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4 CAPITOLO IV – ELELEMENTI DI PROGETTAZIONE PER UN IMPIANTO AD OSMOSI INVERSA

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4 CAPITOLO IV – ELELEMENTI DI PROGETTAZIONE PER UN IMPIANTO AD OSMOSI INVERSA

4.1 Parametri di progetto

I principali parametri che consentono di valutare il rendimento di un processo ad osmosi inversa sono il flusso di permeato e la reiezione dei sali attraverso la membrana.

Flusso di permeato, rappresenta la portata di acqua dolce in uscita dal trattamento ed è valutabile sulla base della seguente formula:

(

P

)

A

k

Qperm = ⋅ ∆ −∆Π ⋅

k coefficiente di permeabilità della membrana

P differenza di pressione idraulica attraverso la membrana Pinpressione dell’acqua mare in ingresso

Poutpressione del concentrato in uscita

Pperpressione del permeato in uscita (Pper ≈0)

2 .

) (

perm out

in P P

P P

=

∆Π differenza di pressione osmotica A area utile di deflusso

∆Π

∆P net driving pressure valore di pressione necessario per far passare attraverso la membrana la portata di permeato richiesta

Reiezione, indica il quantitativo di sali trattenuto dalla membrana.

Il flusso di sali attraverso la membrana viene espresso come τ

k A C Qsali =∆ ⋅ s

C differenza di concentrazione

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Il flusso di permeato come la reiezione risultano fortemente influenzati dai seguenti fattori:

• Pressione, al crescere della pressione del flusso in ingresso, si riduce il valore del TDS (Total Dissolved Solid) presente nel acqua trattata e aumenta il flusso di permeato;

• Temperatura, a parità di altre condizioni, al crescere della temperatura aumenta il flusso di permeato e il passaggio di sali;

• Rapporto di recupero, rappresenta la percentuale di permeato ottenuta a partire dall’acqua di mare, in sede di progetto deve essere fissato tenendo conto del pericolo di precipitazione dei sali o di intasamento delle membrane.

acquamare permeato

R= ×100

L’SDI (silt density index) fornisce un’indicazione sul valore della concentrazione di sostanze colloidali presenti nel liquido da trattare, tanto più l’acqua è ricca di colloidi tanto meno è consigliabile alzare il rapporto di recupero; in alternativa possono essere raggiunti elevati rapporti di recupero disponendo più elementi in serie.

• concentrazione salina dell’acqua in ingresso, al crescere della concentrazione di sali in ingresso, a parità di altri fattori, si riduce la portata di permeato ottenibile e aumenta il passaggio di sali.

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4.2 Le membrane 4.2.1 I materiali

I materiali principalmente impiegati per la produzione di queste tipologie di membrane sono acetati di cellulosa e composti a base di polimeri sintetici. Questi ultimi mostrano caratteristiche decisamente migliori rispetto agli acetati, ma risultano particolarmente sensibili alla presenza di cloro libero. Talvolta vengono impiegati materiali ceramici o metallici ma, presentano costi decisamente più elevati, trovano scarso impiego nel trattamento di acque potabili.

La resistenza del materiale alle sollecitazioni meccaniche e agli agenti ossidanti influenzano in maniera significativa il progetto e la funzionalità del processo di filtrazione.

Le membrane composte di cellulosa possono operare in un campo di pH abbastanza ristretto (pH=4÷8); risultando suscettibili a fenomeni di biodegradazione devono possedere una resistenza minima alla presenza di sostanze ossidanti (ad esempio concentrazioni di cloro intorno a 0,5 mg/l), affinché possa essere tenuta sotto controllo la proliferazione batterica sulla superficie.

Le membrane polimeriche al contrario possono essere utilizzate in un vasto range di pH, sono anch’esse soggette a fenomeni biodegradatativi ma hanno una tolleranza estremamente limitata agli agenti ossidanti.

Queste membrane riescono ad operare ad una pressione di esercizio sensibilmente ridotta rispetto alle altre e per questo motivo risultano oggi quelle più largamente utilizzate nei processi ad osmosi inversa.

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4.2.2 Le configurazioni geometriche

Una caratteristica che influenza il comportamento delle membrane è la geometria della sezione, che può essere caratterizzata sulla base della sua uniformità.

Ci sono tre tipologie fondamentali di strutture impiegate nella produzione delle membrane: simmetrica, asimmetrica e composita.

