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Capitolo 1. Dillon Wallace

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Capitolo 1. Dillon Wallace

Secondo di cinque fratelli, Dillon Wallace Junior nacque a Craigsville, New York, il 24 giugno del 1863, da Dillon Wallace Senior e Ruth Ann Ferguson. All’età di quattro anni la famiglia si trasferì a Ridgebury, New York. È qui che sbocciò in lui la passione per la vita all’aria aperta1

. Era solito accompagnare il padre durante le battute di caccia, per camminare nella natura e scoprire i boschi vicino alla sua abitazione: esperienze che lo indussero a sognare di lunghi viaggi ed esplorazioni. A 17 anni perse entrambi i genitori. Dopo essersi diplomato e aver svolto vari lavori, fra cui mugnaio presso una fattoria a Florida, New York, telegrafista, assicuratore, insegnante, giornalista per il quotidiano New York Tribune, a 29 anni entrò alla New York Law

School, presso cui si laureò nel 1896. L’anno successivo si iscrisse all’Ordine degli

Avvocati e iniziò a esercitare, ma continuò a dedicare molto del suo tempo a escursioni nello Stato di New York e nella Nuova Inghilterra. Lo stesso anno si sposò con Jennie E. Currie, che morì dopo appena tre anni di matrimonio a causa della tubercolosi. Nel 1917 Wallace convolò a nozze con Leila Greenwood Hinman. Andarono a risiedere a Beacon, New York, dove aveva comprato un acro di terra, e dove visse per il resto della sua vita. Dopo due anni nacque Leila Ann, la primogenita, mentre nel 1924 venne alla luce Dillon III2.

La vita di Wallace cambiò nel 1900, quando conobbe Leonidas Hubbard Junior (1872-1903), al tempo co-direttore della rivista Outing. Nonostante Wallace avesse nove anni di più, i due, che condividevano la passione per le escursioni di più giorni, organizzarono vari campeggi assieme. Hubbard, innamorato del Labrador, di cui teneva una cartina appesa al muro del proprio studio a Congers, New York, convinse Wallace ad accompagnarlo nella disastrosa esplorazione di quel territorio che tanto bramava di conoscere.

Di ritorno da quell’avventura, Wallace si accordò con Mina Benson Hubbard, vedova di Leonidas, per scrivere un libro sulla spedizione. Benson aiutò finanziariamente Wallace nella pubblicazione, oltre a concedergli il diritto di servirsi

1

A. Catmur, “Dillon Wallace: Explorer, Writer and Father Figure”, in www.magma.ca, sito che raccoglie articoli, tra l’altro, su Dillon Wallace e Leonidas Hubbard, a cura dell’esploratore e scrittore Philip Schubert, April 2005.

2

B. Riggs, “Drawn by the Lure of Labrador”, in Gazette, 22 January 1998, consultato su http://www.heritage.nf.ca/articles/exploration/hubbard-expedition-labrador.php.

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del diario di viaggio, delle mappe e delle fotografie del marito. The Lure of the

Labrador Wild (1905) riscosse molto successo, tanto che venne ristampato sei volte nel

giro di un anno, ma creò una frattura fra i due: Benson, che venne a conoscenza della morte di Hubbard (avvenuta il 18 ottobre 1903) solo nel gennaio dell’anno successivo attraverso un telegramma, sperava che il resoconto potesse rendere omaggio alla memoria del defunto, ma rimase delusa, e accusò anzi Wallace di speculare sulla morte del marito. Lo screzio fra i due culminò nella “great race of 1905”, di cui diremo a breve.

Dopo il successo editoriale del libro sul Labrador, Wallace continuò a scrivere; oltre a numerosi articoli per Outing, National Sportsman, American Boy, The

Haversack e altre riviste, pubblicò ben ventisei libri, comprese alcune opere di

narrativa. Quasi tutte le sue opere sono incentrate sulle lande selvagge e sulla lotta per la sopravvivenza in luoghi ostili, con un occhio di riguardo ai giovani aspiranti avventurieri, affinché non si trovino impreparati e non soffrano le sue stesse pene.

A dispetto dell’esito disastroso della spedizione in Labrador, la rivista Outing finanziò Wallace per altre missioni in varie parti dell’America Settentrionale. Dopo

Ungava Bob (1907), uscì quindi Beyond the Mexican Sierras (1910), resoconto

dell’esplorazione a cavallo di tali montagne. Dell’anno successivo è Camp in the

Rockies, in cui Wallace narra dei suoi viaggi in Arizona, Utah, Idaho, Wyoming e

Montana, durante i quali entra in contatto con gli Apache, gli Hopi e i Navajo. Il romanzo Grit A-Plenty: A Tale of the Labrador Wild (1918), narra del giovane Jamie Anguas, il quale, dovendo raccogliere soldi per pagare una costosa operazione al fratello, subentra all’ormai ammalato padre come cacciatore di animali da pelliccia. L’ultima opera di Wallace è The Camper’s Handbook (1936), un manuale a scopo didattico sui vari tipi di accampamento. Oltre a soffermarsi sulle differenze fra gli accampamenti necessari per viaggi a piedi, con animali da soma o in bicicletta, Wallace fornisce qui informazioni su equipaggiamento, cibo e relativa preparazione, spiega come rendere impermeabile un campo, proteggersi da piante velenose, insetti e animali potenzialmente aggressivi.

