RUOLO DEL TUTORE E DEI SERVIZI SOCIALI
NEI PROCEDIMENTI PENALI A CARICO DI MINORENNI
“I MINORI CON CUI SI CONFRONTA IL TUTORE: LA SUA PERSONALITÀ E IL SUO
PROGETTO DI RECUPERO”
Dott.ssa Barbara Montisci Psicologa- Psicoterapueta
Giudice Onorario del Tribunale per i Minorenni di Perugia
DPR 448 del 1988
Con il nuovo processo penale minorile emanato con il DPR n. 448 del 1988 e il relativo decreto attuativo n. 272, emanato nel 1989, il minore passa da oggetto di protezione e tutela a soggetto titolare di diritti.
Il processo penale viene considerato come un evento delicato e importante nella vita di un soggetto minorenne che deve essere adeguato alle esigenze di una personalità̀ in fase evolutiva.
I principi generali alla base del processo penale minorile prevedono che vi sia una disciplina specifica per i soggetti minorenni, dando vita a istituti specifici a loro esclusivamente riservati nonché a deroghe e adattamenti degli istituti previsti per gli adulti.
Quale utenza?
L’utenza che entra in contatto con i Servizi della giustizia minorile è composta da soggetti che hanno una età variabile tra i 14 e i 25 anni.
Nel caso in cui il minore abbia un tutore, significa che vi è anche un procedimento civile a sua tutela, nel quale la coppia genitoriale è stata sospesa dalla responsabilità genitoriale, oppure, più frequentemente il minore è un minore straniero non accompagnato.
Il Servizio Sociale nel proc. penale
La relazione tra Autorità giudiziaria e Ufficio di Servizio Sociale Minorenni è di tipo funzionale e non gerarchica.
Il Servizio Sociale della giustizia minorile modula la funzione di aiuto e di controllo in relazione alle esigenze educative del minorenne, alle fasi processuali e ai contesti di appartenenza nell’interesse del soggetto e della collettività.
Si tratta di una mediazione tra “mandato sociale” e “mandato istituzionale”, dove il primo rappresenta il dover essere dell’operatore nei confronti dell’utenza, dei suoi bisogni e domande, e il secondo è determinato dalle norme e dalle prassi dell’istituzione, in rapporto alle finalità della medesima. (Mastropasqua, 1997)
Finalità dell’indagine del S.S. minorile
L’indagine dei servizi deve fornire al TM tutti gli elementi utili rispetto a come il minore si pone di fronte al fatto-reato ed eventuali evoluzioni della presa di coscienza del minore dall’inizio della presa in carico.
Decodifica del reato come sintomo del disagio maturativo all’interno della sua storia familiare e gruppale.
Correlazioni tra la tipologia del reato e bisogni evolutivi inevasi al fine di sostituirvi risposte più maturative.
Gli Obiettivi dell’Intervento del s.s.
minorile sono:
- offrire al minore elementi di chiarificazione e consapevolizzazione rispetto alla vicenda giudiziaria;
- raccogliere e fornire all’Autorità̀ giudiziaria elementi di conoscenza sul minore;
- elaborare e attuare il programma di trattamento in collaborazione con i servizi minorili e dell’ente locale;
- attivare processi di responsabilizzazione nel minore e nella sua famiglia;
- costruire con il minore un percorso di cambiamento;
- favorire la conciliazione con la parte offesa e quindi richiesta di intervento di mediazione penale;
- favorire l’invio del caso ad altri servizi.
Ruolo dell’ambiente relazionale…
Ambiente relazionale come alveo nel quale si originano i limiti, ma anche le risorse dello sviluppo evolutivo del minore antisociale, tanto che l’indagine sulla famiglia dei servizi deve fornire al TM:
Tutti gli elementi utili a delineare il contesto ed i rapporti intrafamiliari esistenti, soprattutto tra l’imputato ed i genitori (a livello intergenerazionale e transgenerazionale);
Il grado di consapevolezza da parte dei genitori delle reali condizioni psicoevolutive del figlio, del disvalore del fatto- reato, del significato del processo penale e della necessità
di un eventuale percorso di recupero maturativo;
Ruolo dell’ambiente relazionale…
Le risorse che i genitori sono in grado/sono potenzialmente disponibili (con il supporto motivazionale degli operatori) a mettere in campo a sostegno di un eventuale percorso di messa alla prova del figlio in collaborazione con i Servizi.
