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L ARENA DI POLA Registrata presso il Tribunale di Trieste n del Anno LXXVI Mensile n. 12 del 18 DICEMBRE 2020

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... in questo numero

Fondata a Pola il 29.07.1945 – Mensile di attualità, storia e cultura giuliano-dalmata – Organo dell’Associazione Italiani di Pola e Istria - Libero Comune di Pola in Esilio Direttore responsabile: Viviana Facchinetti – Redazione: Via Malaspina 1, 34147 Trieste – Cell. (0039) 388 8580593 – [email protected] - www.arenadipola.it Quote associative annuali: Italia ed Europa € 35,00, Americhe € 40,00, Australia € 40,00, da versare sul conto corrente postale n. 38407722 intestato a L’Arena di Pola, Via Malaspina 1, 34147 Trieste, o tramite bonifico bancario intestato a Libero Comune di Pola in Esilio, Via Malaspina 1, 34147 Trieste; IBAN dell’UniCredit Agenzia Milano P.le Loreto

IT 51 I 02008 01622 000010056393; codice BIC UNCRITM1222 – Le copie non recapitate vanno restituite al CPO di Trieste per la restituzione al mittente previo pagamento resi L’ARENA DI POLA – Registrata presso il Tribunale di Trieste n. 1.061 del 21.12.2002 Anno LXXVI 3.448 – Mensile n. 12 del 18 DICEMBRE 2020

TAXE PERÇUE TRIESTE TASSA RISCOSSA ITALY

Iniziativa realizzata

con il contributo del Governo italiano ai sensi della Legge 72/2001 e successive proroghe POSTE ITALIANE SPA

spedizione inabbonamentopostale D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004

n° 46), art. 1, comma 2, DCB Trieste

Arrivederci al prossimo anno!

Auguri di cuore

C

arissimi,è doveroso cominciare dai dolori di questo an- no che sta finendo. Su L’Arena di marzo 2020 riferivo il dato ufficiale di 8.000 morti per Co- vid-19 nella sola Italia; oggi siamo a 65.000 morti, cioè un decimo dei Caduti italiani nei tre anni e mezzo della Grande Guerra; stavolta sono morti moltissimi di noi an- ziani, mentre a quel tempo morirono soprattutto i nostri più giovani e giovanissimi. Preghiamo che questa trage- dia finisca. Sono sdegnato di come veniamo informati dai telegiornali, che danno enorme risalto agli espressi, ai cappuccini, agli aperitivi degli italiani, senza invece darci dati seri su quanti italiani stanno tirando il carro nei campi, nelle fabbriche, sul mare, nei laboratori, negli ospedali, nelle scuole, negli uffici e nel lavoro a distan- za. Forse non hanno la capacità di farlo, forse i sociologi chiedono di riferire solo amenità dopo aver mostrato le sale di terapia intensiva? Non lo so.

Ma ho fiducia che nel 2021 avremo un graduale miglio- ramento della situazione sanitaria, che ci permetta di muoverci più liberamente e, forse, perfino di incontrarci di persona nella nostra Pola. Se ciò non risultasse pos- sibile, organizzeremo ampi incontri in teleconferenza, che ci permetta di vederci sugli schermi dei nostri com- puter o telefoni cellulari e di effettuare le votazioni per l’elezione dei nuovi Consiglieri e del nuovo Presidente dell’associazione; infatti, non dimentichiamolo, a giugno 2021 scadrà il quadriennio di durata in carica dei nostri organismi direttivi. Chi non potrà fare il collegamento da solo, potrà ben chiedere che un congiunto più giovane lo aiuti per qualche ora.

Ma prima di giugno dobbiamo assolutamente individua- re nuove forze fra le persone dedite alla causa degli esuli giuliani, fiumani e dalmati; persone che abbiano le capacità ed il tempo da dedicare allo sviluppo dell’asso- ciazione e alla realizzazione di nuovi progetti, anche molto impegnativi; quindi, più giovani saranno, meglio sarà, ma i neo-pensionati che finalmente siano liberi dagli orari lavorativi possono essere una grande risorsa.

Da tempo la burocrazia soffoca qualunque atto o iniziati- va, anche la più semplice; perciò alcuni dei nuovi volon- tari dovranno essere in grado di affrontare problemi or- ganizzativi, amministrativi, legali, mentre altri potranno dare il loro contributo come segretariato, comunicazione locale, coordinamento di gruppi di Soci; tutti quanti sa- ranno di rincalzo e progressiva sostituzione di quei po- chi di noi che stanno svolgendo queste stesse funzioni ormai da lunghi anni.

Guardiamo quindi al nuovo anno con spirito positivo e costruttivo. Tocca a tutti noi trovare tempo e volontà per mantenere fede al nostro spirito di italiani e per contribu- ire a migliorare la situazione civile e culturale delle no- stre amate Terre. Riflettiamoci.

Buon Natale e Buon 2021!!!

Tito Sidari Predente AIPI-LCPE Cari Amici Lettori e Soci dell'AIPI- LCPE, mentre più di sempre tutti auspichiamo di voltar pagina, fra gli impegni in scadenza ci permettiamo di rammentarvi il versamento della quota associativa.

Mentre ringraziamo i soci in regola, ricordiamo che det- te quote danno tra l'altro diritto a ricevere l'Arena di Po- la, sia in formato pdf che cartaceo.

QUOTE ASSOCIATIVE: 35 per Italia e Europa;

€ 40 per Paesi Extraeuropei;

€ 10 pdf de L'Arena per familiari dei soci.

PER IL VERSAMENTO: Conto corrente postale n.

38407722 intestato a L’Arena di Pola, Via Malaspina 1 - 34147 Trieste; Bonifico bancario intestato a AIPI- LCPE, Via Malaspina 1 - 34147 Trieste; IBAN dell’Uni- Credit Agenzia Milano P.le Loreto IT 51 I 02008 01622 000010056393; codice BIC UNCRITM1222

Grazie per l'attenzione con il nostro cordiale saluto VF

POLA ADDIO seminario online

PAGINA 3

Il Toscana nave dell'Esodo

PAGINA 4

Un anno assieme

PAGINE 6 e 7

Il calendario 2021

PAGINA 12

Avviso

Buon Natale e buon 2021

Voltiamo pagina

Ancora una volta il nostro grazie a Riccardo Lenski che pronta- mente, nonostante i suoi molteplici impegni, ha aderito al nostro invito di tradurre in immagine il particolare momento che stiamo vivendo, coniugando Natale, tempi bui e speranza. Radici fiu- mane, il nostro artista (ci permettiamo il vanto di annoverarlo anche come amico, n.d.r.), tanto bravo da far credere che dise- gnare sia semplice, non ha bisogno di presentazioni, sia per le sue produzioni iconografiche che per la sua intensa attività nell'associazionismo dell'esodo. Un mago con la storica BIC, a diritto ne potrebbe essere il testimonial con la vasta antologia di immagini che ha saputo creare fin dall'età di 9 anni.

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L’ARENA DI POLA n. 12 del 18 DICEMBRE 2020

" È

pazzesco, aberrante, fuori dal mondo vedere ancora che c'è chi nega i terribili omicidi compiuti dai parti- giani comunisti di Tito nei confronti di persone che aveva- no la sola colpa di essere italiane, come la povera Norma Cossetto, violentata da delle bestie prima di essere getta- ta in una foiba con i polsi legati ed i seni pugnalati". Lo scrive in una nota il sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza, commentando il rifiuto di intitolare una via di Reggio Emi- lia a Norma Cossetto. "Negare queste vicende vuol dire diventare complici di questi crimini e non credo che il Sin- daco di Reggio Emilia voglia sporcarsi le mani del sangue di italiani innocenti come Norma Cossetto, negando fatti, purtroppo accertati e coperti per anni da un colpevole si- lenzio. Invito il Sindaco di Reggio Emilia, come rappre- sentante delle istituzioni, e tutta la sua Giunta a Trieste il prossimo 10 febbraio per onorare insieme que-

sti nostri martiri, tra cui Norma Cossetto".

