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Sintomi di fallimento, per una famiglia sull orlo di una crisi di nervi

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Academic year: 2022

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Sintomi di fallimento, per una ‘famiglia’ sull’orlo di una crisi di nervi

“Sintomo” viene definito dal Dizionario della lingua italiana:

“segno o indizio di un fatto, suscettibile di rivelarsi in forma più esplicita”. L’approdo, quindi, non è inevitabile e neppure automatico, però presenta caratteri di probabilità.

Prendiamo tre di questi “segni-indizi”, a titolo meramente esemplificativo:

• nel 2015 il Consiglio con voto a maggioranza ( il cui profilo giuridico-istituzionale è: “Il Consiglio esercita, congiuntamente al Parlamento europeo, la funzione legislativa e la funzione di bilancio”, art. 16 del Trattato sull’Unione europea) decide il ricollocamento nei diversi Paesi membri di 160 mila immigrati dall’Italia e dalla Grecia. Questa

“decisione-norma” non viene ancora applicata, a seguito della esplicita “disobbedienza” della quasi totalità dei membri dell’Unione (recentemente la Germania ha deciso – “bontà sua”

– di riceverne una parte);

• Il 23 giugno 2016, il paese membro dell’Unione – Regno Unito – tiene un referendum consultivo (nessun obbligo di farlo derivava dalle sue leggi: soltanto una libera ed autonoma volontà dell’allora capo del governo David Cameron) sulla permanenza o l’uscita dall’Unione europea. Il 24 mattina tutto il mondo ed anche tutti i popoli dell’Unione europea conoscono i risultati del referendum popolare: uscire. Il Trattato afferma: “Lo Stato membro che decide di recedere notifica tale intenzione al Consiglio europeo” (art. 50). Ad oggi (99 giorni da quel 23 giugno) il Regno Unito (il suo governo/esecutivo o il suo Parlamento: aspetto che non riguarda né l’Unione, né i 27 Paesi membri) si rifiuta di “notificare” qualcosa che è

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molto di più di una “intenzione”.

• Domenica prossima 2 ottobre 2016, il Paese membro dell’Unione – Ungheria- terrà un referendum popolare per rispondere a questo quesito: “Volete autorizzare l’Unione europea a decidere il ricollocamento in Ungheria di cittadini non ungheresi senza l’approvazione del parlamento ungherese?”

(come sempre, Viktor Orbàn fa da testuggine anti europea, per conto del gruppo di Visegrad : Slovacchia, Polonia, Ceka, Ungheria, che – sia detto per inciso- vogliono i fondi europei per lo sviluppo, ma non i rifugiati che fuggono dalle guerre).

L’allarme che, questa volta, “Diario” intende lanciare è, da una parte, di tipo giuridico-istituzionale, dall’altra strategico-politico. Si va configurando, infatti (oltre ai profili politici ed etici a cui ciascuna di queste violazioni rinvia in modo specifico) uno “stato di fatto” in cui il Trattato (la più alta base giuridica dello stare insieme), le Istituzioni dell’Unione, numerosi Stati membri e relativi popoli vengono messi di fronte al “fatto compiuto”. Senza che venga attuato immediatamente e solennemente dinanzi alla pubblica opinione alcuna misura a difesa e salvaguardia della

“legalità” e del “Diritto” europei (dell’Unione). Qualunque Stato o Democrazia al mondo non potrebbe resistere e sussistere a lungo in una situazione di permanente ed arrogante violazione del “Diritto”, all’interno del suo territorio. Perché dovrebbe riuscirci questa Unione europea?

“Diario” ricorda che alle violazioni di natura e rischio democratico molto meno incisive, quali le indebite concessioni di aiuti di stato o la errata erogazione di finanziamenti, ecc. scatta immediatamente la procedura finalizzata sia al recupero delle somme, sia alla penalizzazione aggiuntiva.

Non accade la stessa cosa in merito a fenomeni assai più rilevanti.

Ad un anno dalla Decisione comunitaria sul ricollocamento (entro il settembre 2017) di 160 mila persone, sono soltanto 5.651 i profughi trasferiti (4.455 dalla Grecia, 1.196

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dall’Italia). Ecco le cifre – assolutamente eloquenti dei Paesi membri che hanno accolto profughi dall’Italia: Finlandia (260); Francia (231); Portogallo (183); Olanda (178); Germania (20); Lussemburgo (20); (Belgio (29); Bulgaria, Polonia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lituania, e Slovacchia non hanno accolto nessun profugo. (Come si diceva sopra: la Germania, ora, si è impegnata a ricevere 500 profughi al mese;

e il Belgio 100 profughi al mese). In termini di “legalità” la Commissione ricorda che: “i Paesi membri hanno l’obbligo legale a ricollocare”; che: “la Legge Ue non è opzionale, ciò che gli Stati hanno deciso assieme deve essere applicato”;

che:“la Commissione si riserva comunque di intraprendere azioni legali”.

E’ in questo contesto che uno Stato membro – l’Ungheria – domenica 2 ottobre, ricorre ad un referendum popolare. Cosa è:

una sfida? A chi: a tutti gli altri Stati membri e all’Unione in quanto tale? Alcuni analisti cin informano di un recente dossier del Servizio Studi del Senato italiano rileva che nella Costituzione della Ungheria si esclude il ricorso al referendum su “ogni obbligazione derivante da trattati internazionali”; ciononostante la Corte suprema e la Corte costituzionale ungheresi (recentemente riformate dal governo Orbàn) hanno ammesso il quesito.

Ecco cosa accade sotto il cielo dell’Unione!

Scrive il professor Pietro Manzini (ordinario di Diritto dell’Unione europea presso l’università di Bologna), a proposito del referendum ungherese: “ il referendum è illegale perché viola il principio di supremazia del diritto europeo sulle leggi nazionali, uno dei fondamenti logici, prima ancora che giuridici, dell’Unione. Essa è stata riconosciuta dalla Corte di giustizia sin dal 1964 ed è consacrata nei trattati che l’Ungheria – e in particolare il suo parlamento – ha accettato senza riserve al momento dell’adesione” (avvenuta, peraltro seguendo la lettera dell’art. 49, che i lettori e le lettrici hanno avuto modo di conoscere nei precedenti

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“Diari”). Pietro Manzini sottolinea anche un secondo profilo d e l l a v i o l a z i o n e , q u e l l o b a s a t o s u l “ p r i n c i p i o d i solidarietà”: è quello stesso principio in forza del quale, l’Ungheria può (ha persino il “diritto”) ricevere i fondi europei -costituiti con le risorse di tutti gli altri Stati membri (e i loro cittadini contribuenti). Se quei principi vengono intaccati, dovrebbero decadere anche i frutti della solidarietà allo sviluppo e al progresso sociale ed economico dei cittadini ungheresi. “Non è la prima volta che uno Stato infrange gli impegni presi con la sua adesione all’Unione europea – aggiunge Manzini – ma la violazione dell’Ungheria è inedita e molto più pericolosa delle precedenti perché, per la prima volta, è perpetrata deliberatamente e mediante un referendum popolare” (ivi, “l’Unità”, 28 settembre 2016). Non risulta che siano incorso procedure ed atti finalizzati ad impedire o contrastare tale violazione; nessuna pubblica manifestazione di contrarietà è stata espressa nel cosiddetto vertice di Bratislava; dove il signor Orbàn – capo del governo ungherese- ha regolarmente partecipato alla foto (ricordo!?) a conclusione della riunione/vertice. Scioccamente si ritiene che non avendo il referendum alcuna conseguenza giuridica – se non la conferma del rifiuto già in atto al ricevimento della quota regolamentare di immigrati (attualmente detiene soltanto 1.294 rifugiati su quasi 10 milioni di abitanti) – il silenzio delle Istituzioni dell’Unione e delle cancellerie degli Stati membri è sopportabile o ammissibile? Ma è proprio in questa supposizione e in questo approccio che si manifesta precisamente il “sintomo” (cfr. la definizione, da Dizionario di lingua italiana sopra riportata), e se ne costruiscono le premesse, del fallimento della Unione europea come entità giuridica e politica. Non sono “questioni di lana caprina”. Al contrario: se vengono meno – in punta di diritto o nella pratica – questi elementi del “Diritto europeo”, questa Unione resta soltanto uno “spazio economico e di mercato”. E’, appunto, la visione di un numero importante (anche se non maggioritario ora che il Regno Unito ha espresso la

“intenzione” di uscire) di Stati membri: tra essi il gruppo di

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Visegrad.