Rivisitazione della storia familiare e delle dinamiche conseguenti nell’ottica di una loro ristrutturazione più favorevole alla crescita del figlio.
Ciò è particolarmente necessario nel caso siano presenti eventuali distorsioni proiettive conseguenti alla psicopatologia inconscia dei genitori induttive di acting, e di comportamenti trasgressivi o delinquenziali.
La sfida dell’assistente sociale
dell’USSM… (ma anche del tutore)
Interfacciarsi con situazioni problematiche e con la sofferenza dell’altro può mettere a rischio il lavoro dell’assistente sociale, ma occuparsi dell’altro porta anche a tante soddisfazioni come la buona riuscita del percorso dell’utente.
Significa prendere decisioni ad alto tasso emotivo.
L’incarico all’USSM…
A seguito della richiesta dell’Autorità Giudiziaria la segreteria dell’USSM apre un fascicolo e il caso viene assegnato con un ordine di servizio del direttore all’AS che raccoglie tutte le informazioni.
Due momenti fondamentali sono: il primo colloquio e la visita domiciliare.
Il primo colloquio con il minore
Il primo colloquio con il minore avviene a seguito della sua convocazione e, in genere, avviene in ufficio e possibilmente insieme ai genitori/tutore.
Lo scopo principale è quello di conoscere il minore e la sua famiglia ma anche quello di descrivere il ruolo del Servizio e l’iter del procedimento penale cercando di creare le premesse per una relazione impostata sulla fiducia.
A questo primo colloquio faranno seguito altri incontri sia con il minore sia con la sua famiglia di tipo motivazionale, di sostegno e monitoraggio-verifica, di orientamento e di aggiornamento.
La visita domiciliare
E’ uno strumento di valutazione utile per l’AS con lo scopo di incontrare il minore nel suo ambiente e di interagire con le altre figure di riferimento; anche per monitorare le misure cautelari ed in particolare, la permanenza in casa.
L’A.S. ha la possibilità di osservare cosi la realtà ambientale del minore in particolare le condizioni abitative, le dinamiche familiari e relazionali.
Nel caso di un Mnsa o di un minore allontanato dalla casa familiare si effettua la visita domiciliare in struttura o presso la famiglia affidataria e/o del parente ospitante.
Il lavoro di Rete
Il lavoro di Rete
Un momento fondamentale è IL LAVORO D’ÉQUIPE con altre figure professionali al fine di avere una più ampia visione della situazione del minore.
Più professionisti, significa anche linguaggi diversi e, quindi, complessità.
I protagonisti del lavoro di Rete
L’USSM per poter intervenire in modo adeguato si avvale del lavoro di rete e oltre al coinvolgimento dei Servizi della Giustizia (IPM, Comunità, CPA), collabora con altre istituzioni e in particolare con il terzo settore e con le associazioni di volontariato per lo svolgimento della messa alla prova.
Ha una collaborazione fondamentale anche con i Comuni per uno scambio utile di informazioni sul minore ed una presa in carico congiunta.
Si confronta con i genitori, il tutore, lo psicologo, gli insegnanti, etc….
Principi ispiratori della progettualità
L’elaborazione della progettualità educativa deve ispirarsi ai principi:
1. di non interruzione dei processi educativi in atto, 2. minima offensività del processo,
3. rapida fuoriuscita dal circuito penale e residualità della detenzione.
