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Capitolo 2. GLI PSEUDOMONAS

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Capitolo 2. GLI PSEUDOMONAS

2.1 TASSONOMIA

I batteri del genere Pseudomonas sono classificati come segue (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/Taxonomy/Browser/wwwtax.cgi?id=286): DOMINIO: Prokaryota REGNO: Bacteria PHYLUM: Proteobacteria CLASSE: Gammaproteobacteria ORDINE: Pseudomonadales FAMIGLIA: Pseudomonadaceae GENERE: Pseudomonas

In assenza di un reperto fossile affidabile, una probabile ipotesi è che l’origine delle Pseudomonadaceae, e altri gruppi di batteri, possa essere avvenuta milioni di anni fa; tuttavia il loro studio scientifico è iniziato solamente quando gli studiosi si sono resi conto della loro esistenza grazie ai progressi dei metodi microbiologici (Palleroni, 2010).

L’appellativo Pseudomonas è stato coniato dal professor Migula, dell’Istituto tedesco Karlsruhe, alla fine del XIX Secolo, più precisamente nel 1894. La sua descrizione del nuovo genere fu abbastanza breve ed imprecisa: “Cellule con organi polari di motilità. La formazione di spore si verifica in alcune specie, ma è raro (ad esempio in Pseudomonas violacea)” (Migula, 1894). Ad oggi sappiamo che questi batteri sono asporigeni, per cui sembra possibile che Migula abbia confuso granuli refrattari di materiale di riserva con delle spore. Inizialmente questi microrganismi furono catalogati tassonomicamente secondo lo schema proposto da Cohn, seguendo i caratteri fenotipici (forma e dimensione, assenza o presenza e posizionamento di flagelli, colore e morfologia della colonia), senza però delineare chiare distinzioni rispetto ad altri batteri Gram negativi. Nel 1909 Orla-Jensen propose di considerare anche i caratteri fisiologici dei batteri come modello di classificazione (le esigenze

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nutrizionali, la composizione della parete cellulare, i prodotti di fermentazione, i tipi di substrato di carbonio e azoto utilizzati, la resistenza osmotica, la crescita in presenza o meno di ossigeno) (Peix et al., 2009). Fu invece considerata di dubbio valore la differenziazione dei generi e delle specie sulla base della loro patogenicità nei confronti di uomo, animali e piante (Palleroni, 2003).

Nel 1926, il batteriologo Den Dooren de Jong approfondì lo studio degli Pseudomonas descrivendone la notevole versatilità nutrizionale, partendo da un progetto di analisi della microflora del suolo nei processi di degradazione dei composti organici. I risultati dimostrarono che questi microrganismi erano capaci di decomporre una grande varietà di molecole organiche, tra cui alcune perfino tossiche per altri batteri e organismi più complicati (Den Dooren de Jong, 1926). A seguito di tali evidenze, si pensò di utilizzare anche i caratteri nutrizionali ai fini della classificazione tassonomica (Stephenson, 1939).

La condizione della tassonomia degli Pseudomonas, già caotica e poco chiara in partenza, fu via via aggravata dall’enorme numero di specie assegnate al genere. Secondo una stima approssimativa più di 800 specie erano state assegnate al genere Pseudomonas verso la metà del XX Secolo (Stanier et al.,1962). Nel 1960, Stanier propose un riesame del genere, che prevedeva anche saggi fenotipici per determinare il profilo nutrizionale degli Pseudomonas. In questo modo fu definito un certo numero di specie in funzione della capacità di crescita sui diversi substrati testati, e il lavoro fu esteso anche ad altri generi. Tra il 1966 e il 1973 si vide il completamento di questo lavoro grazie all’ausilio di numerosi tassonomi, come ad esempio Redfearn, Ballard, Palleroni, Doudoroff, Barret, Johnson (Palleroni, 2010). Successivamente, con lo sviluppo degli studi genetici, si vide la possibilità di chiarire ulteriormente la tassonomia del genere. Cosi, un certo numero di ceppi, considerati fino ad allora Pseudomonas, fu scelto da Palleroni e collaboratori come oggetto di studi di ibridazione DNA/DNA. Tali prove dettero risultati diversi: in alcuni casi confermarono le somiglianze riscontrate a livello fenotipico; in altri evidenziarono differenze genotipiche mai emerse prima, essendo stati presi in considerazione fino ad allora solo i contenuti di guanina e citosina (G+C). In effetti tale variabilità genetica non stupisce, considerando che le sole dimensioni del genoma possono spaziare da 3.7 Mbp per Pseudomonas stutzeri, fino a 7.1 Mbp per Pseudomonas aeruginosa (Spiers et al., 2000). Considerando la natura conservativa degli acidi ribonucleici dei ribosomi

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di altri batteri (Dubnau et al., 1965), gli studi di filogenesi e speciazione proseguirono spostandosi sullo studio delle regioni più conservate del genoma: furono estratti i geni codificanti per l’RNA ribosomiale (nello specifico la regione 16S), che rappresentano una minima parte dell’intero DNA, rispetto alla maggior parte del quale non si sono evoluti con la stessa rapidità. Il grado di omologazione all’interno di tali regioni conservate risulta essere maggiormente affidabile che non su tutto il genoma; per cui si è passati dall’ibridazione DNA/DNA a quella DNA/rRNA. Procedendo negli studi, gli esperimenti, portati avanti da Palleroni e collaboratori, si incentrarono su ibridazioni del tipo DNA/rRNA (nello specifico prendendo in considerazione la regione 16S). I risultati dimostrarono che le specie fino ad allora riunite sotto l’appellativo generico di Pseudomonas (ovvero, Pseudomonas sensu lato), potevano essere raccolte in cinque gruppi rRNA fortemente definiti, ma abbastanza eterogenei tra loro (Palleroni et al., 1973). In alcuni casi il profilo genetico ottenuto risultava più vicino filogeneticamente a quello di batteri di altri generi (quali Escherichia e Xanthomonas) che a quello di altri gruppi di Pseudomonas, per cui fu suggerita una classificazione diversa (De Vos e De Ley, 1983). I cinque gruppi di Palleroni possono essere considerati come cinque entità tassonomiche indipendenti tra loro:

I Gruppo. (o “Pseudomonas sensu strictu”). È costituito da Pseudomonas aeruginosa, da specie fluorescenti quali Ps. fluorescens, Ps. syringae, Ps. putida, e da alcune delle non-fluorescenti, come Ps. alcaligenes, Ps. pseudoalcaligenes, Ps. stutzeri e Ps. mendocina. II Gruppo. È costituito da pseudomonadi come Ps. cepacia, successivamente

classificata nel genere Burkholderia (Yabuuchi et al., 1992), Ps. gladioli, Ps. caryophylli, Ps. pickettii, Ps. solanacearum, Ps. mallei e Ps. pseudomallei.

III Gruppo. I membri di questo gruppo sono stati successivamente riclassificati in tre generi differenti:

Comamonas: Ps. acidovorans e Ps. testosteroni (Tamaoka et al., 1987).

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Hydrogenophaga: Ps. flava, Ps. palleroni, Ps. taeniospiralis, Ps. pseudoflava e Ps. Carboxydoflava (Willems et al., 1989).

Acidovorax: Ps. facilis, Ps. delafieldii (Willems et al., 1990), Ps. avenae e Ps. cattleyae (Willems et al., 1992).

IV Gruppo. È costituito da Ps. diminuita e Ps. vescicularis, che sono state poi riclassificate nel genere Brevundimonas.

V Gruppo. È costituito da specie filogeneticamente vicine a quelle del Gruppo I, poi classificate nel 1993 nel genere Stenotrophomonas.

Di fatto entro il genere degli Pseudomonas rientrano i gruppi I e II. Il numero di specie assegnate al primo gruppo nel tempo è cresciuto sempre più, come conseguenza della notevole abilità degli Pseudomonas di adattarsi alle condizioni naturali più diverse (Palleroni, 2010). La suddivisione dei 5 gruppi tuttavia non fu ammessa nella pubblicazione del Bergey’s Manual of Determinative Bacteriology del 1974, in cui le specie con descrizione fenotipica furono suddivise in due gruppi sulla base delle loro caratteristiche fisiologiche:

I Gruppo. Costituito dalle specie che non richiedono fattori di crescita per svilupparsi. A sua volta si divide in 2 sottogruppi in dipendenza dell’accumulo o meno di poli-β-idrossibutirrato nella cellula. All’interno di questi due sottogruppi il raggruppamento delle specie avviene sulla base di: produzione di pigmento flurescente; presenza di arginina deidrolasi; capacità di denitrificazione; utilizzo di DL-arginina e betaina.