Un altro “sintomo” riguarda la mancata notifica da parte del Regno Unito della “intenzione” di uscire dall’Unione, nel

“lontano” 23 giugno, novantanove giorni fa.

Dopo il cosiddetto “vertice” di Bratislava nel quale non si è fatto – formalmente e pubblicamente cenno alla questione del Brexit e della incredibile incuranza del regno Unito all’applicazione dell’art. 50 – lo scorso 27 settembre si è tenuta, sempre a Bratislava ( in quanto capitale dello Stato membro che detiene fino a dicembre la presidenza semestrale, di turno, della U.E.) una riunione del “Consiglio” ( informale) dei ministri della Difesa dei Paesi membri dell’Unione. Una riunione – seppure informale – del Consiglio, di grande importanza ( un giorno, se le “rose fioriranno”, questa data sarà ricordata come una data storica!) nella quale sono state presentate, ufficialmente e finalmente, quattro proposte di riforma di strumenti della Difesa e della Sicurezza nell’Unione europea: una da parte dell’Alto rappresentate dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini; un’altra del ministro italiano Roberta Pirotti; un’altra del ministro tedesco Ursula von del Leyen; un’altra del ministro francese Jean-Yves Le Drian. Presente alla riunione (in quanto nessuna “Notifica” è stata ancora fatta relativamente all’uscita dall’Unione, quindi nel pieno delle sue funzioni e dei suoi “diritti” di membro dell’Unione!), il ministro inglese Michael Fallon ha manifestato una forte opposizione alla proposta: nonostante la evidente circostanza che tali politiche riguarderanno, in ogni caso, il processo di integrazione della UE, successivo al Brexit. Ecco svelato che la mancata “notifica” non è un mero fatto burocratico: infatti, il Ministro di un Paese membro che ha già deciso di uscire dall’Unione e che – non rispettando il Trattato vigente – si rifiuta di effettuare la comunicazione formale di tale volontà, può partecipare ed intervenire nelle riunioni dei membri ed operare esplicitamente in contrasto con

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le strategie dell’Unione, suscitando ed appoggiando le perplessità, le incertezze, i tentennamenti dei membri attuali di questa Europa unita (soprattutto degli Stati membri dell’Europa dell’Est). Egli diventa – di fatto – un agente di disintegrazione. E tutto ciò dovrebbe essere ritenuto

“normale”? Tutto ciò, mentre nei vicini Paesi balcanici cresce, in queste ore, una tensione interna preoccupante, che richiede dalla Unione europea attenzione e iniziativa politica, tesa a farsi, da una parte, interlocutrice delle aspirazioni europeiste dei Paesi di quell’area che da tempo le manifestano, dall’altra un agente strategico di rasserenamento delle tensioni interne all’area. Da quei martoriati territori, giunge, in questi giorni, all’Unione europea una richiesta di attenzione che sarebbe grave ignorare; le proposte presentate e condivise da Italia, Germania, Francia ed altri a Bratislava vanno nella direzione anche della stabilizzazione della vicina area balcanica. Nello stesso tempo danno una risposta forte a t u t t i i p o p o l i d e g l i S t a t i m e m b r i c h e m a n i f e s t a n o preoccupazioni proprio in materia di Sicurezza e controllo delle frontiere esterne. Sulle cui “paure e ansietà”, la Gran Bretagna – dopo il suo referendum – dovrebbe avere almeno la decenza del rispetto e del non-intevento.

E’ triste – che altro aggettivo usare?- costatare che quella opinione pubblica che all’indomani della riunione inconcludente di Bratislava esprimeva meraviglia e critiche a fronte della dura reazione del presidente del Consiglio italiano, sorvoli o giri la testa dall’altra parte, davanti a queste manifestazioni “sintomatiche” della Disintegrazione europea in atto. E’ necessario, al contrario, alzare l’asticella della vigilanza e dell’allerta: la salvezza di questa Unione Europea sta nella capacità di cogliere i sintomi del grande rischio, di farlo in tempo utile; di non ripetere – drammaticamente – la vicenda dei “sonnambuli” alla vigilia del grande conflitto del 1914, che ‘Diario’ ha spesso evocato.

“Condividere le iniziative per far vivere meglio i cittadini europei e per difendere la loro sicurezza, sul doppio versante

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dell’immigrazione e della lotta al terrorismo, è una necessità immediata” (cfr. Paolo Lepri, “La ‘Repubblica europea’ che rischia di crollare”, in: Corriere della sera, 29 settembre 2016). Il fatto nuovo – di cui pare che non ci si renda conto – è che la risposta a queste necessità europee “non può più essere il risultato lento, sempre insoddisfacente, di uno sforzo di unità elaborato. Le grandi emergenze vanno affrontate in modo bipartisan a livello politico, utilizzando le forze responsabili residue” (ivi). Il giornalista – per anni corrispondente del “Corriere della sera” a Berlino – sottolinea la “novità” di una Cancelliera tedesca che, davanti al suo Paese, ha espresso (all’indomani della sconfitta elettorale nel Land di Berlino), con inatteso candore, “il desiderio di riportare indietro le lancette dell’orologio, per affrontare in modo più organizzato la crisi dei rifugiati e mettere meglio a punto le politiche di accoglienza e di integrazione dei dannati della terra che stanno cambiando tutto quello che vediamo attorno a noi”.

Su quali e quante altre emergenze (non più tali, in quanto da tempo nell’agenda istituzionale e di governo della Unione e dei suoi Stati membri!) bisognerà desiderare di riavvolgere il nastro della storia, con la consapevolezza di non poterlo fare?

Intervenendo alla Commissione economica del Parlamento europeo, il presidente della Banca centrale ha ancora una volta sottolineato che “senza completare il progetto europeo la nostra Unione rimane vulnerabile”. Ed entrando – con la consueta asciuttezza e andando anche oltre la sua specifica missione – nel merito dell’agenda europea, ha aggiunto: “tre sono le linee d’azione urgenti che l’Unione deve seguire: la prima è intervenire con nuovi progetti in materia di immigrazione, sicurezza e difesa, per andare incontro alle preoccupazioni dei cittadini; la seconda è ripristinare la fiducia tra i Paesi in materia di conti pubblici (“esiste una asimmetria nelle regole di bilancio europee: mentre ai paesi che non hanno margini è vietato usare lo spazio che non hanno,

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i paesi che hanno margini non sono costretti ad usare questo spazio”); la terza è il completamento dei progetti di integrazione già avviati, a cominciare dall’Unione bancaria e dal mercato unico dei capitali”. E successivamente – il 28 settembre, a Berlino – affrontando a muso duro i parlamentari tedeschi (a porte chiuse), Draghi ha sottolineato che: “ se una banca presenta una minaccia sistemica per la zona euro, questo non può essere a causa dei bassi tassi di interesse ma d i a l t r e r a g i o n i ” . I l r i f e r i m e n t o c o s ì e s p l i c i t o , autorevolissimo e grave, in quanto fatto in una sede parlamentare dal presidente della Banca centrale europea che ha anche il compito della vigilanza sulle Banche europee, alla Deutsche Bank (le cui gravissime difficoltà, gli incauti parlamentari tedeschi avevano tentato di attribuire la causa alla politica monetaria espansiva della BCE) dovrebbe essere un monito anche per il (cosiddetto) “ministro delle Finanze più potente d’Europa”, Wolfgang Schauble. (Mentre questo

“Diario” va on line giunge notizia delle reiterate gravi difficoltà del secondo gruppo bancario tedesco – Commerzbank – già salvato dal Tesoro di Berlino nel 2007 con una iniezione di 18 miliardi di euro, diventandone azionista, come ancora oggi con il 15%).

Più volte, “Diario europeo” (insieme ai suoi lettori e alle sue lettrici) si è domandato: “Per chi suona la campana”?

Lettrici, lettori e Diario conoscono le parole – serie, impegnative, anche inquietanti – con le quali il poeta continua, ammonendoci tutti: “ Non mandare a chiedere per chi suona la campana, essa suona per te”.

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Bando per la riqualificazione delle periferie: nominato il Nucleo di valutazione dei progetti

Il nucleo di valutazione dei progetti intende procedere speditamente per la valutazione delle proposte da finanziare.

Buone nuove sulla riqualificazione delle periferie delle Città Metropolitane.