Il complesso ruolo del tutore
Il tutore diventa un punto di riferimento per il minore all’interno della famiglia, della comunità, ma anche all’esterno, nei confronti delle istituzioni e delle autorità coinvolte nella tutela del minore (Ussm, servizi socio-assistenziali, servizi sanitari, scuola, enti previdenziali) e agisce o resiste in giudizio in nome del minore.
Proprio questa sua caratteristica rende il tutore volontario una figura cruciale nel sistema di protezione, con compiti che richiedono una comprensione piuttosto puntuale delle finalità del procedimento penale, civile, amministrativo, dei diversi permessi di soggiorno, delle procedure necessarie al loro rilascio, la capacità di discernere quale possa essere, nel singolo caso, la soluzione maggiormente rispondente al superiore interesse del tutelato.
Il tutore deve anche comprendere chi ha di fronte per decodificare le reazioni/atteggiamenti/comportamenti del minore.
Attività di volontariatà Attività di studio
Attività lavorativa Attività sportiva
Frequenza corso professionale Frequenza gruppo parrocchiale Contatti con il servizio sociale Sostegno psicologico
Non frequentare coimputati Orario uscita/rientro casa Obbligo a restare a casa Permanenza in comunità Riconciliazione parte lesa
Risarcimento simbolico del danno
Come previsto dalla normativa, "il giudice può impartire
prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione della persona offesa dal reato"
(art.28 comma 2).
Art. 12 del processo penale minorile
Art. 12 – Assistenza all'imputato minorenne.
“1. L'assistenza affettiva e psicologica all'imputato minorenne è assicurata, in ogni stato e grado del procedimento, dalla presenza dei genitori o di altra persona idonea
indicata dal minorenne e ammessa dall'autorità giudiziaria che procede”.
Evoca la presenza genitoriale nell’intero arco del procedimento penale, indicandola non come mera comparsa facoltativa, ma come ruolo essenziale di tutela del minore stesso e della sua ripresa evolutiva. Se è vero che la sospensione del processo per la valutazione della personalità all’esito della prova, è pur vero che, in questa fase della vita, a concorrere all’esito positivo di essa, o a renderla ancor più ardua, è proprio la qualità della presenza genitoriale, chiamata - a sua volta - a superare la prova affettiva ed esistenziale di un autentico supporto alla crescita del figlio, piuttosto che estraniarsene, relegandone le difficoltà nel limbo della sua irrisolvibilità.
Evitare pregiudizi
Il rischio di un giudizio critico e colpevolizzante rivolto ai genitori è̀ molto elevato.
I genitori hanno bisogno a loro volta di essere accolti e capiti, al fine di rivisitare, condividendola e rielaborandola, quella storia di vita familiare e di coppia nella quale si incistano i vissuti traumatici irrisolti che si pongono come registi occulti nella difficoltà
evolutive dei figli.
Sono genitori difficili da raggiungere perché feriti narcisisticamente dalle difficoltà̀
evolutive dei figli, che difensivamente banalizzano o viceversa drammatizzano, quando, invece, necessitano di essere accompagnati nella decodifica del significato simbolico e comunicativo dell’azione antisociale, nella quale il figlio condensa ed arena la sua richiesta di aiuto.
Evitare pregiudizi
È necessario strutturare anche con loro un setting mentalmente contenitivo nel quale l’operatore (ma anche il tutore) rifugga dal rischio di sostituirli con la sua presenza, ma viceversa costruire una motivazione alla rielaborazione della storia relazionale con il figlio, valorizzando la disponibilità a porsi come insostituibili alleati nell’attuazione del percorso riabilitativo.
Nel caso del MNSA, verificare, quali risorse ci sono in ambito familiare (anche se distanti geograficamente) e operare presentificazioni e/o coinvolgimenti, laddove è possibile.
Minori Stranieri Non Accompagnati
Conoscere le storie delle tante ragazze e ragazzi, sapere il perché hanno affrontato il
“viaggio della speranza”, quale sia il loro progetto migratorio, può aiutare ad accoglierli nel miglior modo possibile.