II Gruppo. Costituito dalle specie che richiedono fattori di crescita per lo sviluppo, e più raramente una gamma limitata di temperature e di concentrazione di ioni idrogeno (Doudoroff e Palleroni, 1974).

Con lo sviluppo delle tecniche molecolari e dei database genetici, associati ad una grande disponibilità di sequenze rRNA 16S, i batteri sono stati suddivisi in tre classi di Proteobatteri: α, β, γ (Woese et al.,1985). Il gruppo I, gli “Pseudomonas sensu stricto”, insieme a Salmonella, Yersinia, Escherichia coli e Vibrio, appartengono ai

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Proteobacteria, il cui nome deriva dal greco e significa “bastoncino (-proteakos) variabile (γ-)” (Brenner et al., 2005). In questa classe di batteri troviamo organismi unicellulari e bastoncellari, eterotrofi o fotoautotrofi. Negli anni 2000, sempre grazie all’analisi dell’rRNA 16S, il gruppo “Pseudomonas sensu strictu” è stato diviso in sette sub-cluster: Pseudomonas syringae group, Pseudomonas chlororaphis group, Pseudomonas fluorescens group, Pseudomonas putida group, Pseudomonas stutzeri group, Pseudomonas aeruginosa group e Pseudomonas pertucinogena group (Anzai et al., 2000) (Tabella 5).

Tabella 5. Sub-cluster e specie del genere Pseudomonas (Anzai et al., 2000).

Sub-cluster Specie

Gruppo Pseudomonas syringae P. amygdali

P. avellanae P. caricapapayae P. cichorii P. coronafaciens P. ficuserectae “P. helianthi” P. meliae P. savastanoi P. syringae “P. tomato” P. viridiflava

Gruppo Pseudomonas chlororaphis P. aurantiaca

P. aureofaciens P. chlororaphis P. fragi

P. lundensis P. taetrolens

Gruppo Pseudomonas fluorescens P. antarctica

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26 “P. blatchfordae” P. brassicacearum P. brenneri P. cedrina P. corrugata P. fluorescens P. gessardii P. libanensis P. mandelii P. marginalis P. mediterranea P. meridiana P. migulae P. mucidolens P. orientalis P. panacis P. proteolytica P. rhodesiae P. synxantha P. thivervalensis P. tolaasii P. veronii

Gruppo Pseudomonas putida P. cremoricolorata

P. fulva P. monteilii P. mosselii P. oryzihabitans P. parafulva P. plecoglossicida P. putida

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Gruppo Pseudomonas stutzeri P. balearica

P. luteola P. stutzeri

Gruppo Pseudomonas aeruginosa P. aeruginosa

P. alcaligenes P. anguilliseptica P. argentinensis P. borbori P. citronellolis P. flavescens P. mendocina P. nitroreducens P. oleovorans P. pseudoalcaligenes P. resinovorans P. straminea

Gruppo Pseudomonas pertuginogena P. denitrificans

P. pertuginogena

Anche se si è dimostrato un percorso fondamentale, l’analisi del segmento 16S dell’rRNA non è sufficiente a discriminare tutte le specie, visto che si trova in tutti gli organismi, con un basso tasso di evoluzione ed elevata conservazione. Per questo motivo, negli anni seguenti, sono state ricercate altre sequenza genomiche da affiancare al 16S, i cosiddetti geni “houseskeeping”: gyrB e rpoD (Yamamoto et al., 2000), atpD, carA, recA (Hilario et al., 2004); rpoB e rpoD (Mulet et al., 2009). Mulet vi ha inoltre affiancato l’analisi delle sequenze ITS (Internally Transcribed Spacer), ovvero sequenze di RNA non funzionale, che presentano dimensioni e composizione nucleotidica molto diverse in organismi vicini dal punto di vista filogenetico.

Un approccio molto promettente è legato infine a studi chemiotassonomici che comprendono esame dei profili proteici, composizione in acidi grassi e in poliamine, e caratterizzazione dei siderofori (Meyer et al., 2002).

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Ad oggi, nuove specie sono state studiate, sulla base dell’insieme dei dati molecolari e di caratterizzazione fenotipica, fino ad avere un totale di 238 specie diverse appartenenti al genere Pseudomonas (consultabili sul sito

www.bacterio.net/pseudomonas.html, data ultima consultazione 26/06/2017).

2.2 PRINCIPALI CARATTERI FENOTIPICI DEGLI

PSEUDOMONAS

Morfologicamente gli Pseudomonas si presentano come cellule corte di diametro variabile, solitamente mobili per 1-3 flagelli polari. Hanno forma bastoncellare (Figura 8), dritta o leggermente incurvata, di dimensioni variabili: da 0,5 a 1,0 m di diametro e 1,5-5,0 m di lunghezza (Moore et al.,

2006). A dimostrazione della loro eterogeneità, all’interno dello stesso gruppo si possono trovare sia forme bastoncellari che coccobacillari.

Sono batteri aerobi, a metabolismo strettamente respiratorio, con catalasi ed ossidasi positiva e presenza di G+C del DNA compresa tra 58-70% (Bottazzi,1993). Sono attivi nel catabolismo degli amminoacidi, che possono essere usati come sorgenti di carbonio, azoto ed energia, ed hanno allo stesso tempo una buona capacità biosintetica per diversi amminoacidi. Sono microrganismi asporigeni, acapsulati e non resistenti al calore, per cui il trattamento termico di pastorizzazione è sufficiente ad inattivarli (Van Tassell et al., 2012).

Sono organismi chemioautotrofi, in grado cioè di utilizzare composti inorganici come fonti di carbonio e azoto. Il limite inferiore del livello di attività dell’acqua libera all’interno di un substrato, necessario a questi batteri per sopravvivere, è di 0,94-0.96.

Gli Pseudomonas, essendo normodurici, crescono bene in ambienti neutri-alcalini, con pH 7,0-8,5, ma non sono in grado di riprodursi quando tale valore scende al di sotto di 6,0.

Figura 8. Morfologia di Pseudomonas aeruginosa (https://phil.cdc.gov/phil/details.asp?pid=10043).

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I caratteri che ne permettono uno sviluppo sull’alimento tale da raggiungere cariche superiori ai 10⁵-10⁶ ufc/g, in grado di determinare odori e colorazioni anomale, riguardano:

 L’essere organismi mesofili psicrotolleranti: questi batteri riescono a moltiplicarsi, con cinetica diversa, in un range di temperature che va dai 4° ai 43°C (optimum tra 25°-35°C).

 La capacità di sintetizzare enzimi metabolizzanti sia composti a basso peso molecolare (quali amminoacidi, mono e disaccaridi) che molecole più grandi (come proteine ed acidi grassi), con la produzione di metaboliti aromatici che possono conferire al substrato odori e sapori anomali.

 La capacità di produrre pigmenti. Tuttavia, c’è da specificare che, con riferimento in particolare ai pigmenti fluorescenti, all’interno del genere Pseudomonas, ci sono specie capaci di produrli e specie incapaci di produrli (Giaccone, 2010).

o Sono produttori di pigmenti fluorescenti: Pseudomonas aeruginosa, Ps. fluorescens, Ps. clororaphis, Ps. aureofaciens e Ps. putida (queste sei specie presentano l’arginina-deidrolasi positiva, ciò sta a significare che, grazie a questo enzima, possono impiegare L-arginina come accettore alternativo di elettroni in mancanza di ossigeno o nitrati), Ps. syringae, Ps. viridiflava e Ps. cichorii (questi invece presentano arginina-deidrolasi negativa) (Budzikiewick, 2004).

