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(1)

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BARI

FACOLTA’ DI SCIENZE MATEMATICHE FISICHE E NATURALI CORSO DI LAUREA IN FISICA

___________________________________________________

TESI DI LAUREA

DINAMICA E CINETICA DI UN PLASMA RF TRA PIATTI PARALLELI IN OSSIGENO

Relatori: Laureando:

Prof. Mario Capitelli Daniele Marinazzo

Prof. Savino Longo

___________________________________________________

ANNO ACCADEMICO 2000 - 01

(2)
(3)
(4)
(5)

INDICE

INTRODUZIONE ...1

CAPITOLO 1 CARATTERISTICHE DI UN PLASMA RF...5

1.1 Il plasma RF ...5

1.2 Lunghezza di Debye e moti collettivi...6

1.3 Sheath e bulk ...9

1.4 Modello circuitale dello sheath...10

1.5 Diffusione ambipolare ...12

1.6 Riscaldamento elettronico ...14

CAPITOLO 2 CARATTERISTICHE MATEMATICHE E FISICHE DEL MODELLO...17

2.1 Modello numerico per la simulazione: PIC/MCC...17

2.1.1 PIC ...17

2.1.2 MCC ...20

2.2 Modifica del ciclo temporale...24

2.3 Accoppiamento del modello con la cinetica...26

2.4 Dinamica delle collisioni...29

CAPITOLO 3 REAZIONI ED ENERGIA...33

3.1 Specie neutre presenti nel modello...33

3.2 Sezioni d’urto e costanti di velocità ...34

3.3 Reazioni da impatto elettronico...36

3.3.1 Eccitazioni verso stati metastabili ...36

3.3.2 Diseccitazioni ...37

3.3.3. Dissociative attachments O2...40

3.3.4 Ionizzazioni ...41

3.3.5 Eccitazione dissociativa...42

3.3.6 Perdite di 4.5, 6.0, 8.4 e 9.97 eV ...44

3.3.7 Momentum transfer ...45

3.3.8 Dissociative attachment O3...46

3.3.9 Ricombinazioni...46

3.3.10 Collisioni tra specie pesanti...47

3.3.11 Scambio di carica...48

3.3.12 Momentum transfer ...49

3.3.13 Emissione secondaria ...50

3.4 Verso l’equazione del calore ...50

3.5 L’equazione del calore...53

3.5.1 Il termine sorgente ...53

3.5.2 Conduttività ...56

(6)

CAPITOLO 4

DISCRETIZZAZIONE ED IMPLEMENTAZIONE

DELL’EQUAZIONE DEL CALORE...57

4.1 Forma generale dell’equazione da discretizzare...57

4.2 Regole di base...59

4.3 Nonlinearità ...65

4.4 Condizioni al contorno ...67

4.5 Risoluzione delle equazioni algebriche ...71

4.6 Sovrarilassamento e sottorilassamento...75

4.7 Forma finale dell’ equazione discretizzata ...77

CAPITOLO 5 RISULTATI...79

5.1 Temperatura...79

5.2 Potenziale...80

5.3 Densità ...82

5.4 Energia media ...86

5.5 Densità, energia e velocità in un ciclo RF ...93

5.6 Funzione di distribuzione dell’energia degli elettroni (EEDF) ...95

5.7 Funzione di distribuzione di energia degli ioni (IEDF)...97

5.8 Potenza depositata e reazioni...106

5.9 Ionizzazione...114

CONCLUSIONI ...115

APPENDICE LIVELLI ENERGETICI DELLA MOLECOLA DI OSSIGENO...117

BIBLIOGRAFIA ...119

(7)

INTRODUZIONE

I plasmi da scarica chimicamente reattivi sono ampiamente usati per modificare le proprietà superficiali dei materiali . Processi superficiali basati sul plasma sono indispensabili nel costruire circuiti integrati su ampia scala usati dall’ industria elettronica . Tali processi sono anche di vitale importanza per l’industria aerospaziale, automobilistica, biomedica, per le acciaierie e per lo smaltimento di rifiuti tossici .

Col plasma si possono fabbricare materiali e strutture superficiali altrimenti non ottenibili e le proprietà superficiali dei materiali possono essere modificati in maniera unica. Ad esempio si possono incidere solchi larghi 0.2 µm e profondi 4 µm in pellicole o substrati di silicio per isolare un dispositivo o costruire un condensatore per l’immagazzinamento di carica in un circuito integrato (il diametro di un capello è tra i 50 e i 100 µm). Tramite il plasma sono anche stati prodotti materiali quali i film di diamante e il silicio amorfo .

Le scariche in ossigeno sono usate per depositare tramite sputtering alluminio, tungsteno o pellicole superconduttrici ad alta temperatura; per crescere film di SiO2 sul silicio; per rimuovere selettivamente film di silicio; per rimuovere pellicole fotoresistenti o pellicole di polimeri .

Per la microcostruzione di un circuito integrato, circa un terzo delle decine di migliaia di passi di fabbricazione sono basati sull’utilizzo di plasmi .

Inoltre, una caratteristica delle scariche a bassa pressione che sono trattate in questo lavoro è che il plasma, e così anche il sistema plasma-substrato , non è in equilibrio termico, come sarà mostrato in

(8)

seguito. Ciò permette temperature del substrato relativamente basse, pur mantenendo tassi adeguati di deposizione o di etching anche laddove si devono trattare materiali termolabili quali i polimeri organici. I plasmi di non equilibrio sono caratterizzati da una elevata energia elettronica e da un’alta concentrazione di particelle cariche ed eccitate.

L’ottimizzazione di tutti i processi che riguardano i plasmi di non equilibrio richiede la soluzione di due problemi intrecciati: la determinazione dei parametri interni (concentrazione di particelle cariche ed eccitate e di prodotti di reazioni chimiche, e loro distribuzioni di energia) dati i parametri esterni della scarica (composizione del gas, pressione; frequenza, potenza ed intensità della corrente si scarica, geometria del reattore), e il calcolo della cinetica delle reazioni chimiche nel volume del plasma, sugli elettrodi e sulle pareti.

Alla luce di ciò si evince l’utilità di un lavoro teorico che vada fianco a fianco con quello sperimentale. Una simulazione infatti permette il controllo rapido ed immediato, oltre che poco dispendioso, di tutti i parametri di cui si è parlato in precedenza, ed è anche un utilissimo mezzo per comprendere il comportamento delle particelle all’ interno del plasma, consentendo anche un conteggio preciso di ogni tipo di collisione.