E’stato infatti emanato il decreto del segretario generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, consigliere Paolo Aquilanti, con il quale si è proceduto alla costituzione del Nucleo per la valutazione dei progetti per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie, in base al bando nazionale emesso ad inizio estate..

Il Nucleo è composto dal segretario generale della Presidenza del Consiglio Paolo Aquilanti, che svolge le funzioni di presidente, e dai seguenti sei esperti di particolare qualificazione professionale: ing. Michele Brigante, designato dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome;

dott.ssa Veronica Nicotra, segretario generale dell’ANCI, designata dall’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI);

prof. Fabio Pammolli, professore ordinario di Economia e g e s t i o n e d e l l e i m p r e s e p r e s s o l a S c u o l a S u p e r i o r e Universitaria IMT Alti Studi Lucca; prof.ssa Laura Ricci, direttore del Dipartimento di Pianificazione design tecnologia d e l l ’ a r c h i t e t t u r a d e l l a F a c o l t à d i A r c h i t e t t u r a dell’Università di Roma La Sapienza; consigliere Ferruccio Sepe, dirigente della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

arch. Elisabetta Fabbri.

Nella prima riunione il Nucleo ha definito le proprie modalità di funzionamento nonché ulteriori criteri di valutazione rispetto a quelli di base indicati nel bando allegato al

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decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 25 maggio 2016 che ponevano in primo piano i requisiti della tempestività ed esecutività degli interventi, della capacità di attivare sinergie fra finanziamenti pubblici e privati, della fattibilità economica e finanziaria e della coerenza interna del progetto.

Come si ricorderà al bando hanno presentato progetti quasi tutti i Comuni della Città Metropolitana con una serie di proposte di grande interesse per la riqualificazione e la sicurezza del territorio

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Corviale, una passeggiata nel cemento che pulsa in cerca di identità e riscatto

Sapere qualcosa di più su Corviale era un mio desiderio.

Eppure, poco prima dell’evento al quale avevo deciso di partecipare, ero titubante. Mi tormentava l’idea che le persone che vivono lì ci vedessero come visitatori di uno zoo.

E un po’ la questione mi stava facendo desistere. Per fortuna, però, domenica 25 settembre ho deciso di andare. Queste incursioni urbane in periferia, come le definisce Irene Ranaldi (presidente dell’associazione culturale Ottavo Colle), sono importanti affinché i romani si riapproprino sempre di più dei propri quartieri. E’ stata lei ad avvisarci che qualche malumore lo avremmo avvertito, che la nostra presenza sarebbe stata avvertita dagli abitanti del quartiere e che saremmo stati accolti soprattutto dal silenzio. Per buona parte della passeggiata è andata proprio così.

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Ma Corviale è davvero un mostro? E’ il quesito con il quale si è aperta la visita. Spesso la nostra percezione è distorta, quello che ci appare come brutto lo vediamo anche come distante e pericoloso. “Si tratta di un primo pregiudizio – spiega la sociologa urbana – Corviale è oggetto di tantissimi progetti di riqualificazione, tutti progetti fantastici sulla carta. Ma se Corviale non riesce a dialogare con la città è perché la città non dialoga con lui. Per far arrivare gli autobus le persone hanno dovuto bloccare le strade, accendere i fuochi. Gli ascensori, che sono spesso fuori uso, condannano anziani e disabili a vivere in un carcere. Ci sono corridoi di un chilometro che io non percorrerei mai da sola. A Corviale l’unico bar è quello della biblioteca, non ci sono ristoranti e c’è un solo supermercato. Il Mitreo è l’unica associazione culturale e l’Albergo delle Piante è uno dei pochi esempi che coinvolgono i cittadini e permettono loro di rendere bello e vivo uno dei cinque spazi-cavea inutilizzati”. A Corviale, infatti, non ci sono piazze. E non ci sono perché come spazi di aggregazione l’architetto che ha ideato il “serpentone”, Mario Fiorentino, aveva previsto gli spazi-cavea. Ma su quei gradoni non si riunisce nessuno, sono abbandonati. “L’albergo delle piante, ideato tra gli altri da Mimmo Rubino e Angelo Sabatiello, ha coinvolto i pazienti della Asl di Corviale, ha chiesto loro di adottare delle piante, disporle nella cavea e prendersene cura tra un tè e quattro chiacchiere”, sottolinea la presidente di Ottavo Colle.

Durante la passeggiata la Ranaldi racconta come è nato Corviale e mostra spezzoni di film che sono stati girati nel grande parallelepipedo, da “Sfrattato cerca casa equo canone”

di Pier Francesco Pingitore, uscito nel 1983 a solo un anno dall’inaugurazione di Corviale, al dramma “Et in Terra Pax” di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, da “Scusate se esisto!”, la commedia di Riccardo Milani ispirata al progetto (vero) dell’architetta Guendalina Salimei, con Paola Cortellesi e Raoul Bova a “Zeta” di Cosimo Alemà, in questo caso è stato mostrato il videoclip “Serpente” che ha per protagonista

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Salvatore Esposito (Genny Savastano della serie Gomorra), con la voce del rapper Tormento.

Considerato da alcuni un mostro e da altri un monumento della Roma contemporanea, Corviale è un complesso di 958 metri di lunghezza, 200 metri di spessore, 30 metri di altezza divisi in nove piani il tutto per un totale di 750.000 metri cubi di cemento, su di un’area edificabile di circa 60 ettari. “Si tratta di 1.202 appartamenti in cui vivono tra le 6mila e le 8mila persone. Nessuno sa con esattezza quanti siano i residenti perché molti sono tutt’ora abusivi e l’Ater, che è proprietario dell’edificio, fatica a riscuotere gli affitti e a procedere al censimento – spiega la sociologa – E’ nato seguendo le visioni utopiche del filosofo ed economista francese Charles Fourier (1772-1837), che vedeva nel falansterio (grande edificio destinato a una comunità autonoma e dotato di tutte le istituzioni e i servizi indispensabili, n.d.r.) una risposta all’esigenza di giustizia sociale.

Attorno al Corviale ruotano due leggente metropolitane, una legata al suicidio di Fiorentino, che secondo la leggenda sarebbe avvenuto dopo aver visto la bruttezza alla quale aveva dato vita a 10 anni dalla progettazione (e che invece è morto per un arresto cardio-circolatorio dopo un’accesa riunione), l’altra legata alla scomparsa del Ponentino per via dell’enorme edificio. Entrambe sono solo leggende”.

Eppure, Corviale resta una delle eccellenze architettoniche del Paese per la sua unicità. Oltre al fallimento del sistema f a l a n s t e r i o , t r a i s u o i p r o b l e m i p i ù g r a n d i c i f u l’occupazione abusiva già nel 1982 dei quarti piani, destinati ai servizi come circoli culturali e ricreativi, biblioteche, etc. Nonostante tutte le sue problematiche, Corviale si muove, cerca di trovare al suo interno la sua identità, ha sviluppato una sorta di orgoglio. Qualora la risposta al quesito iniziale fosse affermativa, Corviale sarà anche un mostro ma, come tanti altri mostri, è un mostro che sta cercando un sistema per evolversi e fare meno paura.

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Bruno Manghi: “Il problema delle periferie è la qualità demografica”

«La particolarità di Torino sta nel fatto che per alcuni secoli è stata governata da un forte potere centrale. Dopo un periodo di smarrimento, ha sostituito in parte quel potere pubblico con l’auto, con la grande fabbrica, che è stata a sua volta un riferimento autoritativo. Tutto questo è finito, ma ha lasciato una traccia nella mentalità del territorio, per cui ci si aspetta sempre dalle autorità qualcosa di particolarmente rilevante, e invece non è così. Siamo entrati in una situazione nuova che si è accompagnata anche ad un grande cambiato territoriale di natura demografica»: Bruno Manghi, sociologo, una vita passata nel sindacato (Cisl), collaboratore di Prodi, attualmente presiede la Fondazione Mirafiori promossa dalla Compagnia di San Paolo. Sabato, in occasione dell’assemblea annuale di Confartigianato Imprese Torino, è intervenuto trattando il tema delle periferie, ma anche il ruolo dell’associazionismo. «Partiamo da una banalità: se le periferie sono i luoghi dove vivono le persone meno abbienti, dopo 7 anni di crisi le loro condizioni di vita non possono certo essere migliorate. La crisi colpisce in maniera più seria coloro che sono svantaggiati in partenza. La novità sta, invece, nel grande cambiamento territoriale avvenuto. Quando ero ragazzo la cintura torinese era un posto da evitare, ora, invece, a Grugliasco, Collegno, Nichelino, Settimo, ecc., abbiamo assistito ad una trasformazione positiva e ad un ringiovanimento medio della popolazione.