In particolare, Ps. aeruginosa è in grado di produrre ben sei differenti pigmenti: piocianina (blu intenso), piorubina (rosso cupo), clororafina (verde fluorescente), ossifenazina (arancione intenso), una proteina ancora non identificata (blu), pioverdina (giallo-verde).

o Non sono produttori di pigmenti fluorescenti: Pseudomonas stutzeri, Ps. mendocina (idrolizzanti il glucosio), Ps. alcaligenes e Ps. pseudoalcaligenes (non idrolizzanti il glucosio).

In generale i pigmenti di natura batterica sono uniti a proteine mediante legami non covalenti. Esempi di tali pigmenti sono:

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 Fenazine: prodotte da parecchie specie di diversi generi batterici e comprendenti più di 50 varietà, ciascuna delle quali contiene un sistema anulare fenazinico (Kerr et al., 1999; Krastel et al., 2002) e capaci di riprodurre ogni colore dello spettro visibile. Le fenazine sono derivate dalla via metabolica dell’acido shikimico tramite l’acido fenazin-1-6 dicarbossilico e sembrano essere i precursori di ulteriori metaboliti oppure fungono come sistemi redox (Cantoni e Chiappa, 2011). Tra di esse, due presentano colore blu: il 5-metilfenazin-1- one, o piocianina, e la N-metil-1-idrossifenazina (Preetha et al., 2010). La piocianina è un pigmento antibiotico nei confronti di altri batteri, come Staphylococcus aureus o Escherichia coli, e fattore di virulenza, attivo ossidoriduttivamente, che permette a P. aeruginosa di uccidere le cellule dell’ospite, di contrastare i movimenti della cilia, di inibire la proliferazione dei linfociti e alterare la fagocitosi. Grazie alle sue proprietà redox, la piocianina genera delle specie reattive dell’ossigeno nelle cellule batteriche e di mammifero (Cantoni e Chiappa, 2011). Anche l’N-metil-1-idrossifenazina è dotata di capacità antibiotica, ad esempio verso i vibrioni (Kerr et al., 1999).

 Carotenoidi: hanno la funzione di proteggere i microrganismi dalle radiazioni ionizzanti, le quali sono in grado di formare elettroni, radicali idrossilici e idridici che sono capaci di alterare i biopolimeri, quali proteine e acidi nucleici. Una maggior pigmentazione dei batteri dovuta all’aumento della radiazione UV è avvertita per i microrganismi localizzati nell’acqua di superficie (Hermansson et al., 1987). Questi pigmenti non sono solubili in acqua, in quanto rimangono associati con la struttura cellulare (Bottazzi, 1993).

Oltre a questi, alcune specie batteriche producono due particolari colori blu, meno frequenti rispetto a quelli sopracitati:

 Glaucotalina: è un pigmento blu elaborato da Rheinheimera baltica, un microrganismo marino. La sua formula molecolare è C₃₄H₅₆N₄O₄ (p.m. 584,95) ma non è nota la sua struttura (Grossart et al., 2009).

 Indigoidina: chimicamente è il 5-5’-diamino-4-4’-diidrossi-3- 3diazochinone 2-2. Questo pigmento è sintetizzato da un complesso enzimatico che vede la glutamina ossidarsi, eterociclizzarsi e dimezzarsi in presenza di ossigeno.

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Caratteristica fondamentale è quella di insolubilità in acqua, mentre le fenazine sono pigmenti idrosolubili. Inoltre la loro produzione fenotipica è una proprietà variabile, perché la loro formazione è influenzata dalla composizione del terreno di crescita (Kerr et al., 1999) e dall’espressione dei geni specifici responsabili della sua produzione (Cantoni e Chiappa, 2011).

La produzione dei pigmenti blu è influenzata dalla temperatura (si sviluppano tra 4°C e 14°C, ma non a 30°C) e dalla fonte di carbonio (si sviluppano in presenza di glucosio, derivante da un’attività residuale enzimatica dei batteri lattici sul lattosio, ma non in presenza di galattosio, sodio succinato, sodio citrato o sodio lattato) (Chierici et al., 2016). I pigmenti blu, all’interno del genere Pseudomonas, sono prodotti fondamentalmente da Pseudomonas aeruginosa e Pseudomonas fluorescens, biovar I e IV. Per quanto riguarda quest’ultimo, le cose si complicano poiché all’interno di questa specie c’è una tale varietà di cloni fisiologicamente differenti che i tassonomi hanno individuato sinora 5 differenti biovarianti o biovar (Giaccone, 2010):

 Biovar I: cloni che hanno le caratteristiche tipiche di Ps. fluorescens.

 Biovar II: organismi saprofiti e ceppi di Ps. marginalis.

 Biovar III: comprende i ceppi fluorescenti in grado di degradare acidi carbossilici.

 Biovar IV: include ceppi di quella che un tempo era chiamata Ps. lemonnieri che producono un pigmento blu.

 Biovar V: gruppo di cloni molto eterogenei dal punto di vista delle proprietà nutrizionali e che hanno perso una o più caratteristiche ritenute essenziali per l’attribuzione a una delle precedenti biovar. Questi ceppi sono in grado di produrre sia pioverdina che indigoidina (Cantoni e Bersani, 2010).

Altra importante caratteristica dei microrganismi appartenenti al genere Pseudomonas è la produzione di siderofori (di cui la più conosciuta è la già citata pioverdina). I siderofori sono molecole a basso peso molecolare (meno di 1 KD) che hanno la funzione di legare il ferro con elevatissima affinità (Poli et al., 2005), perfino superiore a quella delle transferrine. Proprio per questa peculiarità sono consideranti agenti chelanti. La chelazione è una reazione chimica in cui solitamente un atomo metallico, viene legato da un reagente, detto chelante, tramite più di un legame coordinativo, in

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modo che la struttura del composto risultante costituisce un particolare complesso molto stabile che vede l'atomo centrale essere circondato a tenaglia dal chelante, come se fosse stretto tra le chele di un granchio (da cui il termine chelazione) (Shriver et al., 1993). Il ferro è un fattore essenziale per la crescita batterica: esso assume la funzione di cofattore nella sintesi di molti enzimi, nella reazioni di trasporto di elettroni nei sistemi biologici e nelle sintesi dell’acido ribonucleico. Il ferro è largamente presente in natura, ma non è totalmente disponibile: la concentrazione del ferro libero in natura risulta abbastanza bassa, poiché, in presenza di ossigeno e pH neutri, lo ione ferroso (Fe²ᶧ) subisce una rapida ossidazione a ione ferrico (Fe³ᶧ), ed infine si forma l’idrossido ferrico (Fe(OH)3), che è insolubile ed indisponibile per i microrganismi (Neilands, 1981; Crosa e Walsh, 2002). La biodisponibilità del ferro risulta essere circa 10⁻⁹-10⁻¹⁸ M, ma i microrganismi ne richiedono concentrazioni pari a 10⁸ M per la loro crescita ottimale e per effettuare i fisiologici processi metabolici (Saha et al., 2013). I siderofori (anche detti “molecole di riporto”), una volta prodotti e rilasciati dal batterio, legano il ferro allo stato ferrico ed il complesso viene reintrodotto nella cellula batterica allo stato ferroso, grazie a speciali recettori di superficie (Ratledge e Dover, 2000; Neilands, 1995).

