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Pensare la pedagogia in prospettiva fenomenologico-esistenziale: Husserl, Heidegger, Jaspers

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Academic year: 2021

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Francesca Caputo

PENSARE LA PEDAGOGIA IN PROSPETTIVA FENOMENOLOGICO-ESISTENZIALE ‒ HUSSERL, HEIDEGGER, JASPERS

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Indice

Nota introduttiva al quadro teorico-ipotetico della ricerca

Sui sentieri dell’apertura categoriale all’autoformazione ... ……….1

Capitolo 1 – Fenomenologia trascendentale – L’approccio teoretico di Edmund Husserl ... 13

1.1. La radice dell’essere ... ………13

1.2. Fenomenologia: la voce dell’oggetto ... 22

1.3. Il metodo fenomenologico: punti di partenza e direzioni di la-voro ... 26

1.4. Fenomenologia pura e fenomenologia empirica ... 36

1.5. L’intuizione eidetica o categoriale ... 41

1.6. Alterità e intersoggettività nella fenomenologia husserliana ... 47

1.7. Mondo naturale e mondo fenomenologico ... 49

1.8. Il soggetto trascendentale husserliano nella circolarità di noesi e noema ... 51

1.9. Io e il mondo che mi circonda ... 55

1.10. Fenomenologia trascendentale dell’intersoggettività ... 56

1.11. Dalla spiegazione causale alla comprensione del senso: Dil-they e Husserl ... 60

Capitolo 2 – Fenomenologia come saper udire, vedere e imparare a essere ... 65

2.1. Il sapere dell’essere ... 65

2.2. Percezione e totalità ... 68

2.3. Percezione e temporalità ... 73

2.4. Percezione e immaginazione ... 78

2.5. Meraviglia e desiderio di conoscere ... 80

2.6. Lo stupore tra l’essere e il nulla ... 88

2.7. L’incontro con le ‘cose’ ... 92

2.8. Il discoprirsi delle ‘cose’ ... 94

2.9. Le cose tra trascendenza e poesia ... 97

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Capitolo 3 – Fenomenologia esistenziale e pedagogia in Martin

Heidegger ... 109

3.1. La categoria dell’Esserci (Dasein) ... 109

3.2. L’Esserci come comprensione ontologica dell’essere-nel-mondo e del con-Esserci ... 113

3.3. L’Esserci tra deiezione e ri-appropriazione del proprio sé... 117

3.4. La decisione e la scelta come fondamenti esistenziali dell’agire dell’Esserci ... 121

3.5. Riflessioni in chiave fenomenologico-pedagogica sull’Heidegger di Essere e Tempo... 127

3.5.1. Il mondo della vita come essere-nel-mondo e con-essere ... 127

3.5.2. L’essere-nel-mondo in senso proprio e in libertà di se stesso ... 130

Capitolo 4 – Il pensiero poetante come apertura dell’essere ... 135

4.1. L’appartenenza dell’arte alla terra ... 135

4.2. Il linguaggio – manifestazione dell’essere ... 138

4.3. L’analisi ontologica della poesia e l’educazione al pensiero po-etico... 148

4.4. Abitare poeticamente il mondo come progetto di autoforma-zione ... 152

Capitolo 5 – Il logos pedagogico tra fenomenologia ed esistenziali-smo: da Hans-Georg Gadamer a Paul Ricœur ... 160

5.1. Introduzione ... 160

5.2. Hans-Georg Gadamer: l’ermeneutica come luogo della com-prensione ... 160

5.2.1. Storicità, autorità, tradizione e circolo ermeneutico ... 160

5.2.2. La linguisticità e il ruolo della traduzione come comprensione di sé e del mondo ... 164

5.3. Paul Ricœur: l’ermeneutica tra testo, azione e storia ... 168

5.3.1. L’orizzonte ermeneutico-fenomenologico del linguaggio ... 168

5.3.2. Identità narrativa e circolo ermeneutico ... 173

5.3.3. L’ospitalità linguistica e narrativa e il senso della colpa ... 176

5.3.4. La linguisticità del mondo e il senso della traduzione ... 179

5.4. Pedagogia e fenomenologia ... 181

Capitolo 6 – Fenomenologia esistenziale e pedagogia in Karl Ja-spers ... 186

6.1. I compiti della scienza e il filosofare esistenziale ... 186

6.2. Il mondo dell’esserci e la chiarificazione dell’esistenza ... 188

6.3. L’uomo in quanto esserci in libertà ... 189

6.4. L’orizzonte di senso dell’esserci esistenziale ... 192

6.5. Oltre la scienza: la cifra e la trascendenza ... 194

6.6. L’esserci in quanto immanenza e in quanto esistenza ... 197

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6.8. La cifra come apertura al mistero dell’essere ... 201

6.9. L’esserci esistenziale come ricerca pedagogica ... 204

6.10. Esistenzialismo e psicopatologia: questioni metodiche ... 209

6.11. L’uomo – quel tutto abbracciante o omnicomprensivo ... 212

6.12. Esistenzialismo e psichiatria ... 214

Capitolo 7 – La Cura come inter-relazione e processo di auto-formazione in Husserl e Heidegger ... 217

7.1. Nota introduttiva ... 217

7.2. Uno sguardo all’insieme della Cura con riferimento alla se-mantica del termine ... 218

7.3. Cura e parresia nella ricostruzione di Foucault ... 226

7.4. L’humanum e l’humanitas nella fenomenologia di Husserl……..235

7.5. L’humanum e l’humanitas nella fenomenologia di Heidegger...246

7.6. L’uomo come parola o linguaggio ...252

7.7. Il senso del formarsi tra paura e angoscia ...259

7.8. La cura dell’essere tra fenomenologia e pedagogia ...262

7.9. L’autointerpretazione dell’Esserci come Cura ...265

7.10. A colloquio con gli dèì ...268

Capitolo 8 – Modelli fenomenologici di educazione e cura………...272

8.1. Un esempio di psicologia umanistica: Amedeo Giorgi... 272

8.2. Terapia attraverso la ricerca del logos (significato) di Victor Frankl ... 276

8.3. Carl Rogers: “terapia centrata sul cliente” ………..282

8.4. L’approccio antropoanalitico (Daseinsanalyse): Ludwig Binswanger……….286

Capitolo 9 – Fenomenologia, psicopatologia, ‘pedagogia speciale’.. 296

9.1. Premessa ... 296

9.2. Pedagogia speciale come comprensione delle proprie possibilità da Husserl ad Heidegger ... 301

9.2.1. Fenomenologia descrittiva, antropoanalisi, ‘disabilità’ ... 304

9.2.2. La disposizione emotiva e l’esser-nel-mondo come rapporto e-ducativo di inter-relazione ... 307

9.2.3. Apprendere ad abitare il mondo e ad abitare noi stessi in comu-nità con l’Altro ...…..310

9.3. Forme di esistenza mancata – Il contributo di Ludwig Binswan-ger alla comprensione di sé e del mondo………...314

9.4. La pedagogia fenomenologiesistenziale come terreno della co-struzione del sé in soggetti autistici………..320

9.4.1. Le categorie dell’analisi pedagogica fenomenologica ... 320

9.4.2. L’essere dell’esserci come apertura al senso di sé e come compito pedagogico-fenomenologico ... 327

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Conclusioni

Pensare la pedagogia in prospettiva fenomenologico-esistenziale...336

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Nota introduttiva al quadro teorico-ipotetico della ricerca

Sui sentieri dell’apertura categoriale all’autoformazione

L’idea di questo lavoro di ricerca verte sulle possibilità di pensare la pedagogia in base al quadro categoriale offerto dalla fenomenolo-gia filosofico-esistenzialistica. Quel che si è voluto mettere alla prova è la ‘fruttuosità’ delle categorie fenomenologiche ed esistenziali come progetto educativo complessivo sia per l’ambito della Pedagogia in generale e sia, in ultima analisi, per l’ambito della Didattica e della Pedagogia speciale. In questa ricerca si è partiti, dunque, da alcuni presupposti teorici che si muovono entro l’alveo vasto e innovativo della fenomenologia che si è voluto corroborare o smentire attraverso l’analisi serrata di testi centrali concernenti le posizioni di Husserl, Heidegger e Jaspers.