Figura 4-1 Struttura delle membrane

Le membrane a sezione simmetrica risultano costituite da un unico materiale omogeneo avente una densità o una struttura dei pori uniforme.

Una sezione asimmetrica invece può essere sia omogenea che eterogenea con strati che presentano variazioni nella densità del materiale. Talvolta le caratteristiche lungo la sezione subiscono una variazione graduale, ad esempio la dimensione dei pori può progressivamente ridursi passando dal lato a contatto con il liquido da trattare a quello del filtrato, in altri casi invece può esserci una variazione netta tra il denso strato filtrante che realizza il trattamento primario e la struttura di supporto con spessori e porosità maggiori.

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Le membrane composite presentano infine una sezione eterogenea, come in quelle asimmetriche è presente uno strato denso e sottile destinato alla filtrazione e altri che invece costituiscono la struttura di sostegno, ma variano i materiali di cui risultano composti.

Le membrane che generalmente trovano impiego nei trattamenti di osmosi inversa sono asimmetriche o composite.

Le membrane vengono solitamente prodotte in fogli o fibre cave che poi devono essere strutturati in moduli idonei al processo. Se è richiesto un funzionamento prolungato nel tempo spesso sono utilizzati elementi di contenimento, pressure vessel; per le membrane a fibre cave il vessel incorpora integralmente il modulo mentre in presenza di spirali avvolte ha una struttura indipendente dai moduli che alloggia.

Molte sono le geometrie sperimentate, nel tentativo di aumentare la superficie specifica di trattamento che costituisce uno dei parametri principali che influenza il rendimento delle membrane.

Le principali tipologie utilizzate nell’ osmosi inversa sono: tubolari (tubolar), plate and frame, a spirale (spiral wound) e a fibre cave (hollow fiber).

Le plate and frame e tubolari venivano utilizzate nei primi anni di applicazione dei trattamenti ad osmosi inversa, presentano costi elevati e una basso valore della densità della superficie filtrante. Hanno il grande vantaggio di poter operare con un elevata presenza di solidi sospesi, per questo motivo oggi trovano largo impiego nell’industria alimentare ma vengono utilizzate solo raramente nella dissalazione e depurazione.

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Le membrane a fibre cave sono composte da un fascio di tubicini che forniscono un’elevatissima superficie specifica di trattamento in uno spazio estremamente ridotto.

La gran parte delle membrane a fibre cave utilizzata nel trattamento delle acque potabili, viene impiegata nei processi di micro- filtazione e ultra-filtrazione.

Il singolo modulo è composto da membrane sotto forma di lunghi tubicini affiancati, nella configurazione più diffusa le fibre vengono accostate longitudinalmente, con entrambe le estremità alloggiate in una resina e collocate all’interno di un vessel.

Talvolta invece le fibre vengono affiancate verticalmente ed immerse direttamente in una vasca.

Le dimensioni specifiche delle fibre variano molto in funzione della casa produttrice ma risultano generalmente pari a:

diametro esterno 0,5÷2 mm

diametro interno 0,3÷1 mm

spessore della parete 0,1÷0,6 mm

lunghezza delle fibre 1÷2 m

Se il trattamento viene realizzato con un processo outside-in, il liquido da trattare entra al centro del modulo, viene filtrato attraverso la sezione tubolare delle fibre e poi raccolto prima di essere allontanato da una delle estremità.

In un processo inside-out invece, con un funzionamento analogo a quello dei pozzi, il liquido in pressione entra nella cavità delle fibre e filtra attraversando radialmente le pareti, il liquido trattato viene poi allontanato da un’estremità del modulo.

Figura 4-2 Ingrandimento di un elemento di una memebrana a fibre cave

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Figura 4-3 Schemi di funzionamento di un modulo a fibre cave

Il principale difetto di questa tipologia è che le membrane risultano facilmente intasabili e necessitano dunque di trattamenti preliminari molto spinti. A questo si aggiunge che, nel caso in cui le membrane siano intasate, le metodologie di pulizia sono molto complesse.

I moduli a spirale avvolta (spiral-wound) risultano particolarmente adatti ad essere impiegati per la rimozione dei

solidi disciolti nei processi di nanofiltrazione ed osmosi inversa.

L’unità fondamentale è costituta da un sandwich di strati di membrana sotto forma di fogli avvolti intorno ad un tubo

forato, ciascuno si compone di due superfici di membrana affiancate sul lato posteriore e separate da uno spessore destinato all’allontanamento del permeato. Gli strati risultano sigillati su tre lati mentre il quarto è collegato al tubo.

