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STAGIONI. primavera. IgO J

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L E

STAGIONI

primavera

IgO J

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LE

STAGIONI

primavera

1.9 6 J

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SOMMARIO

ANNO V

NUMERO 2

G. GROSSO La Torino degli alfari pago 5

J.

TINBERGEN 1 miei libri 7

G. ROTA La filatelia 10

M. ABRATE, M. MARTINEZ, SER

La Belle Epoque 14

M. LONGO «Arrivare» 25

R. MOLARI L'acqua 29

E. GIANERI (GEC) La macchi11a derisa 33 D. H. ROBERTSON Il Marziano e la libertà 39

li MERCEOLOGO Ortaggi e frutta 45

*** Il superuomo pubblicitario 48

F. CLAVARINO Della retorica 49

IL BIBLIOTECARIO Ogni mestiere è nobile 51

M.N. La « drive-in bank» 53

LE STAGIONI

Rivista trimestrale di varietà economica, edita dall'Istituto Bancario San Paolo di Torino. Autorizzazione del Tribunale di Torino n. 1465 in data 8 agosto 1961. Direttore responsabile: Sergio Ricossa. Direzione e ammiIÙstrazione: Piazza S. Carlo, 156 (2/209). Le opinioIÙ espresse nella rivista impegnano esclusivamente gli autori. La riproduzione di articoli 2 od illustrazioni è consentita citando la previa pubblicazione su Le stagioni.

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Giuseppe Grosso Sil/daco di Toril/o

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GIUSEPPE

GROSSO LA TORINO

DEGLI AFFARI

Abbiamo posto al Professor GitlSeppe Grosso, Sindaco di Torino, la dowGllda:

quali "ovità civiche Ella pensa pOSSa/IO i"teressare waggiorlllel1te la Torino degli alfari tlei prossimi amli? Ecco la sila cortese risposta.

La vita moderna è cosi complessa e i problemi di sviluppo di una grande città come Torino sono così organicamente legati, che l'avvenire della Torino degli affari mi appare un tutt'uno con quello, per esempio, della Torino del lavoro, o anche della Torino clùturale. Appunto guar- dando unitariamente a questo avvenire di Torino, l'attuale Amministrazione ha impostato il suo programma su alcune premesse, quali l'inserimento di un ordinato svi- luppo della Città nello sviluppo della Regione piemontese e l'inserimento di Torino e del Piemonte in una più vasta Regione europea.

li piano di grandi comunicazioni che passano per Torino o si incontrano a Torino, e che è in parte in corso di rea- lizzazione, è destinato a dare un notevole respiro alla vita economica della nostra Città. Ma credo che anche l'im- pronta di un ordine urbanistico allo sviluppo della Città e della zona metropolitana, nei rapporti colla Regione, vi abbia una importanza fondamentale. Per esempio la prospettiva del centro direzionale, anche se non di attHa- zione immediata, deve essere perseguita con un ritmo di preparazione: e il Comune vi procederà con impegno.

Per altro verso la definizione dell' assetto urbanistico del centro storico cittadino è anche lilla premessa per la

distribuzione delle attività economiche. 5

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LE STAGIONI

Ho presentato questi esempi per dimostrare la inscindi- bilità dei problemi di sviluppo. Se vogliamo scendere ancor più al caso concreto, posso ricordare che una discus- sione recente, su eventuali progetti di installazione di grandi magazzini, ha richiamato alla constatazione che il pro- blema della ubicazione deve essere visto in un quadro tale di elementi che presuppone una chiara impostazione urbanistica da parte dell' Amministrazione civica.

li problema delle comunicazioni, che è di prima essen- zialità per la vita economica, non riguarda naturalmente solo autostrade e trafori; nel campo delle comunicazioni ferroviarie la esigenza dello spostamento della stazione di srnistamento, e del raddoppiamento degli attuali binari per Trofarello e per Chivasso sono premesse di uno svi- luppo essenziale.

Occorre poi che il nostro Aeroporto possa avere il movimento di linee che gli compete; il costruirlo ha rap- presentato un grande sforzo del Comune di Torino; ora occorre fare opera di pressione sugli organi competenti perché lo sforzo non risulti vano. Torino può vantare il diritto a questo riconoscimento sulla base di liRa obbiettiva valutazione di ~iò che essa rappresenta nell' economia del nostro Paese.

Ed ora, in rapporto alla domanda fattami, dovrei almeno accennare ancora alle prospettive per i mercati generali.

Ma, per le ragioni che ho richiamate, insisto sul rilievo che la Torino degli affari si innesta nello sviluppo organico della Città e che tutto il programma e lo sforzo dell' Am- ministrazione civica la interessa direttamente.

E non voglio chiudere senza sottolineare un problema base dello sviluppo economico: quello della istruzione, qualificazione e riqualificazione professionale. È oggi un punto nevralgico e il Comune ne ha fatto oggetto di una particolare impostazione programmatica.