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M e n t r e n e l l a c i n t u r a t o r i n e s e è a v v e n u t o u n n e t t o miglioramento reddituale, demografico e di attivismo, la povertà si è concentrata nella cerchia urbana, e questa è una novità di non poco conto. A Mirafiori Sud il nostro problema numero uno è strettamente demografico, nel senso che le periferie torinesi sono invecchiate, magari dignitosamente, ed i giovani si allontanano perché non hanno opportunità di qualità. Ad eccezione di Barriera di Milano, che fa caso a sé anche per la sua vastità, il problema di questi quartieri non è la delinquenza, ma l’invecchiamento, cioè la qualità demografica. Come ha spiegato bene Enrico Moretti nel suo saggio sulla nuova geografia del lavoro – dove traccia un’analisi comparata delle città americane – normalmente ciò che fa la differenza è la qualità del capitale umano che si insedia in un luogo. Per questo a Mirafiori Sud tra le attività più interessanti promosse dalla Fondazione, a parte gli orti urbani, c’è il sostegno a 130 studenti stranieri del Politecnico che vivono in via Negarville. Perché se in un luogo arrivano giovani in gamba con aspirazioni di reddito e di qualità della vita, questo non può non avere influenza su tutti i servizi di quel luogo».

Ma Bruno Manghi ha colto l’occasione dell’assemblea degli artigiani per una riflessione sul ruolo delle associazionismo.

«A Mirafiori incontro tante persone, ma le associazioni sono poche e poco presenti. In pochi si presentano come associazione, con l’orgoglio di essere un’associazione e i valori di un’associazione. Confartigianato come le altre associazioni di categoria dà servizi cruciali, è una tecnostruttura importante, fa lobby verso le istituzioni, ma non è solo questo a fare un’associazione. Da Confindustria al sindacato, tutte le associazioni hanno attraversato momenti difficili, però ci sono alcuni esempi in controtendenza.

Pensiamo alla Coldiretti: vent’anni fa era un’associazione finita, perché erano finite le relazioni con il mondo politico, erano cambiati gli interlocutori. Un gruppo di giovani l’ha presa in mano e l’ha riformata fornendo una identità professionale e non generica e intercettando la

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nascita della curiosità per l’ambiente e per l’agricoltura.

Oggi le sue bandiere le conoscono tutti. Quando l’autorità centrale diventa più debole e meno decisiva, la parola torna alle associazioni, ma solo se sono associazioni e non semplici coalizioni di lobby. Gli artigiani, per esempio, sono anche degli educatori, perché quando trasmetti la bottega non trasmetti solo un’attività economica, ma trasmetti il senso di quella bottega, il gusto di fare qualcosa. Oggi si è riscoperto il valore del maker, del fare, c’è una grande ripresa del lavoro che non va confuso con il posto di lavoro ma con il senso di un’esistenza. Da questo, dall’orgoglio del fare, devono ripartire le associazioni».

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A Verona le periferie si mettono in mostra

Se non fosse per la “serenissima” Venezia, nel Veneto la gloria spetterebbe tutta a Verona. Città d’arte, di storia, di tradizioni e contraddizioni. E’ la città dell’amore (finito male), della musica e dell’Arena. E’ la città del sindaco Tosi (leghista), di un Chievo che si gode l’alta classifica, di un Hellas gloriosa scivolata in B e che è troppo spesso ricordata per certi cori razzisti. Verona è anche una città solidale, capace di grandi progettualità sociali. E così, oggi, sposta la periferia al centro. Letteralmente. La città inverte canoni, stereotipi, luoghi comuni. Facendo leva sulla sensibilità di fotografi amatoriali lancia una provocazione capace di accendere un riflettore sui territori senza luce.

L’occhio che racconta, stavolta, è quello della gente comune.

Persone che vivono e conoscono la periferia, artisti

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invisibili che hanno quei luoghi negli sguardi e nel cuore.

Ogni giorno. Fotografi che con i loro scatti riportano l’attenzione sulle periferie abitate ma dimenticate.

DeniSGiusti1 Dal progetto culturale (con risvolto sociale) alla mostra, be’, il passo è breve. E così la periferia diventa “Periferika”. Cinque fotografi non professionisti hanno messo in gioco loro stessi e la città offrendo una personale visione della vita al di là del cuore della città (dal 3 al 29 ottobre). Grazie ai loro occhi e ai loro scatti, stavolta la periferia si posta al centro. La mostra fotografica sarà infatti allestita nella vetrina della Biblioteca Civica in via Cappello. Le foto? Saranno visibili d i g i o r n o e d i n o t t e , 2 4 o r e s u 2 4 . P e r c h é r i v o l t e all’esterno, quindi fruibili “dal di fuori”. MarcoSempreboni Insomma, per una volta almeno la periferia diventa il centro.

E viceversa. Ecco quindi un’esposizione da cui nasce un catalogo da cui nascono riflessioni. Come quella di Giorgio Massignan, ad esempio. Lui, architetto e urbanista, ha curato i l v o l u m e c h e a c c o m p a g n a l a m o s t r a r e a l i z z a t a dall’associazione “Verona Off” (di cui fa parte) in collaborazione con il Comune e con la Fondazione Toniolo. «Le periferie rappresentano il luogo-non-luogo, residuo di una non pianificazione del territorio che ha sempre privilegiato gli interessi speculativi all’equilibrio urbanistico della città», dice Massignan. Eccole le periferie ritratte da Denis Giusti, Flavio Castellani, Marco Sempreboni, Mauro Previdi e Stefano Franchini. Periferie notturne o in bianco e nero, dove l’uomo è quasi fisicamente assente ma dove i suoi “effetti” sono ben visibili. Periferie sinonimo di ghetto, periferie dormitorio, periferie degradate e abbandonate. Periferie che diventano

“Periferika” e che con quest’azione assumono il significato del riscatto rientrando di diritto nel cuore e negli sguardi della comunità e, perché no?, anche della politica.] Se non fosse per la “serenissima” Venezia, nel Veneto la gloria spetterebbe tutta a Verona. Città d’arte, di storia, di tradizioni e contraddizioni. E’ la città dell’amore (finito male), della musica e dell’Arena. E’ la città del sindaco Tosi

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(leghista), di un Chievo che si gode l’alta classifica, di un Hellas gloriosa scivolata in B e che è troppo spesso ricordata per certi cori razzisti. Verona è anche una città solidale, capace di grandi progettualità sociali. E così, oggi, sposta la periferia al centro. Letteralmente.

La città inverte canoni, stereotipi, luoghi comuni. Facendo leva sulla sensibilità di fotografi amatoriali lancia una provocazione capace di accendere un riflettore sui territori senza luce. L’occhio che racconta, stavolta, è quello della gente comune. Persone che vivono e conoscono la periferia, artisti invisibili che hanno quei luoghi negli sguardi e nel cuore. Ogni giorno. Fotografi che con i loro scatti riportano l’attenzione sulle periferie abitate ma dimenticate.

Dal progetto culturale (con risvolto sociale) alla mostra, be’, il passo è breve. E così la periferia diventa

“Periferika”. Cinque fotografi non professionisti hanno messo in gioco loro stessi e la città offrendo una personale visione della vita al di là del cuore della città (dal 3 al 29 ottobre).

Grazie ai loro occhi e ai loro scatti, stavolta la periferia si posta al centro. La mostra fotografica sarà infatti allestita nella vetrina della Biblioteca Civica in via Cappello. Le foto? Saranno visibili di giorno e di notte, 24 ore su 24. Perché rivolte all’esterno, quindi fruibili “dal di fuori”.

Insomma, per una volta almeno la periferia diventa il centro.

E viceversa. Ecco quindi un’esposizione da cui nasce un catalogo da cui nascono riflessioni. Come quella di Giorgio Massignan, ad esempio. Lui, architetto e urbanista, ha curato i l v o l u m e c h e a c c o m p a g n a l a m o s t r a r e a l i z z a t a dall’associazione “Verona Off” (di cui fa parte) in collaborazione con il Comune e con la Fondazione Toniolo.

«Le periferie rappresentano il luogo-non-luogo, residuo di una non pianificazione del territorio che ha sempre privilegiato

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gli interessi speculativi all’equilibrio urbanistico della città», dice Massignan.