Si è pensato che sarebbe importante pedagogicamente cercare di in-dividuare l’humanum nel farsi o costituirsi dell’esistenza storica dei singoli soggetti con tutto il loro carico problematico di indetermina-tezza, dubbio, inquietudine, che li caratterizza, a partire dall’essenziale ricerca di senso del proprio essere autentico, del pro-prio se stesso più vero, esigenza che ci sembra piuttosto trascurata da una ricerca pedagogica scientifica collocata in ambiti strettamente empiristici e avalutativi. Così prefigurato l’ambito fenomenologico pedagogico, per il soggetto dell’educazione si tratterebbe, soprattut-to, di entrare fino in fondo nei vissuti (Erlebnisse) del mondo della vi-ta (Lebenswelt) entro cui impegnarsi per far sì che emerga attraverso l’incontro con le cose e con gli esseri umani quella forma o modo d’essere che si ritiene propria nel senso più profondo. Con l’indirizzo fenomenologico-esistenziale, in termini pedagogici, si mira, quindi, a una doppia finalità: si tratta, da un lato, di percorrere una via di au-tochiarificazione esistenziale, restituendo al singolo la decisione sul senso del mondo (in cui è radicato e di cui è parte), la libertà (indivi-duale) di scelta e il suo poter essere; dall’altro di aprire con la catego-ria della Cura alla responsabilità per il contesto generale delle rela-zioni interpersonali essenziali per lo sviluppo delle qualità umane in un mondo sempre più difficile e globalizzato. A ben vedere siamo all’interno di una linea di pensiero (a dire il vero, in parte, già prefi-gurata dalla tradizione neoumanistica europea mediante quel pro-cesso di Selbstbildung che Goethe, Schiller e Wilhelm von Humboldt avevano indicato come fondamento dell’educazione) destinata a dare compiuta consistenza soprattutto alla coscienza storica dell’humanitas. Tale concezione, esplorata, in parte, già da Hegel e

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ampliata dalla linea storicistica con i contributi di Dilthey e dei suoi scolari e interpreti e, non da ultimo, nutrita e vivificata grazie ai con-tributi di Heidegger e Gadamer e dagli approcci ermeneutici in gene-rale, riporta in auge il patrimonio della Bildung, oggi minacciato dalla dimenticanza dell’essere (così almeno nell’analisi fenomenologica di Heidegger), ma forse e soprattutto dall’imporsi del monopolio dei saperi nomotetici sull’esperienza normativa e riflessiva (o simbolica), sulla scia di logiche in gran parte di mercato a cui sembrano, almeno in parte, volersi orientare anche le scuole e le università1.

L’immagine forgiata come un prodotto dell’ “uomo formato” ha dominato a lungo il pensiero pedagogico e ancora oggi fa sentire il suo peso, mentre, al contrario, secondo i presupposti di questa ricer-ca, fenomenologicamente fondata, è all’esperienza vissuta che dob-biamo rivolgere il nostro sguardo come via privilegiata di apertura alla comprensione dell’umano e all’uomo che decide il suo destino, medita, pensa, si (auto-)interroga. Questo passaggio è estremamente importante per il nostro quadro ipotetico di lavoro: fenomenologi-camente educare non dovrebbe significare (solo) trasmettere (saperi), ma aiutare a ‘essere’ nell’orizzonte infinito di esperienza possibile, nella prospettiva dell’abbandono al mondo che si apre a noi con la sua verità, che si rivela nel suo vero essere, come dominio di possibi-lità «molto più grande e misterioso della nostra coscienza»2 e in cui

mettiamo in gioco e sperimentiamo noi stessi. Così fenomenologica-mente pensata, l’educazione non si riduce alla sola dimensione di ac-quisizione di saperi e di trasmissione di nozioni e conoscenze, per quanto importanti essi siano, semmai si serve di questi ultimi per avviare alla ricerca di sé e del mondo (dei mondi), luoghi questi in cui azione, ragione (trascendente) e pensiero si alimentano nella recipro-cità. Il pensiero calcolante (rechnendes Denken), interessato al risultato e allo scopo, dei cui rischi hanno parlato pensatori della Scuola di Francoforte (soprattutto Horkheimer e Adorno), aveva portato Hei-degger al giudizio perentorio che «la scienza non pensa»3. Giudizio

1 Su questo tema si veda M. Borrelli, Il tramonto della Paideia in Occidente, Pellegrini,

Cosenza 2013.

2 M. Scheler, “Die Formen des Wissens und die Bildung”, Cohen, Bonn 1925; 2a ed.

in Id., Philosophische Weltanschauung, Cohen, Bonn 1929; ora in Gesammelte Werke, Bd. IX (20083): Späte Schriften, pp. 73-183; trad. it. a cura di G. Mancuso, “Le forme del sapere e

la formazione”, in Formare l’Uomo. Scritti sulla natura del sapere, la formazione, l’antropologia filosofica, a cura di G. Mancuso, con un saggio introduttivo di G. Cusinato, Franco Angeli, Milano 2009, p. 75.

3 M. Heidegger, “Was heißt Denken?” (1952), in Id. Vorträge und Aufsätze

(1936-1953), Günther Neske, Pfullingen 1957; trad. it. di G. Vattimo, “Che cosa significa pen-sare?”, in Saggi e discorsi, Mursia, Milano rist. 2015 (1a ed. 1976), p. 88.

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che non voleva dire che gli scienziati non pensino, ma che la scienza (come ricerca oggettiva) si pone esternamente agli ambiti normativi, simbolici e di senso, rimanendo, per definitionem, avalutativa. Quel che con la fenomenologia (da Husserl a Heidegger e Jaspers), attra-verso questo lavoro di ricerca, si vuole pedagogicamente recuperare è il pensiero meditante e riflessivo (besinnliches Denken). Il ritorno alle cose (zurück zu den Sachen) di Husserl, se i presupposti di questo lavo-ro sono validi, permetterebbe di uscire dagli steccati e dai recinti schematici già saputi, definitivi e certi, in cui è già tutto valutato e ove regna la presunzione di poter tracciare nettamente la via alle no-stre azioni umane. Il ritorno alle cose aprirebbe, invece, a un concetto di mondo della vita su cui è possibile edificare non solo la filosofia, la scienza, la pedagogia, ma anche ogni altro tipo di senso che gli uma-ni vogliono assegnare a se stessi e a un mondo che è sempre già dato, ma continuamente ri-emerge e si ri-costituisce. Una posizione, quella husserliana, heideggeriana e jaspersiana, che riapre il problema della disputa, tutt’altro che conclusa, tra le “scienze della natura” e le “scienze umane e sociali” (si pensi, tra l’altro, al dibattito tra analitici e continentali4). Buona parte della storia dell’epistemologia (oggi:

del-la teoria deldel-la scienza) si è dibattuta, non a caso, sul problema deldel-la demarcazione tradizionale tra episteme e dóxa, a cui è susseguita la differenziazione metodica tra comprendere (scienze dello spirito) e spiegare (scienze della natura). Nel caso qui in discussione, per gli esi-ti epistemologici della fenomenologia e dell’esistenzialismo, richia-mandoci a un pensiero e a un’azione strettamente ancorati a un hu-mus storiesistenziale, ovverosia all’esser-ci (Da-sein) nella sua co-stellazione singolarizzata/individualizzata, diventa prioritaria la dóxa (ambito estetico e dei sentimenti) rispetto all’epistéme (ambito della scienza oggettivante).

L’ideale della scienza come originaria epistéme (in quanto ricerca universale/universalizzante dell’essenza dell’essere), pensata dalla grecità (Platone) come contrasto con la verità del mondo della vita (dóxa) o della semplice apparenza, si vede oggi nuovamente rovescia-ta da una ricerca a partire dall’esistenza (Dasein) nella sua concrerovescia-ta singolarità e storicità. Nel quadro teorico-ipotetico di questo lavoro di ricerca, è a partire dal mondo della vita che ci attendiamo i significa-ti filosofici e pedagogici del senso del mondo e dei mondi (anche e

4 Si veda in proposito F. D’Agostini, Analitici e continentali: guida alla filosofia degli

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soprattutto simbolici): l’ascolto della voce del mondo della vita o dell’essere in senso fenomenologico-esistenziale. Il che vuol dire uscire (didatticamente: imparare a uscire) dall’omologazione del Si e da una ricerca costruita sulla base del modello delle scienze esatte che, per ottenere più certezze (o solo certezze), è costretta a precludere e, quindi, a trascurare gli ambiti normativi e della ricerca di senso. Se i nostri presupposti saranno convalidati, la riflessione fenomenologica ed esistenziale ci condurrà alla chiarificazione dell’esistenza umana co-me richiesta o illuminazione fondaco-mentalco-mente di senso. Riconosce-re il senso attraverso un vedeRiconosce-re che non si limita al solo spiegaRiconosce-re, ma che apre al comprendere, lasciando che le cose si rivelino, che le cose parlino a partire da se stesse. E così l’atteggiamento esistenzialistico è originaria trascendenza (Jaspers) che, analogamente alla trascenden-za della coscientrascenden-za nella fenomenologia in generale (Husserl), porta l’uomo fuori di se stesso (ek-sistere) a proiettarsi in quella immensa realtà che è il mondo, nella particolarissima situazione di esistenza e con-essere (tra gli altri e con gli altri) e in rapporto alle co-se. In termini pedagogici, l’esistenza ritrova se stessa mediante l’ek-sistere, in modo tale da uscire e andare di là di se stessa, nel movi-mento della ricerca, della scoperta, dell’ascolto, dell’interrogazione, che esclude la fruizione passiva di azioni etero-determinate o confi-gurazioni confezionate secondo una precisa forma, ma è, invece, un modo d’esistenza specifico, unico e irripetibile, in conformità all’esser se stesso nella forma della coesistenza e della comprensione dell’altro come altro. All’educazione corrisponde un compito infini-to5, problematico, che abbraccia la nostra intera vita intenzionale e lo

sviluppo in termini conoscitivi sul terreno di un’ “esperienza tra-scendentale”6.

