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Discrimen » Legislatore penale e dottrina penalistica: è ancora possibile un dialogo?

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Academic year: 2022

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GIOVANNI FIANDACA

LEGISLATORE E DOTTRINA PENALISTICA:

È ANCORA POSSIBILE UN DIALOGO?(*)

1. Il titolo del dibattito odierno, oltre a essere suggestivo, risulta alquanto im- pegnativo perché potenzialmente evoca molti temi e problemi, di rilevanza sia teorica che pragmatica. Confesso subito però che, personalmente, avrei preferito che fosse apposto un punto interrogativo nella parte in cui il titolo medesimo sembrerebbe accreditare la “possibilità” che, oggi, scienza e legislatore tornino a dialogare: non basta, infatti, auspicare una ripresa di dialogo per dar vita ai pre- supposti che lo rendono davvero possibile. Come sappiamo, tra il diritto penale pensato da noi professori e quello solitamente partorito nelle sedi politico- istituzionali, vi è assai più divario che consonanza; né mi sembra di intravedere, in un orizzonte ravvicinato, qualche segnale di inversione di tendenza.

Poi, a volere sottilizzare un poco, vi sarebbe altresì da porre due domande: da un lato, cosa vuol dire in questo momento ‘scienza penale’, e chi ha titoli per rappresentarla; dall’altro, cosa significa ‘legislatore penale’. Quanto al primo in- terrogativo, direi in estrema sintesi – e scusandomi per la franchezza – che l’attuale scienza penale italiana risulta, nel complesso, carente di una fisionomia identitaria tale da poterle fare assumere il ruolo di vera interlocutrice nei circuiti della produzione normativa. Rispetto alla seconda domanda, la ragione del solle- varla mi sembra avvalorata dalla constatazione – mi si scusi ancora se insisto nel rinunciare alla diplomazia – che, in questo nostro dibattito, il potere legislativo è rappresentato non da politici di mestiere, bensì da magistrati prestati alla politica.

La circostanza è casuale, o costituisce una ulteriore e significativa spia del fatto che la magistratura in questo frangente storico ha un ruolo preponderante anche nel fabbricare le leggi e, prima ancora, nel dettare l’agenda della politica crimina- le? Se così fosse, avremmo una ennesima riprova che la politica continua a vivere una doppia crisi, di legittimazione e di capacità propositiva; per effetto della qua- le, essa non riesce a imporsi come effettiva regista della politica penale, venendo meno alla sua (teorica) funzione di autonoma istanza di sintesi delle contradditto-

(*) Il testo riproduce, con piccole aggiunte, l’intervento svolto al dibattito dal titolo «Il labora- torio delle leggi. Un dialogo possibile tra scienza e legislatore penale», organizzato dall’“Associazione italiana dei professori di diritto penale” e svoltosi presso l’Università degli Studi di Roma Tre (Ro- ma, 16 ottobre 2015).

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rie richieste provenienti dai contrapposti fronti di un ‘panpunitivismo’ sempre più populistico1 e di un garantismo non di rado peloso: in luogo di una ordinata e ben ponderata sintesi delle posizioni in conflitto, assistiamo al succedersi di com- promessi più o meno pasticciati, determinati dal contingente modo d’atteggiarsi delle forze in campo e, in ogni caso, fortemente condizionati dalle preoccupazio- ni del potere giudiziario.

È mia opinione, da non pochi anni, che i mali della giustizia italiana non deri- vino tutti dalle tante riforme legislative annunciate e mai fatte o dalle non poche cattive riforme fatte. Il problema è ben più complesso. Al di là e prima della ri- forma delle leggi, si pone una grandissima questione di fondo che riguarda la cul- tura politica e, al tempo stesso, la cultura penale, considerate queste due culture anche nella loro reciproca interazione. E quando si parla di cultura penale do- vremmo, come sappiamo, ulteriormente distinguere tra culture penali – rispetti- vamente – accademica o dei professori, della magistratura (a sua volta, peraltro, per nulla omogenea al suo interno), delle forze politiche e, infine, della gente co- mune. Che un così accentuato pluralismo precluda la possibilità di tentare il re- cupero di una prospettiva di ‘sistema’, e tanto più di sistema in senso forte, la considererei – piaccia o non piaccia – una verità definitivamente acquisita.

