Regione Siciliana
Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana Dipartimento Beni Culturali e dell’Identità Siciliana
QUADERNI CSEI Catania III serie vol. 14
“GESTIONE SOSTENIBILE DELLE ACQUE REFLUE”
AUTORI:
BARBAGALLO Salvatore
BARBERA Antonio Carlo CIRELLI Giuseppe Luigi CONSOLI Simona LICCIARDELLO Feliciana MARZO Alessia MILANI Mirco NIGRO Giuseppina PATERNA Massimo SPINA Angelo TOSCANO Attilio
dicembre 2018
95123 Catania, Via S. Sofia 100 c/o Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente (Di3A) Università degli Studi di Catania QUADERNI CSEI Catania III serie vol. 14 Gestione sostenibile delle acque reflue ISSN 2038-5854
Realizzazione editoriale CSEI Catania www.cseicatania.com Progetto grafico Art&Bit Srl - Catania
Il presente manuale è stato redatto dal CSEI Catania nell’ambito di un’attività di ricerca finanziata dalla Regione Siciliana - Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana - Dipartimento dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana
Il presente lavoro è stata redatto con uguale contributo di tutti gli Autori:
prof. SALVATORE BARBAGALLO prof. ANTONIO CARLO BARBERA prof. GIUSEPPE LUIGI CIRELLI prof.ssa SIMONA CONSOLI Ing. FELICIANA LICCIARDELLO Ing. ALESSIA MARZO Dott. MIRCO MILANI Prof.ssa GIUSEPPINA NIGRO Ing. MASSIMO PATERNA Arch. ANGELO SPINA prof. ATTILIO TOSCANO
Attività di ricerca finanziata dalla
Regione Siciliana
Assessorato Regionale Beni Culturali e dell’Identità Siciliana Dipartimento Beni Culturali e dell’Identità Siciliana
Gestione sostenibile delle acque reflue / Salvatore Barbagallo … [et al.] - Catania: CSEI Catania, 2018.
(Quaderni/CSEI. Ser. 3.; 14) 1. Acque reflue – Gestione I. Barbagallo, Salvatore <1956->.
628.16209458 CCD-23 SBN Pal0311320
CIP - Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace”
1 INTRODUZIONE
...1
1.1 Premessa ... 1
1.2 Obiettivi ... 4
2 LEGISLAZIONE ITALIANA PER IL TRATTAMENTO ED IL RIUSO DELLE ACQUE REFLUE
...5
2.1 Normativa sul trattamento delle acque reflue ... 5
2.2 Normativa sul riuso delle acque reflue ... 9
3 SISTEMI DI FITODEPURAZIONE ... 16
3.1 Sistemi a flusso superficiale ... 18
3.1.1 Sistemi a flusso superficiale a macrofite galleggianti ... 19
3.1.2 Sistemi a flusso superficiale a macrofite radicate ... 20
3.1.3 Sistemi flottanti ... 22
3.2 Sistemi a flusso subsuperficiale ... 23
3.2.1 Sistemi a flusso subsuperficiale orizzontale ... 24
3.2.2 Sistemi a flusso subsuperficiale verticale ... 27
3.2.3 Sistemi aerati ... 29
3.3 Sistemi a scarico zero ... 31
4 CARATTERISTICHE E SCELTA DELLA VEGETAZIONE ... 33
4.1 Descrizione e selezione delle specie vegetali ... 33
4.3 Il ruolo svolto dalle macrofite nei sistemi
di fitodepurazione ... 45
4.4 Il ruolo dei sistemi di fitodepurazione nel controllo dei gas serra ... 50
5 EFFICIENZA DEPURATIVA DEI SISTEMI DI FITODEPURAZIONE ... 55
5.1 Solidi Sospesi Totali ... 57
5.2 Sostanza Organica ... 59
5.3 Nutrienti ... 62
5.4 Microrganismi patogeni ... 70
5.5 Metalli ... 72
5.6 Inquinanti emergenti ... 74
5.7 Rendimento depurativo ... 76
6 CARATTERIZZAZIONE DEI SUBSTRATI DEI LETTI FILTRANTI E VALUTAZIONE DEL COMPORTAMENTO IDRAULICO ... 83
6.1 Misure di conducibilità idraulica a saturazione ... 83
6.2 Tempo di ritenzione idraulica ... 87
6.3 Intasamento dei letti filtranti ... 90
7 CRITERI PER LA PROGETTAZIONE, GESTIONE E MONITORAGGIO ... 97
7.1 Criteri di dimensionamento ... 97
7.3 Monitoraggio e gestione ... 111
7.4 Costi d’impianto ... 115
7.5 Costi di esercizio ... 117
7.6 Esempi di progettazione ... 118
8 MODELLI PER LA SIMULAZIONE DEL FUNZIONAMENTO DEI SISTEMI DI FITODEPURAZIONE ... 122
8.1 Modelli di flusso e trasporto ... 122
8.2 Modelli di rimozione degli inquinanti ... 124
9 ESPERIENZE DI FITODEPURAZIONE IN SICILIA ... 132
9.1 Sistema di fitodepurazione di un centro abitato ... 132
9.1.1 Descrizione del sistema ... 132
9.1.2 Metodologia ... 135
9.1.3 Risultati e discussione ... 136
9.2 Sistema ibrido a servizio di un centro commerciale ... 140
9.2.1 Descrizione del sistema ... 140
9.2.2 Metodologia ... 143
9.2.3 Risultati e discussione ... 144
9.3 Sistema di fitodepurazione a servizio di una cantina ... 148
9.3.1 Descrizione del sistema ... 148
9.3.3 Risultati e discussione ... 152
9.4 Sistema di fitodepurazione a servizio di un’industria di trasformazione agrumaria ... 156
9.4.1 Descrizione del sistema ... 156
9.4.2 Metodologia ... 159
9.4.3 Risultati e discussione ... 159
9.5 Sistema di fitodepurazione per il trattamento delle acque di deflusso stradale ... 164
9.5.1 Descrizione del sistema ... 164
9.5.2 Metodologia ... 167
9.5.3 Risultati e discussione ... 168 BIBLIOGRAFIA
APPENDICE: Schede sulle principali macrofite impiegate nei
sistemi di fitodepurazione
1 INTRODUZIONE
1.1 Premessa
La continua crescita demografica associata ad un’espansione degli insediamenti urbani ed industriali ha determinato un ingente depauperamento quali-quantitativo delle risorse idriche indotto dal costante incremento dei consumi idrici e dallo scarico di consistenti volumi di acque reflue con elevati carichi inquinanti.
Il mancato o insufficiente trattamento delle acque reflue rappresenta
un fenomeno particolarmente diffuso nel territorio italiano come
testimoniato dall’apertura di tre procedure d’infrazione comunitarie
(2014/2059, 2004/2034 e 2009/2034) per le inadempienze
nell’attuazione della Direttiva 91/271/CEE relativa al trattamento dei
reflui. Per due delle sopracitate infrazioni, la Corte di Giustizia
Europea ha già formulato un primo pronunciamento di condanna (C-
565/10 e C-85/13) riconoscendo, rispettivamente, che in 109
agglomerati italiani (62 nella regione Sicilia), con oltre 10.000 abitanti
equivalenti (A.E.), ed in 41 agglomerati (5 nella regione Sicilia), con
oltre 2.000 A.E., i sistemi di collettamento, fognatura e depurazione
delle acque reflue risultano assenti o non conformi. In Sicilia il
problema dell’inefficiente depurazione dei reflui è attestato anche
dall’ultimo report di ARPA Sicilia sui controlli degli scarichi idrici dal
quale emerge che, nel 50% delle attività ispettive condotte nel 2017,
sono state riscontrate non conformità per il superamento dei limiti
legislativi allo scarico o per il mancato rispetto delle prescrizioni
autorizzative.
