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La costruzione dell'attaccamento nelle famiglie adottive

Autore: 

Francesca Ancidei, psicoterapeuta

Quello che conta non è il diritto di chiunque di adottare un bambino, ma il diritto del bambino a non essere adottato da chiunque.

Fernando Savater

Nel lavoro con le famiglie emerge spesso la metafora dei genitori adottivi come funamboli sempre in bilico su una corda tesa che richiede continui movimenti, assestamenti e cambiamenti per

mantenere la giusta centratura.

Il compito dei genitori adottivi è quello di garantire nel piccolo la continuità tra passato e presente. Adempiere a questo compito non è semplice e richiede cura e attenzione costante. Nel percorso pre adottivo quasi tutti i genitori hanno consapevolezza di quanto stanno per affrontare da un punto di vista razionale. Altro discorso è per quanto avverrà da un punto di vista emotivo.

L’impatto che la relazione con un bambino portatore di esperienze enormi e talmente negative per le quali, spesso, la maggior parte di noi non possiede le categorie mentali per una comprensione ed

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accettazione. Questo perché chi ha avuto la fortuna di avere genitori sufficientemente accoglienti, non subire rotture relazionali con le figure di accudimento primarie e di non vivere ciò che molti dei bambini che vengono adottati hanno vissuto, molto spesso non riesce a mentalizzare quel tipo di trauma. In più questi bambini anche se forti sotto alcuni punti di vista, dal punto di vista emotivo è come fossero “senza pelle”, in poche parole dei “guerrieri di cristallo”. Molti di loro non conoscono il calore e la sensazione che produce un abbraccio che, quindi, può essere percepito come pericoloso

<<quando cerco di abbracciare mio figlio reagisce come se lo stessi colpendo… ho capito che una carezza per lui è come una lama…>>.

Si tratta di un equilibrio che deve essere costruito giorno dopo giorno e che va continuamente co-costruito da genitori e figli. Per fare questo i genitori devono favorire un legame di

attaccamento di tipo sicuro nei loro bambini.

Nella maggior parte dei casi i bambini (soprattutto quelli più grandi) arrivano nelle loro famiglie adottive avendo sperimentato rotture relazionali, tradimento della sicurezza nella relazione genitore- figlio quando non abusi sia fisici che psicologici, con conseguente disorganizzazione del sistema di attaccamento. Nella famiglia adottiva, le nuove relazioni con figure di accudimento che offrano al bambino la sicurezza di essere amato sempre e comunque e la costanza nelle regole e nel

comportamento, con la formazione di una nuova base sicura, possono essere di aiuto al bambino nel modificare il sistema dell’attaccamento e i Modelli Operativi Interni (rappresentazioni interne che ognuno ha del mondo, delle proprie figure di accudimento, di sé stesso e delle relazioni che intercorrono tra tutti questi elementi).

I genitori sono, prima di tutto, chiamati a comprendere che alcuni atteggiamenti del figlio percepiti come negativi, possono essere dovuti ad una interpretazione errata che egli dà dei comportamenti altrui e sono dettati dalle esperienze difficili che il bambino ha avuto in precedenza e non

direttamente riferibili ai genitori adottivi. Dietro l’aggressività e il rifiuto, molto probabilmente si cela il tentativo di testare la tenuta della nuova relazione, di capire (anche se tramite una strategia disadattava) se è possibile fidarsi dei genitori adottivi. Non secondaria è la capacità del genitore adottivo di “fare i conti” con il proprio passato e con il proprio modello di attaccamento che può entrare in collisione con le diverse situazioni che si trova a vivere con il figlio. Questo significa, prima di tutto, che i genitori dovrebbero aver risolto eventuali traumi relazionali dell’infanzia derivanti da situazioni in cui si sono sentiti rifiutati o malamente accolti… in poche parole il bambino interiore degli adulti non dovrebbe entrare in contrasto con il figlio adottato.