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Figura 4-4 Struttura delle membrane a spirale avvolta

Una spirale da 8 pollici di diametro può contenere più di 20 fogli e lo strato di separazione presente tra l’uno e l’altro è la superficie di drenaggio che convoglia il permeato verso il tubo forato, dal quale poi uscirà all’estremità opposta rispetto a quella in cui è entrato il liquido da trattare.

Per le acque superficiali vengono sempre preferite le membrane a spirale avvolta, dal momento che quelle a fibre cave presentano un elevato rischio di intasamento e richiedono costosi processi preliminari.

Un grande vantaggio della geometria a spirale è rappresentato dal fatto che le membrane possono essere introdotte in gruppi composti da due a sei elementi all’interno di un vessel, in questo modo aumenta la portata che può essere addotta alle membrane mediante un’unica tubazione;

questo in grossi impianti consente una forte riduzione dei costi.

Figura 4-6 Vessel di contenimento per membrane a spirale avvolta

Figura 4-5 Schema di funzionamento di una membrana a spirale avvolta

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Nella scelta della tipologia di membrana da impiegare in un processo ad osmosi inversa oltre al flusso di permeato ed alla reiezione che sono i due parametri principali, devono essere anche considerati:

la superficie attiva che rappresenta l’area della membrana in cui concretamente si realizza il trattamento, il quantitativo di acqua purificata ricavabile dal processo risulta infatti direttamente proporzionale alla sua estensione, si tratta del parametro sulla base del quale viene determinato anche il numero di elementi filtranti da impiegare e che quindi condiziona i costi di investimento e di esercizio;

lo spazio di drenaggio dell’acqua purificata tra i due fogli della membrana, quanto meno è sottile questo strato tanto più le membrane riescono a tollerare variazioni nelle caratteristiche delle acque da trattare e malfunzionamenti nei processi preliminari e tanto più si riescono a realizzare lavaggi efficaci;

la tolleranza ad un ampio campo di variazione del pH che è fondamentale per la realizzazione di buoni lavaggi.

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4.3 Il recupero dell’energia

In un processo ad osmosi inversa l’acqua salata prelevata dal mare viene forzata ad alta pressione attraverso una membrana semipermeabile, se ne ricava acqua dolce e un concentrato a pressione elevata dei sali e delle impurità originariamente presenti che viene scaricato nuovamente in mare.

In buona parte degli impianti realizzati durante gli anni settanta e nei primi anni ottanta il processo risultava energeticamente molto dispendioso: presentavano infatti un consumo energetico che si aggirava intorno ai 6 kWh/mc di acqua prodotta. All’elevata pressione richiesta per il processo (circa 80bar) si accompagnavano infatti importanti perdite di carico nell’attraversamento delle membrane, bassi rendimenti delle pompe e l’assenza di un adeguato sistema di recupero della pressione del concentrato salino in uscita.

Nel 1985 escono sul mercato le prime membrane appositamente studiate per la dissalazione dell’acqua di mare e vengono introdotte nel processo macchine centrifughe in grado di recuperare circa il 60% dell’energia potenziale del concentrato in uscita, il consumo energetico scende al di sotto della soglia dei 4kWh per metro cubo di acqua prodotta.

All’inizio degli anni novanta vengono realizzate strumentazioni di seconda generazione per il recupero energetico, che presentano una resistenza maggiore alla corrosione, essendo in acciaio inox 904L e sono caratterizzate da rendimenti decisamente migliori.

Nel caso di macchine turbocharger, il recupero di energia viene realizzato con l’accoppiamento di una turbina, che trasforma l’energia di potenziale presente nel concentrato in energia meccanica, ad una pompa centrifuga,

che realizza la successiva Figura 4-7 Schema di funzionamento di un recuperatore energetico turbocharger

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trasformazione di energia meccanica in energia di pressione disponibile per il flusso in ingresso; consente di raggiungere redimenti compresi tra il 50÷70 %.

Utilizzando invece turbine Pelton o Frencis che convertono l’energia potenziale in energia meccanica di rotazione si ottengono rendimenti intorno al 70%.

