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INTRODUZIONE

Epigenetica: Aspetti generali

I geni nelle cellule non sono presenti nella loro forma nuda cioè come semplici sequenze di basi azotate, ma sono legati a una gran varietà di molecole organiche.

Ciò che queste molecole possono compiere è di grandissima importanza in quanto

possono modulare il comportamento dei geni stessi; possono renderli più o meno

attivi trascrizionalmente, modulando l’espressione genica nel breve e nel lungo

periodo. L’epigenetica è la branca della genetica che studia tutte le modificazioni

ereditabili che variano l’espressione genica pur non alterando la sequenza del

DNA; studia pertanto come queste molecole possano rendersi operative e come i

processi prodotti possano essere trasmessi a livello mitotico o meiotico (Kapoor,

Leen et al., 2008; Seckl et al., 2008). Su fenomeni epigenetici si basano i processi

di differenziamento cellulare e processi di regolazione genica di geni specifici,

quali i geni del cromosoma X nelle cellule somatiche femminili nei mammiferi

(VandeBerg, et al., 1983) e i geni soggetti a imprinting (Grace, et al., 2009; Laprise

et al., 2009). Esistono tuttavia processi epigenetici non programmati che

condizionano il fenotipo cellulare o dell’organismo, attivati in risposta

all’ambiente, alla dieta, alla esposizione chimica e fisica, persino alle interazioni

sociali. I processi epigenetici possono essere considerati un’interfaccia tra

ambiente in senso esteso e i nostri geni. La particolarità delle variazioni

epigenetiche rispetto alle mutazioni risiede nel fatto che esse hanno carattere di

reversibilità; in base a ciò uno dei settori importanti dell’epigenetica, l’epigenetica

medica, studia proprio i meccanismi capaci di invertire il corso di eventi

epigenetici patologici. Altra vasta area di ricerca epigenetica riguarda lo studio

relativo all’ambiente fetale, in quanto alterazioni epigenetiche in questo stadio

sono alla base dello sviluppo della suscettibilità individuale a patologie quali

obesità, diabete, disturbi cardiovascolari, depressione, ansia, schizofrenia e altro.

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Le variazioni epigenetiche possano dimostrare eventi in precedenza difficilmente spiegabili. Il termine fu coniato da Waddington (1942,) secondo il quale l’epigenetica rappresenta la branca della biologia che studia le interazioni causali fra i geni e il loro prodotto e pone in essere il fenotipo (dal greco επί, epì = "sopra"

e γεννετικός, gennetikòs = relativo all'eredità familiare) poco a che fare con genetica classica anche se i geni giocano un ruolo preminente) e successivamente perfezionato da Riggs (1996) come lo studio delle variazioni mitotiche e meiotiche nella funzione genomica che non possono essere spiegate nei termini di variazioni di sequenza del DNA. Successivamente gli enormi sviluppi nel campo della biologia molecolare hanno dato contributi fondamentali nell’identificazione di fenomeni epigenetici. Sono riportate alcune osservazioni per le quali, prima degli studi sull’epigenetica, non vi era spiegazione. Durante la seconda guerra mondiale i tedeschi attuarono un embargo di derrate alimentari nei confronti dell’Olanda, conseguentemente la popolazione fu scarsamente nutrita; fu osservato che i neonati, le cui madri erano state esposte a scarsa nutrizione durante il terzo trimestre di gestazione, erano notevolmente sottopeso. Studi epidemiologici di coorte condotti parecchi anni dopo (Hoch et al., 1998) hanno mostrato, poi, come i soggetti esposti alla carestia materna in epoca fetale soffrissero, rispetto ai nati nei periodi precedenti o seguenti la carestia, di un aumentato rischio di obesità, ipertensione, diabete di tipo II e disturbi psicopatologici (schizofrenia e depressione) (Wong et al., 2005), trasmessi anche ai discendenti con meccanismi epigenetici. Un effetto, quest'ultimo, che prese rapidamente il nome di "De Hongerwinter" (Henri et al., 1998). Questo dimostrò che effetti epigenetici nell’ambiente fetale possono essere trasmessi tra le generazioni.

Un altro esempio riguarda la popolazione Tailandese, che data la storica

limitatezza di cibo, ha sviluppato una predisposizione epigenetica per i cosiddetti

geni risparmiatori, secondo la teoria del “thrifty gene”, proposta nel 1962 dal

genetista James Neel, dell’Università del Michigan. Questi geni hanno, nel tempo,

favorito la modulazione energetica mantenendo il consumo del metabolismo

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basale al minimo della sopravvivenza; con l’espandersi delle zone urbane e l’aumento del cosiddetto “benessere” i tailandesi residenti nei centri urbani sono diventati più simili, come peso corporeo, ai Nord Americani che non ai Tailandesi, hanno cioè aumentato la componente adiposa della composizione corporea e sono più sensibili a patologie tipiche dell’obesità quali il diabete. Quindi mentre i geni risparmiatori sarebbero stati utili poiché avrebbero fornito al loro possessore un vantaggio competitivo, consentendo di estrarre dal poco cibo ingerito le calorie ed il nutrimento minimo necessario per la sopravvivenza dell'individuo stesso, in presenza di abbondanza di cibo tali geni sarebbero inutili o addirittura dannosi, in quanto favorirebbero l'insorgenza di sindromi metaboliche. In ogni caso, il fenotipo risparmiatore rappresenta una risposta epigenetica all’ambiente, in particolare alla dieta (Barker, et al.,1997; Hales, et al.,2001).