In tale contesto, è oramai imprescindibile eseguire una gestione sostenibile delle acque nel loro complesso (sustainable sanitation) applicando tecniche di risparmio idrico e riconoscendo le acque reflue quali possibili risorse idriche integrative e fonte di fertilizzanti per il settore agricolo. Per la gestione sostenibile delle acque reflue è auspicabile la separazione delle acque grigie, caratterizzate da una ridotta contaminazione patogena e da minori esigenze depurative, da quelle nere che possono contenere elevate concentrazioni di nutrienti e costituire un prezioso elemento nell’ottica di un possibile riuso irriguo. Per il trattamento di entrambe le tipologie di reflui è consigliabile l’adozione di sistemi di depurazione decentrati, ubicati in prossimità degli agglomerati urbani che hanno prodotto i reflui, che siano in grado di garantire efficienze depurative tali da permettere un successivo riuso locale degli effluenti. Tra le diverse tecniche di trattamento applicabili, i sistemi di fitodepurazione rappresentano una delle principali soluzioni in grado di associare caratteristiche di elasticità e semplicità operativa a quelle di efficienza ed economicità.
Tali sistemi, infatti, sebbene richiedano superfici relativamente ampie (anche marginali), sono abbastanza semplici nella fase di realizzazione, presentano bassi costi di esercizio e consentono il riuso degli effluenti depurati a fini diversi.
I sistemi di fitodepurazione, conosciuti anche con il termine di aree
umide artificiali (derivato dall’anglosassone “constructed wetlands”),
intendono ricreare le stesse condizioni trofiche che si instaurano nelle
aree umide naturali, esaltando e favorendo con opportuni accorgimenti
(scelta delle specie vegetali, scelta del substrato, gestione del carico
idraulico) i processi depurativi dovuti all’interazione delle diverse
componenti (piante, microrganismi, terreno, acqua) che mediante
azioni chimiche, fisiche e biologiche, contribuiscono sinergicamente alla riduzione della concentrazione degli inquinanti.
Le applicazioni di tali sistemi, avviate nel 1977 a Othfresen (Germania) per il trattamento di reflui urbani, sono oramai ampiamente diffuse a livello internazionale confermando l’efficacia di trattamento di diverse tipologia di reflui: civili, drenaggio agricolo ed urbano, percolato di discarica, industriali, miniere, zootecnici, ecc..
In Italia l’emanazione di diversi provvedimenti legislativi e normativi (D.Lgs. 152/99 e D.Lgs. 152/2006, parte III, e s.m.i.) ha suscitato l’interesse della collettività verso i trattamenti naturali con particolare riferimento ad agglomerati con popolazione fino a 2.000 A.E., auspicando peraltro il loro impiego anche nel caso di agglomerati di maggiori dimensioni (popolazione fino a 25.000 A.E.), come sistemi di affinamento a valle di impianti a fanghi attivi o a filtri percolatori.
Un ulteriore esplicito riferimento all’utilizzo dei sistemi di fitodepurazione è riportato anche nel Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio n. 185 del 12/06/2003 che stabilisce il “Regolamento recante norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue” e fissa dei limiti per i parametri microbiologici (Escherichia coli) che risultano meno restrittivi proprio per le acque reflue depurate provenienti da sistemi naturali, incentivando di fatto il ricorso a tali tecniche di trattamento.
Tuttavia, nonostante tale tecnica depurativa presenti notevoli
potenzialità applicative, nel favorevole contesto climatico e territoriale
dell’Italia meridionale, risulta decisamente poco diffusa, a causa della
carenza di conoscenze tecnico-operative sulle loro prestazioni, sui
vincoli e sui criteri progettuali.
1.2 Obiettivi
In relazione a quanto evidenziato in premessa, il presente volume ha lo scopo di promuovere una gestione delle acque reflue attraverso tecniche di depurazione naturale caratterizzate dall’elevata sostenibilità tecnica, economica ed ambientale. In tale contesto, gli autori intendono offrire un esaustivo quadro d’insieme delle principali tecniche fitodepurative che costituisca un’utile strumento, per le amministrazioni locali e per gli operatori e tecnici del settore, per operare una selezione delle soluzioni impiantistiche, in funzione dei diversi contesti ambientali, finalizzate anche ad un possibile riuso delle acque reflue trattate.
La presente pubblicazione è stata articolata come di seguito riportato:
- analisi degli aspetti normativi nazionali relativi alla depurazione e al riutilizzo delle acque reflue (capitolo 2) ;
- descrizione delle principali tecniche di fitodepurazione (capitolo 3) e degli aspetti legati alla selezione, propagazione e ruolo della vegetazione in tali sistemi (capitolo 4);
- descrizione delle modalità di valutazione (capitolo 6) e modellazione (capitolo 8) del comportamento idraulico dei reflui all’interno dei letti di fitodepurazione;
- illustrazione dei criteri di dimensionamento, realizzazione, gestione e monitoraggio delle principali tipologie di sistemi di fitodepurazione (capitolo 7);
- analisi di casi studio di applicazione di impianti di
fitodepurazione, ubicati in Sicilia, per il trattamento di diverse
tipologie di reflui (capitolo 9).
2 LEGISLAZIONE ITALIANA PER IL TRATTAMENTO ED IL RIUSO DELLE ACQUE REFLUE
2.1 Normativa sul trattamento delle acque reflue
La norma comunitaria di riferimento in materia di trattamento delle acque reflue urbane è costituita dalla Direttiva 91/271/CEE, concernente la raccolta, il trattamento e lo scarico delle acque reflue urbane, nonché il trattamento e lo scarico delle acque reflue originate da taluni settori industriali, al fine di proteggere l’ambiente da possibili danni che da queste possono derivare.
Nella Direttiva 91/271/CEE viene stabilito l’obbligo di realizzare sistemi di trattamento e di raccolta (reti fognarie) delle acque reflue per tutti gli agglomerati
1, in funzione delle dimensioni e dell’ubicazione degli stessi, secondo limiti temporali che variano in funzione del grado di rischio ambientale dell’area in cui avviene lo scarico e della potenzialità dell’impianto o dello scarico, espressa in abitanti equivalenti (A.E.)
2. Rispetto alla tipologia delle aree di scarico la Direttiva prevedeva la designazione, da parte degli stati membri, delle aree sensibili (entro il 31 dicembre 1993) e delle aree meno sensibili (come definite all’Allegato II della Direttiva). Inoltre, nella stessa Direttiva si prevedeva:
- entro il 31 dicembre 1998, tutti gli agglomerati con oltre 10.000 A.E. con scarichi ubicati in aree dichiarate “sensibili” dovranno disporre di un trattamento “più spinto” del secondario;
- entro il 31 dicembre 2000, tutti gli agglomerati con un numero di abitanti equivalenti superiore a 15.000, che non riversano le acque reflue in un’area sensibile, dovranno disporre di un sistema di raccolta e di trattamento secondario;
1 "Agglomerato": area in cui la popolazione e/o le attività economiche sono sufficientemente concentrate così da rendere possibile la raccolta e il convogliamento delle acque reflue urbane verso un impianto di trattamento di acque reflue urbane o verso un punto di scarico finale.
2 "1 A.E. (Abitante Equivalente)": il carico organico biodegradabile, avente una richiesta
- entro il 31 dicembre 2005, tutti gli agglomerati con un numero di abitanti equivalenti compreso tra 2.000 e 10.000 che riversano le acque reflue in un’area sensibile e tutti gli agglomerati con un numero di abitanti equivalenti compreso tra 2.000 e 15.000 con scarichi ubicati in aree non sensibili, dovranno dotarsi di un sistema di raccolta e di trattamento;
- entro il 31 dicembre 2005, anche gli agglomerati di minori dimensioni che già disponevano di un sistema di raccolta dovranno dotarsi di un sistema di trattamento appropriato, ovvero di un trattamento delle acque reflue urbane mediante un processo e/o un sistema di smaltimento che dopo lo scarico garantisca la conformità delle acque recipienti ai relativi obiettivi di qualità e alle relative disposizioni della presente direttiva e di altre direttive pertinenti
In Italia, la direttiva 271/91 dell’Unione europea concernente la qualità delle acque di scarico è stata recepita prima con il D.Lgs. 152/99 (“Testo Unico sulle Acque”), successivamente modificato con il D.lgs 152/2006; con tale decreto sono stati imposti nuovi limiti per lo scarico delle acque reflue depurate ed è stata abrogata la Legge Merli (L.319/76) che fino a quella data aveva regolato il settore della depurazione delle acque.