Questo lavoro è rivolto alla simulazione di una scarica a radiofrequenza in ossigeno puro, che è stata solo raramente considerata come caso test per modelli fluidi e cinetici di plasmi di non equilibrio, lasciando relativamente aperto il campo di ricerca.

Il metodo numerico per la simulazione prende il nome di PIC/MCC (Particle In Cell with Monte Carlo Collisions). Nel modello qui in esame è stata prestata particolare attenzione alla cinetica degli

(9)

elettroni e degli ioni. All’interno di questo modello si sono studiate dettagliatamente tutte le reazioni che hanno avute per protagoniste le specie chimiche da noi simulate, con particolare attenzione all’energia assorbita o rilasciata nel plasma dopo ognuna di esse.

Parallelamente sono stati monitorati tutti i processi di semplice collisione e le conseguenti variazioni di energia cinetica. Queste energie sono state raccolte ed utilizzate come sorgente in una equazione allo stato stazionario per la diffusione del calore, dando origine ad un profilo di temperatura.

Questo tipo di studio non era finora mai stato condotto, e si vede come il profilo di temperatura modifica l’energia e la densità delle specie presenti nel nostro modello.

Nel primo capitolo della presente tesi si farà riferimento alle caratteristiche generali di un plasma di non equilibrio.

Il secondo capitolo illustra il modello utilizzato per la simulazione e descrive l’accoppiamento tra cinetica e modello PIC/MCC.

Il terzo capitolo è una esposizione delle reazioni considerate, delle rispettive sezioni d’urto e del loro apporto energetico. Inoltre saranno gettate le basi per la costruzione dell’equazione di diffusione del calore.

Il quarto capitolo descrive in dettaglio l’implementazione della equazione della diffusione del calore.

Infine il quinto capitolo è dedicato alla discussione dei risultati.

Il codice PIC/MCC usato per la simulazione fa parte dell’ultima generazione di modelli che sono stati sviluppati a partire dai primi anni Novanta presso il Dipartimento di Chimica dell’ Università di Bari e il Centro di Studi per la Chimica dei Plasmi del CNR. Si vedano in

(10)

proposito i lavori di M.Capitelli, S.Longo [1,2,3] e la tesi di Laurea in Fisica di D.Iasillo[4].

Il lavoro sulla cinetica è stato svolto in collaborazione con K.Hassouni e W.Morscheidt dell’ Università di Paris 13.

(11)

CAPITOLO 1

CARATTERISTICHE DI UN PLASMA RF

1.1 Il plasma RF

Un plasma generato tramite scarica a radiofrequenza è solo uno dei numerosissimi plasmi esistenti in natura o che possono essere prodotti in laboratorio, che spaziano su un range enorme di densità e di temperatura. Esso viene prodotto in un reattore costituito da un cilindro le cui basi sono gli elettrodi.

Questo tipo di plasma è caratterizzato da una temperatura elettronica dell’ordine di qualche eV e da una densità di particelle cariche n* tra 108 e 1013 cm-3. Per questo motivo un plasma di non equilibrio è detto anche plasma freddo o a bassa pressione e la scarica che lo produce è detta glow discharge, dal bagliore diffuso dovuto alla radiazione emessa dalle specie che si diseccitano.

Un sistema siffatto è caratterizzato dalla molteplicità di canali che variano in maniera diversa in diversi intervalli di energia e si influenzano l’un l’altro. Questi processi comportano non equilibrio, non linearità, non stazionarietà ed instabilità.

La densità di energia nel plasma è tale che in esso si verificano continuamente processi chimici ed è quindi necessario, data la dipendenza dall’energia di questi processi, tenere sempre controllo la variazione di energia e tener conto dei contributi dovuti agli stati eccitati delle particelle e dei prodotti di reazione.

Lo stato stazionario di nonequilibrio è sostenuto dal flusso attraverso il sistema dell’energia presa dal campo elettrico esterno ed

* Si fa l’ipotesi di quasineutralità per cui n rappresenta due quantità circa uguali, la densità elettronica e quella ionica

(12)

usato in primo luogo per scaldare gli elettroni. Come risultato della collisione con particelle pesanti, l’energia elettronica è usata per eccitare i vari livelli, per la dissociazione delle molecole e la ionizzazione delle molecole e degli atomi nei processi inelastici, ed è trasferita ai gradi di libertà traslazionali nelle collisioni elastiche. Il rilassamento delle energie rotazionali e vibrazionali porta al trasferimento di questa energia ai gradi di libertà traslazionali delle particelle pesanti e al riscaldamento del gas.

1.2 Lunghezza di Debye e moti collettivi

Le forze che agiscono su una particella carica possono essere divise in due tipi: quelle dovute a cariche distanti, che danno un campo lentamente variabile in prossimità della particella e contribuiscono così al moto collettivo delle particelle; e quelle dovute a particelle vicine che la fanno muovere in maniera non correlata rispetto ad esse. I moti correlati sono governati da un tempo detto periodo di plasma, tp.

+ - + - - + - + + - + - - + - + + - + - - + - +

+ + + + + + - -

- - - -

+ - + - + - - + - + - + + - + - + - - + - + - + + - + - + - - + - + - +

+ - + - - + - + + - + - - + - + + - + - - + - + + +

+ + + +

- - - - - -

Fig. 1.1 Oscillazioni di plasma

Consideriamo una «fetta» di plasma, soggetta ad un campo elettrico che separa leggermente le cariche e crea due strati sottili di polarità opposta, ognuno di spessore x come indicato in figura 1.1. Un

(13)

foglio infinito uniformemente carico con densità di carica origina un campo uniforme σ/2ε0 nelle sue vicinanze. Dato che la densità di carica superficiale in ogni strato ha modulo nex, dove e è la carica elementare, e le due distribuzioni si rinforzano a vicenda, il campo totale è nex/ε0. Ogni elettrone, di massa m, è soggetto ad una forza –ne2x/ε0 e quindi compie un moto armonico con frequenza angolare, detta frequenza di plasma,

ωP = ne2 mε0

   

  

1 2

(1.1)

corrispondente ad un periodo di plasma

tP = 2π ne2 mε0

   

  

1 2

(1.2) .