5 Si ritrova qui un telos comune a quella impostazione di pensiero che si connette

al-la Bildung neoumanistica. Si pensi, per esempio, alal-la tesi di Johann Gottfried Herder: «L’uomo non è mai, per così dire, intero, ma è sempre in sviluppo, in divenire, in via di perfezionamento» (J. G. Herder, Abhandlung über den Ursprung der Sprache, in Her-ders Sämmtliche Werke, vol. V, Berlin 1891 (1a ed. 1772); trad. it. e cura di G. Necco, Saggio

sull’origine del linguaggio, Mazara SES, Roma 1954, p. 98). E ancora Herder: «Ogni uomo ha in sé la sua propria misura» (J. G. Herder, Ideen zur Philosophie der Geschichte der Men-schheit (1784-1791), in Id., Sämtliche Werke, Olms, Hildesheim 1967-68; trad. it. parziale a cura di V. Verra, Idee per la filosofia della storia dell’umanità, Laterza, Roma-Bari ed. riv. e agg. 1992, Libro VIII, p. 154).

6 «Più che il dominio costruttivo della realtà, che ha il suo ideale nel formalismo

ma-tematico delle scienze della natura, era l’intuizione, l’essere dato in carne e ossa del percepito in quanto tale, a rappresentare per Husserl l’ideale della conoscenza» (H.-G. Gadamer, Die phänomenologische Bewegung, J. C. B. Mohr (Paul Siebeck) 1963; trad. it. di C. Sinigaglia, Il movimento fenomenologico, Laterza, Roma-Bari 1994, p. 45).

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Nel seguente lavoro si parte dal quadro ipotetico (da verificare at-traverso l’analisi dei testi che circoscrivono tematicamente la ricerca) che l’approccio fenomenologico-esistenziale offre (può offrire) alla Pedagogia e alla Didattica nelle sue varie differenziazioni una lettura particolare dell’ente uomo, attraverso le categorie: “essere-nel-mondo” (in-der-Welt-sein), “con-essere” (mit-Sein), mondo dei “vissu-ti” (Erlebnisse), “mondo della vita” (Lebenswelt), nonché l’irriducibile singolarità dell’esser-ci (Dasein) in situazione e, al contempo, nel suo “stare nel mondo” in quanto “Cura”, nella comprensione interuma-na, cioè con gli altri e le cose. L’esistere, concepito qui come progetto gettato, non si verrebbe a configurare come scelta autarchi-ca/anarchica di vita, piuttosto come ricerca del senso che vogliamo assegnare a noi stessi (in quanto singole esistenze) e al mondo (nella sua totalità di inter-rapporti).

Si tratterebbe di pensare il singolo a partire dalla “gettatezza” (Geworfenheit) in cui si è storicamente collocati, indicazione (heideg-geriana) che, nel processo formativo, implicherebbe per il soggetto non solo il divenir coscienti del carattere storico della propria situa-zione, ma anche la possibilità di avviare la propria progettualità come apertura al senso del proprio sé e al senso del con-vivere comunita-rio. L’educazione rimane, quindi, sempre situata, si svolge in un luo-go e in un tempo, risponde a un appello che, come vedremo in questo lavoro (seguendo tra l’altro l’ermeneutica di Gadamer), proviene dal passato, dalla cultura e dalla tradizione (di una comunità), contesto imprescindibile al quale dobbiamo la produzione e la possibilità di interpretazione dei significati che aprono linguisticamente al ricono-scimento e alla ricostruzione dei tracciati di vita e di cultura (anche dell’educando-interprete) e rimettono ognuno alla storicità del mon-do in cui abita, al quale appartiene, nel quale vive come un’eredità trasmessa e nel quale progetta il suo poter-essere con responsabilità, con la mente aperta, piuttosto che dogmaticamente chiusa, verso la diversità dei singoli mondi.

Si è pensato, in questo lavoro di ricerca, non a caso e aggiuntiva-mente, di porre l’attenzione pedagogica sulle vie ermeneutico-fenomenologiche ed esistenziali che, con Heidegger e Hans-Georg Gadamer, passando attraverso Ricœur, convergono sull’importanza prioritaria da assegnare alle categorie della storicità, della temporalità e del senso, in stretta connessione con il linguaggio in cui fenomeno-logicamente prende forma ogni significatività. Il quadro ipotetico in-dica che i singoli (soggetti) si realizzano interpretando e vivendo i differenti mondi in cui sono storicamente immersi/radicati (o hei-deggerianamente gettati). L’interpretazione del vissuto, passando

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traverso il confronto tra attualità e tradizione, mediato dal movimen-to del circolo ermeneutico (Heidegger) e/o fusione di orizzonti (Ga-damer), ci riporta al simbolo, all’azione, al testo, ovverosia alla dinami-ca di appropriazione e disappropriazione contestuali, alla dialettidinami-ca di ospitalità linguistica e narrazione (Ricœur), in definitiva a un mo-dello che, raccogliendo le sfide (nel nostro caso anche pedagogiche) del presente, induce didatticamente alla promozione dell’identità nelle differenze. A partire da questa architettonica, l’interesse è stato poi spostato (e non da ultimo) sulla riflessione jaspersiana e heideggeria-na relativa alla autochiarificazione esistenziale come azione di cura. Uheideggeria-na categoria quest’ultima che, se accettata e condivisa, (pedagogicamen-te) assumerebbe la connotazione di uno stile di vita in cui si innesta il richiamo al dialogo e al confronto con l’alterità, all’apertura alla di-versità dei mondi, all’importanza da attribuire alla plurilinguisticità come a priori per la comprensione dei micro-cosmi delle differenti contestualità e contestualizzazioni.

Si parte, altresì, dal presupposto che il piano fenomenologico, qui proposto, si traduca fruttuosamente nella sfera della ricerca pedago-gica da intendere, però, ora, nel senso specifico di una pedagogia per il mondo della vita e a partire dal mondo della vita: una pedagogia radi-cata nel farsi della vita e della storia dei singoli individui. È una via che si cercherà di sviluppare (si veda la successione dei capitoli) in riferimento alla fenomenologia di Husserl, Heidegger e Jaspers. Il soggetto dell’educazione è qui elevato a soggetto ermeneutico, promo-tore dei suoi vissuti (Erlebnisse). È un soggetto (in base al quadro ipo-tetico qui presupposto) capace di coniugare le categorie di storicità e temporalità a partire dalla propria esperienza vissuta. Un soggetto cosciente del fatto che non esistono verità definitive e assolute e che il nostro modo di interpretare (la realtà) è sempre determinato dalla prospettiva (storica) dalla quale guardiamo il mondo. Così completa-to il quadro ipotetico, l’educazione fenomenologico-esistenziale di-venta apertura alla diversità dei mondi (ai tanti micro e macrocosmi culturali). Si delinea un’educazione fenomenologico-esistenziale a-perta al singolo e a ognuno e, al tempo stesso, un’educazione alla di-versità (delle culture e dei popoli), non da ultimo: un’educazione che, spezzando il monopolio di una epistemologia pensata al singolare, apra alle epistemologie di un pensiero (auto-)interrogante e proble-matizzante.

L’approccio fenomenologico-esistenziale che qui si prospetta e che è ovviamente tutto da appurare nell’analisi dei testi, attraverso il la-voro qui presentato, si rivolge alle realtà educative in tutte le sue dif-ferenziazioni a partire dall’ ‘unicità’ di ciò che viene alla luce a

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re da se stesso, senza barriere distintive (‘normale’/‘patologico’, ‘abi-li’/’diversamente abili’). Il soggetto fenomenologico è pedagogica-mente ogni volta un unico. Non a caso, il singolo è tale in quanto li-bero, gettato nella possibilità di poter dar corso al proprio modo d’essere, in quanto capace di progettare il suo essere-nel-mondo, mettendosi in gioco nel confronto con il suo contesto di vita e i vissu-ti degli altri. Di qui l’ipotesi della centralità di un approccio pedago-gico focalizzato intorno al paradigma fenomenolopedago-gico-esistenziale dell’esistere che muova l’esperienza quotidiana dei singoli e che apra (nel senso di Husserl) alle cose e a noi stessi. Il richiamo alle prospet-tive fenomenologico-esistenziali ben si colloca, secondo il nostro quadro ipotetico di indagine, nell’ambito della didattica come teoria generale dell’educazione e dell’istruzione, in quanto permette di ri-costruire (interpretare) il senso delle azioni degli educandi, nonché di progettare a partire, da loro stessi, il loro poter-essere nel mondo, rendendo possibile dialogo e narrazione, muovendo dalla propria storia (relazionale, personale). Si tratterebbe, in definitiva, di riap-propriarsi di uno sguardo capace di cogliere le cose nella loro stessa essenza, di uno sguardo capace ancora di stupirsi di fronte al mondo e alle cose nella loro irriducibile singolarità.