"P

rovo orrore al pensiero che possa esserci qualcuno che, dopo tanti anni, metta in discussione i massacri e la deportazione di mi- gliaia di cittadini inermi, sul confine orientale, a guerra finita per difendere la furia dei comunisti titini e della loro ideologia malata. Inaccettabi- le". Il sindaco di Gorizia, Rodolfo Ziberna, si di- chiara profondamente scosso dalla notizia che la commissione per la toponomastica del Co- mune di Reggio Emilia abbia bloccato l'intitola- zione di una via a Norma Cossetto perchè

"mancherebbero notizie certe e verificate sulla cattura e l'uccisione della ragazza". "Ancora una volta c'è una parte della sinistra che, oltre a dimostrare di non conoscere sentimenti fon-

damentali per gli esseri umani, come la pietà e il pudore, fa capire quanto continui a rimanere prigioniera del vero nemico di ogni libertà, compresa quella del pensiero: l'ide- ologia. Per questo, ancora oggi ci troviamo di fronte a persone che vivono in un mondo tutto loro, fatto di rivendi- cazioni e di odi sociali, incapaci di pensiero critico e lonta- ni anni luce dai cittadini che, pur di sopravvivere commet- tono atti scandalosi come la negazione o la giustificazione di massacri come quello di Norma Cossetto, la studentes- sa istriana, torturata, violentata e gettata ancora viva in una foiba dai partigiani titini. E' la teoria di questi comunisti

'sopravvissuti', ovvero che le persone come Norma Cos- setto se la sono cercata perchè erano parenti, piuttosto che amici, semplici conoscenti o anche del tutto estranei, ai fascisti. Quindi, i 'compagni' titini non sarebbero colpe- voli ma andrebbero compresi e giustificati. E arrivano ad- dirittura a mettere in discussione la decisione, nel 2005, dell'allora presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, di insignire Norma Cossetto della medaglia d'oro.

Terribile. Davvero. Mi ricorda il folle che recentemente, a Gorizia, ha lordato la panchina contro i femminicidi scri- vendo che le donne uccise 'se la sono cercata'. Rimane il fatto che chi ha detto no all'intitolazione della via a Norma Cossetto, purtroppo riveste un ruolo pubblico e ha il pote- re di scelte e decisioni che riguardano la vita dei cittadini e turba profondamente l'assenza, in queste persone, di se-

renità di giudizio. In questi anni ci sono stati autorevoli rappresentanti della sinistra che hanno riconosciuto, dopo decenni, l'orrore delle foibe e dell'esodo, arrivando così, in una sorta di pacificazione nazionale, all'isti- tuzione del Giorno del Ricordo per tutte le vittime della furia titina. Fa rabbrividire il fat- to che, adesso, tornino alla carica negazio- nisti e giustificazionisti mentre in Slovenia e Croazia continuano a riemergere fosse in cui civili italiani e sloveni furono gettati a guerra finita. Ciò che è accaduto a Reggio Emilia è davvero un brutto segnale perchè evidenzia un'arretratezza culturale che trae ancora linfa in quell'odio sociale che spera- vamo fosse superato. Ma non ce la faranno a stravolgere ancora una volta la storia".

L'ATTUALITÀ

Gi interventi dei Sindaci di Trieste e Gorizia

L'ha data Egidio Grego la sua giovinezza, spinto dagli ideali di Patria che la sua famiglia orsarese gli aveva fatto amare. Ma è all'Austria, che deve ubbidire allo scoppio della guerra, quando viene richiamato alla Scuola Allievi Ufficiali di Gorizia, da dove dopo qualche mese fugge, at- traversando a nuoto, a dicembre, le gelide acque dell'Aus- sa. Anche l'Italia entra in guerra ed Egidio, cambiando nome come tutti gli irredentisti, diventa fante dell'esercito italiano, mostrando un grande coraggio; e

bisogna averne tanto, perché si offre volon- tario per la distruzione dei reticolati nemici.

Le ripetute incursioni in campo nemico non gli bastano: scalpita, chiede, implora per di- ventare un aviatore. È rivolgendosi ad un

suo amico già in aeronautica che esclama: “Darei tutta la mia giovinezza, il mio entusiasmo”. Tanto insiste che, fi- nalmente, diventa osservatore d'aeroplano. Volerà su un idrovolante, partendo per le sue spericolate azioni dalla Base di Grado che, con Venezia, viene bombardata dagli idrovolanti austriaci che decollano da Parenzo. Egidio non esita: di nascosto sbarca nei pressi della cittadina istriana per incendiare gli hangar degli idrovolanti nemici, ma una sentinella lo scorge. Riesce a fuggire. Se preso, avrebbe potuto essere riconosciuto. Parenzo dista da Orsera poche miglia e il sottotenente Grego è conosciuto da molti parentini. Non esita ad offrirsi volontario in azioni per la protezione delle navi della Regia Marina; vuol mo- strare il suo coraggio in combattimento - sprezzo del peri- colo? - mitragliando dai cieli di Trieste una torpediniera, che mette in fuga. Pur colpito al motore, riesce a rientrare a Grado. Già altre volte aveva volato sopra Trieste e, in mezzo al fuoco delle artiglierie, in pieno giorno, aveva

bombardato gli obiettivi nemici. Per le sue azioni si era già guadagnato due medaglie di bronzo ed una d'argen- to... Arriva la disfatta di Caporetto e con questa, il 26 otto- bre, arriva l'ordine di abbandonare la base di Grado per quella di Venezia: si deve retrocedere con uomini e mez- zi. Il tempo è pessimo, quando Egidio deve lasciare la cittadina, tanto che gli consigliano di abbandonare il suo aereo e di raggiungere la città lagunare via terra. Non ac- cetta il consiglio e fa quello che non aveva mai fatto: pilo- tare un aereo. E lo fa in piena tempesta di pioggia e ven- to. Deve, vuole salvare il suo idrovolante e ci riesce: viene promosso immediatamente aviatore pilota.

Gli aerei che decollano da Venezia hanno un'unica mis- sione, quella di bombardare e distruggere i ponti che gli austriaci tentano di gettare tra le due sponde del Piave per invadere il suolo italiano. Ad ogni costo si deve impe- dire il passaggio del fiume. I piloti italiani sono valorosi ed Egidio è uno di quei valorosi. I tentativi di entrare in territo-

rio italiano sono vani, per cui contro i nostri aviatori viene mandata la squadriglia di Albatross comandata dal Cap.

Brumowsky, che ha già abbattuto trenta aerei. Il 23 no- vembre 1917 la giovane, impavida vita di Egidio Grego fi- nisce, stroncata dall'asso Franz Graser. Il suo idrovolan- te, irrimediabilmente colpito, precipita in fiamme sulle pa- ludi di Cavazuccherina, l'odierna Jesolo. Egidio ha dato la sua vita alla Patria, ma non inutilmente. Gli viene conces-

sa la medaglia d'argento “Alla memoria”. È la quarta ed ha 23 anni. Egidio tornerà ad Or- sera il 24 maggio 1919 con una nave della Regia Marina. Sarà una magnifica cerimo- nia, commovente. I suoi compagni sorvolano il paese facendo cadere fiori e volantini ripor- tanti la scritta “Egidio Grego, i tuoi fratelli d'arme, compa- gni di fede benedicono alla tua memoria... onore, gloria, ogni plauso a te... o vanto di Orsera, orgoglio dell'Istria, eroe bello e sublime d'Italia. A Orsera la piazza principale è rimasta a lui dedicata fino al 1945. Stesso anno fino a cui l'aeroporto di Gorizia, l'aeroclub di Fiume e l'aeroporto di Portorose porteranno il suo nome. Poi, più nulla, fino a quando a Jesolo, per il centenario della sua morte, nel Parco degli Aviatori è stato piantato un ulivo portato dalla sua amata Orsera. La sua tomba è sotto la tutela dello Stato italiano, dimenticata, come dimenticati sono gli eroi e le tombe dove sono sepolti in terra istriana. Se qualche esule orsarese non l'avrà ripulita, quest'anno, nell'anni- versario della sua morte, la ricopriranno i rossi aghi sec- chi dei cipressi che la sovrastano. Egidio è caduto perché Orsera finalmente fosse italiana e continuasse a chiamar- si solo Orsera.

