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Revocabilità e reclamabilità dell’ordinanza inibitoria dei lodi arbitrali. - Judicium

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ULISSE COREA

Revocabilità e reclamabilità dell’ordinanza inibitoria dei lodi arbitrali.

1. Alcuni anni orsono, un illustre autore aveva affermato di non poter condividere alcuno degli opposti orientamenti che all’epoca si contendevano il campo sulle controverse questioni della struttura dell’impugnativa dei lodi e dei presupposti per la concessione dell’inibitoria, alla luce delle riforme che avevano interessato tanto l’arbitrato che l’inibitoria delle sentenze. Il dibattito, come si ricorderà, si era focalizzato sulla possibilità di assimilare l’impugnativa per nullità del lodo al giudizio di appello piuttosto che a quello di cassazione, con la conseguenza, tratta dai fautori delle due diverse tesi, di ricondurre la disciplina dell’inibitoria dei lodi, rispettivamente, a quella delle sentenze di primo grado contenuta nell’art. 283 c.p.c. o a quella di cui all’art. 373 c.p.c. dedicata alla sospensione, di assai più ristretta elargizione, delle sentenze di secondo grado1 A parere di quell’illustre maestro, invece, l’impugnazione per nullità del lodo doveva considerarsi “una impugnativa sui generis”, come tale non ragguagliabile né all’uno né all’altro dei suddetti rimedi previsti per le sentenze2.

Da un lato, il rafforzamento dell’istituto arbitrale, propugnato dalla riforma del 1994, non poteva spingersi fino a ritenere il lodo più affidabile della sentenza di primo grado emessa dal giudice togato, e così fino a comprimere il sindacato sull’istanza di sospensione nei ristretti confini del danno grave e irreparabile, come invece sin lì si era ritenuto da una

1 In giurisprudenza, per il primo orientamento cfr. App. Genova, 20 maggio 1955, in Riv. dir. proc., 1956, II, 60 ss., con nota di CARNELUTTI, Sospensione della esecuzione della sentenza arbitrale; App. Milano, 16 gennaio 1959, in Temi, 1959, 41; App. Lecce, 31 marzo 1966, in Giust. civ., 1966, I, 2069, con nota di FINOCCHIARO; App. Roma, 20 maggio 1996, in Riv. arb., 1997, 80, con nota di FAZZALARI, Sospensione dell’esecutività del lodo; in dottrina, v. ZUCCONI GALLI FONSECA, Riflessioni sulla sospensione dell’esecuzione delle sentenze arbitrali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1993, 385 ss.; RUFFINI, La sospensione dell’esecuzione delle sentenze arbitrali, in Riv. arb., 1993, 697. Il secondo orientamento è stato sostenuto da App. Bari, 1 dicembre 1993, in Riv. arb., 1995, 257, con nota critica di SPAGNOLO, Sulla sospensione dell’esecutorietà del lodo arbitrale; App. Bologna, 7 gennaio 1992, ivi, 1992, 717; App. Roma, 4 aprile 1966 e 14 gennaio 1996, in Foro it., 1966, I, 1180; App. Roma, 26 luglio 1995, in Riv. arb., 1995, 695 ss., con nota di VACCARELLA, Lodo rituale e sospensione dell’esecutività dopo la riforma dell’arbitrato; App. Roma, 9 ottobre 1996, ivi, 1997, 80, con nota di FAZZALARI, cit.; in dottrina, v. FURNO, La sospensione del processo esecutivo, Milano, 1956, 71 ss.; VACCARELLA, Lodo rituale e sospensione dell’esecutività dopo la riforma dell’arbitrato, cit., 696 ss.

2 FAZZALARI,Sospensione dell’esecutività del lodo, cit., 81 ss.

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consolidata giurisprudenza di legittimità e, su presupposti affatto differenti, da un’autorevole dottrina3. D’altro canto, benché non potesse profilarsi una similitudine tra l’impugnativa ex art. 828 c.p.c. e l’appello, il fatto che l’inibitoria colpisse in entrambi i casi un provvedimento conclusivo di un “primo giudizio” doveva ritenersi sufficiente ad applicare analogicamente l’art. 283 c.p.c. e, dunque, a richiedere un sindacato del giudice esteso al fumus della proposta impugnazione4.

Oggi può dirsi che almeno questo annoso problema debba considerarsi definitivamente risolto dal vigente art. 830 c.p.c. che espressamente condiziona il rilascio dell’inibitoria alla sussistenza di “gravi motivi”5, la cui valutazione certamente implica uno scrutinio del fumus dell’impugnazione. Ciò che, peraltro, esime l’interprete dal prestare adesione all’una o all’altra delle predette tesi e dal cedere ai forzati parallelismi tra rimedi impugnatori su cui si erano cimentati in passato dottrina e giurisprudenza.

Superato il problema dei requisiti per la concessione dell’inibitoria, l’attenzione degli studiosi come dei pratici è, ora, attirata da una diversa questione, la cui soluzione potrebbe implicare interessanti valutazioni di ordine sistematico. Per essere più chiari, gli interrogativi si pongono in relazione al regime impugnatorio dell’ordinanza inibitoria e alla sua eventuale revocabilità e modificabilità, per poi giungere a toccare la ben più complessa questione della natura cautelare o meno di tale provvedimento.