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fAN

TINBERGEN:

l M l E 1

LIBRI

È certo interessante chiedersi quali libri abbiano pr~­

dotto una impressione indimenticabile contribuendo COSl, più degli altri, alla formazione di una personalità. Il caso ha la sua importanza: questi libri indimenticabili non sono necessariamente i più importanti che si siano letti. La conseguenza di una lettura dipende molto dall' età del lettore, da ciò che egli ha già letto. Ad un certo momento lo spirito è maturo per assorbire precisamente questo o quel libro ; un momento prima non ne avrebbe compreso tutta la portata, un momento dopo, l'avvenuta lettura di altri libri dello stesso genere potrà, forse, render meno profonda l'impressione.

Ma è anche difficile spiegare la propria scelta ad un pubblico con diversi orientamenti linguistici. Fra i libri verso i quali sono maggiormente debitore ve ne sono di olandesi, necessariamente sconosciuti ai lettori italiani di queste mie note. Non vi è nel mio elenco alClill libro in lingua di derivazione latina, per il semplice fatto che una lingua del genere ci è assai difficile in Olanda. Sono soprat- tutto l'inglese ed il tedesco che si leggono facilmente nei Paesi Bassi, e il mio elenco personale lo testimonia.

J. T. è fra i massimi economisti viventi. È professore di econometrica a Rotterdam e consulente del Governo olandese, delle Nazioni Unite, della Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo, ecc. Ha ricevuto lauree honoris causa dalle Università di Amsterdam, Friburgo, Bruxelles,

Lisbona, Strasburgo, Grenoble, OsIo.

7

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LE STAGIONI

Fatalmente, è ovvio che gli interessi e le specializzazioni professionali influiscano sulla scelta. Da parte mia debbo confessare che fra i libri favoriti ve ne sono di matematica pura, dati i miei orientamenti intellettuali. Ecco perché il famoso articolo del mio maestro Paul Ehrenfest e di sua moglie Tania Manassjewa, nell'Enciclopedia delle scienze matematiche, sulla termodinamica ha avuto molta importanza sulla mia cultura. È lill articolo di un nitore senza precedenti, di una obiettività ideale. Nello stesso periodo della mia vita (ero studente) sono stato parti- colarmente impressionato dal libro di geometria analitica del professore olandese

J.

A. Barrau, soprattutto per l'efficienza, l'eleganza e la flessibilità del metodo. Questo libro mi ha insegnato come lo strumento analitico possa essere adattato all' oggetto della ricerca.

Molto più tardi varie pubblicazioni di Ragnar Frisch, l'economista norvegese, mi hanno colpito per la chiarezza e l'originalità del metodo. Una sola citazione: i ben noti appwlti scritti per le Nazioni Unite nell'aprile del 1949 con il titolo «A Memorandum on Price-Wage-Tax-Sub- sidy Policies as Instmments in Maintaining Optimum Employ- ment». Nel frattempo avevo ammirato l'audacia scientifica di Colin Clark, che in The Econo,mics oJ 1960, apparso nel 1942, osava affrontare il problema della struttura economica del mondo intero in un avvenire assai lontano.

Finalmente, nel campo della scienza pura ho molto ammirato certi lavori di Norbert Wiener sulla cibernetica, soprattutto a motivo della analogia da lui indicata tra le macchine calcolatrici e il funzionamento del sistema nervoso dell' uomo.

D'altra parte i miei interessi si sono sempre divisi tra ,i problemi sociali e i problemi di scienza pura, per cui la mia formazione deve molto anche agli autori sociali.

Già al tempo della scuola secondaria un autore olandese, Frederik van Eeden, riusciva a commuovermi con la visione poetica del problema sociale presentata nel libro De Kleine Johannes (<< Il piccolo Giovanni »). Un po' più tardi 1'amico Eduard van Cleeff mi ha mostrato l'essenza 8 della visione sociale nell' opera Social-economische ordening

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· i

PRIMAVERA 1965

(<< L'economia sociale programmata »). Quando avevo

già deciso di aderire al Partito Socialista Olandese il libro di Hendrik de Man, De psychologie van het socialisme (<< La psicologia del socialismo ») mi ha aperto gli occhi per una interpretazione realistica, umana e sociale delle forze motrici che operano nel movimento operaio.