Annamaria Crasti Qualcosa di inaspettato mi è accaduto la sera

dell'11 ottobre quando, su una chat, leggo “La Carta del Carnaro: Fiume, l'Italia, l'Europa un secolo fa” di Egidio Grego. È un articolo uscito

sull'Adige, quotidiano di Verona. Ma non basta. Qualche giorno dopo esce “La sola ragione di vivere” un libro su D'An- nunzio, contenente alcuni suoi scritti. Gli autori sono quattro, di cui uno è E.Grego. Non molte persone conoscono Egidio Grego e la sua storia; in genere sono orsaresi che non si so- no mai dimenticati di quel giovane eroe e lo venerano. Ho subito capito chi nascondesse quello pseudonimo, lo poteva usare solo un “nostro” giovane studioso con radici orsaresi

che vuol mantenere vivo il suo ricordo. “Egidio Grego è stato medaglia al Valor Militare. Morto in cielo il 23 novembre 1917 difendendo il Piave e l'onore degli irredentisti istriani. Con il ricorso a questo pseudonimo spero così di donargli un po' di quella notorietà che troppo poco l'Italia ha reso a lui e alla bella Or- sera d'Istria della quale condividiamo l'appartenenza.” Un piccolo episodio collegato. Quando l'autore ha chiesto all'an- ziana, molto anziana nipote di Egidio, l'autorizzazione per poter usare il suo nome, questa si è molto meravigliata che ci si possa ancora interessare a lui e, contenta, gli ha concesso di firmarsi Egidio Grego.

La sola ragione di vivere

“I

nfoibati” di Guido Rumici, edito da Mursia nel 2002, è stata la prima pubblica- zione di livello scientifico che si è occupata specificatamente

delle foibe. Già in questa circostanza la terribile morte di Norma Cossetto è uscita dalla memoria degli esuli istriani, fiumani e dalmati, che l’hanno custodita per decenni, ed è stata presentata in maniera documentata e appropriata.

L’apposita commissione, che predispone l’istruttoria per assegnare le onorificenze ai discendenti delle vittime del- le foibe e delle deportazioni compiute dai partigiani comu- nisti di Tito, ha lavorato scrupolosamente prima che il Presidente della Repubblica ed ex partigiano Carlo Aze- glio Ciampi assegnasse a Norma Cossetto la Medaglia d’oro al valore civile. Tale conferimento si svolse in occa- sione del 10 Febbraio 2005, prima volta in cui aveva luogo la ricorrenza del Giorno del Ricordo istituita dalla Legge 92 dell’anno precedente. Non per caso la sorella di Nor- ma fu tra i primi a ricevere questo riconoscimento morale,

ma proprio perché Norma rappresentava il simbolo di una comunità, di un’italianità offesa, violata e fatta sparire nell’abisso di una foiba. D’altro canto già nell’immediato

dopoguerra l’ateneo di Padova con il consenso del Prof. Con- cetto Marchesi, padre costi- tuente e parlamentare comuni- sta, attribuì la laurea honoris causa alla studentessa Cossetto, uccisa in maniera così crudele. Eppure nella commissione toponomastica di Reggio Emilia c’è chi si rifiuta di intitolare una via ad una Medaglia d’oro della Repubblica italiana come richiesto dal consiglio comunale di una città in cui c’è invece una via dedicata a Josip Broz Tito, acclarato e riconosciuto massacratore di italiani nelle terre del confine orientale. A pochi giorni di distanza dalla Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne c’è stato insomma chi ha trovato da obiettare sulla vicenda di una ragazza violentata e scara- ventata in una foiba ancora viva. Uno scrittore di quelle parti definì “trinariciuti” questi personaggi che evidente- mente ancora caratterizzano le province di quello che fu il tristemente noto Triangolo rosso.

Renzo Codarin - Presidente ANVGD Vibranti proteste hanno fatto seguito alla sconcertante

decisione della commissione toponomastica del Co- mune di Reggio Emilia di bloccare la procedura per

l'intitolazione di una via o piazza alla memoria di Nor- ma Cossetto, la sventurata martire di Santa Domeni- ca di Visinada, infoibata nel 1943 dopo terribili sevizie.

Darei tutta la mia giovinezza

Il ricordo di Egidio Grego

Rispettare la morte di Norma Cossetto

I

mmediata anche la reazione del Comitato 10 Febbraio, nel cui comunicato stampa, a firma del presidente Emanuele Merlino, fra l'altro si legge: nonostante la mozione fosse stata approvata da tutto il consiglio comunale, con il voto con- trario di LEU e l’astensione del PD, la commissione toponomastica ha chiesto in- credibilmente “che vengano integrate le notizie storiche che avvallino tale richie- sta” e poi ha interpellato tale dottor Massimo Storchi, rappresentante dell’Istituto Istoreco, il quale ha illustrato “alla commissione la mancanza di notizie storiche certe e verificate riguardanti le vicissitudini che hanno portato alla cattura e all’uc- cisione della Cossetto; infatti – secondo quanto sostenuto dal dottor Storchi - esi- stono solo fonti verbali circa l’accaduto tutte provenienti da un un’unica fonte, la famiglia.” “Vengono i brividi a leggere queste dichiarazioni” – il commento di Merlino, che chiede “un intervento urgentissimo del Sindaco di Reggio Emilia, affinché sia avviata un’indagine interna”(...) “e all’Istoreco se condivide le posizio- ni del suo rappresentante nella commissione toponomastica”.

Lo sdegno del Comitato 10 Febbraio

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L’ARENA DI POLA n. 12 del 18 DICEMBRE 2020

L'ATTUALITÀ 3

D

oveva essere l'undicesimo dei Seminari organizzati dal MIUR sulle “vicende del confine orien- tale e il mondo della scuola”. In linea con le disposizioni sanitarie vigenti e grazie al supporto della moderna tec- nologia, il 3 dicembre è invece diventa- to il “Primo Seminario Nazionale tema- tico online”, dal significativo titolo di

“Pola addio”. Finalità dell'annuale se- minario, tenutosi fino all'autunno 2019 in presenza e riservato esclusivamente ai docenti, è quella di “valorizzare il pa- trimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell'Istria, di Fiu- me e delle coste dalmate; preservare le tradizioni delle comunità istriano- dalmate residenti nel territorio naziona- le e all'estero.”… ossia quella di incre- mentare la conoscenza della storia. Il- lustri sono i relatori che negli anni han- no partecipato, contribuendo alla com- prensione delle problematiche del Confine Orientale: Giuseppe Parlato, Davide Rossi Giuseppe de Vergottini, Roberto Spazzali, Raoul Pupo e molti

altri. Sede del seminario per i primi due anni è stata Ro- ma, seguita successivamente da Brindisi, Milano, Gori- zia e Trieste; quest'ultima per ben tre anni. Dalle due città giuliane, nel 2019 i partecipanti hanno “sconfinato”

con una trasferta a Pirano. Da quella seppur breve visita, hanno potuto intuire qual'è stata la nostra civiltà, nata anche per la bellezza della natura, per i colori del mare, dei pini che vi si tuffano, per le rocce imbiancate da se- coli di mareggiate. Ma è il 2020 che ci ha “donato” tanti avvenimenti, impensati e impensabili al primo gennaio.