Il dato da cui partire è, naturalmente, quello testuale.

La verve riformatrice del legislatore del 2006, infatti, non si è spinta a regolare il regime processuale dell’ordinanza di sospensione. Essa, dunque, in perfetta continuità con la disciplina previgente, non è contrassegnata dalla quella inimpugnabilità che da sempre invece contraddistingue, per espressa volontà legislativa, le ordinanze inibitorie “sorelle”

previste per le sentenze dei giudici di primo e secondo grado (cfr. art. 283, 373, 401, 407, 431 c.p.c.). In passato, però, esigenze di armonizzazione con la disciplina delle inibitorie delle sentenze avevano indotto gran parte degli interpreti ad applicare analogicamente alla

3 VACCARELLA,Lodo rituale e sospensione dell’esecutività dopo la riforma dell’arbitrato, cit., 696 ss.

4 FAZZALARI, op. cit., 82; FAZZALARI, in Briguglio, Fazzalari, Marengo, La nuova disciplina dell’arbitrato, Milano, 1994, 219, ove si rileva che “qui non è in gioco il riferimento all’appello o alla cassazione per inquadrare il giudizio di nullità del lodo, sebbene rileva che il lodo è la conclusione di un primo grado (rectius, di una prima fase di merito), perciò meno resistente di una pronuncia emessa in secondo grado”.

5 Così, ZUCCONI GALLI FONSECA, Sub art. 830, in Arbitrato, commentario diretto da F. Carpi, Bologna, 2007, 821; GIORGETTI, Sub art. 830, in Commentario alle riforme del processo civile, a cura di A. Briguglio e B. Capponi, III/2, Padova, 2009, 1044.

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prima il regime di non impugnabilità previsto per quest’ultime, con conseguente irrevocabilità dell’ordinanza ex art. 177 c.p.c.6. Ma una simile operazione ermeneutica – che già allora non risultava necessitata - non sembra riproponibile oggi. Vi osta, a mio avviso, da un lato, l’originale disciplina dell’art. 830 c.p.c., che non sembra (se non per marginali profili procedimentali) soffrire lacune tali da richiederne l’integrazione con la disciplina delle altre fattispecie inibitorie. Dall’altro, la specificità della stessa impugnativa di nullità del lodo, cui l’inibitoria accede.

2. Come si diceva, già prima dei diversi interventi riformatori succedutisi dalla metà degli anni ottanta ad oggi, si era sostenuto che l’inibitoria dei lodi non fosse esattamente equiparabile ai provvedimenti di analogo contenuto previsti per le sentenze.

Sin da principio, si erano di volta in volta evidenziati, a sostegno dell’autonomia dell’istituto, la specificità del procedimento arbitrale7, i rischi connessi al giudizio arbitrale ed alla qualità delle sue decisioni8, l’autonomia della concisa ma non incompleta disciplina dettata in materia dalla legge9. Il che dava ragione della particolare ampiezza della discrezionalità che la norma sembrava riservare al giudice nella concessione della sospensione (non essendo previsti in proposito parametri di sorta10), da esercitarsi comunque, secondo la più accorta dottrina, previa comparazione tra i contrapposti interessi e pregiudizi ed alla luce di un non eludibile esame prognostico circa la fondatezza dei motivi di impugnazione11.

Il silenzio della norma in ordine ai requisiti per la concessione della sospensione, aveva tuttavia indotto gran parte degli interpreti ad allineare la disciplina dell’istituto a quella

6 V. ZUCCONI GALLI FONSECA, op. ult. cit., 828. Inoltre, nel silenzio della norma, si è sempre esclusa la sua impugnabilità in Cassazione, sul presupposto che trattavasi di provvedimento ordinatorio e non decisorio:

Cass. 19 aprile 1985, n. 2586; Cass. 13 febbraio 1985, n. 1204; CECCHELLA, L’arbitrato, Torino, 1991, 240.

7 SATTA, Sulla sospensione dell’esecuzione nel giudizio arbitrale, in Giur. it., 1948, I, 2, 425 ss.;

CARNELUTTI, Sospensione dell’esecuzione della sentenza arbitrale, cit., 60 ss.; CARNACINI, Arbitrato rituale, in Noviss. Dig. It., I, 1, Torino, 1958, 874 ss.

8 CONSOLO, Sospensione dell’esecutorietà del lodo., in Riv. arb., 1997, 505.

9 App. Lecce, 31 marzo 1966, cit.

10 Il terzo comma dell’art. 830, nel testo anteriore alla modifica del 2006, recitava: “In pendenza del giudizio, su istanza di parte, la corte di appello può sospendere con ordinanza l’esecutorietà del lodo”.

11 CONSOLO, op. cit., 505; CARNACINI, op. cit., 910. Secondo altra dottrina, invece, nel silenzio della norma circa i criteri per l’adozione della misura, doveva ritenersi che il provvedimento potesse essere concesso anche per motivi di opportunità o di giustizia (SATTA, Sulla sospensione dell’esecuzione del lodo arbitrale, cit., 88; v amplius RUFFINI, op. cit., 707).