Eccole le periferie ritratte da Denis Giusti, Flavio Castellani, Marco Sempreboni, Mauro Previdi e Stefano Franchini. Periferie notturne o in bianco e nero, dove l’uomo è quasi fisicamente assente ma dove i suoi “effetti” sono ben visibili. Periferie sinonimo di ghetto, periferie dormitorio, periferie degradate e abbandonate. Periferie che diventano

“Periferika” e che con quest’azione assumono il significato del riscatto rientrando di diritto nel cuore e negli sguardi della comunità e, perché no?, anche della politica.

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Non ci sarà smart city senza utilizzo dei dati. Siamo pronti?

I dati saranno l’infrastruttura delle città intelligenti ma privacy e sicurezza ne limitano lo sviluppo. Servono nuove idee e un approccio ‘smart’ per garantire accesso e protezione.

Cos’è che fa funzionare una città? Le sue infrastrutture.

Strade, tubature, reti idriche ed elettriche e i sistemi di trasporti. Eliminiamoli e non avremo più una città.

L’accesso ai dati e la capacità di utilizzarli rappresenterà l’infrastruttura fisica dei centri iper-connessi. Una visione di città intelligente, efficiente ed avanguardistica non può esistere senza dati. Ne hanno bisogno i servizi pubblici per migliorare la sicurezza e la qualità della vita dei cittadini così come le società tecnologiche che hanno bisogno di creare

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interazione e proattività per definire i dispositivi di una città moderna. Le smart city non potranno vivere senza utilizzare i dati eppure questa visione di città improntata a una libera circolazione e messa a disposizione di informazioni che oggi definiremmo private spaventa. Ma se vogliamo evolverci questo è un punto da superare. Ad affrontare l’argomento è Matthew Fawcett in un interessante articolo pubblicato qualche giorno fa su Forbes, con l’obiettivo di far riflettere sulle contraddizioni che stanno immobilizzando l’innovazione e di spronare a fare di più.

Le smart city emergenti utilizzano attualmente i dati i modi nuovi e diversi e con vari gradi di successo. Barcellona, ad esempio, ha dotato i cassonetti pubblici con sensori che misurano il livello di pienezza, rendendo quindi molto più efficiente il servizio di raccolta della nettezza urbana, che interviene solo quando ce ne è bisogno. Questo è chiaramente un esempio di come l’accesso alle informazioni offre solo benefici senza andare ad intaccare la cosiddetta privacy.

Altri casi hanno però dimostrato una maggiore controversia.

Come il programma di controllo aereo di Baltimora che, pensato per combattere la criminalità, ha dovuto affrontare delle accese reazioni per essere stato istituito senza metterne a conoscenza i viaggiatori.

La grande contraddizione: utilizzo vs protezione dei dati

Tutte le società, sia pubbliche sia private, sono in corsa per poter raccogliere e sfruttare i dati in modi nuovi e creativi e per poter competere nel mondo digitale. Questa situazione crea tensione. Come si può colmare il divario fra la necessità di accedere ai dati e il muro da parte dei cittadini che chiedono privacy, sicurezza e garanzia del rispetto delle leggi vigenti?

La questione, secondo Fawcett, è idiosincratica. Il concetto di ‘personale’ non è chiaro e stride con una realtà in cui pressoché tutti accettiamo di utilizzare la tecnologia e i

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servizi ad essa legati fornendo i nostri dati ma allo stesso tempo chiediamo una maggiore protezione e controllo sulle modalità con cui questi dati sono raccolti e utilizzati.

I legislatori stanno cercando di mediare e di redigere nuove leggi che garantiscano più protezione ma sembra difficile farlo in un modo che evolve sempre più verso una condivisione.

Prendiamo in considerazione la direttiva sulla protezione dei dati dell’UE, che regola la tutela dei dati personali, e sancisce il “diritto all’oblio”. Anche se il concetto è semplice questo diritto si è dimostrato difficile da definire e garantire nella pratica. Una volta che le informazioni sono state diffuse non esiste un pulsante da premere per cancellare tutto con un click.

Protezione dei dati personali, una materia complessa

La verità è che la protezione dei dati personali solleva nuove domande e crea gravi problemi di gestione. Il problema è stratificato. Fawcett lo distingue in tre livelli:

– La Privacy è un problema individuale e sociale. Come possono gli utenti fare in modo che i loro dati non siano senza il loro permesso? La semplice partecipazione al mondo digitale comporta un consenso alla fruizione di alcune informazioni personali?

– La Sicurezza è un problema sia aziendale che governativo.

Quali standard devono soddisfare le organizzazioni per proteggere da minacce le informazioni personali di cui dispongono?

– La Sovranità è infine una questione nazionale, il che la rende la più imprevedibile. Quali promesse possono essere fatte ai cittadini? Cosa uno Stato può o non può garantire, anche in base alla legislazione internazionale? Ad esempio quali sono i dati che la Germania considera propriamente tedeschi ai fini della sicurezza nazionale o per altri scopi?

Le città intelligenti chiedono un approccio intelligente alla gestione dei dati

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Le smart city faranno fatica a districarsi in queste contraddizioni normative.

“Le leggi- scrive Fawcett- hanno sempre bloccato le innovazioni tecnologiche. Abbiamo costruito strade prima di aver realizzato semafori, corsie e il codice della strada. E’

illegale registrare la voce di una persona senza il suo permesso, ma è legale (nella maggior parte dei casi) registrarne un video Perché? Poiché la tecnologia di registrazione del suono è venuta prima.”

Non servono nuove leggi, secondo Fawcett, ma nuove idee. La sfida di città intelligenti che debbano allo stesso tempo rendere accessibili i dati e proteggere i cittadini a cui appartengono, non può essere affrontata soltanto dai politici o dai tecnici o dalle associazioni dei consumatori. E’ una questione che richiede uno spirito di collaborazione e la messa in campo di abilità e conoscenze diverse. Insomma, le città intelligenti chiedono un approccio altrettanto intelligente alla gestione dei dati.

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Economia sociale: chi guida il processo?

Clean energy won’t save us”, così esordiva un articolo apparso sul quotidiano The Guardian qualche giorno fa, “only a new economy system can” chiudeva il pezzo, riproponendo un tema per certi versi classico, ma che è da declinare in uno scenario mutato sia in termini di opportunità che di rischi.

Le opportunità sono legate alla disponibilità di tecnologie che consentono di produrre energia da fonti rinnovabili. I rischi derivano invece alla mancata o parziale affermazione di

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modelli di consumo autenticamente “equi e sostenibili”.

In parole povere: possiamo riempire i tetti delle nostre case di pannelli solari continuando comunque a consumare come abbiamo sempre fatto, cioè troppo e in modo diseguale. Il ragionamento si potrebbe generalizzare anche ad altre infrastrutture che, in teoria, possono abilitare modelli economici e di sviluppo in grado di affermare un nuovo paradigma, sia perché hanno una chiara connotazione alternativa rispetto al modello dominante, sia perché hanno i numeri per farlo, in termini di diffusione, impatto economico, capacità di influenzare le politiche.

L’articolo e altre prese di posizione similari sono utili perché contribuiscono, tra l’altro, a evidenziare i “nervi scoperti” nell’evoluzione recente dell’economia sociale e solidale. Sì perché è chiaro che da qualche tempo il “sociale”

esonda fuori dagli schemi politico-culturali e giuridico organizzativi entro i quali è stato elaborato, diventando un elemento di valore conteso da una pluralità di soggetti: gli enti pubblici per risolvere il deficit (crescente) di partecipazione democratica e soprattutto l’economia capitalista per correggere le esternalità negative (ambientali e sociali) recuperando legittimità presso i propri “portatori di interesse”.

Rimangono invece poco chiare le conseguenze che investono il vasto e articolato campo popolato da attori variamente denominati: terzo settore, nonprofit, impresa sociale, ecc. Un dettaglio non da poco considerando la rilevanza di questi ultimi soggetti e soprattutto la ancor più rilevante crescita della domanda di socialità, relazione, coesione che si manifesta nella nostra società: dal nuovo civismo dei beni comuni che alimenta la rigenerazione di immobili e spazi pubblici, alla “nuova distribuzione organizzata” dei gruppi di acquisto. Una sfida importante che si riscontra anche all’interno di importanti riforme normative in fase di implementazione.