E, tutto, nel mondo della scuola, è mutato, purtroppo tra enormi difficoltà. È cambiato il modo di comunicare... ed è stato inventato il Seminario Nazionale online. Sicura- mente per i docenti, ma proprio perchè online, aperto anche ad altri, ad esempio a una classe di studenti i cui insegnanti sono veramente interessati alla storia del Confine Orientale. Era necessario, non solo opportuno, che il Seminario si tenesse per non lasciare il vuoto di un anno. Ogni occasione persa, è un'opportunità buttata e non ce lo possiamo permettere, perchè gli spazi lasciati vuoti verrebbero immediatamente occupati da altri. Già all'avvio del Tavolo di Lavoro si era deciso che il Semina- rio Nazionale andava fatto, scegliendo di intitolarlo “Po- la, addio!”, come l'antico documentario della Settimana INCOM: si sarebbe dovuto trattare della Strage di Verga- rolla e dell'Esodo dalla città. Il giorno dell'evento, i saluti istituzionali sono stati dati in apertura dal Capo Diparti- mento Istruzione e Formazione del MIUR dott.Marco Bruschi, che ha menzionato alcuni episodi familiari ri- guardanti Pola. Ad introdurre il Seminario è stato il no- stro presidente AIPI- Libero Comune di Pola in Esilio, Ti- to Sidari che ha presentato le Associazioni partecipanti

N

ella Divina Commedia Dante Alighieri non aveva problemi ad identificare il confine orientale italia- no “a Pola presso del Carnaro”: non esisteva un’entità statuale chiamata Italia, ma la consapevolez- za che ci fosse una comunità di lingua e cultura nella penisola italica e lungo la costa dell’Adriatico orientale era ben presente. Le parlate istriane vengono, d’altron- de, passate in rassegna da Dante stesso nel De vulgari eloquentia, saggio scritto in latino in cui il padre della nostra lingua cerca tra i vari dialetti quale sia quello più adatto ad assurgere a idioma italiano vero e proprio.

Un’altra dimostrazione della partecipazione di Istria, Carnaro e Dalmazia all’ecumene italofona è data dall’arte: pittori, scultori, architetti, orafi ed artigiani pro- venienti da queste terre circolavano con la massima naturalezza nel resto d’Italia fin dall’epoca medioevale.

L’appartenenza o prossimità alla Serenissima Repub- blica di Venezia agevolava tale circolazione, ma co- munque la committenza in giro per l’Italia nei confronti di questi artisti non mancava.

Ne danno ampia e documentata testimonianza due opere recentemente pubblicate dall’associazionismo della diaspora giuliano-dalmata. Coordinamento Adria- tico APS ha dato alle stampe “Francesco Laurana. Un dalmata a Castel Nuovo di Napoli”, scritto da Sarah Frattola e Marta Morgana Rudoni, arricchito da un sag- gio di Alessandro Ricciardi e dalla prefazione di Giorgio Federico Siboni e dedicato alla memoria di Lucio Toth (per richiedere il libro: [email protected]).

Il presidente onorario dell’Associazione Nazionale Ve- nezia Giulia e Dalmazia aveva, infatti, seguito con inte- resse e partecipazione le prime fasi di questa ricerca tesa a dimostrare i legami tra le due sponde dell’Adriati- co fin dall’epoca rinascimentale, avendo il Laurana vis- suto nel XV secolo. Un’impostazione simile andava d’altro canto di pari passo con quella che era stata la

Tesi di Laurea di Toth, premiata all’epoca per il suo alto livello scientifico dall’Alma Mater Studiorum Università degli Studi di Bologna e dedicata agli Statuti medioevali dei comuni istriani e dalmati, i quali riflettevano e recepi- vano norme e prassi presenti nello Stivale: l’Italia dei Comuni era presente e radicata anche nell’Adriatico orientale. Indubbiamente nell’Europa dell’epoca la cir- colazione degli artisti era usuale e avveniva anche a li- vello continentale, ma in quest’opera si evince la com- mistione e la condivisione di stili e di gusti in area italica.

L’architetto zaratino contribuì al decoro della fortezza partenopea con l’arco trionfale d’ingresso, il quale pre- senta richiami all’Arco dei Sergi presente a Pola dal I secolo a.C. La committenza angioina risultò particolar- mente soddisfatta ed agevolò pertanto la circolazione di Laurana in Francia ed in Sicilia: le autrici sviluppano un attento percorso filologico alla ricerca delle sue opere e di quelle a lui ragionevolmente attribuibili.

È stato invece insignito del Premio Tanzella 2020 nella Sezione Ricerche Storiche e Storia dell’Arte il lavoro collettaneo “L’arte dell’Adriatico orientale a Roma e nel Lazio dal V secolo ad oggi”, edito dal comitato provin-

ciale di Roma dell’A.N.V.G.D. (richiedibile a roma.

[email protected]), con la seguente motivazione. «Gli studi sull’Arte dell’Adriatico orientale a Roma e nel La- zio dal V secolo ad oggi, che introducono ed accompa- gnano la Mostra tenutasi a Montalto di Castro nel luglio 2019, promossa e realizzata dal Comitato Provinciale di Roma dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, costituiscono un’ampia ed approfondita disa- mina della prolifica presenza di artisti giuliano-dalmati sulla scena di Roma e del Lazio. La ricerca, dotta e mi- nuziosa, evidenzia l’autorevolezza e il successo di mo- saicisti, architetti, scultori e pittori che provenivano dalla sponda orientale dell’Adriatico, ma erano espressione della medesima matrice culturale che contraddistingue la genialità dei Grandi dell’arte italiana. La veste grafica, incluse le immagini, è stata curata con tale abilità che l’opera ne è risultata arricchita e valorizzata. La pubbli- cazione vanta inoltre una ricchissima bibliografia, molto utile ed illuminante per quanti vorranno allargare la ri- cerca in ambiente geografico più vasto». Maria Grazia Chiappori ha descritto in particolare non solo le opere di Giovanni Dalmata e Francesco Trevisani, ma anche il contributo alla storia della Chiesa apportato da Pietro d’Illiria e Papa Giovanni IV originario della Dalmazia.

Barbara Vinciguerra ha fornito un inquadramento glo- bale sull’arte dell’Adriatico orientale tra Otto e Novecen- to per poi scendere nel dettaglio di molteplici artisti, da Giuseppe Lallich a Franco Ziliotto, passando per Ame- deo Colella e Secondo Raggi Karuz. Dell’architetto spalatino Vincenzo Fasolo hanno trattato Valentina Li- berti ed Irene Castelli, del suo collega parentino Giu- seppe Pagano/Pogatschnig se ne è occupata Eufemia Giuliana Budicin, la quale è stata curatrice della mostra assieme a Donatella Schürzel, Presidente del Comitato A.N.V.G.D. di Roma, al quale tutte le autrici afferiscono.

Lorenzo Salimbeni

L’italianità artistica che unisce le due sponde dell’Adriatico

al Tavolo del Ministero. Qualificati i relatori invitati ad af- frontare l'argomento. Chi meglio del Prof.Guido Rumici per spiegare delle foibe e degli avvenimenti che le hanno causate? Per la Strage di Vergarolla è stato invitato il Giornalista Paolo Radivo, già direttore dell'Arena di Pola e autore dell'omonimo libro dedicato alla tragedia; nella redazione del volume, con passione aveva ricercato no- mi, fatti, connessioni, colpevoli o presunti tali. Nel suo

intervento, la ricercatrice storica Dona- tella Schurzel ha emozionato i presenti con le sue parole coinvolgenti, le sue descrizioni incalzanti: quasi un film il suo narrato sui “chiodi” di Pola. A com- pletare l'incontro ci sono stati anche i ricordi vissuti, portati da due testimoni:

il primo quello della Signora Fiorella Vatta di Pola che ha parlato quasi a fa- tica, scossa, turbata, portando ancora negli occhi quelle immagini di morte e terrore: “...quel giorno, a Vergarolla, c'ero anch'io. Avevo 19 anni...”. È se- guito quello del nipote di Jolanda Nar- din Micheletti, Gianni Nardin: molto emozionato, raccontando come fin da bambino avesse sentito parlare della tristezza e del dolore della zia, ha fatto rivivere il dramma che “ha sconvolto e travolto la vita di zia Jolanda”. A conclu- sione del Seminario c'è stata la proie- zione del più conosciuto dei documen- tari sull'Esodo “Pola, addio!”