La distanza entro la quale le interazioni non correlate tra particelle sono considerate importanti è detta lunghezza di Debye, che indicheremo con D. Se consideriamo una sfera di Debye, una sfera di raggio D che circonda la particella, l’effetto della distribuzione di carica oltre una distanza D è sostanzialmente ridotto dallo schermo costituito dalle particelle circostanti.

Consideriamo infatti una carica di prova q circondata da elettroni in equilibrio termico. Risolvendo l’equazione di Poisson si può determinare il potenziale che agisce sulla particella [5] :

(14)

φ = q

4πε0rexp − r λD

   

   (1.3)

con

n e

kT

D 2

ε

0

λ =

(1.4)

è la lunghezza di Debye. E’ evidente che per r<<D il campo è dovuto alla carica di prova, ma per r dell’ordine di D o maggiori il campo è sostanzialmente ridotto (schermato) dagli elettroni.

Per distanze minori della lunghezza di Debye i campi dovuti a particelle cariche individuali sono predominanti è il plasma si comporta come un insieme di particelle non correlate. Su grandi distanze il comportamento individuale è schermato dall’azione collettiva di di molte particelle. Infatti, per tali distanze, si può avere solo un comportamento collettivo, in cui le particelle si comportano in maniera coerente, sotto forma di un’onda di plasma. La simulazione tramite particle-in-cell ha senso in quest’ultima regione.

Infatti, il comportamento delle particelle nel regime a corto raggio (individuale) è caratterizzato da effetti collisionali che si differenziano da quelli che si incontrano nei gas per l’importanza dell’interazione simultanea della particella di prova con tanti altri corpi.

Il problema è adesso quello di decidere quanto sono importanti i moti indotti dalle interazioni locali rispetto ai moti collettivi dovuti alle particelle più lontane. Un indicatore per questo problema è il rapporto tra tc e tP dove tc è il tempo medio tra due collisioni in cui una particella è deviata di un angolo maggiore di π/2 e tP è il periodo di

(15)

plasma. Si può dimostrare [6] che questo rapporto è dell’ ordine del numero di particelle nella sfera di Debye, ND.

Per questo motivo, quando ND è >>1 si può portare avanti la simulazione per un gran numero di periodi di plasma senza che siano importanti gli effetti dovuti alle collisioni. In queste condizioni il sistema può essere considerato non collisionale e il modello può essere costruito sulla base di valori medi del campo in prossimità di ogni particella.

Ovviamente il nostro è il modello di un plasma in queste condizioni, detto plasma ideale.

1.3 Sheath e bulk

I plasmi, che sono quasineutri, sono collegati alle pareti del reattore da strati sottili carichi positivamente, detti sheaths . Per capire come mai, si noti in primo luogo che la velocità termica degli elettroni (eTe/m)1/2 è almeno 100 volte maggiore della velocità termica ionica (eTi/M)1/2 in quanto m/M<<1 e Te<<Ti.

Consideriamo un plasma di larghezza l con ne=ni inizialmente confinato tra due pareti assorbenti a potenziale zero (fig.1.2). Dato che la densità di carica netta =e(ni-ne) è zero, il potenziale elettrico e il campo elettrico Ex sono nulli ovunque. Quindi gli elettroni veloci non sono confinati e si perderanno rapidamente contro le pareti. Su una scala di tempi molto piccola alcuni elettroni vengono persi in prossimità delle pareti, portando alla situazione mostrata in figura 2.1.

Si formano delle guaine (sheaths) sottili (s<<l) vicino a ciascuna parete in cui ni>>ne. La densità di carica netta positiva all’interno degli sheaths porta ad un profilo del potenziale (x) che è positivo all’interno

(16)

del plasma e diventa rapidamente zero avvicinandosi alle pareti. Questo profilo funge da «valle» di potenziale per gli elettroni e da «collina»

per gli ioni, poichè i campi elettrici all’interno degli sheaths vanno dal plasma alle pareti. Quindi la forza –eEx che agisce sugli elettroni è diretta verso l’interno del plasma; questo porta ad una riflessione all’indietro degli elettroni che si muovono verso le pareti. Al contrario, gli ioni che dal plasma entrano negli sheaths sono accelerati verso le pareti. Se il potenziale del plasma (rispetto alle pareti) è VP , ci si aspetta che VP sia pari a qualche eV per confinare la maggior parte degli elettroni. L’energia degli ioni che bombardano le pareti è quindi essa stessa pari a qualche eV.

Il potenziale uniforme nella regione centrale della scarica è detto invece potenziale di plasma, e la regione centrale è chiamata glow.

Fig. 1.2 Formazione dello sheath

1.4 Modello circuitale dello sheath

La frequenza del voltaggio applicato ha un valore intermedio tra la frequenza di oscillazione degli elettroni e quella degli ioni. Sotto

(17)

queste ipotesi si assume che lo sheath sia puramente capacitivo e la regione centrale sia equipotenziale. Ragionando in termini di circuiti elettrici, questo equivale a dire che gli sheath hanno resistenza infinita e il glow abbia resistenza trascurabile. Il plasma RF può essere rappresentato come in figura:

Fig. 2.2 Circuito equivalente del modello dello sheath capacitivo

Cs1 e Cs2 sono capacità che rappresentano gli sheath, D1 e D2 sono diodi che fanno in modo che il potenziale di plasma Vs sia sempre positivo rispetto agli elettrodi.

Nell'ipotesi in cui il comportamento dello sheath sia puramente capacitivo, il potenziale di plasma Vp(t) è espresso come:

V

p

(t) = V

p

+ ∆V

p

sen( ω t)

(1.5)

dove V p è la media temporale del potenziale di plasma e ∆Vp

l’ampiezza della modulazione dello stesso potenziale. ∆Vp è determinato dalla partizione della tensione Vrf secondo la:

∆V

p

= C

s1

C

s1

+ C

s2

V

rf (1.6)

dove Cs1 e Cs2 sono le capacità che rappresentano rispettivamente lo sheath di fronte all’elettrodo sotto tensione e quello di fronte

(18)

all’elettrodo a terra. Il potenziale di plasma istantaneo è sempre più elevato rispetto al potenziale agli elettrodi, ovvero:

Vp,max = V p + ∆Vp ≥ Vrf

Vp,min = V p − ∆Vp≥ 0 (1.7)

Una volta ogni periodo il potenziale di plasma uguaglia tanto il potenziale dell’elettrodo sotto tensione, quanto quello dell’elettrodo a terra per bilanciare la corrente netta attraverso lo sheath, ovvero le 1.7 diventano uguaglianze.