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La nuova legge quadro sul terzo settore appena approvata (l.

n. 106/2016) definisce anche in termini giuridici un comparto ampio e variegato (associazioni, organizzazioni di volontariato, cooperative sociali, fondazioni ecc.) che fino ad oggi era solo un concetto a uso di ricercatori e addetti ai lavori. Ma potremmo aggiungere anche altri dispositivi come la norma sulle “società benefit” inserita nella legge di stabilità 2016 rivolta alle imprese di capitali intenzionate a gestire in modo più stabile e continuativo la loro azione sociale incorporandola nei processi produttivi e non relegandola in iniziative di responsabilità sociale ispirate a una logica filantropica e redistributiva.

Esiste quindi uno spettro, se non ancora reale certamente potenziale, più ampio e variegato di attori impegnati nella produzione e redistribuzione di valore sociale. Per questo può essere utile non tanto delineare lo scenario prossimo venturo, ma piuttosto evidenziare le ambivalenze che caratterizzano una fase ancora molto fluida dove i diversi attori sono chiamati a ridefinire i loro schemi di cooperazione / competizione.

Ora sono la guida di nuove politiche pubbliche e di strumenti finanziari che fanno leva sull’investimento

La prima ambivalenza è generata dalla nuova asset class di strumenti finanziari di tipo “pay for success”, dove l’investimento delle risorse – sia nell’allocazione che nel ritorno – è guidata da indicatori di impatto sociale che, nelle intenzioni dei promotori, misurano non solo gli scostamenti rispetto a obiettivi progettuali e profili organizzativi predefiniti, ma piuttosto catturano elementi di valore multidimensionale e ad ampio raggio: beneficiari (diretti e indiretti) delle attività, contesti socio economici di riferimento e, non da ultimo, sistemi di regolazione e di policy. Una sperimentazione in tal senso è stata avviata dalla Regione Sardegna che ha istituito un fondo di social impact investing a favore di iniziative di inserimento lavorativo di fasce deboli della popolazione.

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Otto milioni di euro riconvertiti da risorsa redistributiva (fondi strutturali europei) a investimento sociale, sostituendo i tradizionali contributi in prestiti, capitale di rischio e obbligazioni legati alla performance sociale misurata guardando alla capacità di reinserimento attivo nel mercato del lavoro. Prove tecniche per l’adozione ad ampio raggio di strumenti che remunerano, in forme e modi diversi, l’impatto sociale capace di generare risparmi nella spesa pubblica.

Una trasformazione rilevante, dopo che per anni queste misure erano considerate valori immateriali non catturabili se non da specialisti del settore innamorati del loro lavoro e desiderosi di comunicarli a chi invece rispetto a questi stessi elementi faceva, letteralmente, “orecchie da mercante”.

Ora invece sono la guida di nuove politiche pubbliche e di strumenti finanziari che fanno leva non sulla redistribuzione, ma sull’investimento delle risorse e che interessano, per evidenti ragioni, una parte sempre più consistente della finanza mainstream.

La seconda ambivalenza viene invece da quella che è – o dovrebbe essere – una delle principali industrie del Paese cioè il turismo. Sempre più spesso, infatti l’incontro domanda-offerta in questo ambito avviene attraverso siti e portali che, come affermano gli esperti, disintermediano le classiche catene di fornitura, mettendo direttamente in contatto utente e fruitore attraverso il medium della

“collaborazione” (sharing), anzi spesso ibridando i ruoli per cui al tempo stesso si è produttori e consumatori trasformando casa propria in una struttura turistica.

L’aspetto più interessante di questo processo ormai più che maturo e quasi totalmente monopolizzato da quelli che Morozov chiama “i signori del silicio”, è la tendenza a ricercare e a

“mettere a valore aggiunto” le relazioni. Tripadvisor, Booking e altri big player sono sempre più alla caccia di startup di turismo esperienziale come potrebbe essere Destinazione Umana

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che nel suo “catalogo” turistico non ha solo mete intese come luoghi ricchi di attrattori turistico-culturali, ma anche e soprattutto persone disposte a re-intermediare il bene più ricercato per fare qualità turistica, ovvero le relazioni tra le persone e le comunità di riferimento. Quel “gusto degli altri”, come si intitolava un film di qualche anno fa, che fa apparire uno stesso luogo – magari in apparenza non così attrattivo – sotto occhi completamente diversi.

Terza e ultima ambivalenza ce la racconta, anzi ce la rendiconta, Symbola, una fondazione che lavora ormai da tempo sulle qualità che caratterizzano il nostro famoso “made in Italy”. Nel suo ultimo rapporto emblematicamente intitolato Coesione è competizione emerge non solo che queste qualità sono plurime, legate cioè a fattori intrinseci di prodotti e servizi, ma legate, ad esempio, anche alle competenze del capitale umano e dei sostrati fiduciari che alimentano iniziative sociali ed economiche (ben conosciute e indagate dalla letteratura scientifica e divulgativa sui distretti industriali).

L’aspetto che emerge in modo più rilevate è che tutto questo complesso di risorse che alimenta la coesione soprattutto su scala locale è all’origine della competitività delle imprese in termini economici, occupazionali e di posizionamento nei mercati. Insomma le nostre PMI manifattuiriere, le

“multinazionali tascabili” dello sviluppo locale che ci hanno fatto conoscere ricercatori come Aldo Bonomi, Enzo Rullani f u n z i o n a n o m e g l i o s e s o n o p i ù c o n s a p e v o l m e n t e e intenzionalmente “sociali”. Un dato rilevante perché, aggiungiamo, è riferito non a singole esperienze di imprenditori illuminati, ma a performance registrate su campioni rappresentativi e su settori forti della nostra economia: manifattura di qualità, agroalimentare ecc.

Dunque il nuovo sistema economico che avanza è fatto, fra l’altro, di finanza che impatta socialmente, di tecnologia che disintermedia con le relazioni e di economia che ha il suo

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“ c o r e b u s i n e s s ” n e g l i a s s e t l o c a l i ? S e è c o s ì l e organizzazioni sociali come si posizionano in questo quadro?

La tendenza immediata può essere quella di segmentare il campo, di tracciare i confini e da additare il “nemico”: il vero sociale, la vera innovazione, ecc. Ma forse è una strategia di corto respiro perché quel che è mutato, nel profondo, è la struttura della società e delle sue articolazioni organizzative.

Una società dove settori sempre più variegati e rilevanti come i giovani millennials, la parte degli esclusi, le nuove forme di socialità sono, come ricorda un interessante articolo apparso su Stanford Social Innovation Review, sempre più

“agnostici” rispetto al sociale incorporato esclusivamente nel nonprofit e sono sempre più attratti da un valore che si manifesta e viene rendicontato come impatto (positivo) effettivamente realizzato per i beneficiari di queste iniziative: singoli individui, famiglie, comunità locali.

È i m p o r t a n t e g u a r d a r e a i s i s t e m i c h e g o v e r n a n o l a distribuzione delle quote di potere e delle risorse generate Una prospettiva che richiede una maggiore attenzione alla rendicontazione e alla valutazione, facendo in modo che la coesione non sia solo un valore declamato, ma anche reificato in misure ed indicatori come peraltro comincia ad avvenire grazie a modelli come il BES (Benessere Equo e Sostenibile) realizzato in Italia non da un gruppo di attivisti ma, anche questo segno dei tempi, dall’istituto italiano di statistica (Istat).

In secondo luogo è parimenti importante guardare non solo all’architettura formale, ma al concreto funzionamento delle organizzazioni e in particolare dei sistemi che governano la distribuzione delle quote di potere e delle risorse generate.

Non è, in parole povere, una questione da diritto societario, ma di management di relazioni complesse e ad ampio raggio che, nel loro insieme, non sono solo da informare e coinvolgere ma

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da inserire in processi di co-produzione di nuovi modelli di valore.

La vera partita per la nuova imprenditorialità che avanza non sta nel definirsi fuori o dentro il terzo settore, ma nel riuscire ad allargare il perimetro del mercato con nuovi meccanismi di produzione del valore: meccanismi inclusivi e coesivi. L’alba di questa diversità possiamo coglierla nelle 97 start up innovative a vocazione sociale ( di cui 9 cooperative) che segnano, attraverso la tecnologia, una discontinuità nelle attività proposte rispetto alle tradizionali esperienze; una diversità, trainata dalla spinta dei giovani, da assumere come ricchezza e come valore per rigenerare gran parte delle filiere sociali spesso pietrificate dalla rigida cultura della progettazione e delle tariffe.