In questa costruzione di un nuovo legame di attaccamento bisogna tenere conto dell’età del bambino al momento dell’adozione. E’ stato, infatti, riscontrato un più alto rischio di

disorganizzazione del sistema di attaccamento per le adozioni oltre i primi 6 mesi di vita. In generale il rischio di sviluppare problemi comportamentali si presenta come più elevato dopo i 24 mesi. In queste situazioni il cambiamento ambientale può rappresentare un nuovo trauma per il bambino.

Durante il cammino di crescita della famiglia adottiva spesso si presenteranno situazioni in cui il trauma dell’abbandono ed il trauma dell’impossibilità di generare biologicamente (qualora presente) si collegheranno e “costringeranno” la coppia adottiva a rivisitazioni, elaborazioni e trasformazioni.

Questi genitori devono saper attivare, attraverso l’esplorazione e la mentalizzazione delle proprie sofferenze, le proprie capacità riparative sia rispetto al limite procreativo (quando presente), sia

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rimozione di elementi di sofferenza non riconosciuti e, per questo, agiti nella relazione con il figlio, rappresentano un elemento di discontinuità interiore che può indurre a confermare o indurre un atteggiamento altrettanto difensivo nel bambino impedendogli di compensare una propria personale carenza.

Anche se gravi esperienze di deprivazione possono aver seriamente compromesso la capacità di riconoscere attaccamenti alternativi con sufficiente fiducia, generalmente il bambino è in grado di fruire dell’aiuto di persone sostitutive, ma potrà comunque temere di rivivere la disperazione dell’abbandono e del rifiuto e potrà porsi nella nuova relazione adattandosi a quelle che pensa siano le aspettative esterne, pur di ricevere protezione. Oppure, in reazione allo stesso timore, potranno porsi nella relazione, con un atteggiamento aggressivo e ambivalente. In altre parole il bambino è dilaniato dal bisogno di ricevere cure, affetto, attenzione e tutto ciò che il nuovo nucleo potrà offrirgli e il terrore che queste stesse risorse creano in lui, in virtù delle esperienze negative del passato, ecco quindi che emergeranno comportamenti abnormi, non apparentemente coerenti con la situazione attuale, ma che provengono, invece, dalla parte più profonda e ferita del piccolo <<non riesco a capire… un momento mi si avvicina e si vede che cerca le coccole e quando io mi rilasso e lo accolgo di colpo mi si gira come se volesse aggredirmi…. Sono passata davanti alla sua stanza e lei era di spalle sono entrata per darle una carezza e lei si è girata con i pugni chiusi e alzati verso di me>>. Il bambino, inoltre, non è capace di rendere pensabile e comunicabile il vissuto dell’abbandono, che rimane dentro di lui come le sue radici, e questa difficoltà può entrare in collisione con l’incapacità o il timore dei genitori adottivi di farsi contenitori della sua indicibile sofferenza, che in questo modo resterà scissa dentro di lui e ostacolerà la possibilità di nuovi investimenti affettivi e cognitivi.

Teoria e ricerca. Brevi cenni

All’interno degli studi sulle caratteristiche delle relazioni genitori – figli nell’ambito adottivo, molte ricerche effettuate nella prospettiva dell’attaccamento, hanno messo in luce come gli adottati – in conseguenza allo stato di deprivazione precoce – sviluppino modalità di segnalazione sociale per lo più distorte, mascherate e difficili da interpretare, cosa che rende difficile il compito genitoriale di rispondere in modo sensibile ed adeguato.

La teoria dell’attaccamento sottolinea l’importanza delle relazioni di attaccamento infantili nel determinare i MOI (schemi mentali che organizzano le esperienze, i comportamenti e le emozioni dell’individuo nel tempo). Le esperienze interattive vissute con le figure di accudimento durante l’infanzia contribuiscono a creare dei modelli del sé, dell’altro e di sé in relazione all’altro che vengono interiorizzati e che quando si diventa genitori vengono riattualizzati e riproposti con i propri figli (Bowlby, 1988).