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delle inibitorie delle sentenze, salvo poi scontrarsi sulla individuazione della fattispecie più affine tra le due contemplate dal codice agli artt. 283 e 373 c.p.c.. Il dibattito si rinfocolò a seguito del riconoscimento della provvisoria esecutività delle sentenze di primo grado operato dalla legge n. 353 del 1990 e delle modifiche alla disciplina dell’arbitrato introdotte dalla legge n. 25 del 1994. In particolare, quest’ultima aveva introdotto alcuni elementi di novità, attribuendo la competenza a decidere sull’impugnazione dei lodi alla sola corte di appello del luogo della sede dell’arbitrato ed estendendo l’ambito di operatività dell’inibitoria dalla “esecuzione” alla “esecutorietà” del lodo.

Il mancato inserimento, in tale occasione, di un riferimento ai “gravi motivi” previsti dall’art. 283 c.p.c. – si disse da alcuni – non poteva essere trascurato dall’interprete; mentre la devoluzione della competenza alla corte di appello, quale nuovo giudice per “materia”

dei lodi, e l’accresciuta importanza del profilo rescindente dell’impugnazione (che “tende – alla pari del ricorso per cassazione – attraverso una pronuncia rescindente alla riapertura di un giudizio di merito ormai esaurito”), dovevano considerarsi elementi di forte analogia tra il giudizio promosso per far valere la nullità di un lodo e quello proposto in cassazione avverso la sentenza di appello12.

Dal fronte opposto, veniva invece ribattuto che per sua natura il lodo poteva equipararsi ad una sentenza di primo grado suscettibile di appello, benché nei più “ristretti” termini previsti dalla disciplina dell’arbitrato all’art. 828 c.p.c. (si parlava al riguardo di “appello limitato”), e che non poteva tollerarsi la prospettata diversità di trattamento tra lodi e sentenze di primo grado, entrambi conclusivi di un solo grado di giudizio13.

Tuttavia, pure a seguito della riforma del 1994, numerose voci in dottrina e giurisprudenza continuarono a ribadire la natura autonoma della disciplina dettata dall’art. 830 c.p.c. e ad escludere la necessità di integrazione della stessa se non sotto il profilo strettamente

12 VACCARELLA, op. cit., 706, che al contempo escludeva qualsiasi rilevanza al dato della esecutività ex lege del lodo come della sentenza di secondo grado, posto che ormai anche quella di primo grado era stata riconosciuta come provvisoriamente esecutiva per legge. Secondo Vaccarella, l’appartenenza dell’inibitoria alla fase rescindente dell’impugnazione giustificava la possibilità della sospensione nei soli casi di difficoltà di remissione in pristino: in quel momento, infatti, il lodo è “la” decisione di merito di cui si chiede non la riforma ma l’annullamento, come per la sentenza di appello oggetto di ricorso per cassazione.

13 La tesi si giovava anche degli interventi della Consulta, che aveva dichiarato legittimo il procedimento di exequatur in quanto l’esecutività del lodo poteva essere oggetto di sospensione nell’ambito del giudizio di impugnazione del medesimo, sembrando in tal modo escludere che detta inibitoria potesse essere ristretta nei confini della irreparabilità del pregiudizio (cfr. Corte cost., 4 marzo 1992, n. 80, in Riv. arb., 1992, 437, con nota di CARPI).

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procedimentale14. Si escluse, inoltre, che il giudizio di impugnazione dei lodi potesse equipararsi tanto al giudizio di cassazione (al cui vaglio, anzi, la sentenza resa dalla corte di appello doveva nuovamente sottoporsi) quanto al giudizio di appello, predicandosi, rispetto a quest’ultimo, l’erroneità della tesi che ne voleva annacquare le vistose differenze con l’artificiosa espressione “appello limitato”15.

Ma anche l’ultima riforma, benché ispirata all’art. 283 c.p.c. quanto ai presupposti legittimanti la sospensiva, non vale a farci concludere che la disciplina dell’inibitoria dei lodi sia ormai in toto equiparabile a quella delle sentenze di primo grado16. In contrario, depongono infatti diversi e non marginali elementi, dai quali appare consentito desumere che il nuovo art. 830 c.p.c. delinei un istituto dalle caratteristiche di tendenziale autonomia rispetto agli analoghi rimedi inibitori previsti dal codice di rito avverso provvedimenti giurisdizionali, così come già si era ritenuto in passato17.

Ed infatti, proprio nel momento in cui il legislatore si è deciso a stabilire con chiarezza che per la concessione della sospensiva il giudice dell’impugnazione ex art. 830 c.p.c. deve aver riguardo al fumus della stessa ovvero all’esistenza dei “gravi motivi”, la coeva riforma dell’art. 283 c.p.c. è andata oltre quel consolidato parametro per fare spazio alla incerta formula dei “gravi e fondati motivi, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti”18. In secondo luogo, è stata ribadita la possibilità che l’istanza di sospensione ex art. 830 c.p.c. venga presentata successivamente alla proposizione dell’impugnazione, a differenza di quanto è generalmente previsto per l’inibitoria delle sentenze19.

