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L ARENA DI POLA Registrata presso il Tribunale di Trieste n del Anno LXXVI Mensile n. 1 del 20 GENNAIO 2020

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Auguri e propositi

E

ccoci incamminati sul nuovo percorso, davanti ai 366 foglietti di una virtuale agenda, su cui scrivere o confrontare fatti e propositi. Auguri e propositi è il primo messaggio per tutti noi, che fra queste righe puntualmente ci ritroviamo. Con grande soddisfazione ho constatato come in maniera esponenziale si siano rinforzati i nostri contatti, con un importante apporto di informazioni, commenti e materiale da parte dei nostri lettori, incorniciato – lasciatemelo immodestamente dire – da numerose attestazioni di apprezzamento.

Preso atto che nessuna sbarra è calata alle nostre spal- le e nessun cancello si è aperto sulla nuova frontiera del tempo, mi piace accostare il passaggio da un anno all'altro al campo in cui momenti di aratura, semina e raccolto attraversano costruttivamente l'avvicendamen- to temporale dei calendari. Riassumerei quindi i proposi- ti e gli auguri con un auspicabile orizzonte in cui polemi- che, rivalità e assurdi atti di odioso vandalismo nei con- fronti della nostra storia fossero definitivamente messi al bando, nell'ottica di una semina comune per una comu- ne fioritura del domani.

Il vostro direttore Viviana Facchinetti

Fondata a Pola il 29.07.1945 – Mensile di attualità, storia e cultura giuliano-dalmata – Organo dell’Associazione Italiani di Pola e Istria - Libero Comune di Pola in Esilio Direttore responsabile: Viviana Facchinetti – Redazione: Via Malaspina 1, 34147 Trieste – Cell. (0039) 388 8580593 – [email protected] - www.arenadipola.it Quote associative annuali: Italia ed Europa € 35,00, Americhe € 40,00, Australia € 40,00, da versare sul conto corrente postale n. 38407722 intestato a L’Arena di Pola, Via Malaspina 1, 34147 Trieste, o tramite bonifico bancario intestato a Libero Comune di Pola in Esilio, Via Malaspina 1, 34147 Trieste; IBAN dell’UniCredit Agenzia Milano P.le Loreto

IT 51 I 02008 01622 000010056393; codice BIC UNCRITM1222 – Le copie non recapitate vanno restituite al CPO di Trieste per la restituzione al mittente previo pagamento resi L’ARENA DI POLA – Registrata presso il Tribunale di Trieste n. 1.061 del 21.12.2002 Anno LXXVI 3.437 – Mensile n. 1 del 20 GENNAIO 2020

TAXE PERÇUE TRIESTE TASSA RISCOSSA ITALY

Iniziativa realizzata

con il contributo del Governo italiano ai sensi della Legge 72/2001 e successive proroghe POSTE ITALIANE SPA

spedizione inabbonamentopostale D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004

n° 46), art. 1, comma 2, DCB Trieste

Dodici nuovi capitoli assieme

Lettera FederEsuli

PAGINE 2 e 4

Incontriamoci a Pola, i dettagli

PAGINA 2

Avvicendamenti diplomatici

PAGINA 3

Grandi nomi escono di scena

PAGINE 9 e 12

... in questo numero

64°Incontro Culturale degli Esuli da Pola

12 - 16 giugno 2020

L

avori in corso per il nostro tradizionale incontro annuale a Pola, previsto quest'anno dal 12 al 16 giugno.

L’adesione di ognuno di Voi è importante. Vi invitiamo a comunicarla prima possibile a Graziella Palermo, scrivendo all’indirizzo [email protected] oppure telefonando ai numeri 0383 572231 o 327 3295736.

Tutti i dettagli del soggiorno a pagina 2.

VI ASPETTIAMO NUMEROSI!

soffino Che buoni

20 venti

Liste anagrafiche di Pola fino al 15 settembre 1947

Comunicato informativo

S

i fa presente che i fogli di famiglia relativi all'Anagrafe di Pola dell'epoca dell'esodo fino al 15 settembre 1947, data della partenza degli ultimi funzionari italiani su ap- plicazione del trattato di pace del 10 febbraio 1947, si trovano nell'archivio del Comu- ne di Gorizia. Sono presenti anche le liste di leva dal 1901 al 1926 e i ruoli matricolari dal 1886.

I fogli di famiglia costituiscono, con schede individuali, il registro della popolazione proprio all'anagrafe di ordinamento italiano; risultano trascritti tra l'ottobre del 1946 e il febbraio del 1947 da originali esistenti nell'archivio del comune polese. Riguardano solamente i nuclei residenti a Pola e nel circondario attribuito, sotto amministrazione alleata, alla zona A. La serie non riguarda perciò le famiglie residenti nelle frazioni ri- maste nella zona B, passate da subito all'amministrazione jugoslava.

Per informazioni rivolgersi all'indirizzo della redazione dell'Arena di Pola: redazione.

[email protected]

Rinnovi 2020

Vi invitiamo a rinnovare entro il mese di marzo l’iscri- zione alla nostra associazione AIPI- LCPE. Queste le quote invariate per il 2020:

€ 35 con spedizione de L’Arena di Pola per l'Italia;

€ 35 con spedizione de L'Arena di Pola per l'Europa

€ 40 con spedizione de L'Arena di Pola extra Europa

€ 10 con spedizione del solo giornale in formato pdf per i familiari dei soci.

Per versare le quote, questi sono i riferimenti: Conto corrente postale n. 38407722 intestato a L’Arena di Pola, Via Malaspina 1 - 34147 Trieste.

Bonifico bancario intestato a AIPI-LCPE, Via Mala- spina 1 - 34147 Trieste; IBAN dell’UniCredit Agenzia Milano P.le Loreto IT 51 I 02008 01622 000010056393;

codice BIC UNCRITM1222

Vi invitiamo a prendere in considerazione di donare una quota associativa per diffondere l'Arena!

È possibile inoltre sostenere l’Associzione Italiani Pola e Istria - Libero Comune di Pola in Esilio, e quindi L’A- rena di Pola, anche con il 5 per mille. Sul modello 730- 1 per la dichiarazione dei redditi 2019, al capitolo

«Scelta per la destinazione del cinque per mille dell’IR- PEF», scrivere il codice fiscale dell’AIPI-Libero Comu- ne di Pola in Esilio: 90068810325.

Grazie in anticipo e buon cammino assieme nel 2020 la Redazione!

Raccomandazione ai lettori

ATTENZIONE!!!

Al momento del versamento RICORDARE di completare il modulo con i propri dati.

Se arriva un modulo incom- pleto, non è possibile risalire a chi sta rinnovando l'iscri- zione, per cui è impossibile l'invio del giornale, nono- stante la quota pagata.

Buon proseguimento

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2

L’ARENA DI POLA n. 1 del 20 GENNAIO 2020

Egregio Senatore Stojan Spetic,

Noi esuli restiamo allibiti di fronte alle parole che leggiamo nella missiva da Lei indirizzata al Presidente della Repubblica Matta- rella e pubblicata il 29 dicembre u.s. sul sito: https://www.lantidi- plomatico.it/dettnews-foibe_lettera_dellex_senatore_stojan_

spetic_al_presidente_della_repubblica_mattarella/82_32355/

In pratica, a più di 75 anni dalla fine della Seconda Guerra mon- diale, ciò che apprendiamo è che Lei e, immaginiamo, molti della Sua parte politica, restate saldamente ancorati al pensiero di un Vostro compagno di partito, Piero Montagnani, il quale, in un arti- colo pubblicato su L’Unità sabato 30 novembre 1946, imponeva un giudizio pesante come un macigno per la vita di almeno tre generazioni di persone (inclusa la mia, ma anche quella dei miei figli, nati nei ‘90). E intendiamo che ha condizionato la vita della nostra gente che, per non sentirsi apostrofata secondo quanto riportato nella colossale fake news creata ad arte dal Partito Co- munista Italiano su di noi, ha dovuto fare di tutto, ma proprio di tutto, per sopravvivere, tranne delinquere (e le cronache dell’e- poca ne sono testimonianza).