Negli ultimi anni la letteratura sull’attaccamento sottolinea che alcune importanti esperienze con altri significativi modellano e promuovono una discontinuità delle rappresentazioni di attaccamento (Pace, Castellano, Messina, Zavattini, 2009; Dazzi, Zavattini, 2011).

La ricerca nel campo dell’adozione favorisce questa ipotesi (Steele, Henderson Hodges, Kaniuk, Hillman, Steele, 2007). Infatti per i bambini adottati, che sono stati a contatto con esperienze di cure sfavorevoli e negative, l’esperienza adottiva potrebbe essere considerata come una seconda

possibilità per superare le esperienze avverse (Palacios, Roman, Camacho, 2010) e per una revisione dei loro MOI (Steele, Hodges, Kaniuk, Steele, Hillman, Asquith, 2008). Questo sembra tanto più vero

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nei bambini che vengono adottati da grandi.

La ricerca mostra, altresì, il ruolo cruciale svolto dallo stato della mente dei genitori rispetto alla costruzione di relazioni adottive sicure e integrative. Si è osservato come, anche se i bambini adottati hanno sperimentato la distruzione dei legami di accudimento primari nel primo anno e mezzo di vita, essi si dimostrano in grado di organizzare i loro comportamenti attorno alla disponibilità emotiva dei genitori adottivi, nella misura in cui questi mostrino di essere dotati di Modelli Operativi Interni di tipo sicuro, flessibile e capaci di funzionare in modo empatico

I genitori adottivi

Una caratteristica che dovrebbe appartenere ai genitori, adottivi e non, è la capacità di mettersi nei panni dell’altro. L’altro è il loro figlio che è altro da loro, funziona in modo diverso ed ha una sua propria personalità, suoi pensieri ed emozioni che i genitori dovrebbero imparare ad osservare senza pregiudizi, né presunzione di conoscenza e soprattutto in modo elastico ed adattabile ai continui cambiamenti che i bambini propongono.

Oltre a questa fondamentale, quanto complessa azione, sarebbe opportuno che i genitori siano in grado di:

avere una alta “qualità del parenting” che si snoda in 5 dimensioni fondamentali:

promozione della fiducia nella disponibilità: i genitori devono avere consapevolezza della dipendenza fisica ed emotiva del bambino. Solo se i genitori si mostrano

sufficientemente sensibili, presenti e con uno spazio mentale per il loro bambino questi potrà riacquisire la fiducia persa in precedenza mostrando un aumento nella sua capacità di esplorazione;

promozione della funzione riflessiva, che è stata definita da Fonagy e Target (2003) come quella capacità che permette all’individuo di vedere sé stesso e gli altri in termini di stati mentali e di ragionare sui propri e altrui comportamenti in termini di stati mentali.

Questa funzione permette al bambino di prevedere i comportamenti degli altri e di rispondere in maniera adattiva a una serie di esperienze interpersonali. La capacità di regolare gli affetti e sperimentarne una vasta gamma è un diretto risultato della capacità di funzione riflessiva. I bambini adottati sono bambini che anche se in modo diverso, hanno subito un trauma relazionale e molto probabilmente sono stati vittime di figure di riferimento che non sono riuscite a rispondere adeguatamente ai loro bisogni o che non si sono sintonizzate con i loro ritmi impedendogli quindi, una buona regolazione. Ecco perché diviene fondamentale che durante la costruzione della nuova relazione i genitori adottivi svolgano due funzioni importanti: aiutare il bambino ad esprimere i propri sentimenti e desideri contenendo quei pensieri ed emozioni caotiche e aiutarli ad avere una visione più sistematica e gestibile sia del mondo che di loro stessi. Così i bambini saranno maggiormente capaci di riflettere sulle loro esperienze, di esprimere le loro difficoltà, di regolare le loro emozioni acquisendo una maggiore competenza sociale e interpersonale (Kretchmar, Worscham, Swenson, 2005);

promozione dell’autostima: i genitori devono imparare ad accettare i bambini per quel che sono soprattutto quando danno risposte negative;

promozione dell’autonomia e della self efficacy: l’autonomia deve essere promossa comunicando ai bambini che i loro pensieri e le loro idee sono presi in considerazione e