Pensiamo che una pedagogia a orientamento fenomenologico-esistenziale consenta di fornire all’educazione una piattaforma epi-stemologica più ampia rispetto alla scienza positivistica e ai modelli ontologico-metafisici della tradizione. Nel tentativo di penetrare l’essenza profonda e i fenomeni del mondo in tutta la loro ricchezza, di riscoprire le cose piuttosto che dominarle, a livello di esperienza e-ducativa l’obiettivo pedagogico mira a percorsi didattici di auto-formazione. Si tratterebbe di assumere lo stile di pensiero fenomeno-logico-esistenziale come un percorso metodologico secondo una prassi auto-formativa e un metodo apprenditivo-insegnativo di os-servazione (dal guardare al vedere produttivo), di registrazione e in-terpretazione della nostra esperienza di vita in quanto configurazio-ne concreta dotata di senso. L’apprendimento, di cui qui si parla, ha il suo fondamento, in analogia al concetto diltheyano di Erlebnis, nell’esperienza vissuta (come concetto che Gadamer riconduce all’esperienza estetica in quanto modo dell’autocomprensione) che sfocia sempre nella trasformazione e modificazione dell’orizzonte del singolo. Questo processo d’esperienza è definibile come una “struttura di movimento” in riferimento al modello induttivo dell’epagogé derivata da Aristotele, Socrate e Platone, per cui «noi fac-ciamo un’esperienza in senso completo solo se ci costringiamo a una

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inversione, a una ristrutturazione della nostra pre-conoscenza»7. Nel

contesto del nostro quadro ipotetico si tratta di estrapolare dalla pra-tica della vita le strutture a priori del nostro essere nel mondo e por-tarle alla forma concettuale. Didatticamente, la strada è un vedere che non si limita al solo spiegare, ma che apre, in opposizione a una concezione oggettivante dell’esperienza, al comprendere, lasciando che le cose si rivelino alla coscienza, che le cose parlino a partire da se stesse. La Lebenswelt, su cui poggia tutta la struttura della fenome-nologia, cioè il mondo della vita, ricco di contenuti (cose, realtà, per-sone, opere della cultura, ecc.), luogo che ci precede e coesiste, pa-trimonio condiviso di risorse scientifiche, sociali e personali, luogo di conoscenza e di relazione nello spazio interumano, è una risorsa ine-stimabile di problematizzazione, da riutilizzare e rielaborare, intorno a cui la pedagogia (così come prospettata in questo nostro quadro ipotetico di lavoro) è chiamata a lavorare in vista di un’educazione aperta, trasformativa, creativa, che si affaccia e si apre al campo delle possibilità. L’idea di formazione, sottesa a tale indirizzo fenomenolo-gico auto-formativo, è così espressa in un procedere ricercante-comprendente, alla luce del primato che assume la vita concreta in quanto riempita di senso e di significazione attiva e nei termini di un modello di rapporto studente-docente fondato sulla relazione di cura. La scuola, come luogo in cui costruire i significati del vivere, luogo di apprendimento e di cura educativa, deve garantire a ogni studente la possibilità di costruire dal vivo la sua personalità, sulla scia della formula heideggeriana secondo la quale «insegnare significa: far im-parare»8. L’imparare non implica solo l’acquisizione di conoscenze,

7 K. Meyer-Drawe, “Vom anderen lernen. Phänomenologische Betrachtungen in der

Pädagogik”, in M. Borrelli, J. Ruhloff (Hrsg.), Deutsche Gegenwartspädagogik, Band II, Baltmannsweiler: Schneider-Verlag Hohengehren, 1996; trad. it. di M. Borrelli, “Ap-prendere dall’altro. Osservazioni fenomenologiche in pedagogia”, in M. Borrelli, J. Ru-hloff (a cura di), La pedagogia tedesca contemporanea, vol. II, Pellegrini, Cosenza 1996, p. 141. «Non si tratta […] di accadimenti che rafforzano abitudini vecchie nei loro effetti; si tratta piuttosto di situazioni aporetiche, in cui l’esperienza – se vuole mantenere il suo significato orientativo – deve mutarsi. In un’acutizzazione del genere, ogni ap-prendere che apre una nuova prospettiva è esperienza. L’apap-prendere viene capito come riapprendere sullo sfondo del disinganno di anticipazioni inadeguate, della negazione dell’orizzonte normativo nell’esperienza attuale. L’apprendere, dunque, non è in alcun modo una accumulazione semplice e senza rotture di nuove conoscenze» (ibidem).

8 M. Heidegger, Was heißt Denken? (1951-52), Niemeyer, Tübingen 1954; trad. it. di

M. Ugazio e G. Vattimo, Che cosa significa pensare?, pref. di G. Vattimo, Sugarco, Milano 1996, p. 107. «Chi propriamente insegna non fa imparare null’altro che questo impara-re. Per questo motivo spesso la sua azione dà l’impressione che presso di lui non si im-pari propriamente nulla, finché con la parola “imparare” si intende inavvertitamente soltanto l’acquisizione di conoscenze utili. Chi insegna precede i discenti unicamente

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9

ma implica il pensare («imparare a pensare»9) : il «pensiero costruisce

il proprio cammino soltanto ponendosi delle domande»10 e

nell’interrogare la stessa domanda. Un punto decisivo è, con Parme-nide, il prendersi a cuore11. Ed è questo un approdo della parola

pen-siero (nel senso dell’alto tedesco antico: Gedanc12): «il fondo del cuore,

è il raccoglimento di tutto ciò che ci tocca, che ci riguarda, che ci inte-ressa, noi nella misura in cui siamo umani»13.

Se si assume il paradigma fenomenologico-esistenziale come idea fondante dell’educazione, dovrebbe emergere, secondo uno dei pre-supposti di questa indagine, un’idea di educazione progettante, il cui obiettivo è giungere al cuore delle cose e dell’esistenza (giungere al cuore della propria esistenza, di ogni esistenza). Educare fenomeno-logicamente significherebbe lasciar parlare le cose, rispettare il venire alla luce del dato del fenomeno in quanto si mostra con la forza della sua evidenza originaria; educare lo sguardo all’essenziale, guardare il mondo in modo ‘disinteressato’, secondo la formula di Edith Stein14,

partendo dai contenuti emergenti dall’esperienza concreta, cogliendo la realtà nella sua dimensione originaria, nella complementarità di elementi essenziali che strutturano costituzionalmente l’esistenza umana quali forme dell’essere al mondo come, per esempio, libertà, smarrimento, angoscia (piano esistenziale) ed elementi universali che strutturano le nostre situazioni concrete empiriche (piano esistentivo). Se si segue questo percorso, siamo coscienze intenzionalmente rivol-te al mondo (Husserl), esseri-nel/con-il-mondo, trascinati dalla cor-rente della vita (Heidegger), aperti alla percezione dell’origine (Ja-spers). D’altra parte, emozioni come l’ansia, il timore, la paura, la di-sperazione, indicano, in misura maggiore o minore, la nostra difficol-tà di comprendere pienamente il mondo, di abitarlo con pieno diritto di cittadinanza, in un rapporto armonico con gli altri e con se stessi.

per il fatto che deve imparare anche più di loro, dovendo imparare il far imparare» (ivi, pp. 107-108).

9 Ivi, p. 109. 10 Ivi, p. 269. 11 Cfr. ivi, p. 187.

12 «Gedanc significa: l’animo, il cuore, il fondo del cuore, quell’interiorità dell’uomo

che si estende il più possibile all’esterno, e questo in modo così deciso che toglie, se considerato seriamente, la possibilità di ogni rappresentazione di un interno e di un e-sterno» (ivi, p. 258).

13 Ivi, p. 258.

14 «Il soggetto teoretico ha gli occhi spalancati, guarda il mondo in maniera

“disinte-ressata” ‒ cioè è insensibile agli interessi pratici» (E. Stein, Einführung in die Philosophie, in “Edith Steins Werke”, vol. XIII, a cura di L. Gelber e M. Linssen, Verlag Herder, Freiburg i.B. 1991; trad. it. di A.M. Pezzella, Introduzione alla filosofia, pref. di A. Ales Bello, Città Nuova Editrice, Roma 2a ed. 2001 (1998), p. 37).