Il decreto legislativo n.152 emanato il 3 aprile 2006 (“Codice dell’Ambiente”), ha riordinato, coordinato ed integrato tutta la legislazione in materia ambientale dando attuazione ad un'ampia delega conferita al Governo dalla legge n. 308 del 15 dicembre 2004.
(ISPRA, 2012). Tale decreto ha recepito otto direttive comunitarie
ancora non entrate nella legislazione italiana nei settori oggetto della
delega e l’abrogazione delle disposizioni non più in vigore. In
particolare, in materia di acque, il D.Lgs. n. 152/2006 ha recepito la
direttiva comunitaria n. 2000/60 disciplinando la tutela qualitativa e
quantitativa delle acque dall’inquinamento e l’organizzazione del
servizio idrico integrato attraverso l’abrogazione del D.Lgs. 152/99
(Testo Unico sulle Acque) e della legge n. 36/94 (legge Galli). La parte
terza del “Codice dell’Ambiente” stabilisce alcune disposizioni per la tutela delle acque con i seguenti obiettivi:
- prevenire e ridurre l’inquinamento e attuare il risanamento dei corpi idrici contaminati attraverso l’individuazione di specifici obiettivi di qualità;
- perseguire gli usi sostenibili della risorsa idrica;
- incentivare al riutilizzo multiplo delle acque reflue per un risparmio idrico più efficace;
- intervenire in modo che il riuso delle acque reflue avvenga in condizioni di sicurezza.
I limiti di emissione fissati dal D.Lgs. n.152/2006 vengono differenziati a seconda che lo scarico degli impianti di trattamento dei reflui avvenga o meno in corpi idrici recettori situati in aree sensibili
3e afferma l’esigenza di valutare gli effetti sinergici tra i diversi scarichi e di mettere in atto un approccio integrato che combini i limiti agli scarichi con limiti di qualità dei corpi idrici (art. 73, comma 2).
Nella tabella 2.1 che riassume quanto riportato nelle tabelle 1 e 2 dell’allegato 5 del D.Lgs. 152/2006, sono riportati i limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane che recapitano in corpi idrici superficiali.
Nella tabella 2.1, i limiti di emissione sono differenziati in funzione degli abitanti equivalenti (AE) e dell’area (non sensibile o sensibile), inoltre sono indicate le percentuali minime di riduzione dei parametri inquinanti in rapporto al carico inquinante e le tipologie di trattamento considerate “minime” per il raggiungimento dei suddetti limiti.
Tabella 2.1: Limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane che recapitano in corpi idrici superficiali (All.5 - D.Lgs. 152/2006)
Popolazione Aree non sensibili Aree sensibili
< 2.000 AE trattamento appropriato
2.000-10.000 AE
trattamento secondario o equivalente
Concentrazione Rimozione % Concentrazione Efficienza % BOD5< 25 mg/L
COD< 125 mg/L SST < 35 mg/L
70-90 75 70
BOD5< 25 mg/L COD< 125
mg/L SST < 35 mg/L
70-90 75 70
> 10.000 AE
trattamento secondario o
equivalente trattamento avanzato Valore Efficienza % valore Efficienza % BOD5< 25 mg/L
COD< 125 mg/L SST < 35 mg/L
80 75 90
BOD5< 25 mg/L COD<125 mg/L SST < 35 mg/L Ntot < 15 mg/L Ptot < 2 mg/L
80 75 70-80 90
80
> 100.000 AE
trattamento secondario o
equivalente trattamento avanzato Valore Efficienza % Valore Efficienza % BOD5< 25 mg/L
COD<125 mg/L SST < 35 mg/L
80 75 90
BOD5< 25 mg/L COD<125 mg/L SST < 35 mg/L Ntot < 10 mg/L Ptot < 1 mg/L
80 75 70-80 90
80 AE: abitanti equivalenti
Nel medesimo decreto 152/2006 (Allegato 5, paragrafo 3), viene
consigliata l’adozione di alcune tecnologie di trattamento naturale
quali il lagunaggio o la fitodepurazione per tutti gli agglomerati con
popolazione equivalente compresa tra 50 e 2.000 AE e, laddove le
caratteristiche territoriali e climatiche lo consentano, per gli
agglomerati in cui la popolazione equivalente fluttuante sia superiore
al 30% della popolazione residente. Inoltre. il ricorso a tali tecnologie
viene auspicato anche per gli agglomerati di maggiori dimensioni con
popolazione equivalente compresa tra i 2.000 e i 25.000 AE, come
trattamento di affinamento da realizzarsi a valle di impianti a fanghi
attivi o a biomassa adesa. Questa disposizione normativa ha dato un
l’interesse di tecnici ed amministratori, per l’impiego delle tecniche naturali di depurazione.
Nel D.Lgs. 152/2006 (Parte terza, Allegato 5, Tabella 3) vengono fissati i valori limiti delle acque reflue di origine industriale per lo scarico in acque superficiali o in rete di fognatura. I limiti di emissione di alcuni parametri (in totale sono 51) sono riportati in Tabella 2.2.
Tabella 2.2: Valori limiti di alcuni parametri per lo scarico in acque superficiali ed in fognatura (D.Lgs. 152/2006, Parte terza, Allegato 5, Tabella 3)
PARAMETRI unità di
misura Scarico in acque superficiali Scarico in rete fognatura
pH 5,5-9,5 5,5-9,5 (*)
Colore non percettibile
con diluizione 1:20 non percettibile con diluizione 1:40
Odore non deve essere causa di
molestie non deve essere causa di molestie
materiali grossolani assenti assenti
Solidi Sospesi
Totali mg/L < 80 < 200
BOD5 (come O2) mg/L < 40 < 250
COD (come O2) mg/L < 160 < 500
Escherichia coli UFC/100mL < 5.000
2.2 Normativa sul riuso delle acque reflue
Nel D.Lgs. 152/99 erano contenuti anche importanti riferimenti al riutilizzo delle acque reflue in particolare nei seguenti articoli:
- art. 23, comma 3, che regola le concessioni idriche, ove si invita a tenere conto delle possibilità di utilizzo delle acque reflue depurate;
- art. 24, commi 1 e 2, in cui si sancisce l’obbligo da parte di chi gestisce o utilizza la risorsa idrica all’adozione di misure volte all'incremento del riciclo e del riutilizzo, con l'adozione di reti duali e contatori differenziati, compresi incentivi economici con tariffe differenziate;
- art. 26, comma 1 (in sostituzione dell'art. 14 della L. 36/1994 -
legge “Galli”, disposizioni in materia di risorse idriche), che
incentiva nelle utenze industriali il riutilizzo delle acque reflue o già usate nel ciclo produttivo;
- art. 26, comma 2 (in sostituzione di quanto previsto nell’art. 6 della medesima legge “Galli”), dove si fa riferimento ad un ulteriore decreto che definisca le norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue.
In applicazione dell’art. 26 del D.Lgs. 152/99 il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio ha emanato il D.M. n.185 del 12 giugno 2003 (pubblicato sulla G.U. n. 169 del 23 luglio 2003) che stabilisce le “Norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue”.
Tale decreto stabilisce che il riutilizzo delle acque reflue deve avvenire in condizioni di sicurezza ambientale e che il riutilizzo è liberamente consentito previo trattamento di recupero4 diretto ad assicurare il rispetto dei requisiti di qualità previsti per il riuso.
Le destinazioni d’uso ammissibili delle acque reflue recuperate, riportate nel suddetto decreto, sono le seguenti:
- irriguo: per l’irrigazione di colture destinate sia alla produzione di alimenti per il consumo umano ed animale sia a fini non alimentari, nonché per l’irrigazione di aree destinate al verde o ad attività ricreative o sportive;
- civile: per il lavaggio delle strade dei centri urbani; per l’alimentazione dei sistemi di raffreddamento e riscaldamento;
per l’alimentazione di reti duali di adduzione, separate da quelle delle acque potabili, con esclusione dell’utilizzazione diretta di tale acqua negli edifici ad uso civile, ad eccezione degli impianti di scarico nei servizi igienici;
- industriale: come acqua antincendio, di processo, di lavaggio e per i cicli termici dei processi industriali, con l’esclusione degli usi che comportano un contatto tra le acque reflue recuperate e gli alimenti o i prodotti farmaceutici e cosmetici.