Dunque Lei è convinto che sia proprio impossibile «…considera- re aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città. Non sotto la spinta del nemico incalzante, ma im- pauriti dall’alito di libertà che precedeva o coincideva con l’avan- zata degli eserciti liberatori.» E ancora è convinto che «I gerar- chi, i briganti neri, i profittatori che hanno trovato rifugio nelle città e vi sperperano le ricchezze rapinate e forniscono reclute alla delinquenza comune, non meritano davvero la nostra solidarietà né hanno diritto a rubarci pane e spazio che sono già così scar- si.». Sarà, così, anche convinto che la dichiarazione spontanea di Milovan Đilas riportata dalla rivista Panorama il 21 luglio 1991 e mai smentita, sia una questione di second’ordine, non certo testimonianza sufficiente per affermare che bastava avere “sen- timenti italiani” per poter essere perseguitati. Tanto per la crona- ca, quella dichiarazione recita quanto segue: «Nel 1946 [cioè a guerra finita, n.d.r.] io e Edward Kardelj andammo in Istria ad or- ganizzare la propaganda anti-italiana. Si trattava di dimostrare alle autorità alleate che quelle terre erano jugoslave e non italia- ne. Certo che non era vero […]. Ma bisognava indurre gli italiani ad andare via con pressioni di ogni tipo. Così fu fatto».

Nella Sua lettera al Presidente Lei riporta fatti storici corretti, pun- tuali, atrocemente verificabili, ma il problema è che questi fatti sono tutti circoscritti durante il periodo bellico – oppure immedia- tamente successivi alla presa del potere del regime fascista, cioè

dopo il ’22.

Noi, invece, continuiamo a dire ed a ripetere che, per capire la tragedia dell’Adriatico orientale, che ha visto la persecuzione anti-italiana svuotare quella terra della nostra storica presenza, occorre allargare la finestra di osservazione e ripartire almeno dalla disastrosa Terza Guerra di Indipendenza, persa sonora- mente dall’Italia contro l’Austria, alla cui conclusione veniva re- datto quel famoso decreto del Consiglio della Corona asburgica del 12 novembre 1866 secondo il quale: «Sua Maestà ha espresso il preciso ordine che si agisca in modo deciso contro l’influenza degli elementi italiani ancora presenti in alcune regioni della Corona e, occupando opportunamente i posti degli impie- gati pubblici, giudiziari, dei maestri come pure con l’influenza della stampa, si operi nel Tirolo del Sud, in Dalmazia e sul Litora- le per la germanizzazione e la slavizzazione di detti territori a se- conda delle circostanze, con energia e senza riguardo alcuno»

(cfr. Sezione VI, vol. 2, seduta del 12 novembre 1866, p. 297). È da questa dichiarazione che nasce e prende corpo il nazionali- smo jugoslavo (ovvero, la coalizione degli slavi del sud: serbi, croati, sloveni, ecc.) contro la popolazione italofona, quando an- cora il fascismo non esisteva.

Il Comunismo, poi, è stato il grande ombrello sotto il quale tale nazionalismo è sopravvissuto ben oltre la fine della Seconda Guerra mondiale, tanto che al nostro appello, che tiene il conto anche del periodo postbellico, mancano tra le 10 e le 12mila per- sone: chi infoibate, chi fucilate, chi deportate e morte per stenti, chi annegate, in una scia di sangue che va dal ’43 a tutti gli anni

’50.Dunque fa bene il Presidente Mattarella a parlare di pulizia etni- ca perpetrata con uccisioni di massa di persone colpevoli soltan- to di essere italiane, perché proprio di questo s’è trattato.

In un bell’ articolo di qualche settimana fa, Adriano Sofri, rievo- cando su Il Foglio (14 dicembre u.s.) la tragica vicenda di Pinelli, afferma: «Non succede spesso che il rapporto e il contrasto, fra l’attore e testimonio dei fatti, e i loro storici, si trovino uno di fronte agli altri, invocando l’uno la propria verità vissuta e gli altri la veri- tà probabile di fonti e documenti». Ecco, a noi esuli, nati nelle terre d’origine o in esilio o, come me, nei marginali insediamenti di profughi, tutto ciò succede da più di settant’anni, vale a dire che testimoni di fatti e dotti storici si trovino ad invocare, gli uni la verità vissuta, e gli altri fonti e documenti sempre e perennemen- te parziali, o di parte, od omissivi, o artatamente incompleti.

CONTINUA A PAGINA 4

L'ATTUALITÀ

P

rocedono i preparativi per il 64° incontro annuale a Pola, previsto da venerdì 12 a martedì 16 giugno. Ba- se del soggiorno sarà l’Hotel Pula, scelto quest’anno, in conseguenza alla messa in ristrutturazione dell’abituale Brioni. L’albergo ha dei comfort superiori rispetto al prece- dente: aria condizionata in tutte le camere, wifi gratuito in tutto l’hotel, camere comprese, cibi serviti scelti a km.0. Il prezzo è stato pertanto adeguato alla migliore sistemazio- ne. Il programma, in fase di elaborazione e che sarà co- municato più avanti nei dettagli, è articolato su 3 giorni ef- fettivi, con due significativi eventi già fissati. Sabato 13 giugno vedrà la luce un progetto che, pensato e valutato da vari anni, sarà presentato con la partecipazione di illu- stri personalità: la traduzione dal latino in italiano dell’Anti- co Statuto della Città di Pola. Lunedì 15 la giornata sarà dedicata ad una gita escursionistica a Parenzo con pro- gramma da completare e concordare.

L’adesione di ognuno di Voi è importante e vi invitiamo a comunicarla prima possibile a Graziella Palermo scriven- do all’indirizzo [email protected] oppure telefonando ai numeri 0383 572231 o 327 3295736.

La prenotazione sarà poi confermata con il versamento della quota di adesione pari ad € 100 a persona, ma nulla vieta l’invio del saldo completo.

Potete farlo utilizzando i riferimenti che compaiono in te- stata de L’Arena di Pola. Nel modulo di versamento è im- portante compilare dettagliatamente la causale, completa del nome dei partecipanti (es. Incontro Pola 2020 per No- me e Cognome partecipanti).

I Prezzi informativi per il soggiorno “tutto compreso” sono i seguenti:

CAMERA SINGOLA € 410

CAMERA DOPPIA € 700

CAMERA TRIPLA € 938

64° Incontro Culturale degli Esuli da Pola

12 - 16 giugno 2020

Finestre spalancate sul futuro

C

on l'arrivo di Victoria il 4 gennaio, il 2020 non po- teva iniziare in modo migliore per il Consigliere Andrea Manco e sua moglie, la gentile signora Lesya. Da tutti noi dell'Associazione Italiani di Pola Istria/LCPE e de L'Arena di Pola il nostro saluto di BEN ARRIVATA alla splendida bimba e le felicitazioni per questa gioia agli emozionati genitori.

S

oddisfazione e meritati festeggiamenti per Elisa Palermo, nipote del nostro socio Salvatore. Un traguardo non da poco la sua laurea in Biotecno- logia discussa in inglese, prima a Bonn e poi a Varese.

L'Associazione Italiani di Pola e Istria/LCPE e L'Arena di Pola si uniscono nelle congratulazioni alla neo dottores- sa e alla sua famiglia.

I

nostri connazionali dell’Istria, del Carnaro e della Dal- mazia sperimentarono tra i primi in Italia le logiche della Guerra fredda come contrapposizione tra un occidente libero e democratico, che 70 anni fa dette vita alla Nato come strumento di difesa, ed un blocco comu- nista totalitario.

Dopo le avvisaglie delle prime uccisioni nelle foibe av- venute all’indomani dell’8 settembre 1943, i nostri con- nazionali patirono le stragi commesse dai partigiani co- munisti jugoslavi di Tito a guerra finita nei Quaranta giorni del maggio-giugno 1945. Seguì lo stillicidio di uc- cisioni nella zona sotto amministrazione militare jugo- slava, in cui andava consolidandosi la dittatura di Bel- grado (il martirio di Don Bonifacio e l’eliminazione dei partigiani del nuovo CLN dell’Istria, ad esempio). Fu co- sì che le potenze occidentali rappresentarono una pos- sibile protezione ed un baluardo contro l’espansionismo jugoslavo, di cui avevamo colto le caratteristiche sna- zionalizzatrici e liberticide. La resa incondizionata firma- ta dal Regno d’Italia nel 1943 aveva tolto qualunque fa- coltà di intervento alle istituzioni italiane, mentre le pri- me crepe nella coalizione antinazista fecero sì che in- glesi ed americani si interessassero maggiormente alle sorti dell’Adriatico. Il porto commerciale di Trieste e

quello militare di Pola passarono sotto controllo alleato dopo l’accordo di Belgrado nel giugno 1945, dando l’illu- sione che almeno il capoluogo istriano si sarebbe salva- to dalle mire jugoslave, anche se l’attentato di Vergarol- la dimostrò che pure qui gli emissari titoisti potevano colpire mortalmente.