I valori delle capacità si sheath, anch’essi mediati nel tempo, sono determinati dall’area degli elettrodi ma sono anche influenzati dal modulo delle cadute di potenziale nei due sheaths.

1.5 Diffusione ambipolare

Ai campi di sheath e bulk occorre aggiungere un terzo elemento, il cosiddetto campo ambipolare, che è dovuto allo stesso tipo di considerazioni, ma in assenza di campo applicato.

Si fa nel plasma l’ipotesi di congruenza, ovvero che il flusso di elettroni e quello di ioni, dovuti tanto alla diffusione nel campo elettrico quanto a quella per gradiente di concentrazione, siano uguali ovunque. Questa ipotesi continua a valere in presenza di collisioni ionizzanti, che producono un ugual numero di entrambe le specie. Dato che gli elettroni sono più leggeri, e tenderebbero a lasciare il plasma più velocemente, deve nascere un campo elettrico che mantenga l’equilibrio locale del flusso.

(19)

Questo campo ambipolare ha l’effetto di impedire l’accelerazione nel campo di sheath agli elettroni di bassa energia.

Questi elettroni, confinati nella regione centrale del plasma, saranno soggetti alla sola azione del campo bulk.

Aumentando il potenziale applicato all’elettrodo aumenta il potenziale di accelerazione degli ioni verso le pareti. La caduta di potenziale in prossimità degli elettrodi dipende dalla superficie degli stessi: in particolare il potenziale decade in modo inversamente proporzionale alla superficie elettrodica. Anche la pressione influenza l’energia del bombardamento ionico poichè un suo aumento determina un maggior numero di urti nello sheath che rallentano gli ioni.

Inoltre, se la frequenza della scarica è minore della frequenza con cui gli ioni attraversano lo sheath, questi ultimi sono sensibili al potenziale istantaneo e il bombardamento ionico risulta estremamente energetico. Quando questa condizione non è verificata gli ioni non riescono a seguire le oscillazioni del potenziale e sono sensibili solo al potenziale medio. Quindi, operando nella regione dei MHz il moto delle particelle pesanti è controllato dal campo medio.

Considerando insieme gli effetti dovuti alla diffusione ambipolare e ai campi elettrici di bulk e di sheath si osserverà un profilo di concentrazione ionica che non cambia molto nel tempo a causa dell’elevata inerzia degli ioni rispetto a quella degli elettroni. Per gli elettroni si osserva invece una oscillazione.

(20)

1.6 Riscaldamento elettronico

Una delle questioni chiave riguardo la struttura e la dinamica delle scariche RF è il meccanismo di riscaldamento elettronico e il corrispondente meccanismo di ionizzazione o di sostentamento della scarica.

Sono stati identificati tre meccanismi [7] di riscaldamento elettronico nelle scariche glow:

1. gli elettrodi emettono elettroni secondari, e questi elettroni si riversano negli elevati campi di sheath ed entrano nel plasma con notevole energia;

2. gli elettroni nel plasma sono riscaldati dal campo elettrico oscillante di sheath;

3. i campi elettrici all’interno del plasma scaldano gli elettroni che trasportano la corrente di scarica.

Il secondo meccanismo è una prerogativa esclusiva delle scariche RF ed è stato diffusamente studiato [8,9,10,11] . Si può distinguere tra due casi limite di riscaldamento per oscillazione dello sheath:

riscaldamento stocastico in cui gli elettroni non subiscono collisioni con le particelle neutre mentre interagiscono col campo elettrico oscillante di sheath, e moto dominato dalle collisioni. Il primo è detto riscaldamento stocastico di sheath e il secondo riscaldamento ohmico di sheath.

Il riscaldamento ohmico è detto anche regime «wave-riding»[7].

Infatti in questo caso, una volta che l’elettrone è stato «intrappolato»

nel campo elettrico durante l’espansione dello sheath, «cavalca» lo sheath in espansione, e percepisce un campo elettrico proporzionale alla velocità di espansione dello sheath.

(21)

Oltre alla distinzione tra i diversi tipi di riscaldamento dovuti all’oscillazione dello sheath, va fatta anche una distinzione tra scariche sostenute dall’emissione di elettroni secondari e scariche sostenute dal riscaldamento elettronico nello sheath o nel bulk. Sono dette scariche alfa quelle in cui il meccanismo dominante di ionizzazione è il riscaldamento degli elettroni all’interno del plasma e scariche gamma quelle in cui la ionizzazione avviene prevalentemenet ad opera degli elettroni secondari.

E’ possibile passare da un regime di scarica ad un altro variando parametri quali potenza, pressione e frequenza di scarica. Si va dal regime alfa al regime gamma aumentando potenza e pressione, mentre le scariche con frequenza minore di 1 MHz sono sostenute prevalentemente dagli elettroni secondari[12].

(22)
(23)

CAPITOLO 2

CARATTERISTICHE MATEMATICHE E FISICHE DEL MODELLO

2.1 Modello numerico per la simulazione: PIC/MCC

2.1.1 PIC

La maggior parte dei plasmi di non equilibrio di interesse è caratterizzata da un gran numero di elettroni nella sfera di Debye: in queste condizioni l’interazione fra particelle cariche può essere approssimata da una interazione tra particella e campo di carica spaziale . Questo è proprio il punto di vista del metodo PIC.

(Particle In Cell). L’ approccio del PIC consiste nel risolvere l’equazione di Vlasov:

t + &v

&

r + e

&

rϕ m ⋅ &

v

   

  f &r ,&v ,t

( )

= 0 (2.1)

e l’equazione di Poisson:

2

ϕ(r) = − ρ

ε

0 (2.2)

assumendo una soluzione a N particelle:



f (r,v,t)= w δ(r &r &i)

i=1

N δ(v &v &i)

ρ(&r ,t)= −ew S(&r − &r i)+ρ' (&r )

i=1

N (2.3)

(24)

dove ri e vi sono le posizioni delle singole particelle, che soddisfano le equazioni di Newton, δ è la funzione di Dirac, S è il fattore di forma delle particelle (una δ con larghezza finita) e ρ’ è la distribuzione di carica dovuto alle altre particelle.