4 Il D.M. n. 185/2003 definisce come recupero: la riqualificazione di un acqua reflua, mediante adeguato trattamento depurativo, al fine di renderla adatta alla distribuzione per specifici
Nella tabella 2.3 sono indicati alcuni dei parametri chimico-fisici e microbiologi ed i relativi requisiti minimi di qualità delle acque reflue destinate al riutilizzo, per come riportato nella tabella
5allegata al D.M.
n.185/2003.
In particolare, nel D.M. 185/2003 vengono stabilite alcune specifiche disposizioni:
- per il riuso irriguo i limiti riportati per fosforo ed azoto possono essere elevati rispettivamente a 10 e 35 mg/L, fatte salve le prescrizioni nel caso di aree irrigue ubicate in zone vulnerabili ai nitrati;
- per le acque reflue provenienti da lagunaggio e fitodepurazione i limiti di Escherichia coli sono aumentati a 50 UFC/100 mL (80%
dei campioni) e 200 UFC/100 mL (valore puntuale massimo);
- i valori limite riportati in tabella per i parametri pH, azoto ammoniacale, conducibilità elettrica specifica, alluminio, ferro, manganese, cloruri, e solfati, sono da considerare valori guida (per la conducibilità elettrica il valore limite è 4 dS/m), per i quali le Regioni possono autorizzare limiti diversi previo parere del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio. In nessuna circostanza è comunque ammesso il superamento dei limiti previsti per lo scarico in corpo idrico;
- in caso di riutilizzo per destinazione industriale, le parti interessate possono fissare limiti specifici in relazione alle esigenze dei cicli produttivi, nel rispetto comunque dei limiti allo scarico in corpo idrico.
Inoltre, nel D.M. n.185/2003, allo scopo di incentivare il riutilizzo delle acque nel settore irriguo e civile si stabilisce che:
- le Regioni possono stabilire appositi accordi di programma con i titolari degli impianti di recupero delle acque reflue e i titolari delle reti di distribuzione, anche al fine di prevedere agevolazioni e incentivazioni al riutilizzo;
5 La tabella completa che comprende 54 parametri , allegata al D.M. n. 185/2003, è
- l’acqua reflua recuperata è conferita dal titolare dell’impianto di recupero al titolare della rete di distribuzione senza oneri a carico di quest’ultimo;
- il soggetto titolare della rete di distribuzione (che può essere diverso dal titolare ell’impianto di recupero) fissa la tariffa relativa alla distribuzione delle acque reflue recuperate.
Tabella 2.3: Valori limite di alcuni parametri per il riutilizzo delle acque reflue all’uscita dell’impianto di depurazione (D.M. n. 185/2003)
Parametro Unità di
misura Valore limite
pH 6 – 9,5
SAR 10
Materiali grossolani Assenti
Solidi sospesi totali mg/L 10
BOD5 mg/L 20
COD mg/L 100
Fosforo totale * mg/L 2
Azoto totale* mg/L 15
Azoto ammoniacale mg/L 2
Conducibilità elettrica dS/m 3
Boro mg/L 1,0
Cadmio mg/L 0,005
Cromo totale mg/L 0,1
Ferro mg/L 2
Rame mg/L 1
Zinco mg/L 0,5
Solfuri mg/L 0,5
Solfiti mg/L 0,5
Solfati mg/L 500
Cloro attivo mg/L 0,2
Cloruri mg/L 250
Grassi e oli animali/ vegetali mg/L 10
Oli minerali mg/L 0,05
Tensioattivi totali mg/L 0,5
Escherichia coli ** UFC/100 mL 10 (80% dei campioni) - 100 (valore max) Salmonella UFC/100 mL Assente (100% dei campioni)
* Per il riuso irriguo i limiti riportati per fosforo ed azoto possono essere elevati rispettivamente a 10 mg/L e 35 mg/L;
** Per le acque reflue recuperate provenienti da lagunaggio o fitodepurazione valgono i limiti di 50 UFC/100 mL (80% dei campioni) e 200 UFC/100 mL (valore puntuale massimo).
Il riutilizzo deve avvenire in condizioni di sicurezza ambientale, evitando alterazioni agli ecosistemi, al suolo ed alle colture, nonché rischi igienico-sanitari per la popolazione esposta e comunque nel rispetto delle vigenti disposizioni in materia di sanità e sicurezza e delle regole di buona prassi industriale e agricola (art. 1, comma 2).
Il riutilizzo irriguo di acque reflue recuperate deve essere realizzato con modalità che assicurino il risparmio idrico e non può comunque superare il fabbisogno delle colture e delle aree verdi, anche in relazione al metodo di distribuzione impiegato (art. 10, comma 1).
Inoltre, il metodo irriguo non deve comportare il contatto diretto dei prodotti edibili crudi con le acque reflue recuperate e il riutilizzo irriguo non deve riguardare aree verdi aperte al pubblico.
Per tutti i parametri fisico-chimici i valori limite devono essere riferiti a valori medi su base annua o, nel solo caso del riutilizzo irriguo, della singola campagna irrigua. Il riutilizzo deve comunque essere immediatamente sospeso ove, nel corso dei controlli, il valore puntuale di qualsiasi parametro risulti superiore al 100% del valore limite.
Occorre ricordare che ai sensi dell’articolo 99, comma 1, del D.Lgs. n.
152 /2006, il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio ha successivamente emanato il decreto D.M. 2 maggio 2006 (G.U. n. 108 del 11 maggio 2006), per la regolamentare il riutilizzo delle acque reflue domestiche, urbane ed industriali. Tuttavia, tale decreto è stato dichiarato inefficace, insieme ad altri decreti ministeriali attuativi del D.Lgs. n.152/2006, per il mancato invio e, quindi, la loro mancata registrazione presso la Corte dei Conti (ISPRA, 2012). Pertanto, in Italia il riutilizzo delle acque reflue è tuttora regolamentato dal D.M.
n. 185 del 12 giugno 2003.
La normativa italiana per il riuso delle acque reflue è particolarmente
restrittiva e comporta una complessa ed onerosa attività di
monitoraggio che risulta sostenibile solo per i grandi sistemi di riuso
(Cirelli et al., 2008; Barbagallo et al., 2012; Aiello et al., 2013). Inoltre,
fissa dei limiti uguali per tutte le tipologie di riuso ed in particolare nel
funzione delle colture agricole e del metodo irriguo utilizzato, così come invece stabilito nelle normative in vigore in altri Paesi europei.
Il riuso delle acque reflue in Italia nonostante le enormi potenzialità è una pratica ancora poco diffusa, sebbene negli ultimi anni siano entrati in esercizio soprattutto in Lombardia (Impianti di San Rocco e Nosedo) ed Emilia Romagna (Impianto di Mancasale) alcuni grandi sistemi di recupero delle acque reflue (San Rocco e Nosedo). Esistono ancora numerose resistenze per inserire nell’ambito della pianificazione delle opere del servizio idrico integrato il riuso delle acque reflue (Licciardello et al., 2018) anche per le difficoltà di far gravare sugli utenti del servizio idrico tramite un incremento della tariffa, i costi relativi agli ulteriori trattamenti che si rendono necessari ai sensi del D.M. 185/2003.
È ormai necessaria una profonda revisione della normativa italiana in linea con le normative di altri Paesi europei che tenga conto dei più recenti risultati delle attività di ricerca svolte in Italia e all’estero sul tema del riuso delle acque reflue (Castorina et al. , 2016; Licciardello et al., 2018).