Sono stati identificati circa 500 siderofori, ma tutti condividono la stessa struttura: un’unità funzionale, il cromoforo, che lega molecole di ferro (transferrina o lattoferrina) e determina la fluorescenza o la pigmentazione della molecola (Meyer et al., 2002), ed una catena peptidica dorsale di 6-12 aminoacidi, che interagisce con un recettore presente sulla superficie della membrana dei batteri (Cornelis e Matthijs, 2002). Finora sono state riconosciute 40 diverse strutture peptidiche, dove sono coinvolti amminoacidi inusuali come l'acido diaminobutirrico, δ-N-acile (acetil o formil o β- idrossibutirrile), δ-N-idrossiornitina, δ-N-idrossiornitina ciclizzata, acido β- idrosiaspartico e β-idrossiistidina, così come amminoacidi comuni. Gli amminoacidi idrossi, insieme al gruppo catecolo-like del cromoforo, partecipano alla complessazione del ferro, mentre gli altri aminoacidi possono essere coinvolti nel riconoscimento e legame del ferro complessato al recettore della ferripioverdina, che si trova nella membrana esterna: in questo modo la molecola è preparata sia per la ferrochelazione con elevata affinità, sia per il trasporto del ferro nella cellula batterica. La specificità rende ogni sideroforo unico, nel senso che il recettore dei siderofori di un batterio riesce a riconoscere solo ed esclusivamente la catena peptidica di un

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singolo sideroforo, anche se le stesse catene peptidiche possono riconoscere più siderofori, ma esprimendo diversi recettori. Ma possono esserci delle eccezioni, un esempio è dato da Ps. aeruginosa ATCC 15692, il cui recettore ferropioverdina situato nella membrana più esterna riconosce entrambi gli omologhi, ferropiroverdina e ferripioverdina, di Pseudomonas fluorescens ATCC 13525 (Meyer, 2000). Questo duplice riconoscimento potrebbe essere causato da un loop interno comune nella struttura della ferropioverdina e della ferripioverdina.

Strutturalmente queste sostanze possono essere catecolati, idrossamati, fenolati e carbossilasi, e forme più complesse come gli idrossicatecolati, quali la pioverdina, che possiede sia gruppi idrossamati che catecolati. Le pioverdine sono formate da tre parti distinte (Figura 9):

1) un cromoforo, sito di legame del Fe³ᶧ, l'acido (1S) -5- ammino- 2,3 diidrossi-1H-pirimido [1,2-a] chinolina-1- carbossilico, che è identico a tutte le pioverdine;

2) una catena peptidica, contenente da 6 a 12 aminoacidi, che ha funzione duplice: fornisce gli altri due ligandi per il Fe³ᶧ ed inoltre è responsabile del complesso che si trova sulla superficie cellulare;

3) una catena laterale acilica, formata da un residuo dell'acido dicarbossilico che può essere o succinato o la sua ammide, oppure l'α-chetoglutarato o glutammato, a seconda del ceppo di produzione e dai fattori di crescita disponibili (Budzikiewicz, 1997; Meyer, 2000).

Figura 9. Struttura chimica della pioverdina (Wendenbaum et al., 1983).

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Oltre alla pioverdina, esiste anche il sideroforo pyochelina (Figura 10).

Questa deriva dalla condensazione dell’acido salicilico e due molecole di cisteina. Le pyocheline si legano allo ione ferrico, solo se presente in quantità di ferro sufficientemente disponibile (Mossialos et al., 2000).

Altri siderofori prodotti da Pseudomonas sono: acido salicilico, N-metil-N-tioformilidrossilammina (fluopsinF), piridina, chinolina, acidi tiocarbossilici (Budzikiewicz, 1997), pseudomonina (derivante dalla condensazione dell’acido salicilico con treonina e istamina) ed indigoidina.

I geni per la biosintesi di siderofori sono sotto il controllo di una cascata di regolatori che ne garantiscono l’espressione in riposta alla carenza di ferro (Giarratana et al., 2012). La sintesi avviene in determinate condizioni di crescita, in relazione a vari fattori: disponibilità o meno di carbonio organico, la presenza di una fonte di energia, pH, luce, aereazione, presenza o assenza di cationi di ferro, magnesio e zinco (Meyer e Abdallah, 1978).

La pioverdina agisce anche da molecola segnale per l’induzione dei rispettivi geni biosintetici, stimolando la propria sintesi attraverso un meccanismo di trasduzione del segnale mediato dal recettore. Inoltre, gli stessi regolatori della biosintesi di pioverdina controllano, direttamente o indirettamente, l’espressione dei geni per l’esotossina A e varie proteasi. Vi è anche una stretta correlazione fra disponibilità di ferro e formazione di biofilm: la carenza di ferro limita la formazione di biofilm ad opera del batterio, mentre l’acquisizione di tale metallo mediante la pioverdina ne stimola la formazione. I risultati di recenti ricerche hanno dimostrato che la proteina AlgQ di Ps. aeruginosa agisce come antagonista del fattore sigma vegetativo, favorendo in tal modo l’espressione di geni controllati da fattori sigma alternativi, quali quelli deputati alla trascrizione dei geni per la biosintesi della piovedina (PvdS) e dell’alginato (AlgU) (Visca, 2005).

Figura 10. Struttura chimica della pyochelina (Sun e Zhong, 2006).

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I batteri del genere Pseudomonas sono ubiquitari, infatti si possono riscontrare in svariati ambienti quali acqua, suolo, vegetazione e materiale organico in decomposizione, ed hanno anche la capacità di adattarsi in ambienti ostili, per valori di pH e concentrazioni di sale (Leriche, 2004), essendo microrganismi con scarse esigenze nutrizionali. Nel complesso gli Pseudomonas si possono dividere in organismi saprofiti (in cui rientrano quelli di interesse lattiero-caseario) e patogeni (Bottazzi, 1993).

Le metodiche microbiologiche per l’isolamento e la caratterizzazione del fenotipo più utilizzate sono:

 Caratterizzazione morfologica della cellula: grazie alla colorazione di Gram possono essere descritte la forma e le dimensioni del batterio o l‘eventuale presenza dei flagelli. Può essere effettuata mediante la crescita selettiva su terreni di coltura agarizzati dove è possibile apprezzare la forma, le dimensioni e il colore delle colonie batteriche, inoltre si possono valutare anche le caratteristiche nutrizionali grazie alla capacità dei microrganismi di degradare particolari molecole come ad esempio acidi organici, amminoacidi o polialcoli (in questo caso nel terreno vi sono indicatori di variazione del pH, oppure si valuta la produzione di gas). Gli Pseudomonas crescono bene su vari terreni colturali, in cui sviluppano colonie larghe, lisce e con il centro leggermente rialzato. In agar, le forme cromogene danno luogo a colonie dai margini irregolari, in cui si possono individuare della placche (simili a quelle prodotte dai fagi) dovute all’azione proteolitica degli enzimi prodotti; mentre le forme apigmentate danno vita a colonie simili a quelle degli enterobatteri. In brodo lo sviluppo è caratterizzato da un intorbidimento uniforme del liquido colturale, con la formazione di una sottile pellicola superficiale e, in alcuni casi, di un leggero sedimento sul fondo della provetta (Tiecco, 2000). I terreni più utilizzati per l’isolamento sono:

 Pseudomonas agar base (PAS): terreno selettivo, utilizzato secondo la norma ISO 13720:1995.

 Agar Cetrimide Fucidina Cefaloridina (CFC): composto da peptone di gelatina, idrolisato di caseina, solfato di potassio, cloruro di magnesio e agar, con il supplemento di cetramide (che permette lo

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sviluppo di Pseudomonas, inibendo i batteri appartenenti ai generi delle Enterobacteriaceae e i lieviti nel complesso). Utilizzato per l’analisi di campioni carnei.

 Agar Penicillina Pimaricina (PPA): costituito da peptoni che forniscono i nutrienti per la replicazione e lo sviluppo, e la presenza di cloruro di magnesio e di solfato di potassio che garantiscono un equilibrio osmotico che consente la produzione di piocianina e/o di fluorescina. La selettività del terreno, è determinata dalla presenza di Penicillina Pimaricina Supplement che inibisce la crescita della maggior parte degli altri microrganismi contaminanti, quali i lieviti. Utilizzato per l’analisi di campioni lattei.

 Terreni formulati per Enterobacteriaceae, dai quali è possibile distinguerli sulla base del test dell’ossidasi (gli Pseudomonas, a differenza delle Enterobacteriaceae, risultano positivi), del test di fermentazione del glucosio (al quale risultano negativi), tramite PCR o API-sistem (kit API 20 NE: No-Enterobacteriaceae).  Crescita a diverse condizioni ambientali: variazione di temperatura, pH,

presenza di inibenti, nutrienti, additivi;

 Profili di antibiotico-resistenza: viene valutata la capacità dei ceppi di resistere o meno a determinati antibiotici;

 Tecniche immunochimiche: vengono studiati i diversi antigeni mediante la selettiva interazione antigene-anticorpo. Si utilizzano per esempio saggi ELISA (Enzyme-linked immunosorbent assay) o RIA (Radioimmunoassay).