Figura 4-8 Fotografia di una turbina

Pelton

Figura 4-9 Schema di recupero energetico con turbine

Alla fine degli anni novanta iniziano ad essere applicati alla dissalazione recuperatori energetici generalmente definiti pressure exchanger, realizzano, attraverso camere

isobariche, un trasferimento diretto di energia potenziale dal concentrato, ad alta pressione, ad un analogo volume di acqua di mare in ingresso, a bassa pressione. Il risparmio energetico consiste nel ridurre sensibilmente la portata di acqua marina che deve essere sollevata dalla pompa ad alta pressione con rendimenti nel trasferimento energetico variabili tra il 91÷96 %. Sin dalle sue prime applicazioni agli impianti di dissalazione ad osmosi inversa questa nuova tecnologia consentì di ottenere un

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Tra i sistemi isobarici esistenti, verrà descritto e successivamente applicato nella progettazione il Pressure exchanger (PX) prodotto dall’azienda americana ERI (Energy Recovery System), questo strumento introdotto sul mercato nel 1997 ha trovato una rapida diffusione, coniugando ottimi rendimenti con un’elevata resistenza alla corrosione e semplicità di funzionamento e regolazione

L’unità PX utilizza il principio del positive displacement trasferendo energia potenziale tra il flusso di acqua marina a bassa pressione in ingresso e quello del concentrato ad alta pressione in uscita, i due flussi vengono messi momentaneamente in contatto diretto e questo consente di raggiungere un’efficienza superiore al 94%.

Il trasferimento di energia avviene per mezzo di un rotore cilindrico con dotti longitudinali paralleli al suo asse; il rotore è alloggiato all’interno di una manica, chiuso tra due tappi di estremità, tutti i componenti sono realizzati in ceramica e quindi non sono soggetti a fenomeni di corrosione.

L’area interessata dal flusso dell’acqua marina e quella occupata dal concentrato risultano disposte da parti opposte rispetto al rotore, in ciascun istante i condotti sono riempiti per metà di fluido ad alta pressione e per la restante metà di

quello a bassa pressione.

Si crea un pistone liquido che si muove avanti e indietro costituendo una barriera che impedisce quasi del tutto la miscelazione tra i due fluidi a differente concentrazione.

Figura 4-10 Rotore ceramico ERI

Figura 4-11 Schema del funzionamento del sistema di recupero ERI

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I componenti sono realizzati con precise tolleranze e, una volta lubrificati con il fluido ad alta pressione, si crea una condizione idrodinamica con perdite assolutamente

trascurabili. Il rotore realizza una rivoluzione circa in 1/25 di secondo, proprio grazie a questa rapidità la concentrazione dell’acqua marina, a contatto con il concentrato, cresce solo del 1÷2%.

L’introduzione del recuperatore nel ciclo di

osmosi è abbastanza semplice, il concentrato in

uscita dal processo viene fatto passare dall’unità di recupero, dove trasferisce la sua energia, ad una porzione dell’acqua marina in ingresso.

Le portate dei due liquidi avranno una valore molto prossimo e al termine del trasferimento di energia l’acqua marina si troverà ad una pressione molto vicina a quella richiesta dalle membrane e necessiterà solo di un piccolo rilancio per compensare le perdite di carico.

Figura 4-12 Esploso del PX

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4.4 Trattamenti preliminari

Per conseguire un buon rendimento ed incrementare la vita utile di un impianto ad osmosi inversa è necessario realizzare un efficiente sistema di trattamenti preliminari dell’acqua di mare.

I principali fenomeni che rischiano di compromettere il corretto funzionamento del processo sono:

scaling, precipitazione e deposito di sali con scarsa solubilità;

fouling, accumulo sulla superficie delle membrane di sostanze estranee presenti nell’acqua da trattare, spesso ci si riferisce più in particolare al fouling colloidale e fouling biologico;

degradazione delle membrane.

4.4.1 Analisi delle acque

La progettazione dei trattamenti preliminari deve adattarsi alle caratteristiche delle acque e quindi essere realizzata sulla base di un’attenta analisi chimica.

Le acque sottoposte a processi di osmosi inversa generalmente presentano un TDS (total dissolved solid) pari a 5.000 mg/l se a bassa salinità, tra 5.000 e 15.000 mg/l se salmastre e intorno ai 35.000 mg/l se sono marine.

Per l’ acqua di mare il fattore limitante è rappresentato dalla pressione osmotica richiesta dalla concentrazione salina, mentre nelle acque salmastre dalla precipitazione di carbonati e solfati.