Nel maggio del 2018 sulla base dei risultati di uno studio molto articolato redatto dai ricercatori del Joint Research Center e denominato “Minimum quality requirements for water reuse in agricultural irrigation” (Alcalde-Sanz et al., 2017), il Parlamento ed il Consiglio Europeo hanno redatto la proposta di una normativa sul riuso delle acque reflue “Regulation on minimum requirements for water reuse” (EC, 2018). L’obiettivo della normativa europea è quello di incrementare nei prossimi anni il recupero delle acque reflue fino a 6,6 miliardi m
3per anno, attualmente si stima che il volume di acque reflue recuperato sia pari a circa 1,7 miliardi m
3per anno.
La proposta di normativa europea appare migliorativa rispetto alla
normativa italiana, in quanto prevede in relazione al tipo di colture ed
al metodo irriguo (Tabella 2.4) la possibilità di differenziare i limiti di
qualità prendendo in esame solo un limitato numero di parametri (E.
coli, BOD, Solidi Sospesi Totali – SST, Torbidità) e in alcuni casi anche la Legionella ssp. ed i Nematodi intestinali (Tabella 2.5).
Tabella 2.4: Tipo di colture in relazione al metodo irriguo: Allegato 1/Tabella 1 alla proposta di normativa europea (EU, 2018)
CGT Tipologie colturali Metodo irriguo
A Tutti i tipi di colture, comprese quelle da consumarsi crude e la
cui parte edibile è a diretto contatto con le acque reflue Tutti i metodi irrigui B Colture i cui prodotti agricoli possono consumarsi crudi e la cui
parte edibile è fuori terra e non entra a diretto contatto con le acque reflue, colture che subiscono un trattamento chimico-fisico e colture no-food comprese quelle destinate all’alimentazione degli animali (da latte o da carne)
Tutti i metodi irrigui
C Microirrigazione
D Colture industriali, da biomassa, oleaginose e colture da seme Tutti i metodi irrigui
Tabella 2.5: Qualità delle acque reflue per l’irrigazione: (Allegato 1/Tabella 2) alla proposta di normativa europea (EU, 2018)
CGT Tipologia
trattamento E.coli
(UFC/100 mL) BOD
(mg/L) SST
(mg/L) Torbidità
(NTU) Altri parametri
A
Trattamento secondario, filtrazione e disinfezione
≤ 10 o sotto il limite di rilevabilità strumentale
≤ 10 ≤ 10 ≤ 5
Legionella spp. ≤ 1.000
UFC (se presente rischio di aerosol in colture in serra) Nematodi intestinali (uova di elminti): ≤ 1
uovo/L per l’irrigazione
di pascoli e foraggio B Trattamento
secondario e
disinfezione ≤ 100 Secondo i parametri stabiliti
dalla direttiva
europea 91/271/EEC
(Allegato I, Tabella 1)
Secondo i parametri stabiliti dalla
direttiva europea 91/271/EEC
(Allegato I, Tabella 1)
-
C Trattamento secondario e
disinfezione ≤ 1.000 -
D Trattamento secondario e
disinfezione ≤ 10.000 -
3 SISTEMI DI FITODEPURAZIONE
La fitodepurazione è una tecnica naturale di rimozione degli inquinanti che si basa sul principio di riprodurre gli stessi processi fisici, chimici e biologici di depurazione del sistema suolo-piante-microrganismi che caratterizzano gli habitat acquatici e le zone umide naturali (Kadlec e Wallace, 2009). In Figura 3.1 sono riportati i principali sistemi di fitodepurazione che verranno trattati nel presente volume.
Figura 3.1: Classificazione dei sistemi di fitodepurazione
Sulla base del regime di funzionamento idraulico i sistemi di fitodepurazione posso essere classificati in (Saeed e Sun, 2012; Fonder e Headley, 2013):
- sistemi a flusso superficiale: tra i sistemi di fitodepurazione, sono i
più simili alle zone umide naturali. Le acque reflue scorrono a
diretto contatto con l’atmosfera su un substrato permanentemente
saturo. La presenza della vegetazione e la configurazione stessa del
bacino contribuiscono a ridurre la velocità di deflusso dei reflui. In
tali sistemi possono essere utilizzate diversi tipi di macrofite, tra
cui: macrofite galleggianti, macrofite radicate sommerse e
macrofite radicate emergenti. Questa tipologia di impianto è principalmente utilizzata per il trattamento terziario delle acque reflue;
- sistemi a flusso subsuperficiale: in questi sistemi di fitodepurazione le acque reflue possono fluire orizzontalmente o verticalmente attraverso il medium di riempimento del bacino, e proprio in base alla direzione del flusso, tali sistemi vengono classificati in sistemi a flusso orizzontale e sistemi a flusso verticale. Il substrato, generalmente formato da materiale inerte, costituisce il supporto per le radici delle macrofite radicate emergenti. Tali impianti posso essere utilizzati come trattamento secondario o terziario delle acque reflue.
Le tipologie di sistemi sopra illustrati possono essere diversamente combinate in un unico impianto, definito ibrido o multistadio, allo scopo di ottenere una riduzione delle aree superficiali necessarie al raggiungimento degli obiettivi depurativi o per migliorare alcuni processi come l’abbattimento dell’azoto e del fosforo (Vymazal, 2013). Accanto a questi sistemi di fitodepurazione, definiti tradizionali, al fine di migliorare le performance depurative e ridurre le superfici dei bacini, sono stati messi a punto i sistemi di fitodepurazione aerati, denominate anche attivi o intensivi, nei quali viene insufflata aria mediante tubazioni disposte sul fondo o sulla superficie del bacino (Wallace, 2001). Un caso particolare dei sistemi di fitodepurazione, sono i sistemi di fitodepurazione a scarico zero.
Sono bacini nei quali nei quali le acque reflue vengono dapprima
accumulate, specialmente nella stagione invernale, e successivamente
disperse in atmosfera grazie al processo di evapotraspirazione delle
piante, in modo tale che non vi sia alcuno scarico (Gregersen e Brix,
2001). A titolo di esempio, in Tabella 3.1 sono riportate le efficienze
depurative che possono essere ottenuti nei sistemi di fitodepurazione
più comuni.
Tabella 3.1: Prestazioni depurative dei principali sistemi di fitodepurazione (IWA, 2017)
Parametro sistemi a flusso subsuperficiale orizzontale
sistemi a flusso subsuperficiale
verticale
sistemi a flusso superficiale Tipo di trattamento Secondario Secondario terziario Solidi sospesi totali (SST) > 80% > 90% > 80%
Materia organica (BOD) > 80% > 90% > 80%
Azoto ammoniacale (NH3) 20-30 > 90% > 80%
Azoto totale (Ntot) 30-50 <20 30-50
Fosforo totale (Ptot) 10-20 10-20 10-20
Coliformi Fecali 2 log10 2-4 log10 1 log10
Al fine di non contaminare la falda, i bacini di fitodepurazione dovranno essere impermeabilizzati attraverso materiali naturali (strati di argilla) o artificiali (HDPE, PVC). Infine, è necessario sottolineare che prima del trattamento di fitodepurazione le acque reflue devono essere sottoposte ad un pretrattamento di grigliatura e sedimentazione primaria (per piccoli sistemi può essere adottata una vasca Imhoff) allo scopo di eliminare le particelle di dimensioni maggiori e ridurre la concentrazione di solidi sedimentabili e sospesi in ingresso.
3.1 Sistemi a flusso superficiale
I sistemi di fitodepurazione a flusso superficiale sono detti anche “a
superficie libera” o, con terminologia anglosassone, free water surface
(FWS). Tali sistemi sono costituiti da bacini di forma allungata e
impermeabilizzati, in cui il livello dell’acqua è costantemente
mantenuto sopra la superficie del medium con battente tipicamente
compreso tra 0,3 e 0,6 m in relazione alle macrofite adottate (Figura
3.2). In essi il refluo pre-trattato viene immesso in continuo.