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che nessuna decisione è stata già presa (una delle frasi più ricorrenti da parte di ragazzi ormai grandi è “quando ero piccolo mi è successo di tutto ed io non ho potuto decidere niente”). Questo aiuterà il bambino ad avere maggiore fiducia nei suoi pensieri e nelle sue abilità di negoziazione;

promozione della family membership: i genitori devono riuscire a includere il bambino all’interno di una famiglia in cui non ci sono legami biologici mostrando sempre

attenzione alle diversità culturali del bambino ed essendo costantemente consapevole di quanto desiderio ha il bambino di sentirsi incluso nella nuova famiglia.

come già detto comprendere che gli atteggiamenti, talvolta provocatori del figlio sono dovuti all’interpretazione che egli dà dei comportamenti altrui, che deriva direttamente dalle esperienze del passato;

assicurare un clima di sicurezza in cui tutti i bisogni di base vengano soddisfatti

prontamente. Questo soprattutto perché se i bisogni negati al piccolo nel periodo pre adottivo verranno riconosciuti e soddisfatti egli riprenderà a funzionare in maniera appropriata;

evitare una eccessiva richiesta di prestazioni, ma anzi leggendo le eventuali regressioni del bambino come segnali di stress;

riuscire a mantenere un atteggiamento equilibrato tra sostegno, conforto e

incoraggiamento, mantenendo nello stesso tempo regole ferme e costanti, che spesso fungono anche da argine alla sensazione di disgregamento che può provare il bambino.

Questo atteggiamento, inoltre, trasmette al bambino la capacità di gestire la frustrazione e di godere delle emozioni e degli affetti positivi (Pace et al. 2012).

Quanto appena detto è reso possibile se i genitori sono in grado di accogliere ed accettare i

sentimenti negativi concedendosi di provare delusione rispetto alle proprie aspettative e di provare emozioni negative o ambivalenti. Queste fanno parte del processo di costruzione di ogni legame affettivo e vanno accettate, elaborate ed integrate in un insieme coerente. L’emersione dei

sentimenti di delusione può avvenire solo se ci si pongono delle domande e si ascoltano le risposte per poter creare equilibri più funzionali e aderenti alla realtà.

Fondamentale è che la coppia genitoriale possa esprimere apertamente non solo le proprie

aspettative in merito al percorso che si è deciso di intraprendere, ma anche quelle che si hanno l’uno nei confronti dell’altro. Comunicare apertamente cosa ci si aspetta dal partner, riconoscere ed accettare i propri limiti e quelli dell’altro permette di migliorare la cooperazione all’interno della famiglia e di aumentare il senso di responsabilità e sicurezza non solo propri, ma anche del bambino (Verardo A., Lauretti G. 2020).

CARATTERISTICHE DEI GENITORI CHE FAVORISCONO UN ADEGUATO ATTACCAMENTO

Fondamentali sono i comportamenti e la personalità dei genitori. I processi di apprendimento, come noto, funzionano soprattutto per imitazione di modelli. Quindi, la stabilità emotiva, la tolleranza allo stress, la flessibilità e una adeguata espressione dei sentimenti e delle emozioni da parte dei genitori, rappresentano un’ottima base.

I genitori dovrebbero avere risorse sufficienti per affrontare le diversità (sia individualmente che come coppia) e la capacità di regolare le emozioni negative in modo adattivo, riuscendo anche a chiedere aiuto quando ne hanno bisogno, comportamento questo che se da una parte li solleva non

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minando il loro ruolo e la loro autostima, dall’altra dà al bambino un modello positivo di quanto sia importante la gestione emotiva e i risultati che si possono ottenere da essa.

Avere un atteggiamento empatico permetterà loro di sintonizzarsi con il mondo emotivo dei propri figli.