La partita è aperta e l’economia sociale e solidale ha la possibilità di guidare questo processo e di scegliere il suo ruolo, forte di un’esperienza pluriennale. Un vantaggio non da poco che sarebbe un peccato concentrare nel buco nero di un dibattito autoreferenziale.

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coesione-e-competizione

#APPasseggio: passeggiate,

camminate autunnali

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Roma, venerdi’ 30 settembre 2016, dalle 16,15 alle 18,30 LA CHIESA DI S. MARIA ANTIQUA E IL FORO ROMANO NEL MEDIOEVO

Accompagna: Priscilla Polidori

Punto d’incontro: Largo Corrado Ricci (all’ombra dei pini nello slargo accanto alla Torre)

Coordinate: 41.893508, 12.487510

Costo: 6 euro (visita guidata) + biglietto d’ingresso 12 euro (salvo riduzioni specifiche)

Info: appasseggio@gmail.com, cell. 339-3585839 Scheda completa e modulo di registrazione:

http://www.appasseggio.it/index.php?it/334/modulo-online-santa-maria-anti qua

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Roma, sabato 1 ottobre 2016, dalle 10.00 alle 12.00 LA VILLA FARNESINA, GIOIELLO DEL RINASCIMENTO ROMANO

Accompagna: Chiara Morabito

Punto di incontro: Ingresso Villa Farnesina, via della Lungara 230 Coordinate: 41.867022, 12.478986

Costo: Visita euro 7 + costo biglietto

Info: appasseggio@gmail.com, cell. 339-3585839 Scheda completa e modulo di registrazione:

http://www.appasseggio.it/index.php?it/308/modulo-online-villa-farnesina

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Domenica 2 ottobre 2016, dalle 9,30 alle 12,30 APPasseggio nella storia e nella letteratura OSTIA ANTICA: LO SCALO COMMERCIALE DELL’URBE

Accompagnano: Priscilla Polidori e Maria Teresa Natale

Punto di partenza: Accesso all’area degli scavi, di fronte alla biglietteria

Coordinate: 41.758255, 12.297789 Lunghezza: circa 4,0 km

Come arrivare: Trenino Roma Ostia (da piazzale Ostiense), fermata Ostia Antica e poi circa 300 metri a piedi

Costo: offerta libera (accesso gratuito agli scavi) Info: appasseggio@gmail.com, cell. 339-3585839

Scheda completa e modulo di registrazione:

http://www.appasseggio.it/index.php?it/271/modulo-prenotazione-ostia-anti ca

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Roma, domenica 2 ottobre 2016, dalle 10,00 alle 12,30 TESTACCIO ARCHEOLOGICO, OPERAIO, BORGHESE

Accompagna: Chiara Morabito

Punto di partenza: Piazzale Ostiense, sotto Porta San Paolo Coordinate: 41.876640, 12.481393

Punto di arrivo: Piazza Testaccio Lunghezza: 3 km

Costo: offerta libera

Info: appasseggio@gmail.com, cell. 339-3585839 Scheda completa e modulo di registrazione:

http://www.appasseggio.it/index.php?it/125/modulo-online-testaccio-archeo logico-operaio-borghese

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Roma, sabato 8 ottobre 2016, dalle 10,30 alle 12.15

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VISITA ALLA MOSTRA “ROMA POP CITY 60-67”

Accompagna: Chiara Morabito

Punto d’incontro: davanti all’ingresso del Museo MACRO, Via Nizza 138 Coordinate: 41.913122, 12.502920

Costo: 7 euro (visita guidata) + biglietto d’ingresso 10 euro (salvo riduzioni specifiche)

Info: appasseggio@gmail.com, cell. 339-3585839

Scheda completa e modulo di registrazione:

http://www.appasseggio.it/index.php?it/387/modulo-mostra-pop-art

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Roma, sabato 8 ottobre 2016

I e II Modulo del Corso di escursionismo Equipaggiamento e attrezzatura

Lettura di una carta topografica a fini di orientamento, uso della bussola

Docente: Daniela Simigliani

Sede: MonteverdeLivingLab, Via Andrea Busiri Vici 10

Scheda completa e modulo di registrazione ai singoli moduli e al corso completo:

http://www.appasseggio.it/index.php?it/378/corso-base-escursionismo

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Roma, domenica 9 ottobre 2016, dalle 10,30 alle 13,00 APPASSEGGIO CON CRISTINA DI SVEZIA:

LA REGINA SVEDESE E I SUOI TRENT’ANNI DI VITA ROMANA

Accompagna: Chiara Morabito

Punto d’incontro: Piazza Chiesa Nuova (di fronte alla Chiesa omonima) Coordinate: 41.898162, 12.469124

Punto d’arrivo: Via della Lungara, Palazzo Corsini Lunghezza: circa 2 km

Costo: 8 euro ( 7 euro per possessori Bibliocard) Info: appasseggio@gmail.com, cell. 339-3585839

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Scheda completa e modulo di registrazione:

http://www.appasseggio.it/index.php?it/346/modulo-online-cristina-di-svez ia

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Roma, domenica 9 ottobre 2016, dalle 10,00 alle 12,30 APPASSEGGIO NELLA STORIA

ROMA FASCISTA (1922-1943): LA MARCIA SU ROMA E LA CONQUISTA DEL POTERE

Accompagna: Stefania Ficacci

Punto di partenza: Parco Caduti 19 Luglio 1943, Via Tiburtina (Quartiere San Lorenzo)

Coordinate: 41.897523, 12.512351

Punto di arrivo: Giardino di Sant’Andrea al Quirinale (statua di Carlo Alberto di Savoia)

Lunghezza: circa 2,5 km Costo: offerta libera

Info: appasseggio@gmail.com, cell. 339-3585839

Scheda completa e modulo di registrazione:

http://www.appasseggio.it/index.php?it/300/modulo-online-marcia-su-roma

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Sabato 15 ottobre 2016, dalle 9,00 alle 17,00 IL CAMMINO DI SAN PAOLO LUNGO LA VIA APPIA ANTICA DA CISTERNA A GENZANO

Accompagnano: Andrea Tempera e Maria Teresa Natale

N. minimo partecipanti: 10 N. massimo partecipanti: 40

Data massima prenotazione: entro il 12 ottobre Tot. km: 14.5

Costo: 8 euro (incluso materiale informativo) Scheda completa e modulo di registrazione:

http://www.appasseggio.it/index.php?it/384/002_2016-il-cammino-di-san-pao

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lo-da-cisterna-a-genzano

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SERVIZI

La Cartoteca di GoTellGo

Vi informiamo che grazie a una nostra socia, siamo riusciti a recuperare una vasta raccolta di carte IGM storiche che stavano per andare al macero. Le abbiamo inventariate e ora l’inventario è disponibile alla seguente URL:http://www.appasseggio.it/index.php?it/380/cartoteca

Presso la sede della nostra Associazione (Roma, Via Andrea Busiri Vici 10) è possibile consultare le carte su appuntamento (e-mail appasseggio@gmail.com).

Di molte carte abbiamo più copie che “vendiamo” alla cifra simbolica di 1 € quale contributo alle attività associative.

I magnifici sette (The Magnificent Seven)

di Antoine Fuqua. Con Denzel Washington, Chris Pratt, Ethan Hawke, Vincent D’Onofrio, Lee Byung-Hun USA 2016

Gli abitanti di Rose Creek, un piccolo centro contadino, sono riuniti in chiesa per decidere il da farsi perché il ricchissimo padrone dell’adiacente miniera Bartholomew Bogue (Peter Sarsgaard), li minaccia con i suoi killer perché se ne vadano e gli cedano le loro terre per 20 dollari a testa, quand’ecco che lui arriva con i suoi scherani, che ammazzano alcuni di loro, dà fuoco alla chiesa e, quando il colono Matthiew Cullen (Matt Bomer) si ribella, lo uccide a sangue