La partecipazione che, in fase di pre- parazione del Seminario, ritenevamo sarebbe stata scarsa, è stata molto buona: 220 iscritti ufficiali e partecipanti 150, a cui ag- giungere l'iscrizione multipla di 24 studenti. Presenti an- che alcuni giornalisti, a memoria Dino Messina, Fabio Lagonia, Donatella Salambat... Al loro fianco anche co- muni cittadini, tra cui molti esuli, e tantissimi docenti.

Come la prof. Rita Borali con la sua III B del Liceo Classi- co Primo Levi di San Donato Milanese. A conclusione mi ha scritto: “Gi studenti hanno avuto il privilegio di assiste- re a delle testimonianze commoventi e a degli interventi storici di altissimo livello. È stata un'occasione preziosa per rendere viva una delle pagine più drammatiche della nostra storia, nella speranza che questi ragazzi possano diventare i testimoni di domani”. Numerose le domande, seguite all'esposizione, con risposte purtroppo condizio- nate dal limitato tempo a disposizione.

Va senz'altro sottolineato che il primo Seminario Nazio- nale online è stato un grande successo. Ne è stata senz'altro artefice la dott.ssa Caterina Spezzano, che coordina il Tavolo del Ministero. Gentile, sempre. Pa- ziente, tanto. Disponibile in ogni momento. Infaticabile in ogni occasione. È a lei che dobbiamo essere grati se tutto ha funzionato. È lei che dobbiamo ringraziare per il suo lavoro costante che, senza esagerazione, è abnega- zione. Nelle molte giornate che hanno preceduto il Semi- nario ci ha donato attenzione, tempo e amore per la no- stra causa. E questo mi fa concludere con una frase che mi ha detto, alcuni giorni fa, un anziano, molto anziano esule da Fianona partecipante al Seminario, Silvano Scherl: Semo rivadi nudi, desso semo vestidi e anche ben. Un buon vestito è anche il successo del Seminario.

Anna Maria Crasti

Pola Addio

Primo seminario nazionale tematico online

Donatella Schürzel

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L’ARENA DI POLA n. 12 del 18 DICEMBRE 2020

I

l Toscana non fu una nave veloce, né gran- de, né bella né tantomeno lussuosa e sa- rebbe rimasta probabilmente relegata all’a- nonimato se non fosse stata coinvolta in

eventi che hanno segnato profondamente la storia nazio- nale fra il 1935 (era stata varata in Germania nel ’23) ed il 1961 quando venne radiata. In mezzo i tanti servizi che svolse come trasporto truppe verso l’Africa Orientale Ita- liana, come nave ospedale durante la Seconda Guerra Mondiale ed infine come nave passeggeri.

Il suo nome resta però principalmente ricordato per i dieci drammatici viaggi compiuti tra Pola e le sponde italiane dell’Adriatico in quello che fu un vero e proprio corridoio umanitario creato tra il 2 febbraio ed il 20 marzo 1947. La nave salvò quasi 17.000 istriani sopravvissuti alle perse- cuzioni jugoslave vittime di un trattato di pace che li cac- ciava ingiustamente dalla propria terra. Non paga di tutte le miglia marine fin allora percorse, la nave Toscana negli anni ’50 contribuì poi a trasportare 22.000 giuliani in cerca di fortuna verso l’Australia sotto la bandiera del Lloyd Trie- stino e del Comitato Intergovernativo per le Migrazioni Europee.

Bastano questi cenni per capire l’importanza che la storia assegna a questa straordinaria nave simbolo assoluto dell’immane tragedia dell’Esodo Giuliano-Dalmata.

I viaggi del ritorno in Patria

Giunta a Pola al comando del Capitano Caro, il Toscana imbarcò 1.865 persone e partì dal Molo Carboni alle 8.30 del 2 febbraio 1947 diretta a Venezia. Da qui la nave si diresse di nuovo verso Pola il 5 febbraio per prelevare al- tre 2.085 persone da portare a Venezia. Il 9 febbraio la nave fece ritorno nel capoluogo istriano imbarcando altre 1.550 persone, per ritornare sempre a Venezia l'11 feb- braio successivo. Nuovamente a Pola il 14 febbraio, ripar- tì il 16 febbraio con altri 2.300 profughi a bordo, e nuovo ritorno a Pola il 18 dello stesso mese. La successiva par- tenza del Toscana, alla volta di Ancona questa volta, era prevista per il 19 febbraio ma ritardò invece di 48 ore a

causa del maltempo che sferzava l’Adriatico: il piroscafo, che aveva imbarcato altri 2.156 profughi (tra cui 16 malati, 50 lattanti e 120 bambini con meno di quattro anni, oltre a numerosi anziani) salpò così solo il 21 febbraio alla volta del capoluogo marchigiano. Dopo soli due giorni il Tosca- na tornò nuovamente a Pola per ripartire tre giorni dopo, il 26 febbraio con il sesto carico di profughi. Il 2 marzo 1947 il Toscana percorse un’altra spola Pola-Venezia con 1.580 profughi in quello che si pensava dovesse essere l'ultimo viaggio. Così non fu perché il 4 marzo la nave tor-

nò di nuovo nel porto istriano. Il 7 marzo, con un giorno di ritardo a causa di problemi tecnici, il Toscana ripartì verso l’Italia, riportando in Patria altri 1.400 profughi. Negli ultimi due viaggi la nave trasportò soprattutto personale rimasto a Pola per le operazioni di evacuazione della città. Il 13 marzo il Toscana si presentò ancora una volta a Pola, con a bordo il capo della Pontificia Commissione di Assisten- za. Ripartì il 14 marzo alla volta di Ancona con un nuovo carico di profughi. Il 17 marzo 1947 infine la nave fece ri- torno a Pola per quello che fu davvero l'ultimo viaggio:

dopo aver ricevuto dal Comitato di Liberazione Nazionale e dal Comitato di Assistenza per l'Esodo una pergamena miniata in segno di riconoscenza, il Toscana lasciò Pola per l'ultima volta il 20 marzo 1947.

Le caratteristiche del “Toscana”

Costruito a Brema e chiamato Saarbrücken, il futuro piro- scafo Toscana fu armato inizialmente per conto del Nord- deutscher Lloyd, per cui navigò fino al 1935 quando, con il nuovo nome di Toscana, passò all’Italia Flotte Riunite (fino al 1936) e poi al Lloyd Triestino (1936-1943). Requi- sito dalla Regia Marina nel 1941, fino al 1945 ebbe com- piti anche di nave ospedale. Nel biennio 1945-1947 il To- scana navigò per conto del Co.Ge.Na. (Comitato ministe- riale Gestione Navi) e dal 1947 fino al 1961 per il Comitato Intergovernativo per le Migrazioni Europee. Radiato nel 1961, il Toscana fu definitivamente demolito nel 1962.

La nave stazzava 9442 tonnellate, era lunga 147 metri e larga 18, mentre il pescaggio risultava di 9.5 metri. Inizial- mente spinta da 5 caldaie a carbone, dal 1947 passò all’alimentazione a nafta con una potenza sviluppata di 4200 CV che, con due eliche, le garantiva una velocità di poco superiore ai 12 nodi. L’equipaggio era costituito da 176 persone fra ufficiali e marinai mentre nell’allestimento come nave passeggeri ne poteva trasportare quasi mille.

In realtà poi questo limite fu in seguito di molto superato per necessità umanitarie.