2. Come studioso, non potrei non assumere una posizione molto critica nei confronti del tipo di approccio che la politica, non da ora, adotta nel settore pe- nale. È mancata, e continua a mancare una visione d’insieme degna di questo nome; oltre alla assenza di un quadro organico di riferimento e al confuso so- vrapporsi di interventi normativi settoriali, di cui è impossibile calcolare in anti- cipo gli effetti complessivi, ha un effetto molto negativo la assai scadente qualità tecnica delle leggi, dovuta sia alla loro genesi eccessivamente compromissoria sia alla minore cultura del personale politico odierno. Non di rado si ha l’impressione di avere a che fare, più che con testi normativi sufficientemente definiti, con pro- dotti semi-lavorati o linee-guida inevitabilmente bisognose di essere concretizzate e specificate ad opera degli interpreti, per cui non è il legislatore ma la giurispru- denza a stabilire cos’è davvero punibile. E questa delega di fatto dal legislativo al giudiziario contribuisce, a sua volta, ad alimentare quella caduta in crisi della ti- picità penale che affonda, peraltro, le radici anche in un più generale processo di progressiva obsolescenza dell’insieme dei principi garantistici di un diritto penale di matrice liberale.

1 Cfr. G.FIANDACA, Populismo politico e populismo giudiziario, in questa Rivista, 2013, p. 95 ss.; L.VIOLANTE, Populismo e plebeismo nelle politiche criminali, ivi, 2014, p. 197 ss.

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Legislatore e dottrina penalistica: è ancora possibile un dialogo? 19 Nell’addure esempi di leggi penali redatte in modo discutibile, c’è l’imbarazzo della scelta. Di recente, basti accennare alla equivoca modifica del reato di scam- bio elettorale politico-mafioso, che non a caso ha già dato luogo a contrasti inter- pretativi2, alla confusa formulazione della fattispecie di autoriciclaggio, all’incerta fisionomia del riveduto falso in bilancio3 o alla complessivamente poco felice di- sciplina testuale del pur importante istituto della particolare tenuità del fatto qua- le generale causa di non punibilità inserita nel codice penale. E si potrebbero ag- giungere altri esempi, più o meno recenti.

È realistico confidare, in un immediato futuro, in un miglioramento della qua- lità delle leggi scritte? In proposito, non nutrirei molte speranze. E questo pessi- mismo è – tra l’altro – avvalorato da lucide ammissioni più volte fatte, anche in occasione di interventi pubblici, dall’attuale ministro della Giustizia Andrea Or- lando: il quale, nel rispondere alle critiche rivolte alla qualità delle nuove norme varate o in cantiere, chiama in causa la complessità e frammentarietà del processo di legiferazione nell’attuale momento storico; e ciò sino al punto non solo di con- siderare pressoché ineluttabili la genericità ed equivocità dei testi normativi, ma anche di fare affidamento in un successivo intervento delle Corti allo scopo di precisare ambito e confini del penalmente rilevante.

Ritengo che il guardasigilli in carica, ponendo l’accento sulle accresciute diffi- coltà del processo di deliberazione democratica, oltre a cercare una giustificazio- ne plausibile, fotografi in larga parte lo stato delle cose. Ma quel che egli non ri- conosce altrettanto apertamente è il fatto che il ricorso al diritto penale rimane pur sempre una risorsa politica e comunicativa redditizia a fini di consenso elet- torale, che per di più presenta il vantaggio aggiuntivo di comportare costi in ogni caso non elevati: creare nuovi reati o aggravare reati preesistenti in funzione di ansiolitico sociale, costa infatti sempre meno (in termini di risorse materiali, u- mane ecc.) rispetto a tipi di intervento a carattere strutturale diretti a incidere sul- le cause dei fenomeni criminali da prevenire. È, purtroppo, una storia ormai vec- chia e risaputa.