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4.4.2 Fenomeni di Scaling

Si presenta quando sali a bassa solubilità raggiungono concentrazioni superiori al loro valore limite di solubilità. Sulla base del fattore di recupero adottato nel processo di dissalazione, se ad esempio R=50%

vuol dire che la concentrazione dei sali nei residui del processo sarà doppia rispetto al valore iniziale.

In un sistema di trattamento ad osmosi inversa i principali sali che possono determinare fenomeni di precipitazione sulle membrane sono CaSO4, CaCO3, BaSO4.

Il dosaggio di particolari sostanze chimiche (antiscalant) consente di controllare o attenuare il rischio di scaling sulla superficie delle membrane.

Se il problema è legato alla precipitazione del carbonato di calcio CaCO3

3

3 H CaCO

HCO

Ca++ + = + +

un incremento del pH può spostare l’equazione di bilancio in modo da mantenere il carbonato in soluzione, si potrebbe quindi ricorrere al dosaggio di acido solforico o cloridrico.

Questa tecnica non è utilizzabile nel trattamento dell’acqua di mare dal momento che il boro presente al diminuire del pH tende ad attraversare più facilmente le membrane.

In alternativa per limitare lo scaling di carbonati, solfato e fluoruro di calcio si

può ricorrere al dosaggio di antiscalant, sono sostanze che inibiscono la crescita delle dimensioni dei cristalli di sale. L’antiscalant più utilizzato è il sodioesametafosfato SHMP che deve essere presente in soluzione con una

Grafico 20 Variazione della reiezione del boro con il pH

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I polimeri organici riescono ad inibire i fenomeni di scaling molto più efficacemente del SHMP, anche se occorre prestare attenzione ad una eventuale reazione con i polielettroliti cationici presenti, si verrebbe infatti a creare un prodotto gommoso molto difficilmente rimovibile dalle membrane.

Una rigenerazione con forti cationi acidi rappresenta un trattamento molto efficace e sicuro che può essere impiegato nel trattamento delle acque salmastre ma non in quelle di mare.

Per ottenere una rimozione della durezza carbonatica può essere dosata calce idrata che, mediante l’aggiunta di carbonato di sodio consente di ottenere anche una riduzione della silice presente.

Nelle applicazioni dell’osmosi inversa all’acqua salata (TDS≅35.000 mg/l) i pericolo di scaling non è accentuato come nel caso di trattamenti di acqua salmastra, questo perchè il valore della pressione osmotica richiesta impone di limitare il fattore di recupero al di sotto del 45%.

Quando i metodi visti non riescono ad eliminare il problema occorre correggere le variabili di funzionamento del processo, sostanzialmente riducendo il rapporto di recupero.

4.4.3 Fenomeni di Fouling

4.4.3.1 Prevenzione del fouling delle sostanze colloidali

Una problematica che deve essere attentamente valutata è il fouling delle sostanze colloidali sulla superficie delle membrane, fenomeno che è in grado di compromettere seriamente il rendimento dell’impianto.

I colloidi che possono essere presenti nell’impianto sono principalmente argilla, silica collidale e prodotti della corrosione del ferro. Anche il dosaggio di sostanze chimiche quali polielettroliti cationici, cloruro ferrico, non adeguatamente rimosse attraverso una chiarificazione o filtrazione, possono determinare una precipitazione dei colloidi.

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Il mezzo principale per determinare la tendenza a fenomeni di fouling è la misurazione dell’SDI (Silt Density Index), prima della progettazione dell’impianto e durante il suo funzionamento.

Il valore dell’SDI all’ingresso dell’osmosi inversa deve essere minore o uguale a 5 (Technical Manual Filmtec, 2004).

Con una filtrazione multimedia si può ottenere la rimozione dei solidi sospesi e colloidali mediante il deposito sulla superficie dei grani dei filtri.

La qualità del filtrato in uscita dipende dalle caratteristiche dei manufatti, dal carico superficiale e dalle caratteristiche delle acque.

I filtri possono essere monostrato, bistrato o multistrato a seconda dell’assortimento del materiale impiegato, una buona preparazione e scelta dei materiali dei letti di posa garantisce una distribuzione uniforme dei flussi e una migliore efficienza

Gli srtati filtranti vengono generalmente realizzati in sabbia (0,35÷0,5 mm) o in antracite (0,7÷0,8 mm) spesso si dispone uno stato di sabbia con sovrapposto un altro di antracite. Il flusso all’interno del filtro può avvenire a gravità o in pressione, con velocità di 10÷15 m/h.