Le equazione vengono risolte per un gran numero di elettroni (104-106 ) tenendo conto del campo elettrico locale risultante dall’interpolazione locale della carica spaziale all’interno di una cella di un reticolo matematico. E’ praticamente impossibile effettuare la simulazione con il numero reale di particelle, per cui le particelle simulate sono in realtà ‘superparticelle’ con un peso matematico w (pari al rapporto tra particelle simulate e particelle reali), con carica e massa uguali rispettivamente a –ew ed mw. In questo modo il rapporto q/m rimane invariato e le superparticelle si muovono come elettroni sotto l’influenza del campo elettrico e del campo magnetico. Dopo un passo di calcolo delle equazioni del moto, viene determinata la carica elettrica in ogni cella del reticolo dal numero di elettroni presenti in essa, opportunamente pesati. Dalla densità di carica elettrica, risolvendo l’equazione di Poisson all’interno del reticolo stesso, si ricavano il potenziale e il campo elettrico.

L’assegnazione della carica a ciascun punto, che determina la forma di S ) consiste in una interpolazione tra i punti della griglia più vicini alla particella. Nel caso monodimensionale esistono due ordini di assegnazione. Nell’assegnazione di ordine zero, o NGP (nearest grid point) si conta il numero di particelle in ciascuna cella e si assegna questo numero al punto di griglia rappresentativo della cella.

Una assegnazione che, sebbene più complessa della NGP, è molto meno rumorosa, è l’assegnazione di prim’ordine, o CIC (cloud in cell). In questo caso si assegna la carica della particella ai due punti più vicini alla cella in frazioni dipendenti dalla posizione della particella

(25)

stessa; ovvero, con i indice del punto di griglia e q carica della particella:

( )

x x i q x q

x x x q i

q

x i

x x i

i i

= −

= +

∆ +

+1

) 1 (

1

(2.4)

Le stesse formule devono essere usate per interpolare il campo elettrico che agisce su ciascuna particella per soddisfare la conservazione del momento per valori molto piccoli del passo temporale.

Le equazioni di Newton nel PIC vengono risolte utilizzando un semplice schema per posizione e velocità, il cosiddetto metodo Leapfrog[1,13]:

t v r r

t r m E v q v

∆ +

=

∆ +

=

' '

) ( '

&

&

&

&

&

&

&

(2.5)

La differenza rispetto al metodo esplicito di Eulero è semplicemente la sostituzione di v’ con v nella seconda equazione.

Bisogna comunque notare che r è calcolato al tempo t e v è calcolato al tempo t+∆t.

Una dettagliata descrizione del PIC si trova in Birdsall and Langdon (1985,1991) [13,14], Vahedi,[23]Cohen[16]Longo et al.[2].

(26)

2.1.2 MCC

Sulla base di quanto detto finora riguardo al PIC è evidente come esso sia in grado di riprodurre solo le interazioni tra le particelle cariche. Ma una descrizione accurata di un plasma collisionale, quale è quello RF, non può trascurare gli urti tra particelle cariche e specie neutre. A tal fine il Particle in Cell è stato accoppiato con il metodo Monte Carlo secondo lo schema a blocchi in figura 2.1.

Ad ogni passo di calcolo il programma risolve le equazioni del campo e muove tutte le particelle.

Il Monte Carlo viene inserito nel ciclo calcolando la probabilità che una particella subisca una collisione; in caso affermativo la particella dopo la collisione rientrerà nel ciclo principale con una nuova velocità.

Integration of equations of motion, moving particles

Fi vi’ xi

Monte Carlo Collisions vi vi

Weighting

(x,v)i ρj

Integration of field equations of grid

Ej

Weighting Fi

Ej

∆∆∆∆t

ρj

Figura 2.1 Schema a blocchi dell’accoppiamento PIC/MCC

Inserendo le collisioni il numero totale di particelle varia.

Poichè l’errore relativo su quantità macroscopiche, dovuto a fluttuazioni statistiche, diminuisce con il numero di particelle*, è

* L’errore decresce comunque piuttosto lentamente col numero n di particelle (tipicamente come n-1/2)

(27)

necessario mantenere elevato quest’ultimo nella simulazione. Tuttavia, il tempo di calcolo pone un limite al numero di particelle simulate. Nel codice è quindi inserito un controllo che elimina metà particelle a caso e moltiplica per due il peso statistico qualora le particelle diventino più del doppio di quelle iniziali, mentre le raddoppia dimezzando il peso quando sono ridotte a meno della metà rispetto a quante erano all’inizio.

Il metodo Monte Carlo è basato sul calcolo dei tempi di volo per la particella testata tra due successive collisioni con le altre particelle. Questi tempi sono calcolati generando numeri casuali presi da una distribuzione appropriata modellata secondo la fisica che regola i processi. Si suppone che i processi siano binari ed istantanei.

I numeri casuali possono essere calcolati utilizzando il seguente teorema della teoria delle probabilità: dato un insieme di numeri casuali ri distribuiti uniformemente tra zero ed uno, un insieme di numeri casuali yi distribuiti secondo la funzione f(y) nell’ intervallo (a,b) è dato da:

f (x)dx

a yi

= r

i

ab

f (x)dx

(2.6) Dopo aver calcolato l’integrale, l’equazione 2.3 diventa una

equazione in yi.

Dato che l’insieme di numeri ri può essere fornito per mezzo di una routine generatrice di numeri casuali dal calcolatore, si può simulare ogni processo fisico casuale caratterizzato da distribuzioni note di probabilità.

Il tempo che trascorrerà fino alla successiva collisione va calcolato conoscendo la frequenza di collisione in funzione della velocità elettronica.Il modo migliore per risolvere questo problema è di

(28)

introdurre una specie nulla in modo che in una collisione tra elettrone e specie nulla (collisione nulla) la velocità elettronica rimane invariata[17].