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10

L’esperienza educativa, così come qualunque esperienza umana, è vista in questa ricerca, in rapporto a linee oggettivanti e potenzialità soggettivanti: la realtà oggettiva è sempre filtrata dalla presenza del soggetto che di volta in volta valuta gli elementi oggettivi ed elabora una propria collocazione nel mondo a partire dalle proprie scelte. In Jaspers si tratterebbe di assumere una disposizione, di fronte alle co-se, che non si trattiene nell’ambito circoscritto del loro apparire, ma richiama il linguaggio della trascendenza (la cifra), a cui l’apparire rinvia, quindi un pensiero soggettivo, esistenziale, che si costituisce in rimando a un ‘plus’ di senso, cioè a quel “tutto abbracciante” o “ulteriorità” (Umgreifendes) che sempre ci richiama e ci avvolge e in cui si palesa la nostra fragilità. La prospettiva fenomenologico-esistenziale (da Husserl a Heidegger) lascia intravedere l’importanza di farsi carico di un ruolo attivo e critico di confronto con la varietà del reale, che si presenta a volte in forme caotiche e irrazionali, spes-so dominate dal Si, rifiutando le visioni di rappresentazione del mondo inscritte in idee preconcette e cornici interpretative che ci condizionano e imprigionano in un mondo che non abbiamo reso an-cora non nostro. La delimitazione rispetto alla conoscenza scientifica e alle sue leggi si compie nella rivalutazione di una conoscenza mul-ti-prospettica, complementare (erklären e verstehen) che ci invita a ri-conoscere e cercare di superare l’inadeguatezza di curricoli formativi che privilegiano un modello epistemologico che favorisce soprattutto i saperi scientifici e tecnologici rispetto a forme di conoscenza più in-tuivo-percettive-estetiche come, per esempio, le discipline letterarie e artistiche. Decisive queste ultime in prospettiva fenomenologico-pedagogica, se è vero che «…poeticamente abita l’uomo…», secondo il famoso detto di Hölderlin, ripreso da Heidegger15, interpretato qui

nel senso che l’esistenza dell’uomo è intesa a partire dall’essenza dell’abitare e, in senso più pregnante, nel senso di pensare l’essenza del poetare come far abitare, come un costruire, anzi come il costruire per eccellenza. Se seguiamo queste tracce teoriche, per l’educazione fenomenologica è importante capire che il nostro mondo e le nostre idee non sono dati in modo fisso e permanente, ma si trasformano con la massima vitalità e interiorità nella forma della letteratura e dell’arte16. Per la fenomenologia (heideggeriana), «la poesia,

15 Cfr. M. Heidegger, “…dichterisch wohnet der Mensch…”(1951-1954), in Id.,

Vor-träge und Aufsätze, cit.; trad. it. di G. Vattimo, “…poeticamente abita l’uomo…”, in Saggi e discorsi, op.cit., pp. 125-138.

16 Si potrebbe quasi dire, usando l’espressione di Novalis formulata nel frammento

1778: «Il mondo deve essere romanticizzato. Così si ritrova il senso originario» (Nova-lis, “Fragmente” (1795-1800), in Novalis’ Werke, a cura di H. Friedemann, Bong u. Co.,

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11

nando le cose, le chiama in tale loro essenza»17. Queste, nel loro

esse-re come cose, dispiegano e portano a compimento il mondo, anzi lo generano. Nell’intreccio di vita, arte e poesia si fonda e si rivela fe-nomenologicamente il mondo. La cosa stessa (die Sache selbst), alla quale Husserl vuole tornare, è interna a un processo del cercare e del pensare quale vera condizione dell’uomo. Sache (da suchen: cercare) sta per ciò che è da ricercare; è il concetto, l’essenza dell’oggetto, la sua sostanza. La cosa (Sache) si dà alla coscienza e ha il suo valore tramite l’autocoscienza: è la coscienza intenzionale (Husserl) che dà valore alle cose. E questa coscienza intenzionale è, pedagogicamente, anche soggettività creatrice. Noi siamo cuore, mente, corpo vissuto, siamo noi che creiamo e ricreiamo la complessità del nostro mondo attraverso scelte di libertà (Jaspers), nell’autenticità (Heidegger), co-me fedeltà a se stessi e con responsabilità (Husserl). Nel quadro delle ipotesi di questo lavoro di ricerca, la condizione umana in senso esi-stenziale è un confronto instancabile con la propria libertà di scelta, an-tica e nuova aurora, che è anche rappresentazione drammaan-tica dell’incessante instabilità e indecisione dell’esistenza, anelante a una pienezza di essere presentita e inattingibile. Si tratta, in senso educa-tivo esistenziale, di comprendere il proprio situarsi nel mondo, così da doversi e potersi assumere un compito motivato, autodefinito ri-spetto alle possibilità di un proprio progetto di vita: un compito pai-deutico che, similmente all’ambito del filosofare, si configura come orizzonte in cui tutto si raccoglie, dove l’uomo diviene se stesso a partire dalla libertà delle sue scelte esistenziali. Essere, tempo, nulla sono categorie (apparentemente astratte ma decisive) del pensiero che il soggetto in educazione deve cercare via via di comprendere in profondità nel loro significato esistenziale per poterle poi trasforma-re in progetti d’azione ctrasforma-reativi e trasforma-responsabili. Per una educazione i-spirata fenomenologicamente si tratta allora di creare spazi didattici di apprendimento e insegnamento in cui rendere partecipi gli stu-denti del demone della meraviglia che è molla di ogni loro scoperta e li-berazione della creatività, desiderio di confrontarsi con il mondo, in-terrogazione e riflessione sul mondo e sul senso della vita, esperienza autentica di sé e degli altri.

Berlin, s. d.; trad. it. di E. Pocar, Frammenti, introd. di E. Paci, Rizzoli, Milano 1976, p. 444).

17 M. Heidegger, “Die Sprache”(1950), in Id., Unterwegs zur Sprache (1950-59), Verlag

Günther Neske, Pfullingen 1959; trad. it. di A. Caracciolo, “Il linguaggio”, in In cammino verso il linguaggio, Mursia rist. 2007 (1a ed. 1973), p. 35.

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13 Capitolo I

Fenomenologia trascendentale ‒

L’approccio teoretico di Edmund Husserl

1.1. La radice dell’essere

Come incamminarsi sulla via dell’autoformazione? Il presente la-voro si propone di fornire una risposta a questo interrogativo sulle orme del quadro di riferimento categoriale dell’orientamento feno-menologico-esistenziale, ampio orizzonte di ricerca, il cui compito precipuo, a partire dalla complessa opera husserliana, è quello di co-gliere il senso della prassi umana, quella profondità, lo slancio e la complessità primordiale dell’esperienza esistenziale e ciò che essa di-schiude, che la logica scientifica non ha saputo fino in fondo spiega-re. Di fronte alla fenomenologia l’esistenza ha un significato mirabile: segna la riabilitazione del Se stesso rivestito di una grandezza corale, universale. La scienza non è stata in grado di raggiungere l’obiettivo supremo, consistente nella rivelazione dei modi di vita dell’essere.

La riflessione fenomenologica ed esistenziale, qui raccolta esem-plarmente intorno ad alcune voci rappresentative, disegna un’avventura dell’esistenza di estrema importanza: la relazione in-tenzionale tra io e mondo; l’esperienza che concerne la forma perso-nale di sperimentare la nostra esistenza nella circolarità di interno ed esterno; il commisurarsi con la complessa problematica umana attra-verso l’esplicazione del suo mondo della vita, della sua esperienza vissuta, in cui si evidenzia l’urgenza delle questioni di senso o di si-gnificato dell’esistenza umana.