L’accoglienza concessa ai fuggitivi dalle dittature comu- niste che andavano rafforzandosi in Europa consentì anche a migliaia di esuli giuliani, fiumani e dalmati di trovare una nuova sistemazione in grandi paesi che avrebbero fatto parte dell’alleanza atlantica o ne sareb- bero stati partner (Stati Uniti, Canada, Australia). L’amo- re per la Patria e per la libertà che contraddistingue l’ita- lianità adriatica non poteva sopravvivere sotto l’oppres- sione titoista, ma si salvò, benché costretto all’esilio, grazie alla Nato, che ha garantito la pace, la sicurezza e la libertà in un’Europa uscita annichilita dalla Seconda guerra mondiale e nel mondo “occidentale”. Si crearono così i presupposti affinché gli esuli adriatici potessero cominciare una nuova vita in paesi liberi, democratici e sicuri: è bene ricordarlo nel momento in cui l’assetto della Nato è in discussione.

Renzo Codarin Presidente ANVGD

Il caso "Casa Tartini"

Fra le sublimi note che riconducono alle splendide esecu- zioni del musicista piranese, una nota stonata emerge nella cronaca di questi giorni leggendo “il caso” riferito il 6 gennaio da Stefano Lusa nel sito di Radio Capodistria (https://www.rtvslo.si/capodistria/radio-capodistria/noti- zie/commento/hlapci-servi/510878), da cui estrapoliamo qualche passaggio.

D

oveva essere un progetto che avrebbe portato lu- stro a Tartini, alla comunità italiana di Pirano e valo- rizzato un edificio restaurato con i soldi del Gover- no italiano. Per ora l’unico risultato visibile è che la casa natale di Tartini è diventata “Hiša Tartini”, con la denomi- nazione che fa bella mostra di sé all’interno della dimora del musicista piranese. Non è altro che la prosecuzione della linea politica e culturale che ci ha regalato in regione un porto che si chiama “Luka Koper” o aziende municipa- lizzate che portano il nome di “Marjetica”, “Okolje” e “Ko- munala”. Il fine è quello di cancellare quanto al più presto possibile la presenza della lingua italiana. Ora, però, il monolinguismo è sbarcato anche all’interno delle sedi isti- tuzionali della comunità italiana. Un fatto che diventa diffi- cile credere che sia del tutto frutto solo di una banale svi- sta. Ma andiamo con ordine. Il progetto è quello di "TAR- TINI”, un’iniziativa che doveva portare al Comune di Pira- no 1.200.000 euro di fondi, di cui una fetta consistente sarebbe stata concessa anche alla Comunità degli Italiani

“Giuseppe Tartini” di Pirano. L’obiettivo era quello di re- staurare “Hiša Tartini”, impiegare temporaneamente delle persone per lavorare al progetto e realizzare un percorso museale, all’interno della casa natale del musicista che però è da sempre, la sede della locale Comunità degli ita- liani.

Inspiegabilmente ad occuparsi di quest’ultimo aspetto del progetto è stato direttamente il Comune di Pirano che ha pensato bene di far realizzare il tutto alla stessa azienda che aveva allestito in città lo spazio del Mediadom Pyrha- ni. Risultato di tutto ciò è stato che sui pannelli esplicativi del percorso museale, preparati all’ultimo momento e fis- sati la notte prima della presentazione, Casa Tartini è di- ventata solo “Hiša Tartini”, con il testo dei pannelli prima in sloveno e poi in italiano, con smaccati errori grammaticali.

In Comunità precisano di non averli visti prima dell’affis- sione; giustificazione data anche dal Museo del mare di Pirano, che gestisce la sala espositiva dedicata a Tartini, impegnato ora in un classico gioco dello scarica barile con la locale Comunità degli italiani. (...)

A quasi due mesi di distanza tutto a “Hiša Tartini” è rima- sto così com’è. Nessuno ha pensato ancora (o ha avuto il coraggio) di rimuovere nulla, anche se non sono mancati scambi di accuse, centinaia di mail e riunioni. Dicono che si provvederà a sostituire i pannelli entro la fine del mese.

Bisognerà vedere con che risultati. Intanto il percorso mu- seale resta chiuso. A questo punto è lecito chiedersi quan- to tempo ci metterà tutta “Hiša Tartini” a diventare null’al- tro che una appendice del Museo del mare con il consen- so della locale Comunità degli Italiani

La notizia è stata ripresa da media ed istituzioni, mentre Debora Serracchiani ha presentato un'interrogazione alla Camera.

La nuova vita degli esuli

giuliano-dalmati protetti dalla Nato

A sinistra Elisa Palermo con i genitori Lucia e Dario, sotto con il

nonno Salvatore ed il fidanzato Marco

Foibe e giustificazionismo

Antonio BALLARIN

A sinistra lo scatto delle prime ore di vita per Victoria

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L’ARENA DI POLA n. 1 del 20 GENNAIO 2020

3

temporanea italia- na”. Come purtrop- po noto, nonostante avesse perso nell’esplosione i figli Carlo e Renzo, di 9 e 6 anni, oltre al fratello e alla co- gnata, per più di 48 ore con- secutive non lasciò il suo po- sto di lavoro fino alla cessa- zione dell’emergenza. Sol- tanto dopo rincasò a consola- re l’affranta madre dei suoi bambini, Iolanda Nardini, de- ceduta a Trieste nel 2007 all’età di 99 anni. “Per questo suo encomiabile gesto di umana pietà ed elevata etica professionale, – conclude il comunicato - Micheletti è assurto a simbolo degli alti valori morali e dell’altissimo senso civico della gente istriana ed il suo ricordo resta indelebile nella memoria dei cittadini di Pola”.

Approvata a Trieste la proposta di intito- lare al dottor Geppi-

no Micheletti un'aula nell'o- spedale di Cattinara (ne ab- biamo dato notizia nello scor- so numero, n.d.r.) altro dovu- to riconoscimento - questa volta in Umbria, a Narni in provincia di Terni - alla me- moria dell'eroe della tragedia di Vergarolla. Come si ap- prende dalla stampa del po- sto, il locale Consiglio comu- nale ha deciso, con voto una-

nime, di dare mandato al sindaco e alla giunta per la rea- lizzazione dell'iniziativa “volta ad onorare la memoria del dottor Micheletti, eroe della Seconda Guerra mondiale, chirurgo pluridecorato, le cui grandi qualità ne fecero un modello intramontabile per la storia della medicina con-

L'ATTUALITÀ

Dialogo governo-esuli

Il Viceministro Del Re si impegna per gli esuli istriani, fiumani e dalmati

Prosegue il dialogo tra Governo ed associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati per addivenire alla solu- zione delle questioni ancora aperte riguardanti il mon- do della diaspora adriatica ed oggetto dei lavori del Ta- volo di Coordinamento istituito presso la Presidenza del Consiglio. Una delegazione di rappresentanti dell’associazionismo degli esuli è stata ricevuta dal Vi- ceministro per gli Affari Esteri e la Cooperazione Inter- nazionale Emanuela Claudia Del Re, al fine di dare continuità all’incontro dell’estate scorsa con il titolare della Farnesina, all’epoca il Ministro Moavero Milanesi.

Nella delegazione c’era anche il presidente dell’Asso- ciazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia Renzo Codarin, il quale ha rilevato: «L’On. Del Re è rimasta in carica nel passaggio dal governo Conte I al Conte II e questo garantisce continuità nell’affrontare le nostre problematiche afferenti agli Esteri. Comunque, anche in vista delle imminenti celebrazioni del Giorno del Ri- cordo, abbiamo riscontrato – prosegue Codarin – una sensibilità istituzionale davvero importante, a prescin- dere dalla continuità degli incarichi».