Secondo la cosiddetta “ipotesi di Barker” (1997), medico e ricercatore dell'Università di Southampton (UK), il fenomeno è ancora più generale; la rapida trasformazione dell’ambiente esterno e della catena alimentare si ripercuoterebbe sul microambiente uterino e quindi sul feto, inducendo una serie di modifiche epigenetiche adattative proprio in quelle cellule che andranno a formare i tessuti e gli organi preposti al controllo metabolico e alle relazioni con il mondo esterno.

Di conseguenza Barker fa risalire soprattutto all’epoca fetale l’origine delle malattie complesse e croniche dell’adulto, per cui un neonato malnutrito in utero ha un maggior rischio di sviluppare, da adulto, malattie cardiovascolari, renali, diabete e obesità, patologie polmonari, disturbi immunitari e malattie mentali, in quanto le influenze ambientali sul feto hanno la capacità di modificarne in modo permanente la struttura.

Un modello classico per lo studio dell’epigenetica relativamente alla variabilità

negli organismi ed alla trasmissione transgenerazionale negli organismi, è quella

dal topo Agouti. Una mutazione, definita A

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, è data dall’inserzione nel gene di

un retrotrasposone denominato IAP. Il trasposone possiede un promotore critico

che condiziona l’espressione del gene agouti. Quando il promotore non è attivo (il

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trasposone è metilato) non si hanno effetti degni di nota e il colore della pelliccia è di tipo agouti. Quando invece il trasposone non è metilato il promotore si accende e rende il gene agouti costitutivamente attivo in modo tale che traduce un eccesso di colorazione del pelo che vira al giallo. Questa è una epimutazione dominante, ma andando a vedere la trasmissione dell’allele nell’eterozigote, si vede che dal punto di vista fenotipico non è a carattere Mendeliano. Infatti da un eterozigote non si ha una una progenie bipartita fra i due fenotipi pelo agouti e pelo nero, ma si ha tutta una gamma di variazione di intensità del colore. Quindi la variazione non può dipendere da variazione genetica, ma dalla modalità di espressione del gene. La modificazione epigenetica è reversibile durante la gametogenesi, tanto che gli epialleli sono definiti metastabili. La variazione che si ottiene è trasmissibile, ovvero utilizzando per più generazioni topi con uno spiccato mantello giallo otterremo progenie con alto numero di topi gialli indicando che il livello di metilazione viene mantenuto, e quindi passa attraverso i processi di meiosi e di mitosi. Di particolare interesse è il fatto che la modificazione epigenetica è condizionata dall’ambiente. Se la madre riceve una dieta ricca in alimenti contenenti donatori di gruppi metilici per il DNA nella progenie ci sarà una minor presenza del fenotipo pelo giallo.

Processi simili riguardano l’uso degli steroidi anabolizzanti che da anni, in particolare il testosterone, vengono utilizzati per enfatizzare specifiche caratteristiche nell’uomo. Furono utilizzati da Hitler per alcuni reparti delle sue truppe, seguito a ruota da Stalin che, successivamente li utilizzò anche sugli atleti;

poi il fenomeno si è esteso a tutto il resto del mondo occidentale e non solo a scopo

terapeutico. Grazie agli studi epigenetici si è arrivati a capire una buona parte degli

effetti a lungo termine dell’abuso di tale sostanza. Il testosterone è un ormone

secreto dalle gonadi che modula l’espressione genica interagendo con specifici

recettori; agisce anche sulle cellule che presentano gli adeguati recettori nelle fibre

muscolari, motivo dell’abuso. La produzione di testosterone tuttavia è intimamente

correlata e regolata, in modo naturale, dalle interazioni sociali. Così se viene

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somministrata una dose di questo ormone per lunghi periodi si incorrerà nel rischio di non aver più la produzione endogena di testosterone stimolata dai corretti stimoli socio-ambientali; in poche parole viene alterata la regolazione genica e di conseguenza l’espressione dei geni responsivi all’ormone (Burmeister et al., 2007). Un esempio di modificazione epigenetica è descritto nel film “Il cacciatore”