Ma non è tutto. Un ulteriore elemento di diversità è rappresentato dall’ancora non sufficientemente indagata scelta di riferire l’oggetto del provvedimento inibitorio non più alla esecutorietà del lodo ma alla sua “efficacia”20. Infine, come noto, nessun accenno è

14 App. Roma, 4 febbraio 2005, in Riv. trim. appalti, 2005, 465, con nota di SIRACUSANO.

15 CONSOLO, op cit., 499; analogamente, FAZZALARI, op. cit., 82.

16 V. infatti in tal senso, MENCHINI, Impugnazioni del lodo “rituale”, in Riv. arb., 2005, 876.

17 Anche prima della riforma del 1994: v. CECCHELLA, L’arbitrato, cit., 240.

18 SecondoZUCCONI GALLI FONSECA, op. ult. cit., 824, non vi è nessuna ragione esegetica per estendere il contenuto di tale formula alla inibitoria del lodo, già sufficientemente disciplinata dall’art. 830 c.p.c. Peraltro, l’aggiunta della locuzione “fondati”, se da un lato rinforza il sindacato sul fumus, dall’altro esclude che il giudice possa farne a meno e valutare solo profili attinenti al pericolo, mentre la formula dei “gravi motivi” si presta, tradizionalmente, a dar spazio ad entrambi i requisiti, ma anche ad uno solo di essi.

19 E per motivi assolutamente comprensibili, posto che l’esecutorietà del lodo potrebbe essere richiesta dalla parte vittoriosa in arbitrato solo in un secondo momento

20 SecondoZUCCONI GALLI FONSECA, cit., 824, il legislatore per la prima volta permetterebbe di sospendere effetti costitutivi o dichiarativi; così anche IMPAGNATIELLO, Sulla reclamabilità dei provvedimenti di

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fatto nell’art. 830 c.p.c. alla possibilità per la corte di appello di imporre una cauzione, a differenza di quanto previsto dal novellato art. 283 c.p.c.21

E’ vero che l’art. 830 c.p.c. continua ad essere silente sulle modalità procedimentali, sì da doversi ritenere indispensabile un richiamo alle norme che regolano l’inibitoria delle sentenze, ed in particolare agli artt. 351 e 373 c.p.c., visti come una sorta di modello procedimentale delle inibitorie avverso pronunce dotate di esecutorietà ex lege22. Tuttavia, tale operazione si giustifica, da un lato, per le obiettive lacune, sul punto, dell’art. 830 c.p.c., dall’altro in virtù del fatto che, data la competenza della corte di appello, il procedimento per la decisione sull’inibitoria non può che essere quello previsto per i giudizi pendenti davanti a tale organo giurisdizionale.

Non altrettanto può dirsi in relazione alla revocabilità ed al regime impugnatorio, posto che qui il silenzio della norma deve leggersi tenendo a mente: (i) i già visti profili distintivi dell’ordinanza in esame; (ii) l’art. 177 c.p.c., che ritiene non revocabili le ordinanze dichiarate “espressamente” non impugnabili dalla legge; (iii) le peculiarità del rimedio impugnatorio previsto per i lodi arbitrali rispetto all’impugnazione delle sentenze di primo grado.

3. A questi criteri sembra essersi attenuta la Corte di Appello di Roma in una recente pronuncia, là dove, dopo aver rilevato come l’art. 830 c.p.c. non preveda l’espressa non impugnabilità dell’ordinanza, ne ha tratto la conseguenza della sua revocabilità ex art. 177 c.p.c., curandosi di rimarcare i tratti distintivi dell’inibitoria dei lodi rispetto a quella delle sentenze “avuto riguardo alle modalità di presentazione dell’istanza” e alla “natura e

inibitoria, in www.judicium.it, §3; in senso contrario, però, LUISO, Diritto processuale civile, Milano, 2007, 443; GIORGETTI, op. cit., 1044; MENCHINI, op. cit., 875. Se non vi è dubbio che la sospensione di atti sostanziali (quali ad esempio le delibere societarie o associative) possa incidere sulla efficacia giuridica dell’atto e non solo sulla sua esecuzione (mi sia consentito sul punto il rinvio a COREA, La sospensione delle deliberazioni societarie nel sistema della tutela giurisdizionale, Torino, 2008), è invece discutibile la stessa idoneità del lodo ad esplicare effetti dichiarativi e costitutivi prima del suo passaggio in giudicato.

21 Sul che vi è incertezza, come rileva MENCHINI, op. cit., 877; in senso favorevole, ZUCCONI GALLI FONSECA, op. cit., 827; contrari, GIORGETTI, op. cit., 1046; RUFFINI, sub art. 830 c.p.c., in Codice di procedura civile commentato, a cura di Consolo e Luiso, Milano, 2007, 6076.

22 ZUCCONI GALLI FONSECA, op. cit., 826.

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funzione totalmente differente” del relativo rimedio impugnatorio rispetto ai mezzi di impugnazione delle sentenze23.