Il reale viene rivelato a se stesso nella sua natura intuitiva, preca-tegoriale, di ritorno alle cose. Dalla cosa, dall’evidenza originaria in quanto donazione della cosa stessa, si risale direttamente all’essenza (Husserl), fuori da interventi classificatori e ordinatori, fino ad arri-vare alla fondabilità soggettiva e intersoggettiva. La celebre parola d’ordine zun den Sachen selbst (tornare alle cose stesse) sintetizza la necessità di stare nelle cose, lo sforzo del soggetto nello sbloccare l’atteggiamento ingenuo-naturale per indagare «il mondo nel “come” dei suoi modi di datità, delle sue “intenzionalità” palesi o implici-te»18. L’oggettivo per Husserl non è altro che unità sintetica

18 E. Husserl, Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale

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14

dell’intenzionalità attuale e potenziale che pertiene in modo essen-zialmente proprio alla soggettività trascendentale19. Si tratta, cioè, di

un’esperienza di abbraccio avvolgente nel mare infinito e stupefacen-te della vita20: è un impegno con la realtà, che implica l’esser desti21,

sempre volti a ricercare il senso del nostro essere al mondo e nel di-svelamento del senso riconoscere, attraverso la coscienza, i significati nascosti delle varie situazioni di vita in un quadro che tende a salda-re stsalda-rettamente teoria e prassi. Le cose sono il contenuto dei nostri modi di coscienza, tutto ciò che sperimentiamo, le qualità, le relazio-ni, gli eventi, i pensieri, le immagirelazio-ni, ricordi, fantasie, sensaziorelazio-ni, a-zioni e così via. Fenomenologia è lasciare che queste cose ci parlino, affinché si rivelino a noi, affinché possiamo farle essere nel loro esse-re genuino e nel modo più imparziale possibile. Il sentiero è l’esperienza vissuta reale, terreno cosale profondo, in cui si dà la pos-sibilità di risalire a una conoscenza d’essenza, a una conoscenza a priori. Grazie all’approccio fenomenologico è così possibile dare spa-zio a ogni aspetto della nostra realtà interiore ed esteriore. Aprendosi a tale approccio, si può sottoporre a indagine un qualsiasi vissuto e-sperienziale, partendo, come primo passo, da uno stato interiore pri-vo di pregiudizi, preconcetti e interpretazioni. Fare esperienza vuol dire stare al cospetto della presenza entro la quale si costituisce la co-scienza della cosa e si impara a conoscerla. La regione d’essere della coscienza, questione fondamentale posta da Husserl, seguendo la let-tura proposta dal suo «discepolo geniale»22 Heidegger, si svolge

di E. Filippini, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, pref. di E. Pa-ci, il Saggiatore, Milano 2015 (1a ed. 1961), p. 179.

19 Cfr. E. Husserl, Formale und transzendentale Logik. Versuch einer Kritik der logiche

Vernunft, in “Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung” 10 (Halle, 1929); trad. it. di G. D. Neri, Logica formale e trascendentale. Saggio di critica della ragione logica, pref. di E. Paci, Mimesis, Milano 2009, p. 275. «Ogni essere oggettivo, ogni verità, ha il suo fondamento d’essere e di conoscenza nella soggettività trascendentale, ed è verità che concerne la soggettività stessa, e che vale in essa. Più precisamente: se questa soggettività realizza sistematicamente e universalmente la prresa di coscienza – dunque come fenomenologia – trascendentale essa […] trova, costituito in se stessa, ogni essere “oggettivo” ed ogni “verità oggettiva”» (ibidem).

20 «La vita è sempre un vivere-la-certezza-del-mondo, un modo di attuarla» ((E.

Husserl, Die Krisis…, trad. it. cit., p. 164).

21 «Vivere desti vuol dire essere desti di fronte al mondo, essere costantemente e

at-tualmente “coscienti” del mondo e di se stessi come di soggetti nel mondo, vivere (erle-ben) realmente, attuare realmente la certezza d’essere del mondo. Il mondo è in tutti i casi già dato nel modo della costante datità delle cose singole» (ibidem, corsivo nel te-sto).

22 Cfr. H.-G. Gadamer, Hermeneutische Entwürfe: Vorträge und Aufsätze, Mohr

Siebeck, Tübingen 2000; trad. it. La responsabilità del pensare. Saggi ermeneutici, a cura di R. Dottori, presentazione di G. Reale, Vita e Pensiero, Milano 2002, p.201.

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15

me «cura per la conoscenza conosciuta»23; si tratta, cioè, di

determi-nare questo determinato essere, la coscienza, in riferimento alla cura in cui esso sta24. La cura è assunta nella prospettiva del conoscere;

es-sa tende verso la conoscenza conosciuta, perché la conoscenza deve prendere in carico l’assicurazione (Sicherung) dell’esserci e della cul-tura25. Tale «cura per la cosa conosciuta» vuole pervenire,

nell’indagine fenomenologica, a un terreno cosale a partire dal quale la costruzione di ogni sapere e dell’essere culturale possa essere sicu-ra e corrispondente a verità26. Essa costituisce il necessario correlato

di una corretta comprensione del rapporto uomo/verità/essere. Sull’uomo venturo incombe il confronto con l’essenza e con la storia della metafisica occidentale e solo questa riflessione consentirà il transito verso l’esistenza determinata in senso planetario e tale esi-stenza cosmico-storica potrà essere raggiunta come nulla di fonda-to27. I «sentieri interrotti» sono, heideggerianamente, una via per tale

riflessione28. Pensando a partire dalla cosa stessa, tutto riposa in una

concordanza velata e costruita rigorosamente, nessuno dei sentieri può essere preso senza aver preso anche gli altri29. Significa stare

nel-le vicinanze dell’essere e delnel-le cose, procedendo come un nel-legnaiolo e un guardaboschi, ricercando nel bosco30 un sentiero che possa

con-durre alle cose e all’essere. Ecco allora che ci si può disporre in que-sta dimensione profonda metaforica, reale e al contempo poetica, come un «pensatore dei sentieri» che presta ascolto all’appello

23 Cfr. M. Heidegger, Einführung in die phänomenologische Forschung. Marburger

Vorle-sung Wintersemester 1923/24, herausgegeben von Friedrich-Wilhelm von Herrmann, V. Klostermann GmbH, Frankfurt am Main 1994, 2., unveränderte Auflage 2006; trad. it. a cura di M. Pietropaoli, Introduzione all’indagine fenomenologica. Corso marburghese del se-mestre invernale 1923/24, postfazione del curatore tedesco, Bompiani, Milano 2018, § 6, p. 137.

24 Cfr. ivi, p. 139. 25 Cfr. ivi, p. 143. 26 Cfr. ivi, p. 143.

27 Cfr. M. Heidegger, Denkerfahrungen 1910-1976, Klostermann, Frankfurt a.M. 1983;

trad. it. N. Curcio, Dall’esperienza del pensiero 1910-1976, il melangolo, Genova 2011,“Holzwege” (1949), “ Sentieri interrotti”, p. 83.

28 Cfr. ibidem.

29 Cfr. ibidem.

30 «Holz è un’antica parola per dire bosco. Nel bosco (Holz) ci sono sentieri (Wege)

che, sovente ricoperti di erbe, si interrompono improvvisamente nel fitto. Si chiamano Holzwege. Ognuno di essi procede per suo conto, ma nel medesimo bosco. L’uno sem-bra sovente l’altro: ma semsem-bra soltanto. Legnaioli e guardaboschi li conoscono bene. Essi sanno che cosa significa “trovarsi su un sentiero che, interrompendosi, svia” (“auf einem Holzweg zu sein”)» (M. Heidegger, Holzwege (1935-1946), in Gesamtausgabe, Bd. 5, hrsg. von F.-W. von Herrmann, Klostermann, Frankfurt a. M. 1977; trad. it. di P. Chiodi, Sentieri interrotti, La Nuova Italia, Firenze 1984 (1a ed. 1968), p. 1).

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16

derliniano dell’abitare poeticamente e come un «Cézanne della filo-sofia» che indugia davanti al paesaggio31. La stessa vita solitaria di

provincia che Heidegger conduce a Todtnauberg non è Heimat nel senso etnico di «radicato al suolo», ma è quel soggiornare nelle vici-nanze del divino, dell’estraneo, del non familiare32, come già posto in

luce da Eraclito33 e che riecheggia nelle parole di Jünger ne Il trattato

del ribelle34. È necessario allora recuperare un vedere più autentico,

più vero, come invocato anche dalla filosofa Zambrano, con evidenti richiami a Heidegger, che vada oltre le apparenze, disponendosi all’ascolto dell’essere, luogo di incontro di luce e oscurità, attraverso un sentire illuminato dai «chiari del bosco»35, le piccole radure che ne

spezzano l’oscurità e che si pongono come inattese scoperte che rac-chiudono in sé frammenti dei registri più profondi dell’essere36. Il

31 Cfr. R. Regni, Paesaggio educatore. Per una geopedagogia mediterranea, Armando,

Roma 2009, p. 25.

32 Cfr. C. Resta, Il luogo e le vie. Geografie del pensiero in Martin Heidegger, Franco

An-geli, Milano 1996, p. 13.