Devono essere realizzate periodiche operazioni di controlavaggio del materiale filtrante, quando la differenza di pressione sale al di sopra di 1,4bar per i filtri a gravità e 0,4÷0,6 bar per quelli in pressione.

Il lavaggio viene realizzato a velocità intorno a 30 m/h, con acqua o con la salamoia stessa prodotta dal processo di osmosi, che esercita anche un’azione disinfettante. Per i filtri con diametri superiori a 1,6 m conviene realizzare anche un trattamento con aria compressa che solleva e agita i grani esercitando un’azione di lavaggio più intensa, le portate sono comprese tra 50÷70 mc/h.

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L’utilizzo di sostanze coagulanti o flocculanti consente di ottenere una riduzione molto maggiore dell’SDI nel corso del trattamento, spesso vengono utilizzati solfato ferrico o cloruro ferrico, più raramente l’alluminio che pur essendo un efficace coagulante può determinare problemi di precipitazione sulla superficie delle membrane.

Occorre prestare molta attenzione anche al dosaggio di antiscalant che generalmente sono caricati negativamente e possono reagire con le sostanze cationiche coagulanti.

Le acque prelevate da pozzi o comunque acque salmastre si presentano generalmente in condizioni di riduzione e in presenza di ioni di ferro e manganese bivalenti, talvolta accompagnati da composti ammoniacali. Se queste acque si trovano in condizioni ossidanti, si verifica la precipitazione degli ioni presenti. Le strategie che possono essere adottate per impedire questo fenomeno sono due: o viene completamente evitato il contatto con elementi ossidanti fino al trattamento di osmosi, oppure si procede ad una ossidazione forzata seguita dalla filtrazione.

L’ultimo stadio di pretrattamento è solitamente costituito da una filtrazione a cartuccia che consente di allontanare le particelle con dimensione superiore a 5µm.

In presenza di un trattamento preliminare di microfiltrazione o ultrafiltrazione viene rimossa la quasi totalità delle sostanze sospese e parte di quelle organiche disciolte, le problematiche di fouling interesseranno allora questa prima fase di filtrazione piuttosto che il processo di osmosi. Questo trattamento presenta costi più elevati delle altre tecniche preliminari normalmente utilizzate e trova impiego negli impianti ad osmosi inversa solo in presenza di specifiche condizioni ambientali.

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4.4.3.2 Prevenzione del fouling biologico

Le acque in ingresso al trattamento abitualmente presentano batteri, alghe, funghi e virus. I microrganismi hanno dimensioni analoghe a quelle delle sostanze colloidali ma a differenza di queste, in condizioni favorevoli, possono riprodursi generando un biofilm.

I microrganismi che riescono ad avere accesso al processo di osmosi inversa trovano sulla superficie delle membrane una elevata concentrazione dei nutrienti presenti in acqua e quindi un ambiente favorevole alla loro proliferazione.

La formazione di un biofilm sulle membrane può fortemente compromettere le prestazioni del processo, i principali indizi di una problematica di questo tipo sono l’incremento della differenza di pressione tra acqua in ingresso e concentrato e la riduzione del flusso; se la situazione si protrae nel tempo possono venire danneggiate le membrane stesse.

Talvolta si può verificare la formazione di un biofilm anche dal lato del permeato, contaminando l’acqua prodotta.

Una volta individuato il problema non risulta semplice rimuovere questo strato che svolge un’azione di protezione dei batteri nei confronti delle sollecitazioni di taglio e degli agenti disinfettanti, inoltre se non viene eliminato completamente tenderà presto a riformarsi.

Per questo motivo risulta di fondamentale importanza intervenire con misure preventive durante i trattamenti preliminari.

Devono essere realizzati campionamenti periodici della qualità delle acque in ingresso, altra operazione utile sarà l’ispezione di filtri a cartuccia e condotte, depositi di consistenza gelatinosa evidenziano infatti una proliferazione batterica.

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La clorazione viene utilizzata da molti anni per la disinfezione di acque potabili, reflue e industriali. L’efficacia del cloro nel trattamento di elementi patogeni dipende dalla sua concentrazione, dal tempo di esposizione e dal pH. Il cloro viene utilizzato sotto forma di cloro gas (Cl2), ipoclorito di sodio (NaOCl) e ipoclorito di calcio Ca(OCl)2.