Con riferimento a tale ultimo aspetto, può infatti osservarsi come, già con la riforma del 1994 il legislatore aveva inteso rafforzare l’istituto arbitrale e privilegiare la scelta delle parti di ricorrere in arbitrato, attribuendo una chiara autonomia alla fase rescindente dell’impugnazione24. Peraltro, l’assoluta peculiarità di un rimedio che, da rescindente, poteva evolvere in rescissorio, già nel regime previgente doveva suggerire particolare cautela nell’accostare l’impugnativa dei lodi a quella delle sentenze, vuoi di primo che di secondo grado25. Con la riforma del 2006, questa evidente autonomia è stata rafforzata, di modo che nella sua attuale disciplina l’impugnativa per nullità tende ad ulteriormente allontanarsi dallo schema devolutivo e sostitutivo proprio del giudizio di appello, restringendo le possibilità di un esito rescissorio del rimedio26.

L’impugnazione del lodo arbitrale assume, dunque, connotati affatto peculiari e differenti rispetto agli strumenti impugnatori proponibili avverso le sentenze (tanto di primo che di secondo grado), cosicché il divieto di impugnazione previsto per le inibitorie delle sentenze non sembra automaticamente esportabile, nel silenzio della norma, all’inibitoria delle decisioni arbitrali.

E’ però interessante soffermarsi sul fatto che la suddetta pronuncia della Corte romana, nel pervenire a tale condivisibile conclusione, si svincoli dall’art. 177 c.p.c., ritenendo applicabile all’inibitoria del lodo il procedimento cautelare uniforme, data la comunanza di natura e funzione con i provvedimenti cautelari27. Per tale via, si afferma che l’ordinanza

23 Si tratta, appunto, di App. Roma, 21 marzo 2011, qui pubblicata. La pronuncia enfatizza, oltre alle diverse modalità procedimentali, il fatto che nell’ambito dell’impugnativa dei lodo la pronuncia rescissoria non abbia carattere generale, ma risulti limitato a “singole ipotesi nominate”. Donde la non assimilabilità dei rimedi impugnatori e l’impossibilità di estendere all’inibitoria dei lodi il regime di inimpugnabilità previsto per l’ordinanza di sospensione dell’esecutività delle sentenze.

24 Nel che illustre dottrina aveva ravvisato un forte elemento di analogia con il ricorso per cassazione (e di differenziazione rispetto al giudizio di appello): VACCARELLA, op. cit., 704.

25 CONSOLO, op. cit., 499.

26 Cfr. l’art. 830, comma 2, c.p.c.; per gli arbitrati internazionali la regola è addirittura quella dell’esclusione in via di principio di ogni effetto rescissorio, salva la diversa volontà e concorde volontà delle parti; v. sul punto, TOMMASEO, Le impugnazioni del lodo arbitrale nella riforma dell’arbitrato (d.lgs. 2 febbraio 2006, n.

40), in Riv. arb., 2007, 204 ss., il quale sottolinea come questa evoluzione privilegi la volontà delle parti di risolvere la controversia in arbitrato, nonostante gli incidenti di percorso che hanno condotto alla nullità del lodo.

27 In particolare, se ne evidenzia la sommarietà della cognizione e la funzione di anticipare il preveduto esito della decisione di merito.

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ex art. 830 c.p.c. vada ricondotta al regime di stabilità delle misure cautelari, potendosene dunque ammettere la revoca solo alle condizioni previste dall’art. 669-decies c.p.c., ovvero, se si verificano mutamenti delle circostanze. Requisito che, nel caso esaminato dalla Corte romana, viene affermato sussistente, in ragione dell’avvenuta cessione del credito ad un soggetto dotato di maggiori garanzie patrimoniali rispetto all’originario creditore (che versava, al contrario, in stato di liquidazione) e della offerta di cauzione effettuata dal cessionario per l’ipotesi di pronuncia di accoglimento dell’impugnativa da parte del giudice statuale.

Vengono così positivamente risolte, ad un tempo, le annose questioni dell’applicabilità al provvedimento de quo del rito cautelare uniforme e della cauzione, sulle quali la dottrina e la giurisprudenza si sono ampiamente divise al loro interno. Con particolare riferimento a questa seconda tematica, si è sostenuto, da una parte, che la mancata previsione della cauzione renderebbe impossibile un’applicazione analogica delle altre norme sulle inibitorie processuali delle sentenze, in assenza di un potere generale di cautela28. Dall’altra, si è obiettato che, data l’identità funzionale delle varie inibitorie, sarebbe irragionevole escludere solo per i lodi tale possibilità29.

E’ evidente, peraltro, che se si ritenesse applicabile il procedimento cautelare uniforme, sarebbe questo l’argomento dirimente per affermare la possibilità di disporre la cauzione, conformemente all’art. 669-undecies c.p.c., il quale consente al giudice, in caso di accoglimento dell’istanza cautelare (o con il provvedimento di modifica), di imporre all’istante una cauzione per l’eventuale risarcimento dei danni. Norma che dispone analogamente a quanto previsto dall’art. 283 c.p.c. per le inibitorie delle sentenze di primo grado e diversamente da quanto stabilisce l’art. 373 c.p.c. per le sentenze di secondo grado, dove infatti il giudice può, alternativamente, concedere la sospensione o imporre cauzione, evidentemente non alla parte istante ma alla controparte, che gode del beneficio dell’esecuzione provvisoria.