Ugo Gerini

Fiume dopo il Trattato di Rapallo

Il Toscana, la nave dell'Esodo

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e numerose recenti manifestazioni organizzate nel corso delle ultime settimane per ricordare il centesi- mo anniversario della firma del Trattato di Rapallo (12 novembre 1920) hanno permesso di comprendere quale fu il contesto storico in cui venne negoziato e firma- to l’accordo fra Regno d’Italia e Regno dei Serbi, Croati e Sloveni per la definizione delle frontiere comuni dopo la prima guerra mondiale. Il risultato fu un compromesso di- plomatico che non accontentò né gli uni né gli altri: non vennero applicati integralmente quei precedenti accordi segreti di Londra del 26 aprile 1915 che avevano motivato l’ingresso in guerra da parte dell’Italia a fianco delle poten- ze della Triplice Intesa e non vennero soddisfatte le ambi- zioni della controparte jugoslava, che sognava di fissare i propri confini con l’Italia più ad ovest rispetto a quanto pattuito. Il Trattato di Rapallo, inoltre, previde una soluzio- ne particolare per la città di Fiume, vale a dire la realizza- zione di uno stato indipendente composto dall’antico Cor- pus Separatum (la città di Fiume) e da un lembo di terra costiera fra tale Corpus Separatum e Castua, utile per garantire un confine diretto fra tale stato indipendente ed il Regno d’Italia. Ma la questione di Fiume fu molto più com- plessa e l’intesa di Rapallo fra le due parti non sembrò te- nere nel giusto conto tale complessità. Fiume era stata occupata da Gabriele D’Annunzio e da alcuni legionari italiani fin dal 12 settembre 1919. Tale occupazione non fu un atto arbitrario dettato dall’impulso squilibrato di un poe- ta che si improvvisò tiranno fuorilegge. La marcia di Fiu- me fu assecondata da una vasta porzione della popola- zione fiumana ed italiana, oltre che da una parte della classe politica e militare italiana. Ebbe successo proprio perché rispose alle attese che molti italiani ritenevano le- gittime, vale a dire la giusta e doverosa contropartita in relazione ad una guerra sofferta, dolorosa e vinta. Tutti i popoli vincitori, in ragione delle promesse della vigilia, in- trapresero invasioni di territori prima della firma dei trattati di pace per mettere le autorità politiche di fronte al fatto compiuto e per favorire ulteriormente il passaggio di tali territori sotto la sovranità del proprio paese. Le truppe ser- be, ad esempio, non avevano occupato vaste aree balca- niche dell’Impero Austro-Ungarico, al momento della sconfitta militare di quest’ultimo, ben prima della firma del trattato di pace di Saint-Germain-en-Laye?

La creazione dello stato indipendente di Fiume, con il trat- tato di Rapallo del 12 novembre 1920, provocò una pleto- ra di confusioni, conflitti locali, fraintendimenti, che duraro- no per più di tre anni. Le cannonate delle unità della mari- na da guerra italiana che, per far rispettare le clausole del trattato di Rapallo, costrinsero D’Annunzio ed i suoi se- guaci ad abbandonare la città di Fiume fra la fine di di- cembre1920 ed il gennaio 1921 (“Natale di Sangue”), soddisfecero la parte croata ma furono foriere di lutti e durevoli rancori in seno alla comunità nazionale italiana.

L’amministrazione locale fu affidata in un primo tempo – provvisoriamente – ad Antonio Grossich, in attesa di ele- zioni locali, che furono indette il 24 aprile 1921. Queste furono vinte dal movimento autonomista di Riccardo Za- nella, al quale venne affidata l’amministrazione della città.

I tentativi, tuttavia, di istituire un’amministrazione stabile, riconosciuta e condivisa dalla popolazione locale naufra- garono nel corso dei mesi seguenti sia per effetto delle reazioni degli italiani (alcune ingiustificate, altre giustifica- te), sia per effetto della critica situazione economica della città in generale, sia per gli scontri fra italiani e croati nell’interpretazione del confine meridionale del Corpus Separatum di Fiume (il confine era rappresentato dalla Fiumara – il fiume Eneo – in quanto tale o dal canale artifi- ciale creato alcuni decenni prima? Porto Baross apparte- neva al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni o allo stato indi- pendente di Fiume?). L’Italia, nel corso del 1921, con le gestioni provvisorie del Generale Antonio Foschini – pri- ma – e del Generale Luigi Amantea – successivamente – favorì la nascita di un’Assemblea Costituente locale, il 5 ottobre 1921, utile per dar vita al primo governo Zanella, che iniziò la propria attività amministrativa. Questi, tutta- via, ebbe l’infelice idea di costituire una guardia di stato composta esclusivamente da elementi ostili all’Italia, elu- dendo così il principio stesso di equilibrata convivenza che aveva accompagnato la creazione dello stato indi- pendente di Fiume. La successiva violenta reazione degli elementi nazionalisti italiani a Fiume (3 marzo 1922) ripor- tò la popolazione in uno stato di incertezza e di disagio.

Riccardo Zanella e gli elementi autonomisti lasciarono la città, l’amministrazione venne assicurata da Attilio Depoli, Vicepresidente dell’Assemblea Costituente di Fiume, ma tutto lasciò presagire che una soluzione condivisa rappre-

sentasse un problema per la diplomazia. I negoziati fra Roma e Belgrado non permisero di garantire la completa evacuazione dello stato indipendente di Fiume: la con- venzione di Santa Margherita Ligure, peraltro firmata a Roma il 23 ottobre 1922, precedette di pochi giorni l’av- vento del fascismo al potere in Italia. Tale convenzione fissò i termini per l’attuazione delle clausole del trattato di Rapallo, ma l’incertezza relativa al controllo di Porto Ba- ross rappresentò un nodo latente e rese impossibile una soluzione fino al 27 gennaio 1924, quando, con il trattato di amicizia firmato a Roma fra Regno d’Italia e Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, lo stato indipendente di Fiume venne spartito al 50% fra Roma e Belgrado. La città di Fiume venne assegnata all’Italia, ma le infrastrutture di Porto Baross furono destinate al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Cos’era cambiato nel quadro dei rapporti di forza, rispetto ai tempi del trattato di Rapallo? La diplomazia ita- liana aveva dato segnali di risolutezza e determinazione, anche con la condotta adottata in occasione dell’incidente di Corfù (estate 1923). La parte relativa al Regno dei Ser- bi, Croati e Sloveni, viceversa, si era ritrovata di fronte a crescenti problemi di natura interna, al centro dei quali la rivalità fra centralismo serbo – incarnato da Nikola Pašić, Milenko Vesnić, Momčilo Ninčić – e federalismo croato, rappresentato da Stjepan Radić e dal partito dei contadini croati. Alla fine del 1923, di fronte alla volontà di Roma di ottenere la metà più importante dello stato di Fiume, Bel- grado si avviò a concedere il proprio consenso, sia per non pregiudicare gli interessi propriamente serbi nella parte meridionale dei Balcani, sia per garantire al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni uno stabile rapporto amichevo- le con l’Italia. Molti cittadini croati, tuttavia, ritennero il trat- tato di Roma come un accordo imposto dal governo di Mussolini alla giovane monarchia del nuovo Re Alessan- dro Karađorđević e avrebbero serbato nel corso degli anni un rancore persistente nei confronti dell’Italia, che si sa- rebbe manifestato soprattutto con la politica di coopera- zione fra Belgrado e Parigi nel corso degli anni Venti. Il trattato di Rapallo del 1920, in realtà, non era stato suffi- ciente per porre le basi di una duratura fiducia reciproca fra i suoi firmatari.

Stefano Pilotto

Notare come, nel periodo dell’esodo da Pola, la vernice delle paratie della nave fosse nera e quella del nome bianca. Quando invece il Toscana trasportò i Giuliani in Australia negli anni ‘50, la pitturazione bianca fu portata sotto il nome, che quindi divenne nero su campo bianco.