 Produzione di antibiotici o enzimi: su terreni agarizzati può essere per esempio visualizzata la secrezione di proteasi, fosfolipasi C e lipasi.

2.3 EFFETTI SUI PRODOTTI ALIMENTARI

La maggior parte delle specie appartenenti al genere Pseudomonas, siano esse pigmentanti oppure no, sono responsabili della comparsa di processi alterativi degli alimenti ricchi in sostanze proteiche, soprattutto quando sono conservati in ambiente refrigerato (carne, pesce, latte e derivati lattiero-caseari). Le concentrazioni batteriche

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medie in grado di provocare fenomeni alterativi negli alimenti si attestano su valori superiori a 10⁶-10⁷ ufc/g: in genere gli Pseudomonas ricoprono il 10-40% della popolazione microbica totale nei campioni di carne alterata, e l’1-10% per il pesce (Gennari e Dragotto,1992).

Le Pseudomonadacee, essendo ubiquitarie nell’ambiente, sono presenti nel terreno, nel pulviscolo atmosferico e nelle acque di scorrimento superficiale, dove provvedono attivamente al processo di mineralizzazione della sostanza organica. Da questi siti di proliferazione naturale, possono trasferirsi facilmente su tutti i vegetali, difatti sono in assoluto uno dei componenti più numerosi della flora microbica di ortaggi e frutta, (specialmente se a foglia verde come le insalate), ed estendersi agli animali in allevamento, giustificando così il loro passaggio alle materie prime di origine animale, quali le carni e il latte crudo. Il fatto poi che l’uomo porti quasi subito queste materie prime a temperatura di refrigerazione, intorno a 0-2°C, favorisce la selezione degli Pseudomonas fra i vari componenti della microflora iniziale di qualunque alimento, grazie alla loro psicrotolleranza, e accentua la loro diffusione lungo tutta la catena alimentare (Cantoni et al., 2003). Essendo in grado di crescere in maniera ottimale a 25°C e di moltiplicarsi anche a temperature di refrigerazione il microrganismo può arriva a costituire fino al 90% della flora microbica totale di un alimento, se ha tempo di moltiplicarsi (De Jonghe et al., 2011).

Le Pseudomonadaceae possono ricoprire il ruolo di organismi alterativi specifici (“specific spoilage organisms”), che rendono il prodotto alimentare inaccettabile ed inadeguato per il consumo umano, in funzione di alcune loro capacità:

 Di utilizzazione di vari composti organici del carbonio (anche semplici) come fonte di energia, e come fonti di materiali plastici composti azotati inorganici.  Di sintesi di tutti i fattori di crescita loro necessari.

 Di sviluppo a basse temperature e quindi di crescita pure sui prodotti alimentari conservati con il freddo. È stato dimostrato che per una contaminazione di Ps. fluorescens di 10 o 1000 ufc/g, è sufficiente una conservazione a 20°C per sviluppare il difetto di pigmentazione in 12 ore (nella maggior parte dei casi, in meno di 6 ore) (Cenci Goga et al., 2014). Essendo aerobi stretti si sviluppano sulla superficie dei cibi, determinando anche viscosità.

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 Di produrre varie sostanze aromatiche poco gradevoli, ad esempio è stato dimostrato che Pseudomonas fluorescens, Ps. fragi, Ps. putida, Ps. sapolactica e Ps. aeruginosa possono essere responsabili di alcuni off-flavour nel latte, come sapone, mela, muffa e rapa (Gürsoy e Kinik, 2011)

 Di produrre enzimi responsabili della comparsa di fenomeni alterativi nei prodotti conservati a temperature di refrigerazione (in particolare carne e latte), quali:

a) proteasi – esoenzimi prodotti durante la fase esponenziale e all'inizio della fase stazionaria di crescita ad una temperatura ottimale di 18-21°C (esistono, tuttavia, ceppi in grado di produrre queste proteasi anche a 5°C). Le proteasi sono dei metalloenzimi, che hanno bisogno di Ca²ᶧ come cofattore per la loro attività proteolitica, con peso molecolare compreso tra 23.000 e 50.000, termostabili con D₁₄₀ compreso tra 0,5 e 1'. La temperatura ottimale perché questi enzimi svolgano la propria attività è di 30-45°C ed il pH di 6,5-8,0. Solo con trattamenti termici importanti, ad esempio quello di sterilizzazione per 20 minuti a 121°C, si può ridurre la loro attività (Rajmohan et al., 2002). Possono provocare difetti strutturali nel latte UHT e sterilizzato, quali gelificazione, sedimento, e gusto amaro, come pure diminuzione della resa nella produzione del formaggio (Ray, 2004). Attaccano, in ordine decrescente, le caseine k, β e αS1 (Arslan et al., 2011).

b) lipasi – scindono i trigliceridi idrolizzando il legame tra glicerolo e acidi grassi, causando dunque irrancidimento, saponificazione e portando alla formazione di sapori amari dovuti alla formazione di acidi grassi a catena media. Vengono prodotte alla temperatura ottimale di 8°C e pH 7,0. Hanno un peso molecolare di 30.000 D. La temperatura ottimale di attività è di 30-50°C e il pH di 7,0-9,0. Anche le lipasi sono termostabili, ma questa stabilità è notevolmente inferiore a quella delle proteasi: infatti, perdono dal 15% al 56% di attività a 63°C per 30' o dall'1,5% al 41% a 72°C per 17'' (Mayerhofer et al., 1973).

c) lecitinasi - agiscono sui fosfolipidi dei globuli di grasso, degradandone le membrane e rendendo i grassi più facilmente

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attaccabili dalle lipasi (Tiecco, 2000; Herrera, 2001; Ray, 2004). Provocano cambiamenti di aroma nel latte.

Tali enzimi sono importanti dal momento che, essendo termostabili, possono provocare alterazioni organolettiche, quali gusto amaro, odore di ammoniaca, colliquazione e rammollimento, anche in prodotti alimentari termicamente trattati (Chen et al., 2003; Meer et al., 1991; Sørhaug e Stepaniak, 1997). Prove sperimentali su proteasi estratte da Ps. fluorescens, hanno dimostrato che con un riscaldamento a 121°C per 2 minuti, solamente il 40% dell’attività enzimatica iniziale viene persa (Patel et al., 1983).

 Cromogena, che determina anomale colorazioni superficiali degli alimenti.

 Di ubiquitarietà, che li rende potenzialmente contaminanti di qualsiasi alimento.

 Di salda adesione alle superfici, attraverso la formazione di un biofilm difficile da eliminare e che può diventare una continua fonte di contaminazione secondaria degli alimenti (Van Der Kooij et al., 1982; Legnani et al., 1999), ed inoltre molti ceppi presentano una certa resistenza ai comuni prodotti per la pulizia e disinfezione dei locali e delle attrezzature (Whitacre e Gunther, 2012; Carrascosa et al., 2015).

A causa dell’alto valore nutrizionale, il contenuto in acqua ed il pH vicino alla neutralità del latte, molti microrganismi patogeni ed alteranti possono svilupparsi in questo (Ray, 2004; Marchand et al, 2009). Secondo il Regolamento CE 853/2004 (All.3 Sez.IX), il latte appena munto deve essere depositato presso l’azienda produttrice in serbatoi refrigerati, in cui la temperatura non deve superare la soglia di 8°C (per raccolta giornaliera) o 6°C (per raccolte non giornaliere). Proprio nella fase di stoccaggio, prima della lavorazione vera e propria, si crea una condizione selettiva per la crescita e lo sviluppo di batteri psicrotolleranti, che possono anche arrivare a costituire il 90% della popolazione microbica totale (Magan et al., 2001). Come dimostrato da uno studio svolto in nord-Europa: è proprio questa fase quella più predisposta allo sviluppo di batteri Gram-negativi psicrofili, quali Pseudomonas (Eneroth et al, 1998). Già in base alla durata dello stoccaggio e alla carica iniziale di

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tali batteri, si possono riscontrare poi i difetti strutturali del latte alimentare prima citati.