Ogni storia è una storia a sè, non si possono usare categorie omologanti e anonime.
È nei giorni immediatamente successivi agli sbarchi che si gioca tutto: la possibilità di aiutarli e integrarli evitando che fuggano a proprio rischio o, peggio ancora, che finiscano preda di traffici illegali, nella prostituzione, nella devianza o nel reclutamento da parte di criminalità organizzata.
Le tantissime storie di questi ragazzi, minori di età , ma al tempo stesso costretti a diventare precocemente “adulti” ci riporta ad una realtà soggettiva complessa fatta di dolore e di speranza che prima di tutto va accolta, capita, riparata e guidata.
Il ruolo del mediatore: il ponte tra due culture
Il mediatore culturale svolge un ruolo chiave in tutti quei delicati interventi in cui è
prevista un’interlocuzione tra culture diverse, come nel caso di progetti di accoglienza ed assistenza di minori migranti, in cui i beneficiari si trovano ad approcciare una realtà completamente nuova e lontana da quella di appartenenza.
Il fine principale del ruolo del mediatore è, infatti, agevolare la comunicazione tra gli operatori impegnati nell’accoglienza e i migranti, favorendo da entrambe le parti il superamento di barriere linguistico-culturali, che impediscono la comprensione di concetti fondamentali utili al beneficiario nel suo inserimento nel nuovo contesto.
Il ruolo del mediatore: il ponte tra due culture
Il mediatore, valorizzando la lingua e la cultura di origine del migrante, deve al contempo promuovere la cultura del nuovo contesto di arrivo, spiegando valori e consuetudini, diritti e doveri che egli/ella assume dal momento in cui entra nel nuovo Paese.
Per favorire l’incontro tra questi due mondi il mediatore ha il delicato compito di supportare il migrante nell’espressione dei suoi bisogni, che devono essere ‘tradotti’ in concetti corrispondenti al tessuto sociale di accoglienza, eventualmente chiarendo all’operatore/tutore quegli elementi propri del nuovo sistema di accoglienza che costituiscono un ostacolo alla loro comprensione e piena acquisizione.
Fondamentale è la capacità del mediatore di interpretare fedelmente e tradurre non solo la comunicazione verbale ma anche i concetti propri del sistema linguistico- culturale e i valori e i principi culturali propri della cultura di appartenenza, quali ad esempio, il significato della malattia e della sua guarigione; il concetto di terapia e cura;
il concetto di “minore età”, ecc.
Il ruolo del mediatore: il ponte tra due culture
Il mediatore svolge un ruolo di “ombrello” fondamentale nell’accompagnamento e di supporto tecnico dell’attività dell’operatore la cui azione, se priva del mediatore, rischia di essere vanificata o addirittura distorta.
I minori che arrivano in Italia provengono da aree in cui la politica economica non è
risultata capace di rispondere alle esigenze delle popolazioni e la migrazione diventa spesso scelta obbligata di sopravvivenza.
Quali motivazioni al “viaggio”
La provenienza sociale è un altro fattore che orienta la scelta migratoria degli adolescenti.
Molti minori che arrivano in Italia lasciano il proprio paese facendosi portatori di un desiderio di riscatto collettivo, ossia la possibilità, seppure rischiosa, di ricollocarsi socialmente e riqualificare almeno la condizione economica della propria famiglia.
Qualcuno ha intrapreso il viaggio costretto da una drammatica situazione contingente, come la guerra o minacce personali; per questa ragione non ha potuto costruire una rappresentazione del proprio futuro che andasse molto al di là della fuga dalla situazione che lo minacciava.
Altri hanno avuto le condizioni e il tempo necessario ad elaborare un progetto nel quale le prospettive di una vita in un altrove più ricco di opportunità e di sicurezza sono ben rappresentate.
I ragazzi che già̀ nel loro Paese sperimentavano una già marcata difficoltà personale e/o instabilità nei rapporti familiari o sociali; in questi ragazzi, la rappresentazione del proprio futuro è poco o per niente articolata.