Figura 2.2 Probabilità di collisione e collisione nulla

La sezione d’urto per la collisione nulla è scelta al fine di ottenere una frequenza totale di collisione νtot costante, data da :

νtot = max

x ∈V, 0≤ε≤ εlim

me

   

  

1

2 Np(x)σp)

p

 

 

(2.7)

dove la somma è fatta su ogni processo di collisione p, σp(ε) è la sezione d’urto, Np è la densità del partner collisionale, V è l’estensione spaziale del sistema e εlim è il limite della scala di energia cinetica usata per calcolare le sezioni d’urto. Si è usata la seguente approssimazione:

dato che gli elettroni si muovono molto più velocemente delle

(29)

molecole, possiamo semplificare il calcolo delle frequenze di collisione assumendo che le particelle obiettivo siano ferme.

Con una frequenza di collisione costante, i tempi di collisione sono distribuiti secondo [18].

) exp(

)

(t t

ftot −νtot (2.8)

Il tempo prima della successiva collisione è ottenuto usando l’equazione 2.3 nella forma

ν

ln

η

1

tot

tc = − (2.9)

dove η è un elemento di un insieme di numeri casuali uniformemente distribuiti tra zero e uno. Il tipo di collisione (incluso quello nullo) che si verifica dopo il tempo di volo libero viene scelto in base alle corrispondenti frequenze di collisione : sia



νk(ε ) = 2ε me

   

  

1

2σk(ε )nk(&r ) (2.10)

il contributo dell’elettrone k-esimo alla frequenza totale di collisione. Dopo aver generato il numero casuale r, il processo di collisione scelto sarà l’n-esimo con n tale che

νk

νtot k =1

n−1 < r < νk

νtot k =1

n (2.11)

(30)

Figura 2.3 Selezione del processo collisionale

2.2 Modifica del ciclo temporale

Consideriamo le modifiche al normale ciclo tempo temporale che sono richieste al fine di incorporare in Monte Carlo nel PIC.

Questa modifica è fondamentale per poter permettere che le collisioni avvengano anche più volte all’ interno del passo di calcolo PIC [19].Quest’ultimo è il tempo che trascorre tra due successivi aggiornamenti del campo.

(31)

Figura 2.4 Modifica del ciclo temporale

Dopo aver calcolato per la prima volta il tempo di volo libero, le particelle vengono fatte muovere utilizzando il metodo Leapfrog in cui, però, il passo di calcolo ∆t è sostituito dal tempo di volo libero tc. A questo punto, se tc è minore del passo di calcolo ∆t la particella subisce una collisione e tc viene sottratto a ∆t. Si determina il tipo di collisione e si calcola un nuovo tempo di volo libero che viene confrontato con la parte restante del passo di calcolo.

Se, ancora una volta, tc risulterà più piccolo, la particella subirà una nuova collisione e si ripeterà la procedura già vista. Diversamente, le particelle vengono fatte muovere per la parte restante del passo di calcolo ∆t e l’eccesso di tc viene immagazzinato come tempo di volo libero iniziale nel successivo passo di calcolo.

(32)

2.3 Accoppiamento del modello con la cinetica

A questo punto è utile una precisazione: durante i processi collisionali, le ∼100000 particelle della simulazione sono considerate come un campione preso dalla reale distribuzione di tutte le particelle nel plasma, mentre durante il calcolo del campo le particelle assumono lo status di superparticelle, in modo da apportare il giusto contributo di carica.

Un’altra importante caratteristica delle particelle neutre (e del gas in generale) nel modello PIC/MCC è che si assume che esse siano distribuite uniformemente nello spazio, e quindi non sono seguite come particelle. Vedremo invece adesso come, tramite la cinetica reattiva e diffusiva, le neutre saranno considerate come particelle e la loro cinetica sarà accoppiata alla dinamica delle particelle cariche.

Questo accoppiamento è insito nella concezione di plasma:

l’equazione 2.4 mostra che la frequenza di collisione dipende dalla composizione chimica del gas, ovvero la cinetica chimica influenza la dinamica. Allo stesso tempo nel prossimo capitolo si vedrà come la velocità di reazione dipenda fortemente dalla funzione di distribuzione dell’energia elettronica*.

L’accoppiamento che si deve realizzare deve essere autoconsistente, ovvero la dinamica e la cinetica chimica devono essere risolte tenendo conto della loro reciproca connessione.

Il diagramma in figura 2.5 illustra la linea guida dell’intero modello

Durante i calcoli, le densità delle differenti specie devono essere aggiornate risolvendo le equazioni appropriate. In particolare, le

* La forma non Maxwelliana della eedf infatti non permette che il coefficiente di velocità di una reazione venga espresso in termini di parametri macroscopici quali ad esempio la temperatura elettronica.

(33)

densità delle particelle cariche sono ottenute direttamente dalla simulazione PIC/MCC mentre quelle dei neutri vengono aggiornate risolvendo le equazioni reattive e diffusive tenendo conto del fatto che i parametri che rientrano in queste equazioni non sono costanti ma dipendono dalla funzione distribuzione locale dell’energia degli elettroni, che pertanto deve essere calcolata per prima.

Figura 2.5 Schema a blocchi del modello

Durante la simulazione PIC/MCC, la eedf viene campionata su di una griglia spaziale impiegata anche per la cinetica diversa da quella utilizzata nella risoluzione della equazione di Poisson. Le due griglie hanno una densità di punti diversa: la griglia per la cinetica ha 50 punti mentre quella per l’equazione di Poisson ne ha 400. Questo permette di ridurre le fluttuazioni statistiche nel calcolo dei coefficienti di velocità delle reazioni chimiche considerate.

Composizione del gas Densità

particelle cariche CONDIZIONI

AL CONTORNO

DINAMICA DELLE PARTICELLE

CARICHE EQUAZIONE DI

POISSON

Carica spaziale Campo

elettrico

EQUAZIONI DI REAZIONE E DIFFUSIONE

eedf

(34)

Come vedremo in seguito, anche la temperatura viene calcolata sulla griglia per la cinetica, come è da attendersi essendo in questo lavoro interessati alla temperatura del gas.

Il metodo utilizzato consiste nel risolvere la cinetica, fino al raggiungimento dello stato stazionario, a tempi diversi tk durante la simulazione PIC/MCC. Questa tecnica adiabatica sebbene opposta alla più naturale (essendo i tempi caratteristici di plasma molto più piccoli rispetto a quelli della cinetica) si rivela molto efficace poichè i tempi di calcolo necessari per la risoluzione delle equazioni della cinetica e della diffusione sono trascurabili in confronto a quelli richiesti per la descrizione delle particelle cariche nel plasma.