«Si è trattato di una riunione estremamente cordiale e fattiva – ha chiosato a margine del meeting Antonio Ballarin, presidente della Federazione delle Associa- zioni degli Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati – e, consa- pevoli che si tratta di tematiche che afferiscono anche ad altri dicasteri, abbiamo avuto dalla Viceministro la conferma che da parte della Farnesina ci sono l’impe- gno ed il supporto sulle tematiche attinenti il debito de- gli Stati successori della Jugoslava nei confronti dell’I- talia (trattato di Osimo), la questione del “giusto ed equo indennizzo” atteso dagli esuli e dai loro familiari da parte dello Stato italiano e la consegna della Meda- glia d’oro al valor militare al Gonfalone della Città di Zara»

Lorenzo Salimbeni Responsabile comunicazione ANVGD

P

ure quest’anno autorità civili e militari di Trieste hanno presenziato alla succinta commemorazione di Guglielmo Oberdan, impiccato nel capoluogo giuliano il 20 di- cembre 1882 dalle autorità austro-ungari-

che. Quell’anno fu estremamente amaro per i patrioti ita- liani: la morte di Giuseppe Garibaldi, le grandi celebra- zioni per il cinquecentenario della dedizione di Trieste al Duca d’Austria, l’adesione del Regno d’Italia alla Triplice Alleanza congiuntamente ad Austria-Ungheria e Germa- nia, sino a concludersi con la morte del giovane irredenti- sta.Quell’anno fu estremamente amaro per i patrioti italiani:

la morte di Giuseppe Garibaldi, le grandi celebrazioni per il cinquecentenario della dedizione di Trieste al Duca d’Austria, l’adesione del Regno d’Italia alla Triplice Alle- anza congiuntamente ad Austria-Ungheria e Germania, sino a concludersi con la morte del giovane irredentista.

Nato Wilhelm Oberdank, da madre slovena e padre ita- liano che non lo riconobbe, il giovane triestino fu un esempio del patriottismo che si diffuse nelle province asburgiche dopo la Terza Guerra d’Indipendenza. Nel 1866 infatti, Trentino, Venezia Giulia, Fiume e Dalmazia, pur presentando significative comunità italiane al loro in- terno, con particolare riferimento alle aree urbane, erano rimaste sotto il dominio di Vienna. Se nel 1848 i cosiddet- ti “fedeloni” avevano mantenuto la loro fedeltà appunto nei confronti del governo viennese durante il periodo delle rivolte borghesi della Primavera dei popoli, negli anni seguenti Trieste sarebbe diventata una “fucina di italiani”. Nel più importante porto dell’Impero erano giunti nelle varie decadi serbi, greci, ebrei, armeni ed albanesi che avrebbero poi contribuito alle fortune emporiali trie- stine. Molti di loro e dei loro discendenti parteciparono ai moti ottocenteschi che miravano all’indipendenza delle proprie terre d’origine dal “giogo ottomano”, ma altrettan- ti sposarono la causa dell’italianità e dell’idealismo che era alla base del movimento risorgimentale. Costoro non guardavano alla monarchia militare dei Savoia o alle abi- lità diplomatiche di Camillo Benso Conte di Cavour, ben- sì all’idealismo di Giuseppe Mazzini ed al volontarismo di Giuseppe Garibaldi. Per molti giovani triestini dalle più disparate ascendenze non bastava lottare per l’indipen- denza italiana o della terra d’origine dei propri avi, poiché l’ideale mazziniano parlava di una Giovane Europa e si

sognava che le armi delle camicie rosse replicassero al- trove i clamorosi successi della spedizione dei Mille.

Battersi per l’italianità delle terre “irredente” (non ancora redente, liberate dalla dominazione straniera) costituiva per molti giovani della provincia del Litorale Austriaco non solo una rivendicazione identitaria, ma anche una lotta contro l’assolutismo dell’Imperatore Francesco Giu- seppe e la partecipazione ad un più ampio movimento di liberazione nazionale dei popoli europei. Coerentemente con gli ideali risorgimentali, l’irredentismo non proponeva un’adesione nazionale “Blut und Boden” alla tedesca, bensì la partecipazione ideale ad una lotta nella quale ci si identificava ed il riconoscimento in una cultura ed in una Patria al di fuori di qualsiasi schema razzista o euge- netico.

Wilhelm Oberdank, nato a Trieste il primo febbraio 1858, rimarcò la sua adesione alla lotta per l’italianità della Ve- nezia Giulia (il glottologo goriziano Graziadio Isaia Ascoli avrebbe così definito nel 1863 la regione di Trieste, Gori- zia ed Istria, volendo evidenziarne le origine latine che affondavano nella Decima Regio Augustea) decidendo di mutare il proprio nome in Guglielmo Oberdan. Avvicina- tosi ai circoli patriottici della propria città, nel 1878 rispo-

se all’appello garibaldino “Ai monti” e scap- pò nel Regno d’Italia per non venire arruola- to nelle truppe imperialregie che sarebbero andate ad imporre il protettorato di Vienna sulla Bosnia Erzegovina secondo i dettami del Congresso di Berlino. Quattro anni dopo lo troviamo in prima fila nel corteo funebre dell’Eroe dei due mondi ed avrebbe assistito esterrefatto al giro di walzer della diplomazia sabauda che portò il giovane Regno a strin- gersi in alleanza con il “secolare nemico” austriaco, che ancora occupava terre abitate in maggioranza da italiani.

Ma nello stesso 1882 si celebrava pure l’anniversario numero 500 dell’atto di dedizione del Comune di Trieste ai Duchi d’Austria, manovra con cui l’allora piccolo porto di pescatori intendeva assicurarsi una protezione contro l’egemonia adriatica della Repubblica di Venezia. Il re- taggio della Serenissima avrebbe altresì mantenuto vivo il desiderio di staccarsi dall’Austria in quelle popolazioni assoggettate in seguito al Trattato di Campoformido, lad- dove Oberdan ruppe gli schemi del tradizionale modera- tismo liberalnazionale triestino. Quest’ultimo portava avanti le sue battaglie nei consessi elettivi ed aveva scel- to come interlocutore le istituzioni statuali italiane invece che il movimentismo di matrice garibaldina. A margine delle celebrazioni per la dedizione della cosiddetta “Urbs fidelissima” vennero causate vittime tra i civili da un pri- mo attentato, cui Oberdan ed i suoi sodali mazziniani ri- sultarono estranei: il loro obiettivo era ben più grosso, vale a dire l’Imperatore Francesco Giuseppe d’Asburgo.

Rientrato in territorio austroungarico, Oberdan si assun- se il compito di portare a termine l’azione dopo che un suo collega si era suicidato al cospetto di tanta responsa- bilità, ma venne fatto prigioniero, riconosciuto come di- sertore e incriminato pure di altri reati. Di fronte alla cattu- ra, alla detenzione ed alla rapidissima sentenza, il venti- quattrenne patriota accettò fatalisticamente la propria sorte: era consapevole che la causa dell’irredentismo, del completamento dell’unità nazionale e del sogno di un’Europa delle nazioni informata ai principi del repubbli- canesimo necessitava di un martire. L’opinione pubblica europea chiese invano la grazia: Oberdan affrontò sere- namente il capestro: le successive generazioni di patrioti, mazziniani ed irredentisti avrebbero portato avanti la sua lotta per l’Italia.

Lorenzo Salimbeni

Nato Oberdank, morto Oberdan, vissuto da italiano

Intitolati a Geppino Micheletti i giardini del Pesce a Narni

C

ome reso noto dalla Farnesina, il nuovo

ambasciatore d'Italia a Zagabria è Pierfrancesco Sacco, nato a Roma il 17 maggio 1965. Laureatosi in Giurisprudenza presso l'Università di Roma nel 1987, è entrato nella carriera diplomatica nel 1990, iniziando il suo percorso presso la Direzione Generale per gli Affari Politici. ha Dopo il servizio prestato dal 1993 al 2001 al Consolato Generale a San Paolo, in Brasile, seguito da quello all'Ambasciata a Budapest, al rientro a Roma ha lavorato al Servizio Stampa e Informazione e alla Dire- zione Generale per l'Integrazione Europea. Dal 2004 Primo consigliere commerciale all'Ambasciata a Madrid, nel 2008 è tornato al Ministero, presso la Direzione Ge- nerale per la Cooperazione allo Sviluppo. Dal 2011 è stato Capo dell'Unità di Analisi, Programmazione e Do- cumentazione storico-diplomatica della Segreteria Ge- nerale.