Nel latte, come evidenziato da recenti lavori, predominano ceppi appartenenti a Pseudomonas lundensis, Ps. fragi e fragi-like, Ps. fluorescens e fluorescens-like e Ps. gessardi (De Jonghe et al., 2011), coinvolti non solo in alterazioni organolettiche legate all’attività di lipasi e proteasi, ma anche a variazioni cromogeniche (Browne e Lucke, 2010) (Figura 11).

Figura 11. Batteri del genere Serratia (sx) e Pseudomonas (centro) nel latte (dx) osservati a fluorescenza con lampada di Wood (www.regione.vda.it/gestione/riviweb/templates/aspx/informatorenew.aspx?pkArt=1266). Nei prodotti lattiero-caseari vanno citati Pseudomonas synxantha, che dà al latte un colore giallo e Pseudomonas syncyanea, che rende il latte blu (Cenci Goga et al., 1995).

Nel caso del latte e dei suoi prodotti derivati, le lipasi prodotte da questi microrganismi possono causare comparsa di sapore amaro, di odori atipici e di rancido (Wiedmann et al., 2000; Doyle et al., 2001; Dogan e Boor, 2003; Giaccone, 2010), mentre le proteasi, degradando la caseina, conferiscono sapore amaro e gelificazione dei prodotti UHT (Datta e Deeth, 2001). Va ricordato che anche altre specie del genere possono dare pigmentazioni anomale dei formaggi, ad esempio Ps. aureofaciens e Ps. putida biovar II che possono conferire colore rosso alle ricotte (Cantoni et al., 2006) (Figura 13). La produzione di proteasi extracellulari sembrerebbe favorire anche l’attivazione della plasmina del latte, la quale andrebbe poi ad influenzare la qualità dei prodotti derivanti (Fajardo-Lira et al., 2000).

Nelle produzioni di burro e crema Ps. fragi e Ps. fluorescens sono i principali responsabili dell’irrancidimento dei prodotti, per via dell’intensa attività lipolitica. Nei formaggi freschi Ps. fluorescens determina la formazione di slime e pigmentazioni

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anomale (Figura 12), mentre nei formaggi semiduri e duri comporta perdite di resa, di consistenza e di stabilità del prodotto (Samarzija et al., 2012). Questo accade per i caratteri relativamente poco inibitori dei formaggi nazionali (ad esempio, valori di pH >6.0): queste produzioni consentono la proliferazione degli organismi responsabili dello spoilage, e dei possibili patogeni se presenti (Martin et al., 2011).

Figura 12. Formaggio fresco contaminato da Pseudomonas fluorescens (www.italiaatavola.net/articolo.aspx?id=18816).

Figura 13. Riccotta contaminata da Pseudomonas putida

(http://www.ansa.it/web/notizie/photostory/primopiano/2010/09/14/visualizza_new.html_1783354337.html?idPh oto=9).

Per nostro maggior interesse, si ricordano le principali alterazioni causate da Pseudomonas nella mozzarella (Caputo et al., 2015) (di cui alcuni esempi in Figura 14):

Pigmentazione blu, per Ps. fluorescens biovar IV e Ps. libanensis.

Pigmentazione rosa-rossastra, per Ps. putida.

Pigmentazione gialla, per Ps. gessardii.

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Figura 14. Alterazioni cromatiche della mozzarella dovute a Pseudomonas

(http://www.ansa.it/web/notizie/photostory/primopiano/2010/09/14/visualizza_new.html_1783354337.html?idPh oto=6 e

http://www.ansa.it/web/notizie/photostory/primopiano/2010/09/14/visualizza_new.html_1783354337.html?idPhot o=3).

La carne fresca presenta dei caratteri favorevoli alla proliferazione degli Pseudomonas: la composizione altamente proteica; il tessuto magro di cui è costituita rappresenta una fonte di energia prontamente disponibile; valori di pH che si aggirano normalmente tra 5,5 e 6,5; le temperature e la durata della normale refrigerazione (5°C). Le alterazioni provocate, in seguito al catabolismo degli amminoacidi, riguardano maggiormente lo sviluppo di odori ammoniacali, ma anche la comparsa di macchie cangianti verde-blu scuro luminescente- blu scuro buio (Cenci Goga et al., 2014) (Figura 15 e 16).

Nelle carni, nei loro ambienti di lavorazione e in modo particolare nei laboratori di sezionamento e lavorazione, dominano Ps. fluorescens biovar IV, Ps. libanensis e Ps. fragi. In particolar modo P. fragi (in grado di utilizzare la creatina e creatinina presente nelle carni) è la specie dominante nelle carni fresche alterate (Drosinos e Board, 1995; Franzetti e Scarpellini, 2007).

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Figura 16. Carne di maiale contaminata da Pseudomonas fluorescens (http://english.cri.cn/6909/2011/12/14/2941s671559.htm).

Il pesce, vivendo in un ambiente ricco di microrganismi, naturalmente può presentare batteri vitali sulla cute, sulle branchie e nell’intestino, mentre ne risultano sterili le masse muscolari. Nel pesce vengono segnalati principalmente Ps. aeruginosa e Ps. fluorescens, che sono considerate specie patogene opportuniste per numerose specie ittiche (Angelini e Seigneur, 1988) (Figura 17), Ps. putida, che può indurre gravi ulcerazioni della pelle e Ps. chlororaphis, responsabile di setticemie nelle trote (Altinok et al., 2006), Ps. anguilliseptica per l’anguilla e Ps. plecoglossicida per l’ayu. Tali specie, oltre a comportarsi come patogeni opportunisti sull’animale, sono in grado poi di provocare alterazioni nell’alimento ricavato da questo.

Figura 17. Alterazioni da Pseudomonas fluorescens nei pesci (https://veteriankey.com/bacterial-diseases-2/). Nelle insalate pronte al consumo (alimento di quarta gamma) si isola molto frequentemente Ps. fluorescens, seguito da Ps. putida (Caldera e Franzetti, 2014).

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La loro naturale presenza nelle acque di scorrimento superficiali fa sì che gli Pseudomonas siano frequentemente presenti anche nelle acque potabili “di lavoro”, utilizzate nelle industrie alimentari, data anche la loro capacità di resistere alla clorazione delle acque meglio dei batteri di origine fecale, quali i coliformi, e dei microrganismi patogeni. Per questo motivo le acque utilizzate all’interno del processo produttivo, che siano quelle necessarie alla lavorazione stessa, come quelle impiegate per la salamoia, o quelle utilizzate sulle superfici con cui viene a contatto l’alimento, risultano essere il maggior veicolo di propagazione batterica (Cousin, 1982; Santella e Schmitt-Roschmann, 2010). Ad esempio, Pseudomonas gessardii è stato indicato come causa di pigmentazione anomala (blu intensa) in carcasse di coniglio contaminate dall’acqua utilizzata per la sanificazione delle superfici dell’impianto di lavorazione (Sarale et al., 2010). Ne risulta pertanto che il controllo delle acque impiegate nella produzione di alimenti, ma anche di quelle fornite all’animale produttore dell’alimento stesso, è essenziale per evitare la contaminazione della derrata (Carrascosa et al., 2015).

Tuttavia, trattandosi di un microrganismo non patogeno per via alimentare, Pseudomonas non è stato sino ad oggi preso in considerazione nella legislazione europea e nazionale e non sono stati stabiliti limiti di accettabilità di presenza negli alimenti.

Il solo riferimento normativo inerente Pseudomonas è contenuto nel Dgls n. 31 del 2001 che, pur non considerando Pseudomonas spp. come contaminante da monitorare tra i criteri di potabilità delle acque destinate al consumo umano, richiede però l’assenza di Ps. aeruginosa nelle acque messe in vendita in bottiglie o contenitori. Per quanto riguarda Ps. fluorescens, essendo un contaminante ambientale, potrebbe essere considerato un criterio di igiene del processo, alla stregua delle Enterobacteriaceae, anche se non rientra tra i criteri di processo previsti dal Reg.(CE) n.2073/2005 e successive modifiche. Ciò nonostante, livelli elevati di Ps. fluorescens (> 7-8 log ufc/g), benché non pericolosi per il consumatore, potrebbero essere considerati tali da rendere l’alimento inadatto al consumo umano e quindi, in base all’articolo 14 comma 5 del Reg.(CE) n.178/2002, passibile di ritiro dal mercato.