Ad ogni tk i valori dei coefficienti di velocità e le densità elettroniche sono quelle che si ottengono dalla simulazione PIC/MCC, mediati nel periodo tk-tk-1.

L’utilizzo di questo metodo di accoppiamento rende quindi impossibile una descrizione temporale sensata prima che venga raggiunta la stabilità.

(35)

2.4 Dinamica delle collisioni

Per quanto riguarda il trattamento delle collisioni binarie, se consideriamo due particelle che collidono, con masse m1 ed m2 e velocità v1 e v2 , il trattamento è semplificato scomponendo le velocità in velocità del centro di massa vc e velocità relativa vr, cioè

r c

r c

m v m v m v

m v m v m v

&

&

&

&

&

&

2 1

1 2

2 1

1 1

− +

= + +

=

(2.12)

Il processo di collisione può soltanto cambiare la velocità reòativa, secondo il guadagno di energia interna ∆ε e gli angoli di scattering θ e ϕ. In questo modo può essere introdotto ogni processo collisionale che lascia invariato il numero totale di particelle: la generalizzazione ad altri processi quali la ionizzazione o l’attachment elettronico non presenta particolari difficoltà.

Per affrontare il problema del trasferimento di energia definiamo due sezioni d’urto: la sezione d’urto totale elastica

σte = 2π σ ϑ ,ε

0π

( )

sinϑdϑ (2.13)

e la sezione d’urto di momentum transfer

σm = 2π σ ϑ,ε

0π

( ) (

1− cosθ

)

sinϑdϑ (2.14)

(36)

dove (1 - cosθ) è la frazione di momento iniziale mv persa dalla particella incidente e σ(θ,ε) è la sezione d’urto differenziale.

Nella collisione elastica di un proiettile di massa m1 e velocità v1 con un bersaglio stazionario di massa m2 , la conservazione del momento lungo la direzione di v1 e perpendicolarmente ad essa e la conservazione dell’energia possono essere scritte nel sistema laboratorio come

2 2 2 2

1 1 2

1 1

2 2

2 1 1

1

2 2

2 1 1

1 1 1

2 ' ' 1 2

1 2

1

sin ' sin

' 0

cos ' cos

'

v m v

m v

m

v m v

m

v m v

m v m

+

=

=

+

=

θ θ

θ ϑ

(2.15)

dove gli apici denotano i valori dopo la collisione. Risolvendo il sistema eliminando v1’ e θ1 si ottiene

2 2 2 2 1

2 2 1

1 1 2

2

2 cos

) (

4 2

' 1 2

1 θ

m m

m v m

m v

m = + (2.16)

Guardando l’equazione 2.13 si vede che la frazione di energia persa dal proiettile nel sistema laboratorio è

L =

ζ 2

2 2 2 1

2

1 cos

) (

4 θ

m m

m m

+ (2.17)

Trasformando l’angolo per portarci nel sistema del CM si ottiene )

cos 1 ) ( (

4

2 2 1

2

1 − Θ

= +

m m

m m

ζL (2.18)

(37)

A questo punto si media sulla sezione d’urto differenziale per ottenere la perdita media:

te m

L m m

m m

σ

ζ 2 σ

2 1

2 1

) (

2

= +

Θ (2.19)

Gli elettroni quindi trasferiscono poca energia nelle collisioni elastiche con particelle pesanti, facendo in modo che Te>>Ti in una tipica scarica. Invece, per m1≈m2 si ottiene ζL Θ = 1

2 , che comporta un forte scambio di energia tra particelle pesanti e quindi una temperatura comune.

(38)
(39)

CAPITOLO 3

REAZIONI ED ENERGIA

3.1 Specie neutre presenti nel modello

Le specie neutre presenti nel nostro modello sono sette:

O2(X3ΣΣΣΣ-g) stato fondamentale

O2(a1∆∆∆∆g) primo stato metastabile[O2*] O2(b1ΣΣΣΣ+g) secondo stato metastabile[O2**] O3

O(3P) stato fondamentale

O(1D) primo stato metastabile[O*] O(1S) secondo stato metastabile[O**]

All’ inizio della simulazione queste sette specie sono state immesse con le seguenti densità e relative pressioni parziali* :

specie densità(m-3) pressione parziale

O2 3.42×1021 1.062×10-1

O2* 1.66×1020 5.135×10-3

O2** 1.34×1019 4.160×10-4

O3 9.50×1017 2.950×10-5

O 2.44×1019 7.580×10-4

O* 5.12×1017 1.590×10-5

O** 3.53×1015 1.100×10-7

Inoltre il numero iniziale di elettroni è stato posto uguale a 5x1015

Una volta partita la simulazione, gli elettroni vengono accelerati dalla tensione alternata applicata e, collidendo con le specie pesanti,

* Si è usata per le pressioni parziali la formula p=ρRT, con R costante dei gas e T temperatura del gas

(40)

vanno a eccitarle o diseccitarle ma anche a ionizzarle, producendo altri protagonisti della simulazione: gli ioni O2+,O-,O2-,O+.

A loro volta le componenti pesanti, ionizzate o meno, interagiranno tra di loro in reazioni di ricombinazione, attachment e detachment che vedremo in dettaglio in seguito.

3.2 Sezioni d’urto e costanti di velocità

Tutte le reazioni che vedono un elettrone collidere con l’ossigeno neutro atomico o molecolare sono caratterizzate da una sezione d’urto dipendente dall’energia.

In questo modo si ha una descrizione a livello microscopico del sistema, per cui una reazione ha una maggiore o minore proabilità di verificarsi (corrispondente ad un intervallo più o meno ampio entro cui deve cadere il numero casuale generato) a seconda dell’ energia dell’

elettrone incidente*.

Le reazioni tra gli ioni e le reazioni da impatto elettronico con gli ioni e con l’ozono sono invece descritte dalla costante di rate K, definita in modo che il rate della reazione (il numero di reazioni elementari del tipo e-+A→prodotti che avvengono per unità di tempo e di volume) sia dato da:

A e

n Kn

v =

(3.1)

dove nA è la densità molare di A e ne è la densità numerica degli elettroni.