4. Come si accennava in precedenza, se è certo che l’ordinanza de qua non è espressamente dichiarata non impugnabile, non altrettanto certa è la mancanza di uno

28 RUFFINI, La sospensione dell’esecuzione, cit., 719; GIORGETTI, op. cit.,1046.

29 MENCHINI, Impugnazioni del lodo “rituale”, cit., 877; ZUCCONI GALLI FONSECA, op. cit., 827; in precedenza, VACCARELLA, op. cit., 706.

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specifico mezzo di reclamo (altra condizione necessaria ex art. 177 c.p.c. per la revocabilità). Certamente di un siffatto rimedio non vi è traccia nel testo dell’art. 830 c.p.c., ma lo si potrebbe rinvenire nel sistema, ove si riconosca che la natura cautelare dell’inibitoria possa portare con sé l’applicazione delle norme sul procedimento cautelare uniforme, e segnatamente dell’art. 669-terdecies c.p.c.

E’ noto, al riguardo, che tanto la giurisprudenza quanto la dottrina hanno sempre riconosciuto la natura cautelare delle inibitorie (sia pure, talora, definite “latamente”

cautelari, proprio per evidenziarne una certa diversità)30. Ma sul punto della reclamabilità delle ordinanze inibitorie dell’efficacia delle sentenze, esiste tuttora un orientamento negativo della giurisprudenza che sta attirando le crescenti critiche della dottrina31. Gli argomenti addotti a supporto di tale indirizzo sono diversi, benché non paia azzardato sostenere che gli stessi siano sovente “piegati” all’esigenza di non sovraccaricare i ruoli delle corti di appello.

Il principale argomento muove dalla natura endoprocedimentale dell’inibitoria, che, a differenza dei provvedimenti cautelari “veri e propri”, incide su un provvedimento (sentenza) già emesso dal giudice competente all’esito di un giudizio a cognizione piena32. Sotto un primo profilo, si è però giustamente obiettato come il giudice di appello non operi una valutazione sommaria sulla situazione giuridica accertata in esito al procedimento a cognizione piena, bensì sulla probabile fondatezza dei motivi di gravame, la cui riscontrata sussistenza giustifica la concessione di una misura di tipo cautelare inibitorio finalizzata

30 Cass. 25 febbraio 2005, n. 4060, in Foro it., 2005, I, 2376; Cass. 8 marzo 2005, n. 5011; Corte cost. 27 luglio 1994, n. 353; in dottrina, CARPI, L’inibitoria processuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1975, 113 ss.

31 Cfr. App. Bari, 11 settembre 2006, in www.judicium.it, con nota critica di IMPAGNATIELLO; App. Milano, 15 dicembre 2006, in Corr. Giur., 2007, 1007, con nota di MARINELLI; App. Genova, 18 gennaio 2011, in Riv. arb., 2011, 455, con nota critica di SANTINI, Sulla reclamabilità del provvedimento che decide sull’inibitoria dell’efficacia esecutiva del lodo arbitrale rituale impugnato per nullità.

32 In tema, CONSOLO, op. cit., 510, il quale osservava come, nonostante le valutazioni demandate al giudice dell’inibitoria non siano dissimili da quelle proprie del giudizio cautelare, “eppure i provvedimenti di inibitoria si differenziano dai provvedimenti in senso tecnico-cautelari per il fatto cruciale di collocarsi in una fase in cui il giudizio di merito si è già svolto ed il provvedimento da assumere mira solo a sollevare chi è già apparso debitore – con cognizione più o meno sommaria – dal peso dell’immediata efficacia del suo esito decisorio, profilandosi quale strumentale rispetto al grado incipiente di riesame della decisione”. Con la conseguenza che “la struttura di strumentalità – pur non del tutto carente – si atteggia qui, ossia per i provvedimenti di inibitoria dell’esecutorietà delle decisioni arbitrali, in termini troppo diversi da quelli propri del processo cautelare”. Occorre però oggi tener conto, a mio avviso, del mutato assetto della tutela cautelare, proprio con riferimento all’elemento strutturale della strumentalità.

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alla salvaguardia degli effetti della sentenza che si pronuncerà sull’impugnativa33: sicché la strumentalità permarrebbe ancorché rispetto all’esito del gravame.

Ma anche a prescindere da tale obiezione il suddetto rilievo, teso a evidenziare il differente connotato della strumentalità, non appare più decisivo, oggi che la strumentalità (se non altro di tipo strutturale) non è più carattere indefettibile delle misure cautelari. Il connotato essenziale di queste ultime tende invero a identificarsi nella funzione di assicurare i diritti rispetto ai pregiudizi imminenti o attuali cui sono esposti34. Una concezione, quest’ultima, che può vantare illustri precursori35 ed i cui pregi vengono rinvenuti nella capacità di razionalizzare l’intera materia attraverso l’applicazione della stessa disciplina ad istituti affini sul piano funzionale ma regolati in maniera non omogenea, e che avrebbe un suo fondamento testuale nell’art. 669-quaterdecies c.p.c.36. Questa norma, infatti, sembra conferire alla disciplina del rito uniforme una notevole forza espansiva, limitata dalla sola

33 OLIVIERI, Ancora qualche (brevissima) considerazione sulle nuove norme del procedimento cautelare uniforme (e sulla reclamabilità dell’inibitoria ex art. 283 c.p.c. e sull’opposizione all’esecuzione), in www.judicium.it; Santini, op. cit., 466.