Nell’ambito dell’ordinamento nazionale, l’effetto della contaminazione da Pseudomonas degli alimenti, sotto il punto di vista delle alterazioni organolettiche provocate, è considerato nella Legge 30 aprile 1962 n.283, “Disciplina igienica della

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produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande” il cui art. 5 vieta la vendita e la somministrazione di alimenti:

b) in cattivo stato di conservazione,

d) insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ovvero sottoposte a lavorazioni o trattamenti diretti a mascherare un preesistente stato di alterazione.

Migliorare i metodi di identificazione e di monitoraggio di questi organismi all’interno dei processi di produzione e trasformazione dell'alimento è importante per comprendere, ridurre o addirittura eliminare la frequenza di contaminazione (Martin et al., 2011). Considerando che la proliferazione di Pseudomonas è da temere soprattutto in substrati con valori di pH superiori a 5,8 e con aw superiori a 0,940, sempre in presenza di ossigeno atmosferico (il confezionamento sotto vuoto inibisce quasi del tutto questi batteri, così come un confezionamento in MAP privo di ossigeno), in alimenti con tali caratteristiche si deve tener conto della possibile presenza del batterio. Per cui, durante il processo produttivo deve essere posta attenzione all’applicazione rigorosa delle Buone Pratiche di Lavorazione, al fine di tenere sempre sotto controllo le loro cariche sia sul prodotto che sulle superfici a contatto con questo.

2.4 PATOGENICITÀ VERSO UOMO E ANIMALI

I batteri del genere Pseudomonas possono essere potenzialmente patogeni sia per i vegetali che per gli animali a sangue freddo e a sangue caldo. Nell’uomo, le Pseudomonadaceae possono causare infezioni di vari organi, ma quasi sempre sono infezioni opportunistiche che colpiscono soggetti con difese organiche compromesse (Rossignol et al., 2008). Pseudomonas fluorescens, appartenendo anche alla normale flora del cavo orofaringeo umano (costituendo il 6% della flora in soggetti sani), può essere a volte responsabile di infezioni post-trasfusionali e respiratorie in persone debilitate o con difese organiche compromesse (Gershman et al., 2008), anche se in questo campo il ruolo prevalente appartiene a Pseudomonas aeruginosa. Non tutti i ceppi di Ps. aeruginosa sono in grado di sintetizzare i fattori di virulenza che li rendono infettante per l’uomo, per cui non tutti i ceppi sono concretamente pericolosi per la salute umana. Si stima che i ceppi veramente pericolosi per l’uomo (causa di infezioni ospedaliere o nosocomiali) siano l’1-2% di tutti i ceppi di Ps. aeruginosa che

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conosciamo. Di conseguenza, il rischio per la salute umana è decisamente trascurabile per i soggetti normalmente immunocompetenti, ma può essere più elevato per i soggetti immunodepressi, come sono spesso i pazienti ospedalizzati: ad esempio pazienti sottoposti a respirazione assistita, diabetici, ustionati, dializzati, con fibrosi cistica, traumatizzati e tossicodipendenti. È importante inoltre precisare che Ps. aeruginosa diventa concretamente patogena solo quando riesce a penetrare all’interno dei tessuti umani superando la barriera di cute o mucose, come capita nel caso di un danno tissutale diretto (ustioni), per uso di cateteri urinari o endovenosi o a seguito di un calo delle difese immunitarie (terapie antineoplastiche, patologie croniche debilitanti) (Peix et al., 2009; Giaccone 2010).

Considerando le loro caratteristiche, quali:  essere poco esigenti riguardo i nutrienti

 sviluppare facilmente fenomeni di resistenza agli antibiotici e ai disinfettanti comuni (Moore et al, 2006),

 formare facilmente biofilm sulle superfici di lavoro grazie al meccanismo del “quorum sensing”, che ne aumentano la resistenza alle condizioni ambientali avverse (Simoes et al, 2009). Questo perché il biofilm è un aggregazione di batteri, contraddistinta dalla secrezione di una matrice extracellulare adesiva in cui le cellule risultano strettamente attaccate l’una all’altra, con inglobamento di acqua e sostanze nutritive; in questo modo la “comunità” batterica risulta essere molto resistente, anche nei confronti di antibiotici e all’azione di anticorpi e fagociti eventualmente presenti nell’ambiente circostante.

possiamo facilmente intendere come possano diventare dei temibili agenti di infezione proprio negli ospedali.

Per quanto riguarda gli alimenti, nei quali si registri una crescita di Pseudomonas, si stima che la dose infettante minima sia di 10⁶ ufc/g di alimento, ma quasi sempre per avere concreti rischi di tossinfezione alimentare bisogna che P. aeruginosa raggiunga nell’alimento cariche non inferiori a 10⁷ ufc/g, valori francamente assai poco probabili perché comunque segnalati da evidenti modificazioni delle caratteristiche sensoriali (Giaccone, 2010).

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47  Componenti strutturali: tra cui

- adesine: pili e flagelli, che ne favoriscono l’attacco alle cellule e ne impediscono la fagocitosi.

- capsula o glicocalice (di alcuni ceppi): rivestimento di esopolisaccaride mucoide (alginato), le cui proprietà sono adesività e attività antifagocitaria.

- LPS: endotossina

 Esotossina A (ETA), che inibisce la sintesi proteica per ADP-ribosilazione di EF-2, determinando danno ai tessuti (dermatonecrosi).

 Esoenzimi S e T: sono tossine extracellulari con attività di ADP-ribosil-transferasi ad attività citotossica; nello specifico il sistema di secrezione di tipo III provoca riorganizzazione dell’actina cellulare, con alterazione del citoscheletro e danno tissutale. Inducono lesioni microvascolari polmonari.  Pigmenti:

- piocianina: danneggia la funzione ciliare, stimola la risposta infiammatoria e media il danno tessutale attraverso la produzione di ROI (anione superossido e perossido d’idrogeno) (Lau et al, 2004). In ambiente acido ha un colore variabile dal verde al giallo e quindi al rosso, mentre in ambiente alcalino è incolore.

- pioverdina: detta anche fluorescina, conferisce al terreno una colorazione dal giallo al verdastro, è insolubile in cloroformio e solubile in acqua.

- In un esiguo numero di stipiti (dall'1 al 3%) è stata evidenziata la produzione di altri due pigmenti: la piorubrina e la piomelanina.

 Enzimi:

- elastasi: Las-A (serina-proteasi) e Las-B (zinco-metallo-proteasi) che agiscono sinergicamente e distruggono i tessuti contenenti elastina, collagene, Ig e fattori del C’.

- proteasi alcalina: distrugge i tessuti, inattiva IFN-γ e TNF (interferoni).

- fosfolipasi C: emolisina termolabile che degrada lipidi e lecitina, e danneggia i tessuti.

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- ramnolipide: emolisina termostabile che inibisce la motilità ciliare dell’epitelio respiratorio, e stimola la risposta infiammatoria.

 Resistenza agli antibiotici: dovuta a mutazione delle porine e produzione di β-lattamasi (penicillinasi, cefalosporinasi, carbapenemasi).

Le infezioni da Pseudomonas aeruginosa possono colpire molte sedi come cute, tessuti sottocutanei, ossa, orecchie, occhi, tratto urinario e valvole cardiache (Yahr e Parsek, 2006) (Tabella 6). La sede varia a seconda della porta d'ingresso e della vulnerabilità del paziente. In genere si hanno:

 Infezioni della cute e dei muscoli scheletrici: si riscontrano ad esempio follicoliti dovute ad immersioni in acque contaminate.

 Infezioni di ustioni e ferite chirurgiche: dal danno vascolare localizzato si passa alla necrosi tissutale fino alla batteriemia.

 Infezione del sistema nervoso centrale.

 Infezioni localizzate: otiti esterne o medie, con secrezione purulenta; infezioni dell’occhio in seguito ad un trauma alla cornea o per esposizione ad acqua contaminata.