Il trattamento con cloro dell’acqua di mare può essere realizzato con pH più alto rispetto alle acque reflue a causa della presenza del bromo, il bromo infatti tende a reagire con l’acido ipocloroso formando HOBr che tende molto meno a dissociarsi e quindi a liberare ioni H+ rispetto al precedente.

Il tempo di contatto necessario al cloro per svolgere la sua azione disinfettante è di 20÷30 min e deve essere realizzato un dosaggio tale da garantire nei trattamenti preliminari una concentrazione di cloro residua di 0,5÷1 mg/l.

Il dosaggio del cloro deve essere necessariamente accompagnato da un trattamento di declorazione prima dell’ingresso al modulo di osmosi, dal momento che le membrane realizzate in materiali polimerici sono estremamente sensibili agli ossidanti. I procedimenti attuabili sono il trattamento con carboni attivi o il dosaggio di sodio metabisolfito.

In presenza di ridotte probabilità nella formazione di biofilm, invece che realizzare il dosaggio continuo di agenti battericidi si può ricorrere a periodiche procedure di sterilizzazione del sistema, si tratta però di applicazioni ad alto rischio che più spesso vengono effettuate in aggiunta alle metodiche tradizionali.

L’Ozono, pur essendo un ossidante più forte del cloro è caratterizzato da tempi di decomposizione molto più rapidi e quindi c’è il rischio che non venga mantenuta una concentrazione di protezione durante le fasi preliminari del processo. Avendo un potere ossidante così intenso deve essere valutata la resistenza dei componenti metallici e occorre comunque realizzare un efficace trattamento di deozonizzazione prima dell’ingesso alle membrane.

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Il trattamento con raggi UV consente di realizzare un’azione germicida senza l’aggiunta di sostanze chimiche in acqua. Trova generalmente impiego in impianti di piccole dimensioni, necessitando di una manutenzione minima che richiede solo lavaggi e sostituzioni periodiche delle lampade. La presenza di sostanze colloidali e organiche riduce l’efficacia del trattamento.

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4.4.4 Il controlavaggio e la manutenzione delle membrane

I trattamenti preliminari e le condizioni operative del processo vengono studiati per attenuare i fenomeni di fouling e scaling che però possono comunque presentarsi in determinate condizioni:

sistemi di pre-trattamento inadeguati o non funzionanti correttamente;

erronea selezione dei materiali per l’impiantistica;

erroneo dosaggio di agenti chimici;

procedura di lavaggio non correttamente eseguita in caso di interruzione di funzionamento dell’impianto;

progressivo accumulo di precipitati di bario e silice;

variazioni nelle caratteristiche dell’acqua immessa;

contaminazione biologica.

La presenza di un fenomeno di fouling in corso si manifesta con una drastica riduzione delle prestazioni del trattamento: diminuzione del flusso di permeato (di circa il 10%), incremento della reiezione (intorno al 10%) e della pressione attraverso la membrana (del 15%).

Risulta di fondamentale importanza realizzare un lavaggio efficace e tempestivo delle membrane, ponendo particolare attenzione nella scelta del miglior agente chimico sulla base della causa che ha scatenato il fenomeno, per evitare di ricorrere a rimedi che possano aggravare la situazione piuttosto che migliorarla.

Per identificare la causa del fenomeno occorre esaminare i parametri di processo, analizzare l’SDI e l’aspetto del materiale depositato nei filtri a cartuccia e sulla superficie delle membrane.

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4.5 Post-trattamenti 4.5.1 Remineralizzazione

Le acque in uscita da processi di osmosi inversa risultano estremamente corrosive, sono caratterizzate da concentrazioni di cloruri e sodio prossime ai valori soglia per acque destinate ad uso idro-potabile, la remineralizzazione consente di ottenere un miglioramento della qualità delle acque rendendole idonee all’uso umano.

Il principale elemento disciolto in acqua è il carbonato di calcio CaCO3, l’equilibrio calcio-carbonatico è fortemente legato al pH della soluzione ed alla concentrazione della CO2.

+

= +

+ 2 2 2 3

3 CO H O Ca 2HCO

CaCO

Per riuscire a garantire acque di buone caratteristiche che non risultino corrosive nei confronti delle tubazioni, dovrà pertanto essere incrementata l’alcalinità carbonatica e la durezza calcitica. In questo modo si riuscirà ad ottenere un’acqua sovrasatura e leggermente incrostante, che abbia la tendenza a formare un film protettivo sulle superfici interne delle tubazioni, prevenendo fenomeni corrosivi e conseguentemente degradativi delle caratteristiche organolettiche delle acque.