34 Per le implicazioni di tale innovazione, ancora ampiamente dibattute in dottrina, si veda Saletti, Le misure cautelari a strumentalità attenuata, in Il processo cautelare, a cura di G. Tarzia e A. Saletti, Padova, 2011, 293 ss.; nonché, se si vuole, COREA, Autonomia funzionale della tutela cautelare anticipatoria, in Riv. dir.

proc., 2006, 1250 ss.

35 Secondo CALAMANDREI,Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, Padova, 1936, 140, la preordinazione del provvedimento cautelare al definitivo non dipenderebbe da elementi ontologici, bensì teleologici; sia pur in diversa prospettiva, U. ROCCO,Trattato di diritto processuale civile, Torino, 1960, V, 56 ss.

36 SALETTI,L’ambito di applicazione della disciplina cautelare uniforme, in Il processo cautelare, a cura di Tarzia, Padova, 2004, 536, in una prospettiva opposta a quella di PROTO PISANI,Procedimenti cautelari, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1991, XXIV, 3 ss., che proprio sul presupposto che la funzione preventiva non sia esclusiva dei provvedimenti cautelari, insisteva sulla rilevanza decisiva, a fini sistematici, dell’elemento strutturale; MERLIN,Procedimenti cautelari ed urgenti in generale, in Digesto, disc. priv., sez. civ., XIV, 1996, 430, rilevava come “la contraria opinione finisca per fare dipendere la nozione di provvedimento cautelare proprio dalla “disciplina procedurale contenuta negli stessi artt. 669 bis e 669 terdecies determinandone la disapplicazione ove essa appaia per qualche aspetto (..) derogata dalla disciplina speciale e così chiaramente conducendo un’opera di identificazione che non si pone più sul piano della “tutela” ma sul piano del “procedimento” (e cioè su quel piano che l’art. 669 quaterdecies vorrebbe invece espressamente impostato alla stregua di un confronto di “compatibilità” della singola disposizione)”. L’opportunità dell’estensione ai procedimenti sommari di un nucleo di disposizioni del procedimento cautelare uniforme, attinenti al rispetto del contraddittorio ed ai rimedi, è stata sottolineata da MARTINELLI,Alcune questioni sull’ambito di applicazione del nuovo rito cautelare uniforme, in Foro it., 1995, V, 171, da COSTANTINO, Quattro interventi sulla riforma della giustizia civile, in Riv. dir. proc., 1993, 454, e da BALENA, Provvedimenti sommari esecutivi e garanzie costituzionali, in Foro it., 1998, I, 1541 e ss., 1557, evidenziandosi la necessità che rimedi di tipo impugnatorio quale il reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c.

vengano estesi a quei provvedimenti sommari che incidono notevolmente sulla sfera dei destinatari pur in assenza di quel periculum in mora che giustifica la maggiore invasività dei provvedimenti cautelari; nello stesso senso, OLIVIERI, Ancora qualche (brevissima) considerazione sulle nuove norme del procedimento cautelare uniforme, cit. La naturale forza espansiva dell’art. 669-quaterdecies c.p.c. è stata evidenziata anche da Corte cost. 2 gennaio 2010, n. 26, in Riv. arb., 2010, 73.

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verifica di compatibilità con le norme specificamente regolanti i singoli istituti37. E, nella specie, per quanto si è detto, non solo la funzione cautelare dell’ordinanza inibitoria è difficilmente contestabile, ma neppure si rinvengono elementi (salvo quanto si dirà appresso) per negare la compatibilità delle norme del rito cautelare uniforme, segnatamente quelle che prevedono i rimedi del reclamo e della revoca.

A ciò si aggiunga che, a seguito delle riforme del 2005/06, è stato espressamente introdotto il rimedio del reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. avverso i provvedimenti di sospensione del processo esecutivo previsti dall’art. 624 c.p.c., ai quali pure era riconosciuto dalla prevalente dottrina e giurisprudenza natura cautelare. E si badi che, sempre secondo il prevalente orientamento, l’applicabilità del reclamo ai sensi dell’art. 624 c.p.c. deve ritenersi estesa anche alle ordinanze di sospensione del titolo esecutivo, emesse in sede di opposizione a precetto, e dunque ad una categoria di provvedimenti del tutto analoghi alle inibitorie rese in sede di impugnazione della sentenza di primo o secondo grado38. In entrambi i casi, infatti, il giudice dovrà operare una valutazione sul fumus del gravame o della opposizione, prima ancora che sulla sussistenza di pericula connessi all’esecuzione.

