conoscenza dopo circa due mesi dal verificarsi del sinistro, perché tale danno è stato considerato ai fini della liquidazioine come avente un contenuto equiparabile alla perdita del bene salute in via totale e permanente o “alla massima lesione possibile della salute” in contrasto con il principio affermato dalla Cassazione secondo il quale il diritto alla salute ed il danno alla vita sono ontologicamente diversi.

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In altra fattispecie, con ordinanza 23.3.1999 inedita, è stata respinta la richiesta di sospensione dell’esecutività della sentenza del Tribunale di Firenze in data 19.11- 4.12.1998 nel proc. n. 108/A/

99 R.G., in relazione alla liquidazione del danno morale per la somma di trecento milioni a favore del padre Romanelli Oreste deceduto il 18.1.1996 per la morte del figlio morto il giorno del sinistro e cioè il 7. 5.1994, in quanto trattasi di diritto che entra a far parte del patrimonio del danneggiato al momento del verificarsi del fatto illecito, incidente nella sfera morale e psichica della persona legittimata iure proprio; infatti è con riferimento a tale momento che il danno morale deve essere riscontrato e verificato (vedi Cass. S. U. 2034/55; Cass.75/83 e 3100/83), che lo stesso, una volta acquisito ed entrato a far parte del patrimonio del danneggiato si trasmette secondo regole comuni della successione mortis causa agli eredi, quali sono perciò legittimati, iure ereditatis, a far valere la relativa pretesa risarcitoria con quantificazione non suscettibile di riduzione nei limiti delle quote spettanti iure successionis.

Va però aggiunto che se la mancata riduzione della liquidazione a favore del padre può ritenersi sostanzialmente consentita, tenuto conto della natura transeunte del danno morale soggettivo e del periodo medio di elaborazione del lutto, a diversa conclusione potrebbe giungere il Collegio ove ritenesse che, come per il danno biologico, la determinazione del danno debba essere effettuata non alla durata probabile ma alla durata effettiva della vita del danneggiato (vedi Cass. 7.4.1998 n. 3561 in Arch. resp. civ. 99,777 e 29.5.1998 in Arch. G. Circ. 1999, 33).

6°) Vorrei adesso accennare alcune problematiche liquidative relative al danno biologico ed al danno morale, dal momento che per il danno patrimoniale (escluse alcune fattispecie particolari concernenti soprattutto la ricorrenza o meno del cumulo o la maggiorazione del danno biologico) non si pongono questioni di notevole difficoltà interpretativa ed applicativa .

Deve ritenersi del tutto soddisfacente il risultato raggiunto dal diritto giurisprudenziale sul criterio liquidativo del danno biologico o danno alla salute relativo al danno di natura permanente .

Infatti, grazie alla stretta connessione registrata tra pronunce del giudice delle leggi, giudice di legittimità e giudice di merito, in un arco di tempo più che ventennale, il problema del rapporto tra il ricorso al parametro reddittuale dell'ammontare annuo del triplo della pensione sociale, di cui all'art. 4 della legge n. 39/77, ed il parametro del valore medio del punto di invalidità, calcolato sulla media dei precedenti giurisprudenziali ed adeguatamente motivato in ordine all'adeguamento del valore medio del punto alla peculiarità del caso e sempre collegato al danno specifico ed alla sua personalizzazione, è ormai definitivamente risolto a favore dell'indirizzo da sempre tenuto dalla giurisprudenza pisana. Questo perché, scartato il criterio equitativo puro, per le ragioni note, la Corte di Cassazione ha ormai confermato il principio enunciato già nel 1992 secondo il quale la liquidazione del danno biologico non può avvenire per i criteri di cui al citato art. 4 legge 39/77, in quanto quest'ultimo si riferice al pregiudizio patrimoniale conseguente alla menomazione della capacità di produzione di reddito personale ed occorre, quindi, far riferimento al criterio equitativo di cui agli artt. 2056 e 1223 cod. civ. (cfr. da ultimo Cass. 1764/98; 2678/98; 5366/ 98; 8769/98 ).

E tale orientamento, condiviso ormai da quasi tutta la giurisprudenza di merito, compresa quella genovese (v. Trib. Genova 28.9.1998 in Foro Ital. 99 , 684 con nota A. Lanotte; Corte di Appello di Genova 25.11.21.12.1998 n. 953 ined.; Trib. La Spezia 8-9.3.199 n. 185/99 ined.), ha portato al noto e successivo mutamento di indirizzo che ha determinato il passaggio dal criterio equitativo differenziato del valore del punto, al criterio del valore del punto tabellare differenziato dall'equità circostanziata alla cui base stanno esigenze di uniformità e omogeneità liquidativa, di ricorso a

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paramentri di applicazione generale e di uno sviluppo del valore base del punto tabellare basato su criteri obiettivi, logici, prederminati, ricavabili dal diritto vivente e pur sempre suscettibili di correttivi equitativi attinenti alla fattispecie concreta.

Tralasciando, per motivi di economia espositiva, altri spunti ed approfondimenti pur meritevoli di considerazione, si deve cercare di giungere quanto prima a predisporre quella tabella indicativa nazionale TIN che, in base ai principi contenuti nel Documento conclusivo della Commissione di Studio presso il Gruppo di Ricerca sul danno alla salute CNR di Pisa, armonizzi ed unifichi le diverse tabelle attualmente adottate anche in vista dell’entrata in vigore dell’importate riforma del giudice unico di primo grado.