33 Il framm. 119 di Eraclito: «Êthos anthrópoi daímon», come sottolinea Heidegger,

in genere viene così tradotto: «Il carattere proprio è per l’uomo il suo demone», ma questa traduzione non rende bene il concetto perché «pensa in modo moderno e non greco»; êthos significa «soggiorno (Aufenthalt), luogo dell’abitare», pertanto il detto di Eraclito ha il seguente significato: «l’uomo, in quanto è uomo, abita nelle vicinanze dell’essere» (Cfr. M. Heidegger, Brief über den «Humanismus» (1947), V. Klostermann, Frankfurt am Main 1976; trad. it. a cura di F. Volpi, Lettera sull’ «umanismo», Adelphi, Milano 1995, p. 90). «La vicinanza “dell’” essere, in cui consiste il “ci” dell’esser-ci, nel discorso sull’elegia di Hölderlin Heimkunft (1943) è pensata dal punto di vista di Sein und Zeit […] e in base all’esperienza dell’oblio dell’essere è chiamata “patria” (“Hei-mat”). Questa parola è qui pensata in un senso essenziale, che non è quello patriottico e nazionalistico, ma quello appartenente alla storia dell’essere. Ma l’essenza della patria è contemporaneamente nominata con l’intenzione di pensare la spaesatezza (Heimatlosi-gkeit) dell’uomo moderno a partire dall’essenza della storia dell’essere» (M. Heidegger, Brief über den «Humanismus», trad. it. cit., p. 67).

34«Il bosco è segreto. Heimlich, segreto, è una di quelle parole della lingua tedesca

che racchiudono in sé anche il proprio contrario. Segreto è l’intimo, ben protetto focola-re, baluardo di sicurezza. Ma nello stesso tempo è anche ciò che è clandestino, assai prossimo in quest’accezione all’Unheimliche, l’inquietante, il perturbante» (E. Jünger, Der Waldgang, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1951; trad. it. di F. Bovoli, Il trattato del ribelle, Adelphi, Milano 1990, p. 73). Scrive inoltre Jünger: «Socrate chiamava il suo demone questo luogo segreto da dove una voce, che era già al di là delle parole, lo consigliava e lo guidava. Potremmo chiamarlo anche il bosco» (E. Jünger, ivi, p. 79).

35 M. Zambrano, Claros del bosque, Fundación María Zambrano, 1977; trad. it. di C.

Ferrucci, Chiari del bosco, Mondadori, Milano 2004 (1a ed. 1991).

36 «La ragione razionalista, schematizzata – e nel suo uso strumentale più ancora che

nei testi originari della corrispondente filosofia – fornisce un unico mezzo di conoscen-za. Un mezzo adeguato a ciò che già è o che ad essere si avvia con certezza; alle “cose” insomma, tali come appaiono e noi riteniamo che siano. Ma l’essere umano dovrebbe recuperare altri mezzi di visibilità che la sua mente e i suoi stessi sensi reclamano per

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17

sco come simbolo della ricerca dell’essere, il «bosco fitto e impene-trabile, e che per questo può offrire riparo e asilo»37 nel suo «chiuso»

assicura e protegge l’ «aperto» del lucus38. Aprirsi, seguendo

Heideg-ger, al carattere d’evento dell’essere, considerare quest’ultimo non come fondamento dell’ente39, ma a vantaggio del «dare

nascostamen-te in gioco nel disvelamento», cioè dello Es gibt40. L’essere, quale

do-nazione (Gabe) di questo Es gibt trova il suo luogo proprio (gehört) nel dare. Il “dà” (gibt) indica l’essenza dell’essere che dà, concedendo la sua verità41. Nell’ottica della «datità» (Gegebenheit) husserliana si

trat-ta di un ricevere tutt’altro che passivo perché da elaborare in rappor-to con la «donazione di senso» (Sinngebung) che stringe l’intuizione categoriale in un vero e proprio vincolo con il darsi dell’essere42.

averli già posseduti una volta poeticamente, o liturgicamente, o metafisicamente» (M. Zambrano, Claros del bosque, trad. it. cit., Appendice – Lo specchio di Atena, p. 154).

37 M. Cacciari, “Lichtung: intorno a Heidegger e María Zambrano”, in A. Petterlini,

G. Brianese, G. Goggi (a cura di), Le parole dell’Essere. Per Emanuele Severino, Mondadori, Milano 2005, p. 124.

38 M. Cacciari, “Lichtung: intorno a Heidegger e María Zambrano”, cit., p. 124.

Se-condo Cacciari il “claro” di Zambrano non rende l’idea della Lichtung heideggeriana anche se questa si presenta come il sentiero che conduce “al chiaro”. Per la Zambrano nel bosco che include il “claro” non appaiono che veredas, filamenti di luce traccianti, improvvisi, istantanei segnali nell’ombra, incatturabili istanti (ivi, p. 127).

39 «Dell’ente noi diciamo che es ist: che “esso è”, che “v’è” l’ente» (M.

Heideg-ger, Zeit und Sein (1962), in Id., Zur Sache des Denkens, Niemeyer, Tübingen 1969, pp. 1-25; trad. it. di C. Badocco, Tempo e essere, Longanesi, Milano nuova ed. 2007, p. 7).

40 Cfr. ivi, pp. 8-9.

41 Cfr. M. Heidegger, Brief über den «Humanismus», trad. it. cit., p. 62.

42 Qui Husserl viene letto riconducendo il dato alla donazione, secondo la visione

del filosofo francese Jean-Luc Marion il quale correla la Gegebenheit delle Ricerche Logi-che di Husserl con l’Ereignis heideggeriano. Marion rende il termine husserliano Gegen-benheit con donation anziché con “dato” per non stringere l’apparire alla semplice pre-senza. Facendo convergere la figura della Gegebenheit verso il concetto di donazione, Marion accoglie l’ottica dell’Es gibt heideggeriano e così modella il suo concetto di dona-tion sull’esempio basilare dell’Ereignis (evento) dell’Essere che allo stesso tempo si dona e si trattiene, si svela e si vela (su questo tema si vedano in particolare: J.-L. Marion, É-tant donné. Essai d’une phénoménologie de la donation, PUF, Paris 19982, pp. 97-100; trad. it. R. Caldarone, Dato che. Saggio per una fenomenologia della donazione, con introduzione di N. Reali, SEI, Torino 2001; Id., Réduction et donation. Recherches sur Husserl, Heidegger et la phénoménologie, PUF, Paris 2004; trad. e cura di S. Cazzanelli, Riduzione e donazione. Ricerche su Husserl, Heidegger e la fenomenologia, Marcianum Press, Venezia 2010). La pa-rola donation è un termine che in lingua francese «usufruisce dell’indecidibile ambiguità tra dare e donare» (U. Perone, “Premessa” a J.-L. Marion, Dialogo con l’amore, Rosenberg & Sellier, Torino 1a rist. 2008 (1aed. 2007), p. 10). Donation è da intendersi come la fase

attiva del dare; donnée indica l’oggetto dato o il risultato della donazione. Questi signi-ficati alternativi non sono presenti nella traduzione italiana dove il termine Gegenben-heit è reso con datità. Gianfranco Dalmasso in proposito osserva: «La lingua italiana, distinguendo dare e donare, dato e dono, esplicita un’ambiguità che la lingua francese la-scia inespressa, nella sua fecondità ma anche nella sua censura. Dato nel senso di donato

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In ciò che si chiama esperienza, dal punto di vista di Husserl, vie-ne compiuta un’operaziovie-ne donatrice di senso assai articolata e com-plessa, che egli situa sotto l’appellativo, inteso, in senso largo, di «ra-gione e non ra«ra-gione»43. Ciò si chiarisce col concetto fenomenologico

di ricettività passiva, che non è da capire, però, come mera ricettività, in quanto implica comunque un volgersi attivo dell’io originariamen-te ricettivo verso la cosa, che significa andare incontro a pre-datità formate passivamente, a un senso d’essere che si è imposto anterior-mente all’attività dell’io44.

Fenomenologicamente, il concetto di ricettività, come afferma Husserl, non è affatto in antitesi all’attività dell’io, espressione quest’ultima che include tutti gli atti che in senso specifico proven-gono dal polo-io; piuttosto bisogna considerare la ricettività come il grado più basso dell’attività, entro la quale l’io lascia fare all’oggetto entrante e lo afferra45. Come spiega Vincenzo Costa nella sua

intro-duzione alle Lezioni sulla sintesi passiva, per Husserl le forme logiche si strutturano già prima del porsi del livello giudicativo in senso proprio e l’esperienza non viene determinata o messa in forma da ca-tegorie che si applicano su di essa, ma al contrario sono «preparate in essa», vale a dire si definiscono passivamente, prima del volgimento attivo della soggettività, motivo per cui esse «non derivano dalla spon-taneità, ma appartengono alla struttura passiva dell’esperienza»46.

indica tuttavia, radicalmente, una struttura dinamica integralmente costitutiva del da-to, struttura così dinamica da investire, dal suo stesso interno, il destinatario del dono» (G. Dalmasso, “Io senza esserlo”, prefazione all’ed. it. del testo: J.-L. Marion, Il visibile e il rivelato, ed. it. a cura di C. Canullo, Jaca Book, Milano 2007, p. VII (corsivi nel testo); ed. or.: Le Visible et le révélé, Les Éditions du Cerf, Paris 2005). Tra i critici della conce-zione di donation c’è chi, come Marie-Andrée Ricard, ha, però, sollevato il problema che «il soggetto diventa in Marion il recipiente passivo di ciò che è dato» (Marie-Andrée Ricard, “La question de la donation chez Jean-Luc Marion”, Laval théologique et philoso-phique, vol. 57, n° 1, 2001, p. 94 (pp. 83-94).