Avvicendamento anche al Consolato Generale d'Italia a Fiume, dove Davide Bradanini ha assunto le funzioni di nuovo Console Generale. Nato a Caracas (Venezuela) il 13 gennaio 1983, si è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatici presso l’Università di Bologna nel 2008, conseguendo quindi un Master in “European Political and Administrative Studies” al Collegio d’Europa a Bru- ges (Belgio) e un Dottorato di ricerca in scienze politiche presso l’IMT di Lucca nel 2012. In carriera diplomatica dal 2013, ha prestato servizio presso la Direzione Gene- rale per l’Unione Europea (in particolare all’Unità Adriati- co e Balcani) del Ministero degli Affari Esteri e della Coo- perazione Internazionale e alla Rappresentanza Perma- nente d’Italia presso le Nazioni Unite a Roma. Sposato e padre di un figlio, dal 7 gennaio è Console Generale d’I- talia a Fiume, con competenza sulla Regione Istriana, sulle Regioni Litoraneo-Montana e Lika-Segna e sulle quattro Regioni della Dalmazia.

Zagabria e Fiume

Avvicendamenti nelle sedi diplomatiche

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L’ARENA DI POLA n. 1 del 20 GENNAIO 2020

VAMO” è diventato anche un catalogo che si apre con una massa di materiale raccolto di cui si sa poco o nulla (se non che è “di qua”) e prosegue con un appello lanciato attraverso i social Facebook, Twitter perché là dove ancora c’è ricordo e possibilità arrivino foto, cose, noti- zie per far parlare la nostra gente comune che non c’è più. Per dare voce a volti senza nome. Perché possa essere la base per pro- seguire, ampliando, la raccolta e la mostra che in questo modo sarà ancora nuova e ancora diversa, pronta a dare degna sostan- za a quel “10 febbraio”, nostro “Giorno del Ricordo”, che arriverà l’anno venturo. È la massa indistinta dei protagonisti silenziosi e delle loro famiglie che, pian piano, acquisi- sce sempre maggior identità. Quella massa che vuole ancora parlare e dire e raccontare e che fa corollario a chi già conosciamo: alle famiglie “grandi” nella storia, perché famo- se, perché di loro s’è detto e scritto ma, a volte, capita che siano estinte e, guarda ca- so, lo scenario può essere opposto con no- mi e storie e voci chiare: ma senza volti.

Perché non c’è più alcun erede a conservar- ne una fotografia, un’immagine.

Recuperare e conservare sono principi sa- lienti del nostro Istituto Regionale per la Cultura Istriano- fiumano-dalmata e sono questi i motivi che ci hanno portato ad avviare già da molto tempo un percorso fina- lizzato alla costituzione di un grande archivio storico che oggi si amplia in un ulteriore recupero di memoria delle nostre genti giuliane, fiumane e dalmate.

N

el periodo prenatalizio all’Istituto Regionale per

la Cultura Istriano-fiumano-dalma- ta (I.R.C.I.) è stata inaugurata un'origina- le rassegna racconta la storia delle no- stre genti attraverso il materiale icono- grafico, tratto dagli album di famiglia.

L'iniziativa, spiega il direttore Piero Del- bello, rappresenta il primo step nel pro- getto – avviato dall’I.R.C.I. - verso la co- stituzione di un archivio della memoria;

nel rispetto del compito istituzionale di salvare tutto il possibile della nostra sto- ria, abbiamo ritenuto, nella progettazione dell’ormai tradizionale mostra natalizia, di fermare l’attenzione proprio su tale aspetto, dando direttamente voce ai pro- tagonisti delle tragiche vicende delle no- stre genti, in vista anche del “Giorno del Ricordo” che, a quindici anni dalla sua istituzione, costituisce il primo vero risar- cimento morale agli esuli giuliano-dalma- ti.“COME ERAVAMO” è, quindi, una voce data a volti senza nome e trova inizio nell’individuazione e acquisizione di un cospicuo fondo fotografico “antico” che va dagli anni ’60 dell’800 fino a primi del

‘900. Fotografie unite da un unico comune denominato- re: lo studio fotografico, che è sempre istriano o fiumano o dalmata. Chi sono quegli uomini, quei bimbi, quelle donne? Giovani, maturi, vecchi o infanti? Che sappiamo di loro, oltre al fatto che vennero ritratti in tempo antico, fuori da memoria vivente possibile, da fotografi delle no- stre terre? Nulla, o quasi. Talvolta una calligrafia di anni

assai andati ci dà note del tipo “zio Nini” o “Mariuccia a due anni” o, se chi scrisse allora aveva avuto un poco di lungimiranza (è termine esatto?), puoi trovare un “Giu- seppe Cosulich, da Cardiff, morto nel 1890 a 79 anni”

che ti svela un’origine lussignana.

È su questo principio che il “COME ERAVAMO” è diven- tato una mostra per questo Santo Natale. “COME ERA-

All'IRCI la mostra "Come eravamo"

Le foto degli album di famiglia raccontano

CONTINUA DALLA 2

Noi non comprendiamo il suo giustificazionismo. Ci appare fuori da qualsiasi logica umana. Impone una visione aberrante della storia e rende impossibile ogni forma di prevenzione affinché tragedie simili possano essere evitate.

Potremmo discutere per ore, giorni, mesi ed anni, ma sono con- vinto che non riusciremmo mai ad avere una visione condivisa, né una mutua accettazione. E ciò è assolutamente inammissi- bile per una società che si impegni affinché tragedie simili non si ripetano.

Esiste un archivio estremamente documentato presso lo Stato Maggiore dell’Esercito Italiano, l’archivio ‘H8’, che elenca meti- colosamente con documenti ed immagini tutti i crimini commes- si dall’Esercito in Italia e nei luoghi del conflitto della Seconda Guerra Mondiale. La Jugoslavia, aggredita dal regime fascista, era assegnata al generale Mario Roatta e ad Alessandro Pizio Brioli, principali responsabili, ma dietro a loro ci sono fior di nomi significativi.

Qualcuno ci può spiegare perché, anziché prendersela con gli autori delle nefandezze perpetrate in quella guerra, si continua a giustificare la tesi che, tutto sommato, le reazioni dei naziona- listi comunisti slavi erano “comprensibili” ancorché attuate dopo la guerra su popolazioni civili che nulla avevano a che fare con i crimini perpetrati durante la guerra da persone in uniforme, se non la condivisione della stessa lingua?

Quale giustificazione per le ritorsioni verso innocenti (ad esem- pio 54 preti piuttosto che 300 pescatori, un vescovo piuttosto che un agricoltore, ecc.) compiute a guerra finita come reazioni ad atti efferati commessi durante la guerra e per i quali i respon- sabili (Roatta in primis) godettero, prima, dell’amnistia firmata dal compagno Palmiro Togliatti nel 1946, all’epoca Ministro di Grazia e Giustizia e, dopo, di quella firmata dal Ministro Antonio Azara, sotto il governo Pella? Quale astruso ragionamento do- vrebbe giustificare il prezzo di colpe non commesse imposto a popolazioni autoctone inermi ed innocenti? Quale macabra contabilità può giustificare simili congetture?

La questione ci appare proprio irragionevole, sciocca, lesiva degli stessi principi di uguaglianza e di libertà, sbandierati dai comunisti come valori inalienabili. Non solo, andando avanti nella lettura del Suo intervento, sembra anche che, sotto sotto, ci sia una naturale giustificazione per un Esodo di proporzioni bibliche che svuotò il 90% di un territorio (non il 90% degli italia- ni, ma il 90% dell’intera popolazione) come inevitabile conse- guenza di un precedente esodo di popolazioni slave avvenuto all’indomani della Prima Guerra Mondiale nelle province di Go- rizia, Trieste, Fiume, Pola e Zara (ma leggendo bene gli accura- ti dati dei precisi censimenti austriaci si può ben vedere come

quelle popolazioni non fossero autoctone, quanto, piuttosto, in- dirizzate ad occupare quelle città come effetto della citata risolu- zione della Corona Asburgica del novembre 1866).