Nel 1913, accompagnato da Judge William Malone e Gilbert Blake, guida una terza spedizione nel Labrador, con lo scopo, tra l’altro, di collocare una targa commemorativa nel punto in cui Hubbard aveva perso la vita. La targa andò persa a causa del ribaltamento della canoa che la trasportava; giunti sul luogo della morte, con

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vernice e pennello, gli esploratori scrissero la dedica su una pietra. Alcuni degli eventi di questo viaggio furono pubblicati a puntate sulla rivista National Sportsman fra il febbraio e l’aprile del 1929. La storia completa divenne un libro dal titolo Back to the

Labrador Wilds, pubblicato solo nel 2006 dall’editore Rudy Mauro3.

Nonostante la carriera di scrittore e i numerosi e impegnativi viaggi, Wallace continuò a esercitare la professione di avvocato. La Grande Depressione del ’29 mise a dura prova la sua famiglia, che perse la casa, malgrado avesse cercato di sostentarsi con la vendita di prodotti della propria terra4.

Wallace morì a Beacon il 28 settembre del 1939. Venne seppellito nel cimitero di Fishkill, non lontano dall’ultima abitazione.

1.1 La “great race of 1905”5

Mina Benson rimase assolutamente insoddisfatta del ritratto del marito fatto da Wallace in The Lure of the Labrador Wild, dove Hubbard viene presentato come fisicamente e psicologicamente debole, oltre che inadatto al ruolo di leader. George Elson (1875-1950), il terzo membro della spedizione, assoldato per fare da guida a Wallace e Hubbard, nonostante non fosse mai penetrato negli aspri territori del Labrador, invece, non mosse mai alcuna accusa a Wallace. Non esistono, d’altra parte, fonti indipendenti o terze che possano avvalorare le tesi di Benson; l’unico resoconto disponibile del viaggio di Wallace, Hubbard ed Elson è quello di Wallace. Tra i rilievi mossi da Benson a quel volume, due sono particolarmente rilevanti.

Il primo riguarda il termine del secondo giorno di viaggio, quando Wallace manifestò il dubbio di aver sbagliato fiume, ma Hubbard si limitò a sostenere che chi aveva fornito loro informazioni aveva sbagliato: “’Blake told us,’” I ventured, ‘we could paddle up the river eighteen or twenty miles, and that he had sailed his boat up

3

Cfr. www.rudymauro.com, sito personale dell’editore, che offre la possibilità di leggere Back to the

Labrador Wilds.

4

A. L. Wallace McKendry, “Dillon Wallace: Our Dad”, in www.magma.ca, cit., March 2005.

5

Per un approfondimento, si veda J. W. Davidson, J. Rugge, Great Heart: The History of a Labrador

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that far. […]’ / ‘Oh,’ replied Hubbard, ‘he was mistaken in the distance. This must be the place where he said the river tumbled off the mountain’”6.

Il secondo riguarda il percorso da seguire al ritorno. Alla fine, la decisione di Hubbard, capo della spedizione, si rivelerà sbagliata e fatale:

[…] we again discussed the question as to whether we should stick to the canoe and run the river out to its mouth or abandon the canoe where we had entered the river. As usual George and I urged the former course. / […] But Hubbard was firm in the belief that we should take the route we knew, and renewed his argument about the possibility of getting windbound on Goose Bay […] He argued, furthermore, that along what we then thought was the Nascaupee River we should be able to recover the provisions we had abandoned soon after plunging into the wild […]. / I added my opinion to George’s that there would be more water to cover the rocks farther down […]. But Hubbard only said: “I still think, boys, we should take the trail we know.” / “That means suicide,” I said for the second time […]. / Once more Hubbard marshalled his arguments in favor of the overland route, and George and I said no more that morning. / […] “Well,” I at length said to Hubbard, “a final decision can be deferred no longer. It’s up to you, b’y – which route are we to take?” “I firmly believe,” said Hubbard, “that we should stick to our old trail.” George and I said no more. The question was settled. Hubbard was the leader (ibidem, pp. 137-140).

Ad attenuare queste accuse vi sono d’altra parte il capitolo conclusivo, in cui Wallace onora l’amico deceduto, e il fatto che The Lure of the Labrador Wild sia comunque dedicato alla memoria di questi:

L.H.

Here, b’y, is the issue of our plighted troth. Why I am the scribe and not you, God Knows: and you have His secret.

D.W (ibidem, p. v).