 Batteriemia: in pazienti neutropenici, con diabete mellito, ustioni diffusa e patologie ematologiche maligne.

 Endocardite: in soggetti tossicodipendenti, per via intravenosa, con coinvolgimento della valvola tricuspide.

 Infezioni del tratto urinario: in pazienti sottoposti a manipolazioni urologiche, affetti da uropatie ostruttive o che abbiano ricevuto terapie antibiotiche ad ampio spettro.

 Infezioni del tratto respiratorio: croniche nei pazienti con fibrosi cistica, e polmoniti acute negli altri soggetti. Le infezioni delle vie respiratorie vanno da una colonizzazione asintomatica o da una tracheobronchite benigna sino a gravi broncopolmoniti necrotizzanti. La malattia invasiva in questi pazienti è caratterizzata da una broncopolmonite bilaterale diffusa con la presenza di microascessi e necrosi del tessuto. La mortalità è del 70%. Le condizioni

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predisponenti possono essere una precedente terapia antibiotica ad ampio spettro che distrugga la normale flora protettiva, o l’uso di apparecchiature terapeutiche per le vie respiratorie contaminate.

Tabella 6. Panoramica delle infezioni da Pseudomonas aeruginosa nell'uomo (Zavanella e D'Incau, 2004).

Distretto interessato Vie d’infezione e conseguente malattia

Pelle Ferite, ustioni, traumi chirurgici,

infezioni da inoculazioni intravena, necrosi emorragica della cute o ectima gangrenoso.

Orecchio Otite esterna dei nuotatori, otite interna dei diabetici

Occhio Traumi operatori

Apparato uro-genitale Infezioni delle vie urinarie da catetere o da irrigazioni

Apparato digerente Diarrea nei bambini (febbre di Shanghai), forme diarroiche colera-simili, tiflite nei leucemici, ascessi rettali nei malati di tumore

Sistema circolatorio Metaemoglobinemia

Sistema respiratorio Polmonite necrotizzante da respiratori contaminati, infezioni da intubazione endotracheale, sindrome da stress respiratorio nell’adulto, fibrosi cistica

Sistema nervoso Meningite da rachicentesi

La terapia antibiotica è possibile, ma molto difficile, vista la resistenza dei batteri verso una vasta gamma di antibiotici, tra cui la penicillina (Arslan et al., 2011), spesso

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acquisita durante l’infezione stessa, e l’immunodepressione dei soggetti da curare. Per questo si deve operare preliminarmente un antibiogramma per la definizione di un esatto spettro di antibiotico-sensibilità (Poli et al., 2005), al fine di stabilire una terapia mirata, evitando quelli ad ampio spettro, e fare un uso combinato di antibiotici (in quanto una monoterapia potrebbe portare al fenomeno di selezione della flora indesiderata), ad esempio penicilline, cefalosporine e carbapenemici, o aminoglicosidi e beta lattamici, oppure ancora cloramfenicolo e fluorochinoloni.

Merita infine di essere ricordato il fatto che in questi ultimi anni è stato osservato che certi alimenti fermentati a base di soia, arachidi, ecc... contaminati con Ps. cocovenenans sono in grado di provocare fatti morbosi nell'uomo (quali ipoglicemia, spasmi, incoscienza e a volte morte) in seguito alla formazione nel prodotto di due diverse tossine (acido bongrekico e tossiflavina) da parte di questo microrganismo.

Negli animali da reddito, l’infezione da Pseudomonas aeruginosa, si estrinseca in fenomeni generalizzati di tipo setticemico o in flogosi a prevalente carattere purulento, localizzate o diffuse, spesso con esito letale. Generalmente si possono riscontrare: dermatiti, otiti, ulcere corneali, meningiti, broncopolmoniti, enteriti, mastiti, metriti, flogosi urinarie (pieliti e cistiti), ascessi splenici ed epatici, artriti e altro ancora (Tabella 7). La più comune porta d'ingresso del batterio è rappresentata dalla cute, essendo batteri commensali nell’apparato enterico e della cute degli animali (Poli et al., 2005), ma la penetrazione nell'organismo può avvenire anche a livello del rinofaringe, delle vie respiratorie, dell'apparato digerente e genitale, e della mammella.

Nel caso della bovina l'insediamento di Ps. aeruginosa nella mammella avviene di solito per via intracanicolare in seguito a infusione attraverso il capezzolo di preparazioni antibiotiche contaminate oppure tramite le tettarelle della mungitrice meccanica impropriamente disinfettate. Si tratta di una mastite purulenta acuta parenchimatosa, senza tendenza all'ascessualizzazione, ad insorgenza improvvisa e con reazione locale intensa: la secrezione si mostra profondamente alterata, contiene sangue o assume colore bruno-scuro e verde bluastro. Lo stato generale dell’animale appare sin dall'inizio seriamente compromesso (febbre elevata, depressione del sensorio, andatura incerta e barcollante, progressivo dimagrimento), ed il quadro morboso si conclude frequentemente con la morte. Raramente la mastite da Ps. aeruginosa assume le caratteristiche di una flogosi catarrale. In tal caso la remissione

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dei sintomi locali è abbastanza rapida, anche se non di rado l'infezione può recidivare più volte nel corso della lattazione. In ogni modo non appare compromesso lo stato generale dell'animale e l'esito è benigno tanto per la vita che per la produttività (Farina e Scatozza, 1998). La terapia antibiotica anche per gli animali è possibile, con le precauzioni prima descritte per la terapie dell’uomo. La forma principale di lotta a questo tipo di infezione rimane la prevenzione, che si basa sostanzialmente sull'identificazione ed eliminazione delle sorgenti d'infezione, sulla riduzione degli stress e sulla massima cura dell'igiene degli ambienti (ricoveri, mungitura, parto e puerperio, operazioni chirurgiche, incubazione e schiusa delle uova, tosatura, ecc.).

Nei volatili (polli, tacchini, fagiani, anatre) Ps. aeruginosa è stata più volte riconosciuta responsabile di mortalità embrionale e di forme acute in soggetti neonatali caratterizzate da abbattimento, congiuntivite, diarrea, incoordinazione dei movimenti, edema degli organi erettili (cresta, bargigli, caruncole), dei seni infraorbitali e delle articolazioni. Le infezioni presentano un’elevata percentuale di esiti letali in 24-48 ore.

Negli animali da pelliccia (cincillà e visone) l'infezione assume di frequente carattere endemico e si traduce solitamente in gravi forme enteriche e altrettanto gravi forme respiratorie (polmonite emorragica), che s'instaurano per inalazione del microrganismo in seguito, si suppone, all'annusamento di alimenti inquinati (Farina e Scatozza, 1998). Una profilassi immunizzante a mezzo di vaccini è stata attuata in alcuni paesi unicamente per limitare i danni della malattia in questo tipo di animali.

Negli altri animali (suini, equini, cani, gatti, rettili) Ps. aeruginosa determina processi infiammatori, a carattere prevalentemente purulento, circoscritti a vari organi o apparati (quali otiti, dermatiti, cistiti, ascessi, enteriti), o, in rari casi, setticemie (Poli et al., 2005).

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Tabella 7. Panoramica delle infezioni da Pseudomonas aeruginosa in varie specie animali (Zavanella e D'Incau, 2004).

Specie Azione patogena

Bovini/Ovi-caprini Mastite purulenta acuta parenchimatosa, infezioni cutanee, uterine, enteriche, aborti

Suini Epidermite essudativa, enterite, rinite atrofica, polmonite cronica, mastite, infezioni dell'apparato genito-urinario

Equini Otiti, dermatiti, cistiti

Volatili (polli e tacchini) Mortalità embrionale e neonatale nei pulcini con difficoltà di schiusa, scarso riassorbimento del sacco vitellino e quadri di onfalite

Animali da pelliccia (visone e cincillà) Polmoniti, enteriti

Cani e gatti Processi infiammatori cutanei a carattere purulento, otorrea

Rettili Ascessi, setticemie

Oltre a Ps. aeruginosa, numerose altre specie sono patogene per gli animali: ne sono esempi Ps. anguilliseptica nei pesci come l’anguilla e Ps. chlororaphis negli uccelli (Peix et al., 2009).

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