Il carbonato di calcio può essere presente sia in forma disciolta (acqua aggressiva), che precipitata (acqua incrostante). Il legame dell’equilibrio del carbonato al valore del pH a saturazione pHs in acqua può essere determinato con il normogramma di Hoover.

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Figura 4-14 Normogramma di Hoover

Per determinare se un acqua è aggressiva, incrostante o corrosiva generalmente si fa riferimento agli indici di aggressività e corrosività.

Indici di aggressività: le acque che si presentano sottosature rispetto alla concentrazione del carbonato di calcio risultano aggressive sia nei confronti delle tubazioni cementizie che tendono a dissolvere, sia di quelle metalliche.

Langeleir Index, fornisce solo informazioni di carattere qualitativo LI=pH-pHs

LI<0 aggressiva LI>0 incrostante

Ryznar index, fortemente influenzato dal pHs

RI=2pHs-pH Con un valore del pHs=7

RI=4÷5 acqua molto incrostante RI=5÷6 acqua poco incrostante RI=6÷7 instabilità del CaCO3 IR=7÷7.5 acqua aggressiva

IR=7.5÷8.5 acqua fortemente aggressiva

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Saturation Index, è un utile parametro per descrivere il comportamento dell’acqua dal momento che tiene conto delle cinetiche di dissoluzione e precipitazione del carbonato di calcio.

SI SI<1 aggressiva

SI=1 bilanciata

SI>1 incrostante

Gli indici di corrosività: rappresentano il potenziale corrosivo di un’acqua nei confronti dei materiali metallici

Larson ratio, mette in correlaizone le concentrazioni di ioni cloruri e solfati con l’alcalinità totale dell’acqua:

[ ] [ ]

[

]

+

=

3 2

2 4

HCO SO LnR Cl

LnR>1 indica la possibilità di un’azione corrosiva

Leroy ratio, rappresenta il rapporto tra l’alcalinità totale e la durezza calcitica espressa in gradi francesi °F

TH LyR=TAC

LyR compreso tra 0,7÷0,13 indicano un basso potenziale corrosivo

Per limitare i fenomeni di corrosione l’acqua deve essere caratterizzata da un LnR<1 e da un LyR compreso tra 0,7÷1,3, questo significa che sia la concentrazione dei cloruri che dei solfati deve essere bassa e quella del bicarbonato elevata.

Per ottenere un concentrazione dei cloruri accettabile in uscita dalle membrane si dovrebbe ricorrere ad un processo di osmosi su due stadi, che non risulta però consigliabile nel trattamento di acqua salata. E’ quindi preferibile intervenire sui carbonati rendendo l’acqua leggermente

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I principali trattamenti che posso essere realizzati per ottenere una remineralizzazione delle acque sono la filtrazione su dolomite-calcite o l’iniezione di opportuni prodotti chimici.

Con un processo di filtrazione su carbonato di calcio sotto forma di calcite (CaCO3, MgO) o dolomite (CaCO3, MgCO3), il carbonato di calcio si libera nell’acqua durante la filtrazione grazie all’iniezione di anidride carbonica (CO2). Una volta realizzato il bilanciamento carbonatico, per raggiungere un indice di saturazione prossimo a 1,2 , occorre dosare carbonato di sodio Na2CO3.

Se invece viene realizzata l’iniezione dei singoli composti chimici dovranno essere dosati:carbonato di sodio (Na2CO3), bicarbonato di sodio (NaHCO3),

cloruro di calcio (CaCl2), calce Ca(OH)2 e anidride carbonica (CO2). Per incrementare il tenore della durezza senza incorrere in un aumento di quello dei cloruri si deve anche dosare solfato di calcio (CaSO4) che però risulta molto complesso data la sua bassa solubilità (1,8 g/l a 20°C).

Sulla base di recenti studi e sperimentazioni relativi alle differenti tipologie di trattamenti finalizzati alla remineralizzazione delle acque per uso idro- potabile (Delion N., Maguin G., Corsin P., 2004), l’impiego di filtri a dolomite è quello che risulta più semplice dal punto di vista della gestione, dal momento che l’intero processo è regolato dal solo dosaggio della CO2 e più conveniente economicamente.

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