Figura 3.2: Sistemi a flusso superficiale a macrofite radicate emergenti (FWS)
La presenza della vegetazione rallenta la velocità del flusso aumentando così il tempo di contatto tra le piante stesse e i reflui. In questo modo, oltre a limitare la velocità del vento che ostacolerebbe il processo di sedimentazione (Watson et al., 1989), viene favorita la sedimentazione dei solidi sospesi e lo svolgimento dei processi biologici di degradazione. Poiché, contrariamente ai sistemi a flusso subsuperficiale, la superficie idrica del bacino è quasi completamente a contatto con l’atmosfera, si possono verificare degli inconvenienti connessi alla possibile diffusione nell’atmosfera di odori sgradevoli e alla proliferazione di insetti. Tuttavia lo sviluppo degli insetti può essere efficacemente contenuto mediante l’introduzione all’interno dei bacini di animali insettivori, quali pesci e rane, che si nutrono delle larve presenti sul pelo libero. In particolare, in ambienti prevalentemente aerobici, risulta particolarmente diffusa l’introduzione di pesci Gambusia (Gambusia affinis) efficienti predatori di larve di zanzara. Comunemente i sistemi a flusso superficiale vengono utilizzati in Italia come stadio di affinamento di effluenti provenienti da trattamenti biologici come i fanghi attivi o gli impianti di fitodepurazione a flusso sommerso.
3.1.1 Sistemi a flusso superficiale a macrofite galleggianti
I sistemi a flusso superficiale a macrofite galleggianti consistono in
uno o più bacini con una profondità variabile da 0,1 m a 0,6 m e con il
fondo impermeabilizzato da argilla o geomembrane (Iannelli, 2001).
Le piante utilizzate hanno un apparato radicale che si sviluppa nella massa liquida ed i loro tessuti fotosintetizzanti, espandendosi sulla superficie, ombreggiano quasi completamente il liquido sottostante e impediscono lo sviluppo di alghe (Brix, 1998). Questo fenomeno favorisce l’instaurarsi di condizioni anaerobiche nella maggior parte dell’altezza della colonna d’acqua ad eccezione della zona superficiale, dove perdurano condizioni aerobiche per il trasferimento di ossigeno dai tessuti fotosintetici alle radici e da queste al liquame.
Le condizioni anaerobiche presenti sul fondo del bacino possono generare delle esalazioni sgradevoli derivanti dalla formazione di idrogeno solforato e composti ammoniacali; la loro propagazione nell’atmosfera può però essere impedita sia dalla copertura vegetale superficiale che dalla loro ossidazione nella zona aerobica del bacino.
La stessa copertura vegetale, però, può anche impedire la diffusione nell’atmosfera dell’anidride carbonica e diminuire quindi il pH delle acque reflue con conseguenze negative sul processo di nitrificazione (Garuti, 2000). Il principale limite dei sistemi a macrofite galleggianti è rappresentato dall’elevata frequenza con la quale è necessario rimuovere le piante; ciò implica una notevole richiesta di manodopera e problemi di smaltimento della biomassa prodotta.
3.1.2 Sistemi a flusso superficiale a macrofite radicate
Nei sistemi FWS a macrofite radicate vengono di solito adoperate
congiuntamente le macrofite emergenti e sommerse. È rara
l’applicazione di sole macrofite sommerse, mentre i sistemi a flusso
superficiale con sole macrofite emergenti trovano un moderato utilizzo
(Garuti, 2000). Gli impianti a macrofite radicate sono costituiti da
bacini il cui livello idrico varia tra 0,1 ed 1 m in funzione delle
caratteristiche del liquame da trattare e del tipo di essenza vegetale
adottata (Vismara et al., 2000). Le profondità minori garantiscono
un’adeguata presenza di ossigeno lungo tutta la colonna d’acqua,
mentre con altezze maggiori si vengono a stabilire condizioni
anaerobiche sul fondo. Il fondo del bacino, opportunamente
impermeabilizzato, viene ricoperto con materiale di diversa natura
(sabbia, pietre, ghiaia, argilla), per consentire la radicazione delle
piante. L’altezza del medium in grado di permettere il normale
sviluppo delle radici e rizomi delle macrofite più comunemente
utilizzate è di 0,3-0,4 m; tale altezza è in grado di impedire anche la
possibile perforazione, da parte delle radici, dell’eventuale copertura
sintetica. Nei sistemi a FWS con macrofite radicate, al contrario di
quanto accade in quelli a macrofite galleggianti, la superficie del
bacino risulta quasi completamente a contatto con l’atmosfera
favorendo così l’azione battericida svolta dalla radiazione solare negli
strati superficiali della colonna d’acqua. Inoltre, la presenza della
vegetazione all’interno della massa liquida, rallenta il flusso di liquami
aumentando così il tempo di contatto tra le piante e le acque reflue e
favorendo la sedimentazione dei solidi sospesi e lo svolgimento dei
processi biologici. In tal modo viene anche limitata la velocità del
vento vicino alla superficie delle acque reflue riducendo la turbolenza
idraulica che ostacola il processo di sedimentazione. Nel complesso,
dunque, i sistemi a macrofite radicate presentano, rispetto a quelli a
macrofite galleggianti, una maggiore efficienza depurativa che
peraltro risulta essere pressoché costante durante tutto l’anno grazie
alla sopravvivenza, nella stagione fredda, delle radici e rizomi sui quali
si sviluppano i batteri. Un ulteriore vantaggio è infine rappresentato
dalla minore frequenza di rimozione della biomassa. Lo sfalcio e/o il
taglio delle macrofite viene infatti effettuato mediamente con
frequenza annuale, principalmente per rinnovare la vegetazione ed
evitare che i residui vegetali, adagiandosi sul fondo del bacino,
reintroducano nel ciclo di biodegrazione gli elementi inquinanti da loro
assorbiti.
3.1.3 Sistemi flottanti
La fitodepurazione flottante permette di trattare grandi volumi di acqua in spazi relativamente contenuti ed è adatta alla depurazione in alveo in canali, fiumi e fossati, ma può essere realizzata anche all’interno di bacini artificiali e di vasche installate opportunamente (Borin et al., 2014). Vengono realizzati formando barriere trasversali al flusso dell’acqua, con l’utilizzo di piante galleggianti o non galleggianti, ma inserite su supporti flottanti (Figura 3.3).
Figura 3.3: Sistemi flottante di fitodepurazione (adattato da Borin et al., 2014)
Lo sviluppo delle radici delle piante può raggiungere e superare il
metro di profondità, svolgendo un importante ruolo di filtrazione fisica
oltre che di assorbimento dei nutrienti e di depurazione per effetto
combinato con le comunità microbiche simbionti (De Stefani et al.,
2011). Le piante non subiscono le normali oscillazioni stagionali del
livello dell’acqua in quanto galleggiano su di essa e quindi, si elimina
il pericolo di un periodo più o meno lungo di siccità che ne
compromette la vitalità. I vantaggi di questo sistema sono: gamma di
scelta delle specie più ampia; uniformità di insediamento e
comportamento della barriera; confinamento della vegetazione nel
settore assegnato; adattamento a mutevoli profondità della lama
d’acqua; versatilità gestionale. In Italia la fitodepurazione con sistemi
recente di questa eco tecnologia (Mietto et al., 2013). A titolo di esempio si riportano i dati acquisiti nel Comune di Alonte, dove l’affinamento ha consentito di ottenere che la totalità dei campioni analizzati rientrasse nei limiti di scarico in un corpo idrico superficiale imposti dal D.Lgs. 152/2006, mentre prima della fitodepurazione erano sopra il limite di legge il 20% dei campioni per il fosforo totale e il 30% dei campioni per l’azoto nitrico (Tabella 3.2).