Sicché la disparità di trattamento rispetto alle inibitorie ex art. 351 e 373 c.p.c. (e consimili) sarebbe difficilmente spiegabile sul piano sistematico e ancor più difficilmente giustificabile sul piano costituzionale39.

Il secondo argomento utilizzato per negare l’esperibilità del reclamo è l’espressa non impugnabilità delle inibitorie emesse in relazione alle sentenze di primo e secondo grado,

37 TOMMASEO, Variazioni sulla clausola di compatibilità, in Riv. dir. proc., 1993, 705 ss.

38 L’opinione, specie a seguito dell’intervento chiarificatore della legge 24 febbraio 2006, n. 52, che ha inciso sul comma 1 dell’art. 624 c.p.c., sembra oramai consolidata: cfr. anche per riferimenti SOLDI, Manuale del processo esecutivo, Padova, 2009, 1112 ss., la quale sottolinea come nel caso della sospensione del titolo esecutivo si debba riconoscere all’ordinanza natura di provvedimento cautelare anticipatorio, precludendosi qualsiasi azione esecutiva in qualunque forma, con effetti pressoché analoghi a quelli della sentenza che accoglie l’opposizione all’esecuzione. Diversamente, come evidenziato anche da CAPPONI, Appunti sulle opposizioni esecutive dopo le riforme del 2005-2006, in www.judicium.it, nel caso delle sospensioni del processo esecutivo, in cui permangono gli effetti del pignoramento e gli atti esecutivi già compiuti, l’ordinanza di sospensione avrà un carattere conservativo, anche perché non priva il creditore della possibilità di intentare un altro procedimento esecutivo.

39 Non convincono i contrari arresti di App. Bari, cit., App. Milano, cit. e App. Genova, cit. La prima ritiene giustificabile il differente regime sulla base di un’asserita maggiore ampiezza del sindacato del giudice dell’opposizione (“parificabile a tutto lo strumentario difensivo offerto dall’ordinamento nei confronti di una domanda di condanna o di accertamento del debito”) rispetto a quello del giudice di appello; ma si vedano i rilievi critici al riguardo di IMPAGNATIELLO, op. cit. La seconda e la terza si fondano sull’errato assunto che l’ordinanza ex art. 624 c.p.c. incida sul processo esecutivo e non sulla sola efficacia esecutiva del titolo, il che è solo parzialmente vero ove si consideri che, per quanto già rilevato, l’ordinanza ex art. 624 c.p.c. può incidere anche sulla sola efficacia esecutiva se resa a seguito di opposizione preventiva.

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oltre che di quelle riguardanti i decreti ingiuntivi provvisoriamente esecutivi40: nel che, forse, potrebbe risiedere un indizio della incompatibilità di quelle norme con l’istituto delle inibitorie processuali.

Ma anche in tal caso, l’ostacolo non pare insormontabile. Com’è noto, la Corte costituzionale è già intervenuta per dichiarare incostituzionali quelle norme, come l’art.

695 c.p.c. che, definendo “non impugnabili” le ordinanze in materia di istruzione preventiva, non ne consentivano la reclamabilità, benché le stesse, nonostante l’indubbia natura cautelare, fossero apparentemente escluse dall’applicazione del rito cautelare uniforme41. Peraltro, questo secondo argomento non può invocarsi con riferimento all’inibitoria dei lodi, posto che, come si è già evidenziato, l’art. 830 c.p.c., a differenze delle norme che disciplinano le altre inibitorie, non la definisce “non impugnabile”42. Sicché l’applicabilità dell’art. 669-terdecies c.p.c. deve valutarsi (ex art. 669-quaterdecies c.p.c.) alla sola stregua della sua compatibilità con il provvedimento in esame;

compatibilità che, alla luce di tutte le considerazioni che precedono, non ci sembra possa revocarsi in dubbio43.

40 Per questi ultimi, poi, non vale il primo argomento, trattandosi di provvedimenti sommari. In senso favorevole alla reclamabilità, v. CAPONI, MERLIN, Sulla reclamabilità delle ordinanze sulla provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo ex art. 648 c.p.c., in Corr. Giur., 2005, 705 ss.

41 Corte cost. 16 maggio 2008, n. 144, in Corr. Giur., 2008, 1071, con nota di ROMANO, in Riv. dir. proc., 2009, 247, con note di FERRARI e LICCI, nonché in Giur. It., 2008, 225, con nota di DELLE DONNE. Si veda, inoltre, l’apertura al riguardo di Cass. 8 marzo 2005, n. 5011 che ipotizza, sia pure in obiter, la declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme che non prevedono la revocabilità e la reclamabilità dell’ordinanza ex art. 351 c.p.c. In precedenza, Cass. 28 maggio 1996, n. 4940, in Foro it., 1996, I, 2766, con commento di CIPRIANI, aveva sostenuto l’applicabilità del reclamo all’ordinanza ex art. 695 c.p.c. in via di interpretazione costituzionalmente orientata.

42 Non sembra avvedersene App. Genova, cit.

43 Non potendosi certamente opporre a tale conclusione argomenti decisamente atecnici quali l’aggravio dei ruoli delle corti (così ancora App. Genova, cit.).

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