Anche per il danno alla salute temporaneo è ormai stato accolto il criterio di liquidazione dello stesso in via autonoma attraverso determinazioni monetarie (fisse o variabili entro certi limiti) per ogni giorno di compromissione transitoria dello stato di salute, anche se permangono riserve e necessità di approfondimento evidenziate dalla dottrina medico-legale su diversità di trattamento dovute alla natura, gravità ed evoluzione delle lesioni che consigliano di differenziare e personalizzare meglio (cfr. Bargagna in “Osservatorio della giurisprudenza in tema di danno alla persona in Danno e Resp. 2/1999 pag. 176”) la liquidazione, avuto anche riguardo alle ipotesi di temporanea indicata in percentuale parziale ed alla necessità di evitare duplicazioni tra danno alla salute temporaneo e danno morale da lesioni di natura temporanea.

I parametri sopra indicati relativi al danno biologico diretto-tramissibile agli eredi iure ereditario, per l’identità di contenuto, sono poi estensibili anche alle ipotesi risarcitorie di danno alla salute iure proprio subìto dai congiunti a causa della morte di un familiare, sempre che il danno dedotto sia sorretto da prova e da accertamento medico- legale.

Per l’ipotesi, invece, di danno alla salute o danno biologico iure successionis conseguente la morte di un congiunto per il periodo intercorrente tra l'evento lesivo e l'evento mortale, non potendo ripercorrere le interessanti tappe dell’iter teorico e pratico tracciato prima e dopo la sentenza della Corte Costituzione n.372/94, l'apetto interpretativo ed applicativo saliente, in relazione all'orientamento ormai consolidato della Corte di Cassazione, è anzitutto quello di delimitare con precisione quando un lasso di tempo può considerarsi apprezzabile; e ciò tenendo presente che la soluzione non può essere rimessa ad una valutazione non ancorata o legata ad alcun principio o criterio oggettivo ricavabile dai principi generali in materia di risarcimento del danno o dai principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di danno biologico .

Ed allora il principio fondamentale sul danno in generale non può che identificarsi in quello dell' intergale ristoro del danno cui hanno fatto costante riferimento la dottrina, la Corte Costituzionale (ad es. sent. 6.5.1985 n. 132 in F. I. 1985 I ,1585 con nota di Pardolesi) e la Corte di Cassazione, mentre nell' ambito della giurisprudenza sul danno biologico si è ormai affermato il principio dell’autonomia risarcitoria della voce attinente al danno biologico temporaneo.

Coniugando, quindi, tali due principi si può allora giungere a ritenere che il lasso di tempo minimo apprezzabile non può essere inferiore a quello corrispondente ad un’entità definita e compiuta rappresentata dal giorno come ritenuto con sentenza inedita della Corte di Appello di Firenze sez. II 16.6-12.10. 1998 n. 1142 in corso di pubblicazione su Toscana Giurisprudenza.

Diversamente opinando si determina una palese ed ingiustificata disparità di trattamento con l'ipotesi risarcitoria del danno di natura temporanea liquidabile anche per uno o due giorni, mentre il vuoto risarcitorio non può ritenersi impropriamente compensato dalla liquidazione del danno morale perché quest'ultimo non è risarcibile in caso di colpa presunta, ex art. 2054 cod. civ.

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Posto ciò, il criterio su cui parametrare la liquidazione di tale danno temporalmente circoscritto (ma non equiparabile al d.b.t. perché a questo consegue o la guarigione o la stabilizzazione dei postumi) non può che essere di natura equitativa rapportato all’entità ed intensità della menomazione dimostratasi irreversibile ed alla durata della stessa, e potrà essere commisurato ad un importo giornaliero di base non inferiore a quello massimo determinato per il d.b.t. suscettibile di maggiorazione correlata ad un multiplo di detto importo.

7°) Se, per quanto detto sopra, può considerarsi stabilizzata la situazione riguardo il danno alla salute ed il danno patrimoniale (quest’ultima anche ad un'interpretazione allargata e di maggiore tutela dell'art. 4 u.l.t. comma della legge 39/ 77) lo stesso non può affermarsi per il danno morale da lesioni con residua invalidità temporanea; per il danno morale da lesioni con residua invalidità permanente, per il danno morale spettante ai prossimi congiunti del soggetto vittima di lesioni colpose (sent. cit. Cass. sez. III 23.2.1998 n.4186 che apre nuove prospettive anche nell'ipotesi di d.b. nel periodo di tempo intercorrente tra l'evento lesivo e l'evento mortale); per il danno morale per la morte di congiunti.

E ciò non solo per i noti ed attuali limiti derivanti dal contenuto dell'art. 2059 cod. civ. superabili in toto solo con la proposta di riforma ISVAP, ma anche per la commistione spesso impropria tra danno biologico e danno morale, per la verifica che deve essere fatta ad alcuni tra i parametri adottati dalla giurisprudenza legati ad una funzione del danno morale non più riflesso della coscienza media esistente nella società attuale, ed ad una quantificazione del danno ancorata ad una valutazione puramente equitativa ancora troppo differenziata.

Ed allora mentre per il danno da lesioni la via da percorrere è quella di far ricorso alla valutazione e graduazione della sofferenza personale da parte del medico-legale con quesiti specifici, ed a ricercare nei precedenti giurisprudenziali valori medi, per il danno da morte ancora sottovalutato, occorre far riferimento allo stesso criterio guida della uniformità di parametri di base, della graduazione attenta della sofferenza e della maggiorazione equitativa motivata e legata a specifici e spesso ricorrenti aspetti della fattispecie concreta .

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