La sicurezza dei MOI dei genitori sembra essere un fattore protettivo e di garanzia rispetto alla tenuta emotiva in situazioni stressanti e problematiche generate immancabilmente dalle difficili situazioni che si trovano ad affrontare.

I genitori adottivi che hanno un modello di attaccamento sicuro, uno stato della mente risolto e MOI sufficientemente stabili sono genitori che riescono a mostrare al bambino sensibilità e comprensione nei confronti dei suoi bisogni di accudimento e riescono a contenere mentalmente lo stato emotivo intollerabile per il bambino. In questo modo riescono a rispondere con un atteggiamento di cura fisica che serve a riconoscere lo stato mentale del bambino, ma anche a modulare sensazioni e sentimenti vissuti come ingestibili.

Inoltre, l’unicità del bambino reale che i genitori si troveranno di fronte richiede che essi siano capaci di fare una continua rinegoziazione con le proprie aspettative e richieste compensatorie, molte delle quali, solo nel tempo emergono alla piena consapevolezza.

Statisticamente si è visto, tuttavia, che i genitori adottivi hanno molte risorse per affrontare tutte queste difficoltà. Per l’adozione sono necessarie capacità di comprensione superiori a quelle che potrebbero essere sufficienti ai genitori biologici (Verardo A, Lauretti G., 2020).

Le coppie adottive presentano spesso questi fattori protettivi (Vadilonga 2010):

1. Presenza di un sistema esplorativo;

2. Capacità di fare “gioco di squadra”;

3. Capacità di mentalizzare;

4. Presenza di relazioni extrafamiliari ricche ed articolate.

La narrazione

Date parole al dolore; il dolore che non parla bisbiglia al cuore sovraccarico e gli ordina di spezzarsi.

W. Shakespeare

Nella costruzione di un legame di attaccamento fra genitori e figli adottivi è fondamentale la narrazione delle loro storie. Spesso nell’adozione si incontrano storie costellate da dolori, lutti, abbandoni, separazioni, la cui narrazione sembra impossibile.

Diviene fondamentale che i genitori adottivi sappiano narrare la loro storia e quella del loro bambino, per costruire una nuova storia della famiglia adottiva a cui il bambino può sentirsi legittimato ad appartenere.

Attraverso la narrazione della storia del bambino, i genitori adottivi spiegheranno il motivo per cui i

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genitori naturali non hanno potuto accudirlo, intrecciandolo con le motivazioni che li hanno portati alla scelta adottiva. In questo intreccio ognuno potrà riconoscersi come appartenente al nuovo nucleo.

La capacità di compiere questa narrazione nasce dalla elaborazione, da parte dei genitori, delle proprie esperienze traumatiche ed è un processo che si dispiega nel tempo rispettando i tempi di ognuno, rispondendo alle domande del bambino in una co-costruzione quotidiana che seguirà, adattandosi, le varie fasi di sviluppo del bambino, della coppia genitoriale e della famiglia.

E’ un processo in cui non dovranno esserci segreti, né forzature in quanto i bambini porranno naturalmente domande solo quando saranno pronti ad ascoltarne le risposte e se

percepiranno di avere accanto adulti in grado di sostenerle. Quando il racconto avviene serenamente diviene uno degli strumenti fondamentali per trasmettere al piccolo il suo valore personale e la gioia nell’accoglierlo.

In molti bambini è forte la sensazione che ciò che hanno vissuto (o subito) non sia raccontabile e comunemente accettabile (<<mio figlio racconta la sua storia in tutti i particolari quando vuole allontanare qualcuno>>) e  a farli sentire “diversi”. Attraverso una narrazione armonica e in un clima sereno si può restituire loro la “pensabilità” degli eventi accaduti, in una struttura dotata di nessi logici e causali che favoriranno la costruzione coerente del proprio vissuto e dell’immagine di sé ed una integrazione fra passato e presente.

 

BIBLIOGRAFIA

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l’enfance et de l’adolescence, 51,  279-276  

"" Data di pubblicazione:  

Sabato, Maggio 9, 2020

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