43 Cfr. E. Husserl, Analysen zur Passiven Synthesis. Aus Vorlesungs und

Forschungsma-nuskripten (1918-1926), in Husserliana, Band XI, herausgegeben von M. Fleischer, Mar-tinus Nijhoof, Den Haag 1966; trad. it. a cura di V. Costa, Lezioni sulla sintesi passiva, La Scuola, Brescia 2016 (il testo riproduce con qualche modifica la prima traduzione appa-rizione della traduzione italiana di V. Costa, con la cura di P. Spinicci, nel 1992, Guerini, Milano), p. 67.

44 Cfr. C. Di Martino, Il senso comune nella fenomenologia, in E. Agazzi (a cura di),

Va-lore e limiti del senso comune, Franco Angeli, Milano 2004, p. 180.

45 Cfr. E. Husserl, Erfahrung und Urteil. Untersuchungen zur Genealogie der Logik, hrsg.

von L. Landgrebe, Academia Verlag, Prag 1939, rist. Claasen & Goverts, Hamburg 1948; trad. it. a cura di F. Costa, Esperienza e giudizio. Ricerche sulla genealogia della logica, con una nota introduttiva di E. Paci, Silva, Milano 1960, § 17, pp-81. 80).

46 Cfr. E. Husserl, Analysen zur Passiven Synthesis…, trad. it. cit., “Premessa” di V.

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Si tratta di una «fondazione dal basso»47, «per poi risalire, con

maggiore consapevolezza, da

quest’ultima dimensione verso l’alto, verso l’ideazione»48.

L’ideazione (intuizione eidetica) è un atto con cui una visione em-pirica può divenire visione d’essenza (l’essenza è intesa nel modo di idea in senso kantiano). L’intuizione d’essenza è coscienza di qualco-sa, di un oggetto o qualcosa su cui porta lo sguardo e che le è conse-gnato «in se stesso» in questa intuizione; l’oggetto può, quindi, veni-re rappveni-resentato in altri atti, come può esseveni-re pensato approssimati-vamente o nettamente o, invece, divenire argomento di predicazioni effettive o infondate così come un qualsiasi oggetto nel senso più ge-nerico della logica formale49.

Come sottolinea Virgilio Melchiorre, la cosa si dà tutta in questa «tensione intenzionale» (che è appunto l’ideazione) come «identità complessa», come «medesimo in una diversità che non gli inerisce semplicemente, ma che piuttosto è il suo stesso essere»50. La cosa si

dà per adombramento «in quanto l’identità è per lo più assente e data

Husserl si era imposta sin dall’inizio della sua riflessione, e che lo accompagnerà sino ai suoi ultimi lavori: i concetti si radicano nell’intuizione, sono preparati nell’esperienza, an-che se ad un certo punto la oltrepassano, attraverso passaggi al limite an-che producono le idealizzazioni, cioè costrutti che possono solo essere pensati ma non avere un’illustrazione nell’intuizione. Tuttavia, dalla genesi di questi costrutti a partire dall’esperienza bisogna essere consapevoli, altrimenti le teorie vengono reificate, si di-mentica che sono sorte attraverso astrazione e idealizzazione e ciò che è solo una idea-lizzazione diviene la “vera realtà”, quella che sta dietro il fenomeno: si dimentica che quei costrutti sono sorti proprio a partire dall’esperienza fenomenica che ora, a partire da essi, si tende a screditare come “parvenza”» (ivi, pp. 11-12, corsivo nel testo).

47 Tale procedere, come spiega Gadamer, venne delineandosi nelle Idee per una pura

fenomenologia del 1913, in cui si presentava lo sviluppo della «via cartesiana di una ri-duzione trascendentale e di uno studio universale delle operazioni costitutive dell’io trascendentale, rivelando così al neokantismo di Marburgo l’ampiezza di una fonda-zione dal basso» (H.-G. Gadamer, Die phänomenologische Bewegung, trad. it. cit., p. 47).

48 Cfr. A. Ales Bello, “ Essere grezzo e

hyleti-ca fenomenologihyleti-ca: l’ eredità filosofihyleti-ca di “Il visibile e l’invisibile”, Memoran-dum 14, abril/2008, p. 65.

49 Cfr. E. Husserl, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen

Philosophie. Libro primo: Allgemeine Einführung in die reine Phänomenologie, Husserliana, voll.III/1 e III/2, a cura di K. Schuhmann, Nijhoff, Den Haag 1976, Kluwer Academic Publishers B.V. 1950; trad. it. di V. Costa, Introduzione generale alla fenomenologia pura, in Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica 1912-1928, nuova ed. a cura di V. Costa, introd. di E. Franzini, Mondadori, Milano 2008 (G. Einaudi, Torino 1965 e 2002), p. 18. «Ogni possibile oggetto, in termini logici, “ogni soggetto di possibili predicazioni vere”, ha appunto proprie maniere di presentarsi a uno sguardo capace di rappresentarlo, di intuirlo, di coglierlo nell’originale, di “afferrarlo”, prima di ogni pen-siero predicativo» (ibidem).

50 V. Melchiorre, Metacritica dell’eros, Vita e Pensiero, Milano rist. 1987 (1a ed. 1977),

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nel rinvio», ma al contempo questo adombramento «è presenza e convergenza di quell’identità in ciascuno dei suoi lati», sicché pre-senza e aspre-senza, percezione e immagine risultano indivisibili51. Ogni

ente dice, dunque, di sé, ma in questa inseità chiama anche l’infinitamente altro e ne dice par analogia, per cui una coscienza che sappia muoversi pienamente a fondo, dovrà porsi come «coscienza analogica», vale a dire «come coscienza che in ogni frammento del reale coglie la medesimezza e l’alterità di un identico»52. Il processo

della vita coscienziale, secondo questa interpretazione, porterebbe, quindi, con sé anche nei suoi livelli passivi «una vera e propria ten-sione meta-fisica», si nutrirebbe cioè di un «rinvio all’invisibile, che tut-tavia, pur restando per sempre tale, costituisce il presupposto necessario e reale del suo orientamento»53. La percezione è così coscienza di un’unica

e medesima cosa grazie al radunarsi in un’ unità di apprensione e in forza della possibilità (relativa all’essenza delle differenti “unità di apprensioni”) di sintesi dell’identificazione54.

In questo profondo lavoro di scavo dell’essere sono chiamati in causa il coglimento percettivo e la produzione predicativa che, pur essendo operazioni separate dal punto di vista genetico, stanno co-munque in un rapporto di circolarità. Sul terreno della passività55, la

soggettività è già sempre coinvolta in termini di “affezione”. Con questo termine Husserl intende lo «stimolo coscienziale, la trazione (Zug) peculiare che un oggetto cosciente esercita sull’io»56. Si tratta di

un fenomeno che, come spiega Paolo Spinicci, si situa in posizione intermedia tra passività e attività: l’oggetto agisce su di noi e giacché

51 Cfr. ivi, p. 17. 52 Cfr. ivi, p. 19.

53 Cfr. V. Melchiorre, Dialettica del senso. Percorsi di fenomenologia ontologica, Vita e

Pensiero, Milano 2002, pp. 20-21 (corsivo nel testo).

54 Cfr. E. Husserl, Ideen..., Libro primo: Allgemeine Einführung in die reine

Phänomeno-logie, trad. it. cit., p. 99 (corsivo nel testo).

55 «La passività è ciò che è primo in sé, perché ogni attività presuppone per sua

stes-sa essenza uno sfondo di passività e un’oggettualità (Gegenständlichkeit) in esstes-sa già pre-costituita» (E. Husserl, Aktive Synthesen: aus der Vorlesung ‘Transzendentale Logik’ 1920/21, edited by R. Breeur, Kuwer Academic Publishers, The Netherlands; trad. it. a cura di L. Pastore, Lezioni sulla sintesi attiva. Estratto dalle lezioni sulla ‘logica trascendenta-le’ (1920/21), pres. di D. Lohmar, postf. di M. Barale, Mimesis, Milano 2007, p. 49). «In questo corso di lezioni il metodo genetico si presenta sotto forma di progetto rivolto all’elaborazione della formazione originaria della cosiddetta conoscenza antepredicati-va all’interno sia della semplice disamina osserantepredicati-vatiantepredicati-va sia dell’esplicazione degli oggetti, ma anche nella forma di un’indagine rivolta al modo in cui i contenuti della conoscenza antepredicativa trapassano in un giudicare di carattere attivo, quello predicativo» (ivi, “Presentazione” di D. Lohmar, p. 7).

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