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Sul fronte si svolge la rappresentazione dell’episodio mitico: in alto a sinistra, la dea Diana,

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OA011 09 - Altavilla

Il sarcofago, in marmo proconnesio e opera di una bottega locale, raffigura il mito di Meleagro che caccia il cinghiale calidonio e presenta un coperchio a tetto con quattro elementi angolari, vale a dire acroteri, costituiti da mascheroni teatrali. Tuttavia, le sue minori dimensioni rispetto alla cassa rivelano che non si tratta della copertura originaria, tanto che fu necessario aggiungere un elemento laterale, ora presso il Museo Diocesano.

Sul fronte si svolge la rappresentazione dell’episodio mitico: in alto a sinistra, la dea Diana,

identificabile dalla faretra sulle spalle e dal cerbiatto ai suoi piedi, è posta davanti alla sua edicola e affiancata da Oineus, il padre di Meleagro e re di Calidone. Subito a destra sono presenti Meleagro, il giovane guerriero che veste il mantello e impugna la lancia, oggi perduta, e Atalanta, con una lunga tunica e i capelli acconciati, che si rivolge a lui tenendo una mano sulla spalla. Oltre un pilastrino, si svolge la scena della caccia, in cui si incontrano prima i Dioscuri, Castore e Polluce, con due cavalli e una schiera di cani, quindi Meleagro con il braccio destro sollevato per sferrare il colpo al cinghiale, accompagnato da Atalanta, che ha appena scagliato un dardo dal suo arco.

Ancora più a destra è ben riconoscibile il cinghiale, attorniato da altri guerrieri che completano la scena di caccia.

Sui lati della cassa sono raffigurati due figure maschili con sacche sulle spalle, il primo

accompagnato da un cane e rivolto verso il fronte figurato, il secondo munito di bastone. Sebbene la lavorazione risulti sommaria, la loro realizzazione si deve ritenere coeva al fronte, destinato alla visione privilegiata.

Il sarcofago è confrontabile con un esemplare analogo presso la Badia di Cava dei Tirreni, collocato nell’antica sala capitolare presso il chiostro, e la sua cronologia va collocata alla seconda metà del III secolo d.C.

Il sarcofago venne reimpiegato per Guglielmo d’Altavilla, il duca normanno morto nel 1127 e figlio di Ruggero Borsa, come hanno confermato i resti umani e il corredo funebre che includeva

frammenti serici. Si può ritenere che, per esemplarità e prestigio, la tomba sia stata presa a modello

per i successivi reimpieghi funerari da parte delle nobili famiglie salernitane.

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