Dopo la pubblicazione del libro, Wallace annunciò di voler ripartire per il Labrador e portare a termine tutti gli obiettivi della spedizione precedente, che in effetti

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non ne aveva raggiunto nessuno. Si fece accompagnare da Clifford H. Easton, l’indiano Ojibway Peter Stevens, e George M. Richards, studente di geologia ed esperto di topografia. Il nuovo viaggiò ispirò anche una “contro-spedizione” nella medesima regione da parte della vedova Hubbard, convinta in questo modo di onorare la memoria del marito. Mina Benson si fece guidare da George Elson, Gilbert Blake, Job Chaspies, un indiano Cree originario del Québec, e Joseph Iserhoff, un Cree di origini russe.

Wallace era all’oscuro di tutto. Venne a sapere della sfida solo poco prima dell’inizio della seconda avventura nel Labrador. Il 13 giungo 1905, salito a bordo della nave che da Halifax, Nuova Scozia, era diretta a San Giovanni di Terranova, notò un secondo gruppo, guidato da Benson. Dopo essere sbarcato, venne informato da alcuni cronisti che la donna lo riteneva responsabile della morte di Hubbard.

Entrambi i gruppi partirono dalla stazione commerciale del fiume Nord Ovest il 27 giugno. Benson rimase abbastanza fedele al percorso del marito, basato prevalentemente sulla navigazione in canoa, mentre Wallace preferì un cammino per lo più via terra. Entrambi i gruppi, dopo aver navigato il Grande Lago, seguirono il Naskaupi, fino a poco oltre il punto in cui questo si incrocia col Fiume Rosso. Qui si divisero: la squadra guidata da Benson si diresse senza intoppi di rilievo verso nord-ovest fino al fiume Wapustan, a cui seguirono il lago Dorothy e il lago Seal, che fu raggiunto il 18 luglio. Sulle sue sponde, il 4 di agosto, arrivarono anche Wallace e il suo gruppo, che, dopo la separazione, si erano diretti a nord-est verso il lago Nipishish, e, da qui, a ovest, alla volta del lago Otter e del lago Namaycush, praticamente seguendo un antico sentiero indiano.

Dal lago Seal, i due gruppi seguirono all’incirca il medesimo tragitto: si orientarono in direzione del lago Michikamau, seguito a sua volta da un ulteriore specchio d’acqua (che, in onore del marito, Benson riporta come lago Hubbard, oggi facente parte del Bacino Smallwood), dal quale fu loro possibile seguire il fiume George, loro guida fino alla Baia di Ungava, sede di un ufficio della Compagnia della Baia di Hudson, che la sfidante raggiunse il 29 agosto, un mese prima di Wallace.

Benson, appassionata di vita all’aria aperta, ma con meno esperienza sia del marito che di Wallace, riuscì dove essi avevano fallito, assistendo addirittura alla migrazione dei caribù, che Wallace non riuscì a vedere neanche al secondo tentativo, e disegnando una cartina del bacino idrografico tra il Grande Lago e la Baia di Ungava.

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Sia Benson che Wallace scrissero un resoconto del proprio viaggio. Benson pubblicò A Woman’s Way Through Unknown Labrador7 (1907), Wallace The Long

Labrador Trail (1907); in nessuno dei due scritti viene menzionata la spedizione

dell’avversario.

Mentre Benson si trattenne presso l’obiettivo (l’ufficio della Compagnia della Baia di Hudson presso il fiume George, ove questo sfocia nella Baia di Ungava), fino al 22 ottobre, quando decise di tornare a Québec City via nave, Wallace continuò il proprio percorso, dato che il motivo effettivo della sua avventura non era di matrice competitiva, ma la continuazione ed il completamento del sogno di Hubbard. Dopo essersi spinto in direzione sud-ovest fino al fiume Whale e forte Chimo, presso il fiume Koksoak, tornò indietro, verso nord-est, fino a toccare la costa, che venne seguita fino al raggiungimento del lago Melville e del fiume Nord Ovest.

La seconda spedizione di Wallace, diversamente dalla precedente, fu organizzata con molta cura e, non a caso, portò i suoi frutti; fra l’altro, vennero raccolte e in seguito studiate molte piante e molte rocce, furono esplorati e mappati la sorgente del fiume Crooked, oltre che una serie di laghi minori. The Long Labrador Trail, che Wallace dedica alla moglie defunta, si conclude con una nota di soddisfazione per essere riuscito a vivere l’esplorazione sognata da Hubbard, a cui questo libro è implicitamente dedicato, come si evince dalle parole conclusive:

On April thirtieth, after an absence of just eleven months, we found ourselves again in the whirl and racket of New York. The portages and rapids and camp fires, the Indian wigwams and Eskimos igloos and the great, silent white world of the North that we had so recently left were now only memories. We had reached the end of The Long Trail. The work of exploration begun by Hubbard was finished8.

7

Cfr. M. Benson Hubbard, A Woman’s Way Through Unknown Labrador, Montréal (QC), ueen’s niversity ress, 2008.

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