Tabella 3.2: Prestazioni depurative della fitodepurazione flottante nel Comune di Alonte
Parametri Abbattimento (%)
Limite di legge (D.Lgs 152/2006)
(mg/L)
Frequenza di superamento (%)
In Out
COD 23,7 ≤ 160 0% 0%
TP 35,2 ≤ 10 20% 0%
NH4-N 69,9 ≤15 0% 0%
NO3-N 70,9 ≤ 20 30% 0%
3.2 Sistemi a flusso subsuperficiale
I sistemi a flusso subsuperficiale, indicati in letteratura internazionale
con il termine subsurface flow (SSF), rappresentano il sistema di
fitodepurazione maggiormente utilizzato in Europa. La principale
differenza fra i sistemi SSF e quelli FWS è rappresentata dalla
presenza, all’interno dei bacini, di un materiale inerte di riempimento
che ha funzione di supporto su cui si sviluppano le radici delle
macrofite radicate. Tale letto filtrante presenta, solitamente, altezze
variabili da 0,2 a 0,8 m a seconda del tipo di macrofite adottate e della
profondità dei loro apparati radicali (Cooper et al., 1996). Il letto
filtrante, all’interno del quale defluiscono le acque reflue che non
pervengono mai direttamente in contatto con l’atmosfera, riduce o
elimina del tutto i problemi connessi alla presenza di cattivi odori ed
alla proliferazione di insetti. Inoltre, l’efficienza depurativa ottenuta
permane elevata anche nei mesi invernali grazie all’inerzia termica del
medium ed alla copertura vegetale. D’altro canto, però, vengono a
mancare gli effetti benefici della radiazione solare per la rimozione dei
microrganismi e viene ostacolato lo scambio di ossigeno con l’atmosfera limitandone di fatto la presenza alla sola rizosfera. È stato infatti accertato che la capacità di trasporto di ossigeno delle piante risulta insufficiente a garantire lo sviluppo dei processi di decomposizione aerobica al di fuori delle zone più prossime alle radici e ai rizomi delle piante. Infine, la frequenza di rimozione della massa vegetale risulta essere notevolmente ridotta (al massimo una volta l’anno) contenendo così il problema dello smaltimento della biomassa prodotta. Nei sistemi SSF vengono utilizzate le stesse essenze vegetali impiegate nei sistemi a flusso superficiale con macrofite radicate. La specie in assoluto più impiegata risulta essere la Phragmites australis, grazie principalmente alla minore manutenzione richiesta, all’elevato tasso di crescita e alle maggiori profondità raggiunte dall’apparato radicale rispetto alla quasi totalità delle altre macrofite adottate.
Quest’ultima caratteristica consente un più efficace trasferimento di ossigeno al substrato.
3.2.1 Sistemi a flusso subsuperficiale orizzontale
Nei sistemi a flusso subsuperficiale orizzontale il liquame pretrattato
viene distribuito uniformemente su tutta la larghezza della vasca
attraverso una tubazione di distribuzione interrata posta nella sezione
trasversale di ingresso del letto perpendicolarmente alla direzione del
flusso. La distribuzione sotterranea risulta indispensabile in alcuni casi
(nei climi freddi evita i danni alle tubazioni dovuti al gelo) ed è
consigliata in altri (nei climi più caldi si evita la formazione di alghe
ed i possibili ristagni superficiali in ingresso), di contro interrando la
condotta di distribuzione se ne rende più difficile la manutenzione. Le
acque reflue vengono immesse nel sistema con un flusso in continuo e
percorrono il letto filtrante in direzione prevalentemente orizzontale
per tutta la sua lunghezza fino a giungere nella sezione terminale dove
vengono raccolte per mezzo di una tubazione forata posizionata sul
fondo e convogliate in un pozzetto di uscita (Figura 3.4). In tale
pozzetto vengono collocate le strutture di regolazione del livello idrico
del letto filtrante costituite, generalmente, da tubazioni flessibili
regolabili in altezza. Tali strutture di regolazione consentono da un lato di allagare completatemene il letto (allo scopo di facilitare lo sviluppo delle piantine appena trapiantate ed eliminare eventuali erbe infestanti), e dall’altro lato di effettuare lo svuotamento del sistema per le operazioni di manutenzione straordinaria. Il letto filtrante è costituito da materiale inerte a granulometria costante, ad eccezione della zona di ingresso e quella di uscita delle acque reflue dove vengono posizionati degli inerti di maggiore pezzatura per evitare la formazione di percorsi preferenziali da parte del liquame. La superficie utile dal letto filtrante risulta solitamente compresa tra 1 e 5 m
2/AE, in funzione della tipologia di trattamento da effettuare.
In particolare, i sistemi a flusso subsuperficiale orizzontale sono
particolarmente efficienti nella rimozione dei solidi sospesi che
avviene grazie ai processi di filtrazione e sedimentazione che si
verificano in maggior misura nella sezione di ingresso del letto
filtrante. Le quantità di azoto rimosso risultano generalmente piuttosto
modeste poiché le piante non riescono a fornire al letto filtrante
adeguati volumi di ossigeno per la degradazione della sostanza
organica e per le reazioni di nitrificazione. Per una stima preliminare
delle superfici necessarie, spesso necessaria per valutare la fattibilità
dell’intervento, possono essere utili le indicazioni contenute nelle
principali “linee guida” e manuali europei, riassunte nella Tabella 3.3.
Figura 3.4: Sistemi a flusso subsuperficiale orizzontale (H-SSF)
Tabella 3.3. Principali parametri europei per la progettazione preliminare di un sistema HF
Parametri Germania ATV, 1998 Austria Önorm, 1998
Rep. Ceca Vymazal
(1996);
Gran Bretagna
WRC, 1996 Danimarca Brix, 2005
Area 5 m2/AE 6 m2/ AE per BOD 2°:5 m2/ AE 3°:1 m2/ AE.
2°: 5 m2/ AE 3°: 0.5-1
m2/ AE. 5 m2/ AE.
Materiale riempimento
(Substrato)
U=d60/d10 <
5
Ghiaia ingresso 16-32
(4-8)mm principale 4-8
(2-4) mm
Ghiaia lavata 3-16 mm
Ghiaia lavata:
3-6 mm o 5-10 mm o 6-12 mm
U=d60/d10 <4 0,3<dmm 10<2 0,8<dmm 60<8
mm Permeabilità 10-4–10-3
m/s - 10-3 ÷ 3x10-3
m/s 10-3 m/s 1 x 10-3 m/s Carico
idraul.
superficiale 4 cm/d 5 cm/d - 2°: < 5 cm/d
3°: < 20 cm/d - Carico
organico - 112 Kg/ha x d < 80 Kg/ha x d - -
Profondità 0,5 m - 0,6 - 0,8 m 0,6 m 0,6 m
Legenda: 2° trattamento secondario; 3° trattamento terziario.
3.2.2 Sistemi a flusso subsuperficiale verticale
I sistemi a flusso subsuperficiale verticale sono, da un punto di vista costruttivo, del tutto simili a quelli a flusso orizzontale appena descritti. La differenza è rappresentata dalla modalità di immissione dei reflui e dalla tipologia di riempimento del sistema. I liquami da trattare vengono infatti immessi dall’alto (Figura 3.5) mediante una rete di tubazioni forate o dotate di erogatori che distribuiscono i reflui sull’intera superficie del letto.
Figura 3.5: Sistemi a flusso subsuperficiale verticale (V-SSF)
Le acque reflue percolano attraverso il medium con un flusso verticale, vengono raccolte sul fondo da un sistema di tubazioni di drenaggio e quindi convogliate in un pozzetto di uscita. Le tubazioni di distribuzione delle acque reflue vengono generalmente poste ad alcuni centimetri dalla superficie del letto e dotate di aperture o piccoli fori (8-10 mm) che permettono di ottenere un’elevata uniformità di distribuzione evitando fenomeni erosivi sulla superficie del medium.
Il riempimento delle vasche avviene in maniera discontinua con cicli
alternati di riempimento-svuotamento (reattori a batch), per cui il
substrato non risulta costantemente saturo. In presenza dunque di un
approvvigionamento intermittente, per garantire la continuità del
processo depurativo è necessario disporre di almeno due letti filtranti
posti in parallelo e alimentati in modo alternato, oppure servirsi, a
monte del sistema di fitodepurazione, di una vasca di raccolta e regolazione delle acque reflue pretrattate che può fungere anche da vasca di equalizzazione e sedimentazione.
L’alimentazione può essere realizzata per mezzo di un sistema di pompaggio temporizzato oppure mediante sistemi a sifone, nel caso in cui il carico idraulico lo permetta (Iannelli, 2001). Nei sistemi a flusso verticale vengono inoltre utilizzati materiali di riempimento a granulometria variabile, crescente dall’alto verso il basso della vasca, per evitare l’occlusione dei pori in prossimità del drenaggio di fondo.