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freddo. In un saloon di un centro vicino, dove il baro e pistolero Josh Farday (Pratt) sta giocando a poker, arriva Sam Chisolm (Washington), guardia giurata e ufficiale di pace di una decina di stati (una sorta di bounty-killer con licenza), che affronta ed uccide il barista (David Kallaway), omicida ricercato che si era data una nuova identità; Josh, istintivamente, estrae la pistola e lo protegge dagli amici del barista. La vedova di Cullen, Emma (Haley Bennett) che era partita con il compaesano Teddy Q (Luke Grimes) per cercare qualcuno che li proteggesse, gli offre una magra – ma per loro, ridotti alla miseria da Bogue, enorme – ricompensa. Il pistolero accetta e, di lì a poco, ricompra il cavallo di Josh (che lo aveva perso al gioco) e lo recluta. I quattro partono per cercare altri mercenari: Sam convince il fuorilegge messicano Vasquez (Manuel Gracia-Ruffo), ricercato per omicidio, a essere della partita (in cambio lui lo cancellerà dei suoi elenchi) e, dopo poco si unirà a loro il bestione Jack Horne (D’Onofrio), mentre Josh, dopo aver visto l’orientale Billy Rocks (Byung-Hun) uccidere per scommessa un cow-boy (Ritchie Montgomery) armato di pistola con un coltello e il leggendario ex-ufficiale sudista Goodnight Robicheaux (Hawke), suo amico e protettore, raccogliere le vincite, li invita a nome di Sam, vecchio amico di Goodnight – Goodie per gli amici – a venire con loro. I due accettano, anche perché Goodie è convinto che in ballo ci siano molti più soldi della misera paga promessa. Mentre sono in cammino, incontrano l’indiano Red Harvest (Martin Sensmeier) e Sam, che parla un po’ di comanche, recluta anche lui. Ora sono 7 e quando arrivano al villaggio, lo sceriffo Harp (Dane Rhodes) – al soldo di Bogue – li aspetta con una torma di armati; nella scontro, ne uccidono 22 (tutti tranne Goodnight, che è come paralizzato dall’angoscia) e, scovato, Harp, che si era nascosto all’inizio della sparatoria, lo mandano dal suo padrone, sfidandolo a venire ad affrontarli; lo sceriffo, terrorizzato, esegue e Bogue, dopo averlo ucciso, si prepara a mettere insieme un piccolo esercito. I 7 addestrano al combattimento agli impreparatissimi contadini (solo Emma ha

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una qualche dimestichezza con le armi), congegnano trappole per rendere più arduo il compito agli assalitori e rubano armi e dinamite dal deposito della miniera. Red Harvest, che era partito in ricognizione, dopo due giorni torna per avvertirli che Bogue e i suoi arriveranno all’alba del giorno dopo. La sera Goodnight va via, confessando a Sam la proprie paure: se ne vergogna ma è convinto che se sparerà ancora lo attenderà una morte orribile. Bogue arriva la mattina dopo con decine di pistoleri ma, grazie anche alle ingegnose trappole, i primi scontri ne vedono la decimazione – non è estraneo al successo il ritorno di Goodie che uccide decine di avversari prima di morire assieme a Bill – ma lui ha in serbo un arma segreta:

una potente mitragliatrice che sembra avere la meglio sui nostri eroi, quando Josh si lancia contro il mitragliere (Jackson Beals) e, pur crivellato di colpi, riesce a far saltare l’arma con un candelotto di esplosivo. La battaglia è vinta e Sam affronta Bogue che lo supplica di lasciarlo vivo:

il pistolero ha con lui, però, un conto aperto: i suoi uomini avevano ucciso e violentato sua moglie e le sue figlie e lo invita a pregare prima di morire ma sarà Emma a dargli il colpo di grazia. Anche Horne è morto dopo aver massacrato parecchi mercenari con la pistola, l’ascia e le mani nude e Sam, Vasquez e Red Harvest ripartono, salutati da eroi.

Fuqua ha dichiarato di aver avuto presente, nel preparare il film, più I 7 samurai (1957) di Kurosawa de I magnifici 7 (1960) di Sturges (che ne era il dichiarato remake). Questo spiega alcune delle differenze tra i due western: quello del

’60 era solare e i 7 – ma anche i loro nemici – erano fracassoni e simpatici, mentre questo è crepuscolare e gli eroi – tranne qualche battutina tra Vasquez e Josh – sono seriosi e portatori di ideali (il cattivo, poi, è una summa di tutte le figure negative del perfido capitalismo: addirittura esordisce con la frase: “Il capitalismo è Dio!” prima di massacrare i bravi contadini). C’è poi un versante d’impegno:

Sam è nero -non è la prima volta che il cinema racconta di pistoleri di colore, da Invito ad una sparatoria (1964) di Richard Wilson in poi – e alla fine si salva solo lui,

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l’indiano e il messicano; la donna è, post-femministicamente, coraggiosa e, in qualche modo surroga i caratteri – il combattente-contadino – che negli altri due film erano affidati a Toshiro Mifune e a Horst Bucholz; per far spazio alla multietnicità dei protagonisti i due caratteri, presenti nel film di Sturges, il paranoico Lee/Robert Vaughn e l’avido Harry Luck/Brad Dexter, sono assommati nel pensoso Goodnight di Ethan Hawke. Detto questo, il film ha dei momenti piacevoli, solo che non si capisce perché si sia sentita la necessità di fare un pallido remake di uno dei capisaldi del cinema western, al quale, ad esempio, Leone e Peckinpah si sono fortemente ispirati e che ha lanciato i tre divi più significativi degli anni successivi: Steve McQueen, Charles Bronson e James Coburn, affidandolo ad un regista più a suo agio nell’action con risvolti sociali (Training day, The equalizer, Attacco al potere). Esempi di remake falliti di western storici non ne mancavano – vedi l’insopportabile Quel treno per Yuma di Mangold del 2007 – e, di più, con la splendida eccezione del grandissimo Peckinpah, il western è morto da tempo e la deriva impegnata – iniziata con Soldato blu di Ralph Nelson del 1970 (che era stato visto come un parallelo tra la conquista del west e la guerra in Viet-Nam) – non ha fatto che accelerarne la decomposizione.

#APPasseggio: le passeggiate

autunnali

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Roma, sabato 24 settembre 2016, dalle 15,00 alle 17,30

IL QUARTIERE DON BOSCO AL TUSCOLANO. UN MODELLO DI CITTA’

SATELLITE

Accompagna: Stefania Ficacci

Punto d’incontro: Metro A Fermata Lucio Sestio (lato Via Ponzio Cominio)

Coordinate: 41.859896, 12.557178

Punto di arrivo: Metro A Fermata Subaugusta Lunghezza: circa 2 km

Costo: offerta libera

Info: appasseggio@gmail.com, cell. 339-3585839

Scheda completa e modulo di registrazione:

http://www.appasseggio.it/index.php?it/377/modulo-online-don-bosco

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Roma, domenica 25 settembre 2016, dalle 10,30 alle 12.15

VISITA ALLA MOSTRA “L’ARTE DEL SORRISO. LA CARICATURA A ROMA DAL SEICENTO AL 1849”

Accompagna: Chiara Morabito

Punto d’incontro: davanti all’ingresso del Museo di Palazzo Braschi, Piazza San Pantaleo 10

Coordinate: 41.897331, 12.472904

Costo: 7 euro (visita guidata) + biglietto d’ingresso 4 euro (salvo riduzioni specifiche)

Info: appasseggio@gmail.com, cell. 339-3585839 Scheda completa e modulo di registrazione:

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http://www.appasseggio.it/index.php?it/375/modulo-online-mostr a-caricature

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Roma, domenica 25 settembre 2016, dalle 10,00 alle 13,00

LE CONFRATERNITE A ROMA: ESPERIENZE ASSOCIAZIONISTICHE DELLA SOCIETA’ CIVILE, ISTITUZIONI DI BENEFICIENZA O LOBBY?

Accompagna: Gabriela Häbich

Punto d’incontro: Piazza della Trinità dei Pellegrini, 1 Coordinate: 41.893517; 12.472529

Punto di arrivo: Ospedale di Santo Spirito in Sassia Lunghezza: circa 2,5 km

Costo: offerta libera

Info: appasseggio@gmail.com, cell. 339-3585839 Scheda completa e modulo di registrazione:

http://www.appasseggio.it/index.php?it/383/modulo-online-confr aternite

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Roma, venerdi’ 30 settembre 2016, dalle 16,15 alle 18,30 LA CHIESA DI S. MARIA ANTIQUA E IL FORO ROMANO NEL MEDIOEVO Accompagna: Priscilla Polidori

Punto d’incontro: Largo Corrado Ricci (all’ombra dei pini nello slargo accanto alla Torre)

Coordinate: 41.893508, 12.487510

Costo: 6 euro (visita guidata) + biglietto d’ingresso 12 euro (salvo riduzioni specifiche)

Info: appasseggio@gmail.com, cell. 339-3585839 Scheda completa e modulo di registrazione:

http://www.appasseggio.it/index.php?it/334/modulo-online-santa -maria-antiqua

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