3. Forse anche a causa del trascorrere degli anni (sono ormai uno studioso di lungo corso), comunque mi attrae di meno occuparmi delle contingenti proposte di migliorare qua e là la caotica legislazione penale vigente e/o la funzionalità pra- tica della macchina giudiziaria, e mi stimola invece di più tornare a riflettere su questioni di più ampio respiro e di più lunga durata: alludo a riflessioni sulle ca-

2 G.FIANDACA, Scambio elettorale politico-mafioso: un reato dal destino legislativo e giurispru- denziale avverso?, in Foro it., 2015, II, c. 522 ss. e giurisprudenza ivi citata.

3 A.ALESSANDRI, Le incerte novità del falso in bilancio, in Riv. it. dir. proc.pen., 2016, p. 11 ss.

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ratteristiche e sulle tendenze di fondo della giustizia penale, considerate in rap- porto ai mutamenti socio-politici e culturali più generali.

Sicché, mi appaiono interessanti interrogativi del seguente tipo. Quale futuro per il diritto penale? Perché, anche al di fuori dei confini italiani, i principi pena- listici di ascendenza illuministico-liberale sono da tempo in grave crisi, sino a so- migliare ai desueti precetti di una religione arcaica sempre più povera di seguaci?

Perché il diritto penale contemporaneo, rinnegando il canone delimitativo dell’extrema ratio, tende sempre più ad espandersi coprendo buona parte delle relazioni sociali, ricaricandosi di pretese e tentazioni moralizzatrici (diritto penale come “etica pubblica sostitutiva”, nel linguaggio di Massimo Donini)4, fornendo avalli simbolici a rivendicazioni di nuovi valori e diritti, assecondando richieste antidiscriminatorie o assumendo funzioni tutorie di soggetti deboli?

Cercare di affrontare adeguatamente domande siffatte, richiederebbe un tem- po e uno spazio esulanti da questo breve intervento. Mi limito perciò a richiama- re l’approdo conclusivo di stimolanti riflessioni sviluppate di recente, proprio sui problemi odierni e le prevedibili tendenze future del diritto penale, da Thomas Weigend. Vale la pena citare tra virgolette: “Comunque sia, il diritto penale è de- stinato a mutare il proprio volto: non sarà più un padre severo che punisce du- ramente alcune infrazioni, lasciando per il resto una certa libertà per la scelta del- lo stile di vita; sarà piuttosto come una madre premurosa, disposta ad accompa- gnare e ad ammonire costantemente il proprio figlio”5. È persuasiva questa ipote- si di un’evoluzione in senso tutorio-materno della coercizione penale?

Si tratta, a mio avviso, di una chiave di lettura meritevole di essere presa in considerazione, beninteso insieme con altre complementari. Ma, tanto più se fos- se fondata, la prognosi di un diritto penale più materno che paterno non sarebbe per nulla rassicurante: anche le madri – come l’esperienza insegna – possono ri- sultare oppressive e tiranniche per eccesso di cura e di invadenza.

Come che sia, per ritentare l’opposta strada di un recupero del liberalismo penale, non sono certo sufficienti le consuete preoccupazioni garantistiche che, come professori, non ci stanchiamo di esprimere e ribadire nel chiuso dei recinti accademici. Occorrerebbe, piuttosto, rilanciare i grandi principi del garantismo nello spazio pubblico esterno. Ma esistono oggi movimenti politici disposti a puntare su di un rinnovato illuminismo penale e, altresì, grandi protagonisti del mondo culturale capaci di farsene interpreti e diffonderlo in modo socialmente trasversale?

4 M.DONINI, Il diritto penale come etica pubblica, Modena, 2014.

5 T.WEIGEND, Dove va il diritto penale? Problemi e tendenze evolutive nel XXI secolo, in que- sta Rivista, 2014, p. 88.

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