(Michael Cimino, 1978) riguardante gli effetti psicologici della guerra. Così come

la guerra, anche i più svariati traumi di una certa entità hanno risvolti psicologici

associati a modificazioni epigenetiche capaci di determinare variazioni a lungo

termine sulla regolazione genica. E’ l’asse della risposta allo stress che viene in

questo caso manipolato, cioè l’asse Ipotalamo-Ipofisi-Surrene da cui deriva la

sintesi di cortisolo necessario per la risposta “fight or flight” indotta da situazioni

di pericolo imminente. Quando l’organismo avverte una situazione di potenziale

pericolo deve prepararsi a combattere o a fuggire; l’ipotalamo segnala all’ipofisi

di produrre e rilasciare l’ormone che andrà ad attivare le ghiandole preposte al

rilascio dell'ormone cortisolo site nella porzione corticale del surrene; con la

secrezione di cortisolo avverranno modificazioni fisiologiche nell’organismo che

sarà così pronto al combattimento od alla fuga. In condizioni di stress cronico il

rilascio di cortisolo diventa non più regolato favorendo l’insorgenza di disturbi

affettivi, disturbi cognitivi, riduce la neurogenesi e, si correla alla comparsa di una

sindrome metabolica. Inoltre il cortisolo determina un aumentato rilascio di

citochine pro-infiammatorie che entrano in gioco anche nel potenziare i

meccanismi depressogeni. Da notare che un effetto simile è presente anche in

ambiente fetale e neonatale e, agendo in periodi critici dello sviluppo, può avere

effetti che perdurano tutta la vita del nascituro (Yheuda, et al., 2005). Per esempio

nel periodo perinatale assume grande importanza l’atteggiamento della madre: se

questo è particolarmente affettuoso (il contatto è fondamentale), si avrà una

maggior espressione di recettori per glucocorticoidi nell’ippocampo (Liu, et al.,

1997) ed uno sviluppo adeguato del sistema immunitario che sarà in grado di agire

più prontamente. In caso contrario il soggetto avrà per tutta la vita un sistema

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immunitario non completamente funzionale e problemi con il gene codificante per

il Fattore di Crescita Neurale NGF nell’Ippocampo dovuti ad alterazioni dei

recettori per gli estrogeni (McGowan et al., 2009;Weawer et al., 2004); studi sui

ratti hanno mostrato la presenza di modifiche epigenetiche che riguardano i

recettori dei glucocorticoidi (Kitraki et al., 1999). Oltre alla regolazioni indotte dai

processi di metilazione ed acetilazione, è stato visto un altro processo di

regolazione epigenetica che viene mediata da molecole di piccoli RNA (RNA

interference). Gli RNA interference sono piccole molecole endogene di RNA non

codificante, a singolo filamento, che agiscono non tanto nel guidare il

differenziamento ma piuttosto nel prevenirlo (Georgantas, et al., 2007). Prima che

si indagasse sulla dimensione epigenetica del cancro erano state formulate due

teorie: quella della mutazione somatica e quella dell’aneuploidia; si osservò che le

cellule tumorali mostravano segni caratteristici di interventi epigenetici

(Suiikerbuijk, et al., 2007). I processi epigenetici furono ritenuti primari

relativamente al cancro da una parte di ricercatori (Feinberg, et al., 2006). Dal

punto di vista epigenetico il cancro è fondamentalmente il risultato di una

regolazione genica difettosa, talvolta causata da mutazioni, talvolta da

epimutazioni. Si è infatti notato che alcuni geni oncosoppressori pur non

mostrando mutazioni, mostrano una disregolazione, ciò correla perfettamente con

evidenze epigenetiche (Gaudet, et al., 2003). Il mantenimento dell’informazione

nel progredire della replicazione è basato su meccanismi di controllo e di

regolazione molto fini per garantire il mantenimento dell’informazione e l’assenza

di errori. Le regioni cromosomiche sono differenziate, per lo stato replicativo e

per la trascrizione, mediante un’organizzazione temporale che prevede che geni

attivi vengano replicati nella fase “S” precoce, geni silenti nella fase S tardiva. Lo

studio del tempo di replicazione viene usato come marcatore delle fasi iniziali o

tardive della replicazione mostrando che nelle cellule umane con aberrazioni

cromosomiche esiste un’alterata sequenza replicativa con evidenti ritardi nel

tempo di replicazione. E’ stato inoltre dimostrato che le mutazioni sono

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determinate da fattori genetici ed epigenetici; le mutazioni sembrerebbero correlate al tempo di replicazione. L’asincronismo replicativo può essere interpretato come conseguenza di alterazioni non fisiologiche dell’espressione genica. Ne sono esempio i geni TP53 ed RB1 in patologie tumorali. Evidenze circa la stretta correlazione fra lo stato della cromatina, l’espressione genica e la replicazione ci hanno portato ad approfondire in che misura composti chimici, con azione mutagena nota, possano indurre alterazioni epigenetiche, e se queste siano legate alla produzione di mutazioni cromosomiche ed al cancro.

Alla luce dei più recenti studi epigenetici è possibile affermare che noi ereditiamo

molto di più che i nostri stessi geni, in particolare ereditiamo l’ambiente sociale,

questo inizia dai nostri genitori e si estende all’intera cultura in cui viviamo.

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