Il viaggio come «rito di passaggio»
Maturare la scelta di partire per un altro paese significa scontrarsi con il concetto e con il vissuto di separazione. Ci si separa dal contesto familiare, affettivo, sociale e culturale originario e questa scelta provoca una rottura dell'equilibrio preesistente nella vita della persona che decide di emigrare.
Questa fase costituisce un momento contraddittorio di sofferenza, unita ad aspettative più o meno fantasiose, rivolte verso il nuovo Paese e la nuova vita.
La partenza e la separazione provocano la necessità di elaborare queste esperienze proprio come un lutto: il lutto della separazione dal gruppo originario, dai legami costruiti durante l'infanzia, dalla famiglia, dagli amici, dalle abitudini, ma anche dalla lingua e dalla cultura di appartenenza.
La partenza e le condizioni nelle quali avviene, i motivi stessi della scelta intrapresa, sono importanti perché condizionano tutta la traiettoria dell'esperienza migratoria. Traiettoria che non è solo geografica, ma anche mentale ed emotiva.
Viaggio come “rituale di passaggio”
Per molti minori il viaggio è vissuto come una sorta di “rituale di passaggio” verso l’età
adulta: un distacco dai legami e dalle sicurezze, per costruirsi come nuove soggettività.
Nonostante la giovane età e le incertezze proprie di alcune fasi evolutive, molti di loro si percepiscono a tutti gli effetti come “adulti”.
Oltre a dovere elaborare la separazione precoce e spesso repentina dal proprio contesto di origine, una volta giunti a destinazione questi minori devono fare i conti con le memorie, dal contenuto spesso cruento, accumulate nel corso del viaggio. Molti minori dichiarano spesso di non essere stati ‘preparati’ all’entità delle violenze sperimentata durante il loro percorso.
A volte il senso di colpa per essere sopravvissuti - frequente, ad esempio, in chi ha perso compagni di viaggio - si intreccia alla vergogna: per essersi dovuti esporre a tanti pericoli, ma soprattutto per avere assistito, senza intervenire, a violenze perpetrate su altre persone.
Vissuti ambivalenti
Il confronto con situazioni estreme, il dovere effettuare autonomamente delle scelte in tempi rapidi, induce nei ragazzi uno stato di allerta costante, essendo costretti a reagire su un registro di attacco/fuga fondato su una diffidenza maturata nei confronti dell’ambiente esterno, che permane spesso anche al loro arrivo.
È possibile quindi che il rapporto con gli operatori/tutore, prime figure di riferimento in Italia, risenta della difficoltà di questi ragazzi a costruire relazioni basate sulla fiducia.
Questi adolescenti oscillano tra la necessità di dimostrare - anche a se stessi - un’autonomia totale e il bisogno, non sempre esplicitato, di dare spazio alle incertezze e alle paure che vivono dentro di loro.
Gli operatori/tutori, riconoscendo questi “movimenti” e facendone occasione di scambio, possono aiutare i ragazzi ad accettare le proprie incertezze come lecite e ad elaborarle attraverso gli strumenti, a seconda del caso, più idonei.
Riacquisire la capacità di fidarsi dell’altro e il senso di controllo sul proprio spazio possono svolgere una funzione positiva.
Inversione generazionale
Facendosi carico di riscattare lo status della propria famiglia i minori migranti contemporanei sono protagonisti di una vera e propria “inversione generazionale”. Il denaro non è soltanto uno strumento per migliorare le condizioni di vita materiali, ma serve soprattutto a riqualificare dal punto di vista sociale l’autorevolezza dei genitori
“rimasti indietro” in sistemi che i ragazzi descrivono come “immobili”.
Dai loro racconti emerge con forza l’entità delle responsabilità che si assumono: “devo salvare la mia famiglia... devo lavorare per aiutare i miei fratelli/sorelle... devo inviare soldi per fare curare i miei parenti... per pagare il debito contratto per il mio viaggio...”.