Il problema di fondo riguarda il fatto che, chi è comunista non ri- conosce che le foibe, la persecuzione agli Italiani di Istria e Dal- mazia, fascisti ed antifascisti che fossero (come tutto il CLN istriano, antifascista, ma non comunista, quindi… fascista!), è solo la punta di un iceberg che vede, nel ‘900, fiumi di sangue per chi non si allineava immediatamente con i regimi autoritari:

ieri Stalin e Pol Pot, oggi Maduro o Xi Jinping (basterebbe consi- derare quanto sta succedendo ad Hong Kong per capire quale considerazione della “libertà dei popoli” abbia il regime comuni- sta). Eppure, ancora, basterebbe leggere Martin Pollack ed il suo “Paesaggi contaminati” per capire che dietro ridenti paesag- gi carsici si nascondono efferatezze rivoltanti come Huda Jama in Slovenia, dove il metodo di eliminazione adottato dal regime jugoslavo era lo stesso di quello messo in atto con le nostrane foibe, ma su popolazioni diverse.

Nonostante la sua drammatica storia, la Slovenia, a differenza dell’Italia, è un grande Paese, perché ha saputo fare i conti con il proprio passato, istituendo una legge che riconosce il dramma della persecuzione politica (la cosiddetta Legge dei Torti) ed è talmente all’avanguardia che ha applicato quella medesima leg- ge a centinaia di esuli italiani, provenienti dai territori che oggi sono Slovenia, riconoscendo il loro confinamento in un campo profughi come atto di persecuzione perpetrata in maniera ingiu- sta da un regime totalitario. Legge insufficiente, qualcuno po- trebbe dire, ma, per lo meno la Slovenia prova a ristabilire il principio di centralità della persona e della sua umanità.

Lei sa meglio di me che il testo del rapporto storico sulle vicende del Confine orientale, elaborato dalla commissione mista italo- slovena, è insufficiente per la rilettura di ciò che ci è accaduto in Istria e Dalmazia. Del resto quel testo, redatto all’indomani della dissoluzione della Federazione jugoslava, aveva più lo scopo di riavvicinare due Paesi, uno dentro l’Unione Europea, l’altro non ancora, in momenti durante i quali sloveni, serbi, croati, monte- negrini, bosniaci, erzegovini, ecc. se le suonavano di santa ra- gione tra loro, quando decenni prima lo facevano tutti insieme contro un’unica etnia (Srebrenica docet).

L’assurdità di paragonare/contrapporre Giorno del Ricordo e Giorno della Memoria è qualcosa di rivoltante, per la falsità della cosa in sé e, molto più, per l’ennesimo tentativo di cercare con- trapposizioni anche dove non ve ne sono.

La proposta di Legge Menia che istituì il Giorno del Ricordo è il frutto di una lunga e laboriosa mediazione tra forze politiche du- rata anni. Si parlava, ancor prima dell’istituzione del Giorno della Memoria, di emanare una legge unica che tenesse in considera-

zione tutti gli eventi disastrosi perpetratisi durante la Seconda Guerra Mondiale. Le nostre Comunità erano d’accodo su que- sta linea. Fu scelto diversamente, e noi rispettiamo la decisione presa dal Parlamento, che votò a stragrande maggioranza, ma con l’opposizione di 15 deputati di Rifondazione Comunista e dei Comunisti Italiani, tutti impegnati sulla Sua medesima linea di giustificazione, minimizzazione, riduzione, ecc., che sono i seguenti: Armando Cossutta, Maura Cossutta, Titti De Simone, Elettra Deiana, Oliviero Diliberto, Alfonso Gianni, Francesco Giordano, Ramon Mantovani, Graziella Mascia, Giuliano Pisa- pia, Marco Rizzo, Giuseppe Cosimo Sgobio, Giovanni Russo Spena, Tiziana Valpiana, Nichi Vendola.

Per Lei e per i Suoi compagni ideologici il Giorno del Ricordo sarà di sicuro una “pietra di inciampo” sulla quale battere per- ché non sia il nazionalismo comunista il responsabile delle atrocità subite, ma, semmai, che esse siano la giusta conse- guenza per efferatezze mai compiute da persone innocenti.

Persone che, oggi, soffrono ancora perché non vengono consi- derate “uguali” agli altri italiani e che si vedono sistematicamen- te negare diritti che lo stesso Trattato del 1947, da Lei tanto de- cantato, garantiva: la conservazione dei beni di proprietà, usati, invece, per pagare un debito di una guerra non voluta.

Se Lei vuol far riflettere il Presidente Mattarella sulle Sue argo- mentazioni giustificazionistiche, noi, per contro, con il nostro desiderio che questa storia non abbia più luogo – e che si possa vivere finalmente in pace, liquidando una volta per tutte la con- trapposizione politica che si gioca sulla nostra testa come se la Guerra non fosse mai finita – vogliamo mettere in pratica in ogni modo quanto suggerito dal Presidente Mattarella nel suo ultimo discorso alla Nazione, almeno per quanto ci riguarda e per quanto è nelle nostre possibilità.

Vogliamo continuare, come facciamo da decenni, a trasformare in azione concreta e positiva una memoria nefasta, anche se persone come Lei tentano e tenteranno per sempre di mistifica- re la verità. Con la nostra sofferenza, con il nostro oblio perpe- trato negli anni, desideriamo testimoniare all’Italia intera che senza memoria, storia, cultura, accettazione del diverso, senza rispetto da offrire agli altri e pretendere per sé e per la propria identità, non esiste speranza per questa Nazione. Argomenta- zioni come quelle da Lei riportate, parziali, faziose, indirizzate ad una narrazione partigiana, creeranno sempre un clima di odio e di tensione, un clima fertile per armare la mano del pros- simo idiota.

Spero possa riflettere.

Ossequi.

Antonio Ballarin, nato nel Villaggio Giuliano Dalmata di Roma Presidente di FederEsuli - Roma, 6 gennaio 2020

Gioiose rimpatriate

La comunità di Santa Domenica di Visinada Ca- stellier si è ritrovata a dicembre presso l'Associa- zione delle Comunità Istriane per assistere alla Messa in ricordo dei propri cari, celebrata dal Cappellano don Davide Chersicla. È stata occa- sione anche per lo scambio degli auguri natalizi fra associati e simpatizzanti. La rimpatriata è stata particolarmente sentita e caldeggiata da Erminia Dionis Bemobi, la vivace decana del sodalizio, che in quell'occasione ha ricordato l'indimenticabi- le riunione della sua famiglia, avvenuta qualche mese prima, con parenti giunti un po' da ogni do- ve, anche dall'America.

Foibe e giustificazionismo

Fiume 2020

la cultura e l'Europa

Qualche frizione al debutto

C

ome noto il capoluogo quarnerino è stato scelto per l'anno in corso come Capitale Europea della Cultura. In una nota diffusa dalla Società di Studi Fiumani, vengo- no eccepiti alcuni rilievi, che sottolineano omissioni piuttosto gravi sulla storia di Fiume nel sito ufficiale del Comune di Rijeka-Fiume rijeka.hr/it/amministrazione-cittadina/storia-di- fiume/. Come si legge nel comunicato,citando la parte riferita al tumultuoso XX secolo, “non si parla del Corpus Separatum, non c’è il riferimento al Consiglio Nazionale Italiano e al pro- clama del XXX ottobre 1918. L’esodo di oltre 40.000 fiumani, sotto la Jugoslavia di Tito, omesso completamente. Eppure ogni anno per San Vito c’è l’incontro tra le associazioni degli esuli dal Sindaco della città…”

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L’ARENA DI POLA n. 1 del 20 GENNAIO 2020

5

L

a politica atirava mio zio Toni come el miel le vespe. El iera idealista però, no politicante.

Quando che el sentiva parlar de socia- lismo, de rivoluzione proletaria, de potere dei lavoratori e altre parole simili, el perdeva el controlo e el iera disponibile a far qualsiasi ro- ba per esser “un protagonista del nuovo cor- so”, come che ghe piaxeva dir. Cussì, quando che in fabrica i ga formado el “Consiglio Ope- raio”, lui se ga subito proposto come rapre- sentante dei lavoratori. E i sui coleghi ghe ga da fiducia, perché i saveva che lui el fazeva

‘ste robe per passion e nol se aprofitava. Co- me che gaveva spiegà el diretor e el referente politico, ‘sto Consiglio Operaio doveva gestir la fabrica ne l'interesse esclusivo dei lavorato- ri. Parole che per Tonin iera come andar a nozze e lui no perdeva l’ocasion per predicar de come che questo iera un grandissimo pro- gresso per la classe operaia.