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L’ARENA DI POLA n. 12 del 18 DICEMBRE 2020

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a piscina no xe el mar ma… “se no xe gransi, xe bone anche le sate”, diseva mia nona. Pecà che in piscina no xe né gransi, nè sate, ma bisogna ‘contentar- se! Go ricomincià a andar in piscina per far una nudada un per de volte la setimana. Dopo le feste e specialmente dopo le magnade dele feste, se senti el bisogno, ansi el dover, de moverse un poco e per noi che semo nati do- ve che xe mar, cossa ghe xe de meo che una bela nudada? Pecà solo, come che go dito, che la piscina no xe el mar! Indiferente, mi va- do in una bela piscina, col teto de vetro traspa- rente, che se versi quando che xe bel tempo e co’ nudo a dorso, vardando el ciel, me par de nudar nel nostro bel mar. In piscina ghe xe de tuto, vecioti che pian pianin i se fa una vasca dopo l’altra, muli giovani, palestradi con tatua- gi depertuto, qualche bela mula, ma poche.

Me fa rider un ciapo de babe, zà de una certa età, metà drento e metà fora de l’acqua che, ai ordini de la maestra, le salta come saltamarti- ni. Cossa no se fa per perder un per de chili, per la linea! Ma quel che me piasi de più xe i muleti. Ghe ne xe de tute le età. Xe quei pici,

pici, che i ga apena imparà a caminar e i sta zà a gala e i nuda. Po’ xe quei più grandi che che zà i nuda con un certo stile, stile libero, a rana, a dorso, seguidi dai maestri che li coreg- gi. Po’ xe i muli più grandi, quei de 14-15 ani che i ga energia de butar via e i va come treni, fassendo le gare tra de lori. Mi li vardo e me ricordo come che iero mi a quela età a Pola.

A Pola, de estate, a partir de giugno fina a se- tembre e qualche volta anche otobre, el diver- timento iera andar al bagno. Se imparava a nudar fin de pici e no iera tanti stili come che xe adesso. Se cominciava nudando a cagno- lin, dopo i mas’ci imparava nudar “a omo” e le femine “a dona”. “A omo”, iera come che ades- so xe el “stile libero”, solo che se tigniva la te- sta fora de l’acqua. “A dona”, iera come “a ra- na” ma se bateva le gambe, una sola me par.

Po’ iera “a morte”, che se stava fermi, distiradi sula schena, per riposar. Le done, special- mente le signore, le tigniva sempre la testa fo- ra de l’acqua per no bagnarse i cavei e rovinar la permanente. Le nudava solo un poco in fora e le se fermava a ciacolar tra de lore. Le porta- va quei costumi de lana, neri che ghe doveva far una spizza! Noi invesse gavevimo i slip con i botoni o le spighete de una parte in modo de poderli smolar e cavarli anche con su le bra- ghe. De pici andavimo al bagno con i grandi ma, apena cressevimo un poco andavimo soli, o meo, con i amici. Ierimo in tanta mularia a Pola e se dividevimo per bande, a seconda del quartier o dela via dove che stavimo. Ogni banda gaveva el suo posto al bagno, “al Ros- so”, “al Bianco”, a “Sacorgiana”, a “Valcane”, a

“Stoia” dove se se trovava tuti insieme a nu- dar, a butarse dale grote, a far schersi, a far casin con le mule. Più che a nudar, el diveri-

mento iera butarse, far i tuffi. I muli se butava sempre in testada, a “volo d’angelo”, “carpia- to”, “a clanfa”. Se cominciava de le grote più basse, po’ se passava a la “Grota dei Boemi”

tra “el Rosso” e “el Bianco”, po’ ai trampolini de tre metri de “Valcane” e de “Stoia”, po’ a quel de 5 metri de “Valcane”. A la fine, i più coraggiosi se butava da le grote de oltra 10 metri dela “Boca del Lupo” a Verudela e da la

“Grota dei Colombi”. Quando mi iero muleto, a la Fischer Hutte, iera una grua alta più de 20 metri per scarigar el carbon de le navi e ma- darlo con la teleferica al gasomentro. Mio no- no contava che lui de giovine el se gaveva butà de la cima de ‘sta grua ma no so se iera vero perché lui le contava grosse, special- mente se’l gaveva bevù un bicer de tropo. El contava anche che el fasseva la traversata de Verudela sempre nudando soto acqua e, quando che’l rivava de l’altra parte el ghe fas- seva “cucù” ai amici che lo sercava pensando che’l fussi negà. Le mule invesse se butava in piedi e le se stropava el naso per no far entra l’acqua.

Le se stropava el naso anche quando che le tociavimo, che iera l’altro più grande diverti- mento de noi muli. De principio se tociava le mule sburtandole soto per la testa o per le spale, ma quando che se diventava più grandi e incominciava la malizia, la tociada iera un’al- tra roba. Se andava de drio dela mula, se la ciapava per i fianchi, se la alsava in alto e se la sburtava soto acqua fassendola strussiar con- tro el corpo. Po’, se la mula la ghe stava, se la tociava stando de fronte, uno contro l’altra e...

iera bel,’ssai bel!

Ma no tute le mule ghe stava. Me ricordo una volta a Valcane che volevo tociar una mula, la Livia, che la me piaseva, la me ga dà una pa- pina che go visto tute le stele e son scampà nudando soto acqua per la vergogna.

Ma qua no xe mar, no xe più le mule e i muli de una volta, no xe più tempo de tociade. Go finì le mie vasche e xe ora de tornar a casa. E se i me domanda: “quante vasche ti ga fato?” Ghe risponderò: “Cen- to”, ma no xe vero, ghe ne go fate de meno. Una volta rispon- devo “Duecento” ma no me cre- deva nissun, no son bravo de contarle come mio nono.

L’ARENA DI POLA

Direttore responsabile:

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EL CANTONZIN DEL NOSTRO DIALETO

La piscina no xe el mar, ma...

Roberto Stanich

Un altro ricordo giovanile di un tempo che fu, tratto dai racconti dialettali che ci ha lasciato

Roberto Stanich

Le mie radise

Co iero picia e imparavo A star al mondo,

iera la guera.

Un de quei giorni go domandado a mama

perché el nostro nome xe stranier.

“Picia, papà dalmato te xe e là in ‘ich’ finissi i nomi, no te sa?”

Me go sentì diversa e fortunada, iero dalmata oltre che italiana.

Tanti ani, dopo, xe passadi e mi vivevo qua, savendo che le mie radise iera lontane

e me ciamava.

Spalato, Bol e Lesina smaniavo de conosser.

Son ‘ndada, un giorno, infin, el cuor che me boiva dentro.

El vaporeto ga tocà Lesina verde col mar che la languiva queto,

le case in riva che me riconosseva.

Bol, casa del nono scancelada del fogo,

gnente più no iera.

Spalato dolze, co l’anima strenta nel palazo de Dioclezian imperator…

Le radise mie ingropade se distirava, sentiva l’aria sua…

I confini che i omini dividi, ti de là, mi de qua,

xe altri omini che i li fa ma no i disi gnente.

El cel xe uno solo e soto questo vivemo tuti quanti.

Ti croato, mi italian, cossa vol dir?

El mar che bagna ste tere xe quel stesso, el sangue ne le vene

xe un missiot che fa una gente sola,

gente s’ceta, ‘bituada a viver coi refoli de bora.

Dalmazia

Olive vide

che nassi de la scarsa tera coverta de sassi.

Monti nudi, rugosi, che piomba nel mar trasparente

e subito fondo con aria prepotente.

Isoloti e isolete sparpaiade longo la costa,

come butade cussì, scarigade de una man distrata.

Ma tuto insieme de un efeto favoloso:

xe la Dalmazia, tera povera e piena de grazia.

Tuti con mi

L’albero, sto Nadal, lo voio far diverso.

Gnente gingili.

Tacherò, con nastri de tanti colori cartonzini coi nomi

de chi che con mi ga traversà la vita.