I meccanismi di rimozione degli inquinanti sono sostanzialmente
uguali a quelli che si verificano nei sistemi H-SSF. La differenza
sostanziale, dal punto di vista dell’efficienza depurativa, è
rappresentata dalla maggiore efficacia dei processi di degradazione
della sostanza organica e nitrificazione degli impianti a flusso verticale
rispetto a quelli a flusso orizzontale. Ciò è dovuto alla maggiore
concentrazione di ossigeno presente nel sistema, ottenuta grazie ai cicli
di riempimento e svuotamento. In particolare, nella fase di
svuotamento il liquame percola lentamente verso il basso permettendo
la progressiva occupazione degli spazi liberati all’interno del medium
da parte dell’aria; con la successiva fase di caricamento, che ha inizio
quando il bacino è completamente svuotato, l’aria presente nel letto
filtrante viene bloccata nel sistema grazie al nuovo flusso di acque
reflue (Cooper et al., 1996). I sistemi V-SSF vengono dunque proposti
con la funzione specifica di nitrificazione, in associazione con letti a
flusso orizzontale che effettuino la successiva denitrificazione
anossica. Per una stima preliminare delle superfici necessarie, spesso
necessaria per valutare la fattibilità dell’intervento, possono essere utili
le indicazioni contenute nelle principali “linee guida” e manuali
europei, riassunte nella Tabella 3.4.
Tabella 3.4. Principali parametri europei per la progettazione preliminare di un sistema VF
Parametri Germania ATV, 1998 Austria
Önorm, 1998 Rep. Ceca
Vymazal, 1998 Gran Bretagna
WRC, 1996 Danimarca Brix, 2005
Area 2.5 m2/AE 5 m2/ AE per BOD
2° sotto 100 AE:
1^ vasca: 0,8-2 m2/ AE 2^ vasca: 50-
60% della 1^vasca 3° <1-2m2/AE
2°:1 m2/ AE BOD 2 m2/ AE
Materiale riempimento
(Substrato)
U=d60/d10
<5
Dall’alto al basso:
5 cm ghiaia da 8/16 mm 60 cm sabbia 15 cm ghiaia da
40 mm 20 cm ghiaia da
16/32 mm
Sabbia e ghiaia (0-12 mm)
d60/d10<4
Dall’alto al basso:
8 cm sabbia 15 cm ghiaia da 6
10 cm ghiaia da mm;
12 mm;
15 cm ghiaia da 30-60 mm
15 cm truciolato o altro isolante;
90 cm sabbia;
15 cm ghiaia grossolana Permeabilità
substrato 10-4–10-3
m/s - 10-3 ÷ 10-4 m/s - -
Carico idraul.
superficiale 60 mm/d - 20-80 mm/d 70-80 mm/d 100 mm/d Carico
organico 20-25 gr
BOD5/m2 - - 20-25 grBOD5/m2 30
grBOD5/m2
Profondità 0,8 m 0,5-0,8 m 0,6 m 1 m 1,2 m
Legenda: 2° trattamento secondario; 3° trattamento terziario.
3.2.3 Sistemi aerati
I sistemi di fitodepurazione aerati, denominate anche attivi o intensivi,
indicati in letteratura internazionale con il termine forced or active
aeration system, brevettati da Scott Wallace nel 2001 con il nome di
Forced Bed Aeration, sono sistemi di fitodepurazione a flusso
subsuperficiale (orizzontale e verticale) nei quali viene insufflata aria,
in continuo o a intermittenza, grazie alla presenza di tubazioni dedicate
disposte sul fondo del bacino (Figura 3.6).
Figura 3.6: Sistemi aerato a flusso subsuperficiale verticale (a) e orizzontale (b)
Il principale vantaggio di questa tecnologia, sempre più diffusa per il trattamento di acque reflue di diversa origine (domestica, industriale, percolato di discarica, animale e altro) e in diverse condizioni climatiche (Labella et al., 2015), è l’incremento di ossigeno disponibile per la comunità microbica con un conseguente miglioramento delle performance depurative degli inquinanti. Diversi studi riportano un’elevata efficienza di tali sistemi nella rimozione delle diverse forme di azoto (Li et al., 2014) e di contaminati emergenti (Ávila et al., 2014).
Rispetto ai sistemi di fitodepurazione tradizionali, i sistemi aerati
presentano un maggiore consumo energetico, per quanto questo
rimanga più basso rispetto ai sistemi a fanghi attivi convenzionali
(Austin et al., 2009), ma permettono di ridurre le superfici richieste di
4-5 volte rispetto ad impianti di fitodepurazione classici. A titolo
esemplificativo si riportano i risultati di un’attività di ricerca svolta nel
comune di Viladecans in Spagna, in cui sono stati confrontati tre
tipologie di sistemi di fitodepurazione a flusso sub superficiale
orizzontale per il trattamento secondario di acque reflue urbane: un
impianto tradizionale, uno continuamente areato e uno aerato ad
intermittenza (Uggetti et al., 2016). La concentrazione media di COD
in ingresso, pari a 118 ± 62 mg/L con picchi di 300 mg/L, è stata ridotta
a 68 ± 14 mg/L nel sistema continuamente aerato, a 53 ± 12 mg/L nel
sistema aerato ad intermittenza e a 61 ± 14 mg/L nel sistema
tradizionale. La concertazione di azoto ammoniacale in ingresso,
mediamente pari a 15 ± 11 mg/L, è stata ridotta a 7 ± 3 mg/L nel
sistema tradizionale mentre valori vicini allo zero sono stati ottenuti nei sistemi ad areazione continua e ad intermittenza.
3.3 Sistemi a scarico zero
I sistemi di fitodepurazione a scarico zero, detti anche vassoi
assorbenti, in francese plateau absorbant, conosciuti in letteratura
interazione come willow system, sono sistemi che hanno l’obbiettivo
primario, non di depurare i reflui, ma di eliminare totalmente il refluo
per effetto dell’evapotraspirazione. La traspirazione dell’acqua
assorbita da parte delle piante, unita alla normale evaporazione della
superficie del suolo, consente una forte riduzione del volume dei reflui
trattati, fino ad arrivare alla completa evapotraspirazione del liquame
e quindi ad azzerare lo scarico. Tali sistemi offrono una valida
soluzione in situazioni in cui vi è l’impossibilità di connettersi alla rete
fognaria o l’assenza di corpi idrici superficiali costringa le utenze a
scaricare sul suolo anche in presenza di falda vulnerabile. La superficie
necessaria ai sistemi ad ET è molto influenzata dal clima locale del sito
di installazione dell’impianto. Secondo USEPA (2002) i sistemi ET
sono fattibili in aree in cui la precipitazione annuale è minore
dell’evaporazione annuale e per evitare rischi di overflow è almeno
necessario che ET mensile + 5 cm sia maggiore della precipitazione
mensile. Il calcolo dell’area necessaria ai vassoi assorbenti si
determina con un bilancio idrico e, affinché non ci sia overflow, deve
essere fatto almeno su 10 anni di dati (USEPA, 2002). Nel bilancio si
considera, essenzialmente, che tutta la pioggia caduta sui letti
assorbenti s’infiltra e perciò deve essere evapotraspirata. La superficie
dei letti evapotraspiranti per un utilizzo in tutto l’anno a Boulder
(Colorado) per 4 abitanti equivalenti che scaricano 170 L/(AE·giorno)
dimensionati in modo che non si corra rischi di overflow è di 465÷557
m
2che corrispondono a 116÷139 m
2/AE (USEPA, 2002). In
Danimarca sono in esercizio più di 500 sistemi di fitodepurazione a
scarico zero piantumati con Salix viminalis L al servizio di abitazioni
ubicate in aree rurali. Tali impianti presentano una larghezza di 8 m,
una profondità di 1,5 m mentre la lunghezza dipende dalla superficie richiesta (Figura 3.7). A titolo di esempio, la superficie necessaria per il trattamento dei reflui provenienti da una singola abitazione in Danimarca è tipicamente compresa tra i 120-300 m
2(Gregersen et al., 2001).
Figura 3.7: Sezione trasversale di un sistema a scarico zero (modificato da Gregersen et al., 2001)