A le prime riunioni del consiglio no se gaveva discusso de tante robe, anche perché la gente no iera abituada a parlar in publico e no iera ancora ciaro quel che se podeva e quel che no se podeva dir. Ma dopo un poche de riunio- ni, se ga scominziado a parlar de problemi concreti. Bepi, el capo dei eletricisti el gaveva fato presente che i quadri eletrici de la sala machine i iera in stato pietoso; fati in econo- mia, ancora prima de la guera, un giorno sì e uno no se rompeva qualcossa e no se podeva lavorar. Iera anche un problema de sicurezza e i operai no lavorava volentieri in ste condi- zioni. Ogni tanto de sti quadri partiva falische e andava via la corente. Alora se ciamava Be- pi, che el riparava el guasto in qualche modo e

se tornava a lavorar fin al prossimo guasto.

Ma no se podeva andar avanti cussì e iera urgente cambiar tuto l’impianto. Ma i quadri eletrici bisognava ordinarli in Germania e pa- garli in valuta e no iera facile gaver l’autoriza- zion per ste operazioni. A la riunion del Consi- glio Tonin el ga fato la proposta: “compagni xe nostro dover garantir la sicurezza dei no- stri lavoratori. No se pol lavorar con le fali- sche sora la testa. Bisogna cambiar l’impian- to eletrico de le machine e comprar i quadri

eletrici novi in Germania”. Risposta del diretor:

“compagno Tonin ti ga rason, saria un bel la- vor ma, purtropo, i quadri bisogna pagarli in valuta e no podemo farlo”. Savendo el proble- ma, Tonin se gaveva documentà: “compagno diretor me risulta che noi vendemo tanta roba a l’estero e i ne paga in valuta. Prelevemo sta valuta per pagar i quadri”. Se ga alzà el refe- rente: “compagni, la lege disi che la valuta estera devi andar tuta al potere centrale che el provedi a distribuirla in base ai bisogni del po- polo lavoratore. Noi no podemo tocar sti soldi, lege xe lege”. Tonin no ga podesto più dir gnente.

Finida la riunion, Tonin ga ciamà i altri operai e el ghe ga riferì la risposta del referente. Come che i ga sentì sta storia, i operai ga scominzià a brontolar, a dir che no iera cambià gnente, che chi che doveva sempre sacrificarse iera i operai. Più de tuti protestava Bepi, l’eletricista, lui ch'el iera parte in causa: “no toco più gnen- te, no voio gaver responsabilità”. Tonin no sa- veva cossa dir e, a un certo punto, per calmar- li el ga alzà la vose: “xe poco de protestar compagni, questo dixi la lege e lege xe lege”.

Dopo un poco de tempo, a un’altra riunion del consiglio, se ga alzà el referente disendo:

“compagni, l’auto del diretor la xe a remengo e no se la pol più riparar. Xe un model vecio, ancora de prima de la guera, e xe una vergo- gna per la fabrica a mandar in giro el diretor con un auto compagna. Dovemo comprar un auto nova, de una marca de prestigio, una Mercedes, cussì che quando che vien in visita i clienti esteri e el diretor li porta fora a pranzo e a zena, femo bela figura”. E Toni: “come fa- remo con la valuta estera per pagarla?” “No xe problema” - ga dito el referente - noi vende- mo tanta roba al’estero e i ne paga in valuta.

Pagheremo l’auto con questa valuta”. A Tonin ghe xe vignù squasi un colpo: “come? ti gave- vi dito che per lege no se podeva far e che le- ge xe lege”. E el referente: “Ma Tonin la lege xe elastica, solo bisogna saver come manipo- larla” e el ghe ga schizà de ocio. E cussì el Di-

retor ga avù un’auto nova, una Mercedes. Inveze i operai i continuava a lavorar con le falische sora la testa. Sta ro- ba no ghe andava zò a Tonin e el se ga trovà coi altri operai per veder cossa che se podeva far. “Tonin - ga dito Bepi, el più sgaio - ti ti son tropo idealista, qua bisogna imparar a navigar.

Cossa ga dito el referente? La lege xe elasti- ca, basta saver come manipolarla. E noi dove- mo imparar a manipolarla”. Tonin no iera tanto dacordo, no iera quel che lui gaveva sognado ma, dato che no se vedeva altra soluzion e tuti i altri insisteva, dopo un pochi de giorni, el xe andà a parlar col referente: “Compagno refe- rente mi go pensà a sta roba de la lege che xe elastica e gavemo parlà anche tra de noi in fabrica. Noi volemo imparar come che se fa a manipolarla per comprar i quadri eletrici, che i operai i continua a lavorar con le falische sora la testa e questo no va ben”. “Eh Tonin - la ri- sposta del referente - no xe una roba facile, che se impara a scola. Bisogna star atenti a tirar sto elastico perché, se ti lo tiri tropo, el se spaca e xe dolori. Ti sta bon e tranquilo e di- ghe anche ai altri de far lostesso che vedare- mo quel che se podarà far”. El ghe ga da la man e lo ga compagnà a la porta. Tonin ga ciamà i altri e el ghe ga contà, disendo: “spe- teremo ma no per tanto e, se el diretor e el re- ferente no i fa gnente, faremo noi de nostra iniziativa, che mi sta roba de l’elastico che se rompi no la go capida”. No i ga dovù spetar tanto, perchè l’elastico se ga roto prima. Una matina se ga fermà un'auto davanti la fabrica, xe smontadi due col capoto nero de pele, i xe andadi in uficio e i ga menà via el diretor e el referente. Dopo un poco de tempo, xe rivà un novo diretor, ch'el ga vendù la Mercedes e el ga comprà i quadri elettrici.

Ma per mio zio Tonin xe stada una bruta espe- rienza, per lui che le “manipolazioni” no iera el suo forte. Cussì el se ga tirà fora del Consiglio Operaio e el ga svilupà antipatia per tute le robe elastiche, al punto che lo cioghevimo in giro e disevimo che el se gaveva fato tirar via de mia zia anche l‘elastico de le mutande e che el se le ligava in vita con una cordela.

L’ARENA DI POLA

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EL CANTONZIN DEL NOSTRO DIALETO

Legge xe lege

Roberto Stanich

Primo de genaio

Sento onde, ogi, dentro la testa.

Bala el zervel come se ‘l fossi

oceano scurià dei venti, lontan de la riva.

Come un naufrago che anaspa senza salvagente

e se dispera me sento.

Mai più tanta sciampagna

per l’ultimo, prometo…

Volessi un cantonzin

Volessi un cantonzin In un momentin

de malstar me xe scampà de dir:

"Volessi un cantonzin tuto per mi, per no esser sempre

soto i oci de tuti, per sentirme al riparo,

un logo adato a una dona…

Ma me piasessi anche una granda finestra per osservar el mondo, de lontan, senza esser vista…"

Son stada subito capìda, qua, in familia:

el giorno drio go trovà

…un televisor in cusìna.

La patente per sognar

Go carigà la mia auto de sogni e go corso, no per le strade del mondo

ma dentro de mi, traversando la vita.

Xe un fià macada la carozeria, el motor no,quel va ben, i sogni però i xe sul finir.

Ma fin che no me scadi la patente no go nissuna intenzion

de meterla in garass.

Graziella Semacchi Gliubich

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Nel 1480 iera vegnudo a visitar la cesa San Bernardino da Siena che ga benedido le canpane. Par ga- ver tante notissie sula nostra cità dovemo ringrassiar frate Antonio da Lendinara che ga copiado 130 pergamene del vecio Statuto Co- muinal in data 22 otobre 1500, al- trimenti no gavariimo savuto tan- te robe, dato che i originali xe an- dai tuti distruti. Ne l’altarin de San Giovani se pol veder el stema dei Castropola.

La cesa xe stada abandonada dai frati nel 1805, quando i francesi de Napoleone la ga trasformada in caserma; più avanti i austriaci la doprada come magasin de viveri ma, nel 1919 el governo ‘talian la ga restaurada e restituida ai frati.

El 25 febraio del 1944 un bonbar- damento ga ciapà, tra l’altro, el chiostro dela cesa e quela del Sa- cro Cuor dele orfanele. ‘Deso la cesa xe serada, ma el chiostro e el giardin interno xe diventati un museo lapidario.