Su la punta pozarò una granda stela per impizar la luse

su de tuti, quei che go vizin e quei che xe lassù.

Sarà fissi i rami de bilieti ma no i se piegherà:

el ben no pesa.

Graziella Semacchi Gliubich

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Le firme dell'Arena 2020

Il nostro grazie a chi ha collaborato con noi

2020

2020 Un anno Un anno assieme assieme

F

ra le firme dei fedelissimi attivamente presenti in que- ste pagine, da lungo tempo c'è quella della signora Sil- via Sizzi Lutterodt. Anche quest'anno sono arrivati gli au- guri natalizi, da lei racchiusi in suo disegno. Questa volta però abbiamo voluto anche sentirli dalla sua voce. L'abbia- mo raggiunta telefonicamente a Londra, dove vive da mol- tissimo tempo, sempre però con Pola e L'Arena di Pola nel cuore. Gentilissima e vivace, ci ha ricordato la sua lunga collaborazione con queste pagine - fin dai primi anni 80 - e la corrispondenza con i lettori, con molti dei quali è ancora in contatto. Fantasiosa e creativa, oltre che in quelli da lei definiti “scritti sparsi”, molte memorie del suo vissuto le ha raccolte in due volumetti autobiografici - Nata stanca e L'altra faccia della luna - per cui ha ricevuto la “menzione d'Onore” al Premio Tanzella. Particolarmente contenta per l'opportunità del nostro incontro telefonico, ci invia i suoi auguri di Buon Natale e Fine Anno, unitamente a quelli per il futuro della nostra Arena… “e soprattutto di tanta salute, così necessaria al momento presente” la conclusione del suo saluto.

(...) "Era la vigilia di Natale del 1943. Prima di lasciare la casa, la mamma tolse i lampadari, perché i bombardamenti non li danneggiassero, li avvolse nelle lenzuola sisteman- doli sotto il tavolo della cucina, del salotto. Chiuse la porta di casa, mise la chiave in tasca, pensando a quando saremmo tornati... " (dal racconto di Antonio Boniciolli, profugo da Za- ra in Australia dal 1951). È uno dei tanti ricordi, raccolti fra i nostri esuli nel mondo, come conseguenza del doloroso di- stacco dalla terra natale, dalla casa natale...

Le generazioni nate e cresciute nel dopoguerra fino ad ora si sentivano in qualche modo privilegiate per esser state ri- sparmiate dalla tragica esperienza vissuta da nonni e geni- tori. Pur nei dovuti limiti del confronto, non ci si aspettava che, varcato il traguardo del tanto atteso terzo millennio, ci saremmo trovati ad affrontare le conseguenze di una guerra con il virus. È una situazione particolarmente anomala quel- la che, causa Covid, stiamo vivendo ormai da 10 mesi: in totale contrasto, specie in questo periodo, con l'atmosfera da cui un po' a tutti fa piacere farsi avvolgere. Quell'atmo- sfera che, pur talora condizionata da certe asprezze e dal confronto con pesanti realtà, anche in tempi bui parla di dolcezza e tradizioni, di sentimenti e speranze. Dicembre è il mese che conduce al Natale. Non possiamo però dimenti- care che per noi genti giulie è anche un percorso abbinato a

Santi e usanze della nostra tradizione: San Nicolò, Santa Lucia, San Tommaso. In ogni famiglia usi e preferenze va- riano, ma per i Polesani c'è un corale legame con il Patrono della propria città, San Tomaso (con una m, come vuole la parlata, n.d.r.), la cui ricorrenza coincideva con il solstizio d'inverno, il 21 dicembre. Al momento del distacco da Pola fu tradizione portata appresso da vite frettolosamente stiva- te fra ciò che restava del loro passato ed un futuro di alea totale. Eppure capace di diventare anche stimolo per i primi spontanei convivi di ritrovo, una volta divenuti esuli sparnis- sadi. Tanto che nel 1959 la data segnò il primo incontro na- zionale degli Amici Polesani. Giorno di celebrazione rimasto inamovibile per i Polesani, pur se la Chiesa da parecchi an- ni l'ha spostato al 3 luglio, quest'anno la pandemia è riuscita a condizionare anche tale evento, come del resto sta condi- zionando il tempo del Natale. Per fortuna la tecnologia ci viene in soccorso e, anche se in tempi molto difficili e in di- versa maniera, ci potrà aiutare a sentirci vicini, virtualmente riuniti attorno ad un immaginario comune albero natalizio.

Rassegnamoci che quest'anno andrà così. Con la speranza che la prossima volta potrà andare meglio: A TUTTI AUGU- RI DI CUORE PER UN BUON NATALE!

Viviana Facchinetti

Mar Mar

Giu

Giu Ago Ago Ott Ott

Nov Nov Set

Set Lug

Lug Mag

Mag Gen

Gen

Apr Apr Feb

Feb

Alberto Rissetto Alessandro Cuk

Andrea Altin Andrea Lombardi Anna Maria Crasti Antonio Ballarin Bruno Pecchiari Chiara Malferrari Claudio Bronzin Claudio Fragiacomo

Danilo Colombo Davide Rossi Diego Redivo Donatella Schürzel

Edda Garimberti Erminia Dionis

Ester Barlessi Francesca Barozzi

Franco Fornasaro Fulvio Salimbeni

Gemma Pizziga Giacomo Messori Giampaolo Rossi Gianclaudio de Angelini

Giorgio Baroni Giorgio Dendi Giovanni Nardin Giuliana Donorà Giulio Bartoli

Graziella Cazzaniga Palermo Graziella Semacchi Gliubich

Ileana Macchi Lino Vivoda Loredana Gioseffi Lorenzo Salimbeni

Lucia Bellaspiga Luigi Donorà M. Luisa Botteri Maria Rita Cosliani

Marilena Zuccheri Marina Parladori Marino Bonifacio Marino Micich Mario Ravalico Mauro Manca

Maximiliano Hernando Bruno Mons. Giampaolo Crepaldi

Mons. Marijan Jelenić Neri Codiglia Paolo Canciani Paolo Sardos Albertini

Petra Di Laghi Piero Mauro Zanin

Piero Tarticchio Raffaella Udovisi

Renzo Cordarin Riccardo Rossi Roberto Stanich Rodolfo Decleva Romana De Carli Szabados

Silvia Lutterodt Sizzi Silvio Mazzaroli

Stefano Pilotto Tito Sidari Tullio Binaghi

Ugo Gerini

Buon Natale!

R

Reeggaallii ddii N regalate ai vostri amici e regalatevi le nostre storie scritte da Piero Tarticchio Naattaallee ssoottttoo ll’’aallbbeerroo

In occasione del rinnovo delle iscrizioni, oppure in altra occasione, chi intende elargire un ulteriore contributo a favore dell’attività del- l’associazione riceverà in omaggio uno dei volumi che sono stati gentilmente donati da Piero Tarticchio. Potrà essere indicato il titolo prefe- rito e l’indirizzo di destinazione; la spedizione avverrà sino ad esaurimento scorte; successivamente potrà essere spedito uno dei volumi ancora a disposizione in Redazione, che sono stati elencati su vari numeri de L’Arena.

Per ogni rinnovo di iscrizione o elargizione, trovate il conto corrente postale o il codice IBAN sotto la testata de L’Arena di Pola.

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> In occasione del rinnovo delle iscrizioni, oppure in altra occa- sione, chi intende elargire un contributo a favore dell'attività dell'associazione riceverà in omaggio, su richiesta, uno dei volu- mi che sono stati gentilmente donati da Piero Tarticchio. Potrà essere indicato il titolo preferito e l'indirizzo di destinazione; la

spedizione avverrà sino ad esaurimento scorte;

> Per ogni rinnovo di iscrizione o elargizione, trovate il conto corrente postale o il codice IBAN sotto la testata de L'Arena di Pola.

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