Il minore si sente spesso unico responsabile di eventuali fallimenti che avranno ricadute sulla sua famiglia. Pertanto è fondamentale guidarlo nelle scelte che possono condizionare il suo percorso di integrazione, ma anche aiutarlo a distinguere tra elementi esterni ed interni che potrebbero inficiare, o al contrario favorire, il proprio progetto.
La “doppia assenza”: quale solitudine
e quale supporto per il minore migrante?
La doppia assenza
Un altro fattore che espone al rischio gli adolescenti migranti è quello relativo alla particolare “solitudine” che caratterizza la migrazione, definita da Abdelmalek Sayad come “doppia assenza”.
Chi lascia il proprio paese spesso non racconta il prezzo pagato per quest’esperienza, che nell’immaginario comune rappresenta l’accesso ad un miglioramento certo della qualità della vita.
Nei Paesi di origine è diffusa un’epica della migrazione che tende ad evidenziarne i vantaggi e ad occultarne i rischi. L’imperativo del successo genera un tacito accordo tra chi emigra e i suoi familiari, vincolando il primo a ‘non dire tutta la verità’ e i secondi a non credere a quanto di negativo viene raccontato.
La doppia assenza
L’esperienza migratoria dei MSNA, e l’investimento in questo progetto, fa sì che i giovani non siano disposti ad ammetterne l’eventuale fallimento.
L’urgenza di dimostrare la propria capacità di rispondere al mandato familiare e di costruire un’immagine di sé che risulti “vincente” almeno in patria, può talvolta esporre i minori ad abbandonare percorsi di crescita e di integrazione di lungo o medio periodo per entrare in circuiti di sfruttamento.
Evitare il rischio di un “doppio fallimento” di questi ragazzi in fuga da situazioni in cui erano già condannati alla marginalità, deve quindi essere il principale obiettivo del sistema di accoglienza finalizzato a rispondere ai loro reali bisogni, aiutandoli a mediare fra esigenze personali e mandato familiare, e ad utilizzare al meglio le proprie risorse e quelle messe loro a disposizione per emanciparsi.
E’ importante…
- stabilizzare il prima possibile la posizione giuridica del minore migrante, affinché si senta al sicuro;
- aprirsi ad un rapporto non giudicante con il minore che riconosca il mandato familiare come non in contraddizione con il suo percorso di integrazione;
- riconoscere il portato emotivo che la condizione di migrante genera e fornire aiuto per creare degli spazi di negoziazione interni;
- favorire una mediazione telefonica con la famiglia.
Il Tutore deve…
Su questa base è allora possibile compiere un passo ulteriore che preveda la trasmissione di concetti delicati e complessi come, ad esempio, quello della ‘minore età’ che dovrà essere spiegata enunciando in modo chiaro le opportunità che in termini di protezione vengono riconosciute dal Paese di arrivo, facendo quindi leva su elementi che concorrano a ridurre il senso di disorientamento del migrante.
Il progetto ha i seguenti obiettivi:
- valorizzare le strategie di resilienza, attivando le risorse individuali e di gruppo, attraverso una metodologia finalizzata a cogliere i bisogni e le istanze dei minori per facilitare sia il loro orientamento nel presente sia la progettualità futura
- riattivare il legame con i diversi sistemi di appartenenza positivi (affettivi, culturali, religiosi...), spesso “rimossi” o “sospesi” durante il viaggio, per favorire la presa in cura di sé.
Questi obiettivi sono coerenti con l’approccio della etnopsicologia che, come scrive Tobie Nathan, considera le persone, il loro funzionamento psicologico individuale e le modalità delle loro interazioni a partire dai loro attaccamenti multipli a lingue, luoghi, divinità, antenati, modi di fare...