* vedremo che questa energia è presa da un profilo non maxwelliano della eedf (electron energy distribution function)

(41)

La costante di rate ha pertanto le dimensioni di cm3 mol-1 sec-1 e ha il significato fisico di una integrazione sulla distribuzione di energia elettronica e sulla sezione d’urto del processo:

K = 2 m

e

 

 

1 2

εf (ε)σ(ε )dε

εth

(3.2)

dove f è la eedf, me è la massa dell’elettrone e σ è la sezione d’urto del processo elementare.

Il secondo membro dell’ equazione 3.2 dipende dalla eedf e a causa della forma decisamente non Maxwelliana di quest’ultima nei plasmi freddi non può essere scritta come una funzione dei parametri macroscopici quali la temperatura elettronica.[20]. I dati da noi utilizzati provengono infatti da dati sperimentali.

Da quanto specificato nel secondo capitolo, le reazioni per cui non è disponibile il set di sezioni d’urto non possono essere trattate con il metodo delle collisioni nulle.

Si procede allora calcolando la probabilità che il protagonista della reazione scompaia nel passo di calcolo ∆t attraverso la seguente relazione [14]:

(

t

)

P =1exp

ν

coll∆ (3.3)

dove νcoll è la frequenza di collisione. Per ogni particella νcoll sarà la somma della frequenza di collisione per tutti i processi di cui essa è protagonista. I processi che noi consideriamo sono tutti processi del secondo ordine, per cui la definizione di frequenza è:

(42)

ν

coll

= ∑

i

K

i

[ ] S

(3.4)

dove la somma è estesa a tutti i processi di cui la particella è protagonista, con Ki costante di velocità del processo i-esimo e

[ ]

S

densità numerica della specie compagno.

Si estrae quindi un numero casuale compreso tra zero ed uno e lo si confronta con P. Se è minore, si verifica un processo di perdita della particella protagonista.

3.3 Reazioni da impatto elettronico

Sono riportate qui di seguito le reazioni presenti nella simulazione, insieme alle rispettive sezioni d’urto o costanti di rate e alla fonte sperimentale. Inoltre in corrispondenza di ogni reazione si trova il guadagno o la perdita di energia nel plasma che essa comporta.

3.3.1 Eccitazioni verso stati metastabili

• e- + O2*→ O2** + e- [21] perdita di 0.64 eV

• e- + O2→ O2* + e- [21] perdita di 0.98 eV

• e- + O2→ O2** + e- [21] perdita di 1.627 eV

• e- + O → O*+ e- [22] perdita di 1.97 eV

• e- + O → O** + e- [22] perdita di 4.18 eV

Le eccitazioni generano diversi stati metastabili dell’ossigeno molecolare (a1g, b1Σg, c1Σ-u, A3Σ+u) e atomico e sono importanti meccanismi di perdita di energia elettronica, oltre a permettere la ionizzazione dagli stati metastabili.

(43)

3.3.2 Diseccitazioni

• e- + O2*→ O2 + e- [21] guadagno di 0.98 eV

• e- + O2**→ O2* + e- [21] guadagno di 0.64 eV

• e- + O2**→ O2 + e- [21] guadagno di 1.627 eV

• e- + O*→ O+ e- [22] guadagno di 1.97 eV

• e- + O**→ O + e- [22] guadagno di 4.18 eV

Le diseccitazioni sono delle collisioni superelastiche, in cui un elettrone urta una specie pesante che si trova in uno stato eccitato e guadagna l’energia di soglia del processo, mentre la specie pesante si diseccita.

Le sezioni d’urto per questi processi vengono calcolate a partire da quelle dei corrispondenti processi anelastici attraverso la seguente relazione:

( )

ε

(

ε ε

) (

σ ε ε

)

εσ = g +∆ an +∆

g sup * (3.5)

dove g e g* sono, rispettivamente, le degenerazioni dello stato fondamentale ed eccitato della specie pesante e ∆ε è l’energia di soglia del processo.

(44)

Figura 3.1 Diseccitazione(1) ed Eccitazione(2) tra lo stato fondamentale ed il primo metastabile dell’O2

Figura 3.2 Diseccitazione(1) ed Eccitazione(2) tra lo stato fondamentale ed il secondo metastabile dell’O2

10-3 10-2 10-1

100 101

σ(cm-16)

Energia(eV) 1

2 1 e- + O

2

*(Σ) -> O

2

+ e-

2 O

2 + e- -> e- + O

2

*(Σ) 10-3

10-2 10-1 100

6 10-18 10-1100 3 100 5 100 7 100 σ(cm-16)

Energia(eV) 1 e- + O

2

*(∆ ) -> O2 + e-

2 O

2

+ e- -> e- + O

2

*(∆ )

1

2

(45)

Figura 3.3 Diseccitazione(1) ed Eccitazione(2) tra i primi due stati metastabili dell’O2

Figura 3.4 Diseccitazione(1) ed Eccitazione(2) tra lo stato fondamentale ed il primo metastabile dell’ossigeno atomico

10-3 10-2 10-1 100

10-3 10-2 10-1 100 101

σ(cm-16)

Energia(eV)

1 2

1 O

2

*(Σ)+e- ->e- + O

2

*(∆)

2 e- + O

2

*(∆) -> O

2

*(Σ)+e-

10-2 10-1 100 101

10-3 10-2 10-1 100 101

σ(cm-16)

Energia(eV) 1

2 1 e-+ O*(1D) -> O(3P) + e-

2 O(3P) + e- -> e-+ O*(1D)

(46)

Figura 3.5 Diseccitazione(1) ed Eccitazione(2) tra lo stato fondamentale ed il secondo stato metastabile dell’ossigeno atomico

3.3.3. Dissociative attachments O2

• e- + O2→ O + O- [21] perdita di 4.2 eV

• e- + O2*→ O + O- [21] perdita di 3.22 eV

• e- + O2**→ O + O- [21] perdita di 2.573 eV

Viene riportata la sezione d’urto solo per il primo dei tre processi. Le sezioni d’urto per gli altri due si ottengono traslando le curve verso valori decrescenti dell’energia di 0.98 e 1.627 eV, pari alle distanze in eV tra il ground state e i primi due livelli eccitati, rendendo ovviamente più agevole il processo.

10-2 10-1 100 101

10-3 10-2 10-1 100 101

σ(cm-16)

Energia(eV) 1

2 1 e-+ O*(1D) -> O(3P) + e-

2 O(3P) + e- -> e-+ O*(1D)

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