LLaa cceessaa

ddee SSaann FFrraanncceessccoo

LL’’A Arreennaa ddii PPoollaa::”Come eravamo” - Cultura, Arte, Fatti e Tradizioni

a cura di Piero Tarticchio

LIBRI E CURIOSITÀ LETTERARIE

Gabriel García Márquez

CENT’ANNI DI SOLITUDINE

di PIERO TARTICCHIO

di TULLIO BINAGHI (luglio 2009)

G

abriel García Márquez (Aracataca, 1927 – Città del Messico, 2014), è stato uno scrittore, giornalista e saggi- sta colombiano naturalizzato messicano, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1982.

Il suo esordio letterario avvenne nel 1955 con il romanzo “Foglie morte”, ma il primo racconto risa- le al 1947. Dopo il trasferimento in Messico, si dedicò in maniera costante alla scrittura. Nel 1967 pubblicò la sua opera più nota:

“Cent'anni di solitudine” un ro- manzo che narra le vicende della famiglia Buendía a Macondo at- traverso diverse generazioni.

Un'opera complessa e ricca di ri- ferimenti e allusioni alla storia e alla cultura popolare sudamerica- na, considerata la massima espressione del cosiddetto reali- smo magico, e che ha consacrato in tutto il mondo García Márquez come un autore del massimo li- vello.

Lettera di addio di Gabriel Gar- cia Marquez

Se per un istante Dio si dimenti- casse che sono una marionetta di stoffa e mi facesse dono di un pezzo di vita, probabilmente non direi tutto ciò che penso, ma pen- serei a tutto ciò che dico. Valuterei le cose, non per il loro valore, ma per ciò che significano. Dormirei poco, sognerei di più, essendo co- sciente che per ogni minuto che teniamo gli occhi chiusi, perdia- mo sessanta secondi di luce.

Andrei avanti quando gli altri si ritirano, mi sveglierei quando gli altri dormono. Ascolterei quando gli altri parlano e con quanto pia- cere gusterei un buon gelato al cioccolato… Se Dio mi desse un pezzo di vita, mi vestirei in modo semplice, e prima di tutto butterei me stesso in fronte al sole, met- tendo a nudo non solo il mio cor- po, ma anche la mia anima. Dio mio se avessi un cuore, scriverei il mio odio sul ghiaccio e aspetterei l’arrivo del sole. Sulle stelle dipin-

gerei una poesia di Benedetti con un sogno di Van Gogh e una can- zone di Serrat sarebbe la serenata che offrirei alla luna. Annaffierei le rose con le mie lacrime per sen- tire il dolore delle loro spine e il rosso bacio dei loro petali. Dio mio se avessi un pezzo di vita, non lascerei passare un solo gior- no senza dire alle persone che amo, che le amo. Direi ad ogni uo- mo e ad ogni donna che sono i miei prediletti e vivrei innamora- to dell’amore. Mostrerei agli uo- mini quanto sbagliano quando pensano di smettere di innamo- rarsi man mano che invecchiano,

non sapendo che invecchiano quando smettono di innamorarsi!

A un bambino darei le ali, ma la- scerei che imparasse a volare da solo. Ai vecchi insegnerei che la morte non arriva con la vecchiaia, ma con la dimenticanza. Ho im- parato così tanto da voi, Uomi- ni…Ho imparato che ognuno vuole vivere sulla cima della montagna, senza sapere che la vera felicità sta nel come questa montagna è stata scalata. Ho imparato che quando un neonato stringe per la prima volta il dito del padre nel suo piccolo pugno, l’ha catturato

per sempre. Ho imparato che un uomo ha il diritto di guardare dall’alto in basso un altro uomo solo per aiutarlo a rimettersi in piedi. Da voi ho imparato così tante cose, ma in verità non saran- no granchè utili, perchè quando mi metteranno in questa valigia, starò purtroppo per morire.

Dì sempre ciò che senti e fa’ ciò che pensi. Se sapessi che oggi è l’ultima volta che ti guardo men- tre ti addormenti, ti abbraccerei fortemente e pregherei il Signore per poter essere il guardiano della tua anima. Se sapessi che oggi è l’ultima volta che ti vedo uscire dalla porta, ti abbraccerei, ti darei un bacio e ti chiamerei di nuovo per dartene altri. Se sapessi che oggi è l’ultima volta che sento la tua voce, registrerei ogni tua pa- rola per poterle ascoltare una e più volte ancora.

Se sapessi che questi sono gli ulti- mi minuti che ti vedo, direi “ti amo” e non darei scioccamente per scontato che già lo sai.

Sempre c’è un domani e la vita ci dà un’altra possibilità per fare le cose bene, ma se mi sbagliassi e oggi fosse tutto ciò che ci rimane, mi piacerebbe dirti quanto ti amo, che mai ti dimenticherò. Il doma- ni non è assicurato per nessuno, giovane o vecchio. Oggi può esse- re l’ultima volta che vedi chi ami.

Perciò non aspettare oltre, fallo oggi, perché se il domani non ar- rivasse, sicuramente compiange- resti il giorno che non hai avuto tempo per un sorriso, un abbrac- cio, un bacio e che eri troppo oc- cupato per regalare un ultimo de- siderio. Tieni chi ami vicino a te, digli quanto bisogno hai di loro, amali e trattali bene, trova il tem- po per dirgli “mi spiace”, “perdo- nami”, “per favore”, “grazie” e tutte le parole d’amore che cono- sci. Nessuno ti ricorderà per i tuoi pensieri segreti. Chiedi al Signore la forza e la saggezza per espri- merli. Dimostra ai tuoi amici e ai tuoi cari quanto sono importanti.

b b o a a

Gabriel Garcia Marquez

iero za grandeto e no go fato parte come tanti muli dela mia cità de l’Assione Catoli- ca, anca se qualche volta an- davo nela sede de via Kand- ler, vissin del Domo, parchè qualche amico, o mio cugin

‘Gidio me strassinava a ve- der qualche spetacolo.

Se andavo in ‘sta cesa iera parché mia sia Fosca, tanto religiosa, qualche dopo- pranzo la vegniva a trovar- ne e dopo una bela ciacola- da con mia mama la me cia- mava e andavino al vespro.

Drento se stava ben parchè el po- sto iera fresco la gente che scolta- va el prete no iera tanta, in magio- ransa vecete co'l fassoleto nero in

nada solo dale candele im- pissade davanti ai altari e se respirava un bon odor de cera brusada e de incenso.

Co’ tornavimo a casa mia sia me donandava: “Ti son con- tento de esser vegnudo in cesa con mi?” Mi ghe ri- spondevo de sì e iera la ve- rità parchè là me sentivo tranquilo e contento.

Ma tornemo a parlar della cesa: la storia dise che la xe stada tirada su verso el 1285 par volontà dei nobili Sergi de Pola, meio conossudi come Ca- stropola (parché i stava nel Castel Castrum Polae), sistemado su un fianco del monte Capitolino, poco soto el Castel.

V V iinnttaa ggee

testa ma ingropado soto el bar- bus. Me piaseva sentir el prete che parlava in latin e le done ghe rispondeva e ogni tanto le canta- va qualcossa. La cesa iera ‘lumi-

D

e picio go fato tante volte la scala che dal clivo, la porta sul spiasso largo da- vanti dela cesa de San Francesco.

De solito me fermavo un poco parché iero sensa fià, gavendo fa- to le scale de corsa. Guardavo el davanti de ‘sta cesa che me pare- va inponente, con un grando por- ton de legno e sora de questo el roson pien de vetri lustri.

Bisognava far ancora un pochi de scalini par andar drento. L'inter- no iera scureto parchè dai fine- stroni passava poca luce. El iera diviso in tre absidi con al centro l'altar magior. Sui fianchi tanti al- tari ‘ssai senplici. Sul retro el can- panil a vela con do canpane e de soto, su la via Castropola, quela che iera ciamada le porta del pan parchè là andava quei che gaveva fame, in serca de qualcossa che ghe dava i frati par meter soto i denti.

Sul fianco de la cesa el chiostro che insieme a un bel giardin riva- va fin clivo Capitolino.

I mii genitori no iera tanto de ce- sa, difati mi son sta batesado che

Chiostro della chiesa di S. Francesco

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