Questi minori “devono” essere forti
I MSNA ci appaiono, e sono, adolescenti forti perchè sono stati capaci di tollerare scelte estreme come quella di lasciare gli affetti e le sicurezze di casa e capaci di sopportare i traumi del viaggio irregolare. Sono così forti da riuscire a soddisfare la pretesa che la nostra legge attualmente richiede: imparare in poco tempo la lingua e frequentare con successo la scuola media in modo da ottenere il diploma, poi apprendere un mestiere e quindi trovare un lavoro. Per capire quanta forza occorre per fare questo, basta pensare quali compiti sociali chiediamo di assolvere ai nostri adolescenti fra i 16 e i 18 anni.
Sono forti, dunque, ma al tempo stesso fragili per i segni che l’esperienza della migrazione ha lasciato dentro di loro.
Ridare ai minori stranieri non accompagnati l’adolescenza che non hanno avuto a casa loro.
Dobbiamo assumere nei loro confronti un punto di vista evolutivo e un punto di vista transculturale; diversamente, oscilliamo fra il trattarli come bambini poco capaci di badare a sé, e pretendere che si comportino da adulti maturi in grado di esercitare una alta autonomia personale e sociale. Dobbiamo invece aver sempre presente che sono adolescenti e chiederci quale adolescenza abbiano vissuto e stiano vivendo.
Il trauma…
Lo stesso trauma può incidere diversamente sulla vita di differenti individui, potendo questi attingere a risorse personali più o meno ricche e solide (fattori di “resilienza”): chi ha già patito dei traumi o possiede fragilità della personalità, subirà danni più gravi e duraturi (Bettelheim B., 8).
La persona, di fatto, deve far fronte alle molteplici richieste: deve apprendere una nuova lingua, deve adattarsi alle regole e norme sociali spesso sconosciute (uno sforzo continuo per decodificare il nuovo sistema culturale) mentre i valori della sua cultura di origine (i propri schemi culturali, ovvero il mondo dei simboli e di esperienze), già messi in discussione dalla barbaria della tortura e degli altri trattamenti degradanti e disumani, non trovano sostegno nel paese d’accoglienza.
Traumi Multipli
Lo sforzo di adattamento, viene spesso affrontato in una posizione di debolezza legata alla perdita di “status” nella gerarchia del prestigio sociale e dalla perdita del ruolo all’interno della co- munità (Spalazzi D. e Gubinelli M., 2000). Il trovarsi in una situazione di incontro- scontro, tra modelli culturali differenti, sottopone necessariamente la persona migrante ad un ripetuto e continuo sforzo per riconfigurare e ridefinire la propria identità.
Nella letteratura scientifica viene ricnosciuto lo stress da transculturazione oppure stress da acculturazione, inteso come una particolare condizione di pressione psicologica che il migrante si trova a dover gestire o subire nello sforzo di adattamento nel paese che lo ospita.
Nel caso dei migranti forzati lo stress da transculturazione si aggiunge al precedente vissuto traumatico, contribuendo in questo modo alla formazione del trauma multiplo. Il contesto della “nuova realtà che accoglie” spesso ripete, in maniera decisamente meno crudele, la condizione di esclusione e di violenza vissuti nel proprio paese o durante la fuga: la negazione del rispetto e della dignità nei confronti di se stessi.
La risposta al trauma
La risposta al trauma psicologico comporta l’attivazione non solo dell’innato bisogno di attaccamento, ma anche del modello organizzativo interno (MOI) che lo regola.
Aspettative di risposte positive dagli altri e positivo significato attribuito alle proprie emozioni (attaccamento sicuro) da un lato riducono, già sul piano intrapsichico, gli effetti dolorosi del trauma, e dall’altro guidano efficacemente il comporta- mento, sul piano relazionale, verso interazioni interpersonali reali intrinsecamente capaci di fornire aiuto e conforto.
In questo modo il MOI dell’attaccamento sicuro dovrebbe costituire un fattore di protezione nei confronti del PTSD. Viceversa, il MOI dei diversi tipi di attaccamento insicuro e disorganizzato non proteggono dagli effetti psicologici degli eventi traumatici o addirittura li amplificano (Liotti G., a, b).