Al tempo stesso Jolm Maynard Keynes mi ha convinto, con le Economie Consequences oj the War, dell'utilità pratica dei suoi nuovi metodi, il cui spirito appare già in questa pubblicazione. il suo pensiero mi ha nuovamente nutrito all' epoca della grande depressione, apportatrice di miserie e di sconforto per i disoccupati, ed insieme, in quella circo- stallZa, ancora una volta ho apprezzato Hendrik. de Man con il suo Programma di occupazione.

il senso della storia l'ho gustato in G. B. Shaw, soprat- tutto per mezzo del suo dramma Giovanna d'Arco, dove egli fa comprendere la responsabilità delle autorità eccle- siastiche in un episodio che divide il protestantesimo dal cattolicesimo. Avvenuta la seconda guerra mondiale, lo storico britannico E. H. Carr mi ha entusiasmato con la sua analisi del periodo 1919-1939: The Twenty Years' Crisis.

In questi ultimi tempi è il problema dei paesi sottosvi- luppati che tende a diventare, per me, il problema prin- cipale. I miei orizzonti si sono sensibilmente ampliati grazie alla lettura dei risultati di una ricerca statistica sul- l'agricoltura cinese, opera del prof. Buck, e grazie al pic- colo libro del grande storico inglese Arnold

J.

Toynbee:

The World and the West.

E infine, in seguito alla guerra fredda e agli immensi pericoli dell' armamento nucleare, è ancora un fisico che ha stimolato le mie riflessioni: Leo Szilard, noto autore di numerosi articoli sull'« Atomic Science Bulletin».

Ed eccomi ritornato alla materia con cui inizia: la fisica ...

J./~

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INVITO AL

COLLEZIONISMO

LA FILATELIA

Investire i gropri risparmi ad un tasso talvolta prossimo al 20

10

annuo, con scarsi rischi, senza bisogno di particolari cure amministrative, e per di più diver- tendosi, è certo il sogno di molti, e soprattutto di chi è lontano dagli alti misteri della finanza. Ebbene, queste favorevoli condizioni possono forse essere offerte dal- l'investimento filatelico; o cosi credono i sèmpre più numerosi appassionati ...

li francobollo ha in effetti assunto, in modo partico- larmente evidente da alcuni anni, una nuova ed interessante funzione. Nato in Gran Bretagna nel 1840 come prova del pagamento anticipato del porto di invii postali, dive- nuto ben presto oggetto di collezionismo puro, come può essere oggi il collezionare scatole di cerini, non ha tardato a rivelarsi anche un importante affare economico.

Proprio in questi giorni a Londra si celebra il centenario di uno dei primi cataloghi prezziari, lo Stanley Gibbons, la cui ditta esiste e prospera ancor oggi.

Dapprima, tra gli scarsi collezionisti erano molto più frequenti gli scambi che gli acquisti, anche perché i fal- sari avevano praticamente campo libero. Sorsero poi e si consolidarono importanti ditte, i periti dettero una maggiore sicurezza, soprattutto per i pezzi importanti, ed il commercio filatelico prosperò. Con 1'aumento dei collezionisti, vari francobolli ebbero sensibili aumenti

IO dei prezzi: e ciò cominciò a richiamare l'attenzione degli

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investitori, ed a dare nuove forze ai collezionisti tradi- zionali. Finché si arrivò al momento in cui 1'aumento dei mezzi in cerca d'investimento provocato dallo svi- luppo economico, i timori, fondati o meno, di infla- zione e di provvedimenti governativi di vario genere, 1'energico incoraggiamento dei commercianti, e 1'ancora più energica spinta della speculazione, provocarono un vero boom del francobollo, che è tuttora in pieno svol- gimento.

Gli specialisti sottolineano che la fIlatelia è favorita da ragioni tanto semplici quanto costanti, come il suo valore didattico e la sua accessibilità a persone di qualsiasi età e classe sociale. Inoltre da qualche tempo il francobollo è considerato uno dei beni di rifugio più appetiti, e un alto esponente del mondo bancario ottimisticamente lo ha defInito: «titolo al portatore, in costante aumento, esigibile a vista sul mercato mondiale: non ha cedole, ma gli interessi si capitalizzano automaticamente ».

Esso infatti rappresenterebbe lill' assicurazione per il rischio di svalutazione, non essendo un valore monetario;

e d'altro canto in periodi di stabilità economica e di pro- sperità, 1'aumento dei collezionisti e della loro domanda garantirebbe un ulteriore reale progresso delle quotazioni.

È inoltre difficile che i redditi da investimento fIlatelico siano colpiti dal fIsco (vi è però una I.G.E. piuttosto forte, del I2%; ma essa si riferisce solo alle operazioni commer- ciali, e neppure tutte); è improbabile una nazionalizzazione delle collezioni, e d'altronde lo Stato ha lill notevole interesse al prosperare della fIlatelia: la vendita di francobolli di nuova emissione a collezionisti, che non llSufruiscono perciò del servizio postale, frutta ogni anno miliardi allo Stato italiano (e si pensi che un terzo delle entrate di staterelli come il Liechtenstein sono di origine fIla- telica!). Ed ancora: il francobollo è facilmente esporta- bile, il dazio doganale è comunque molto basso; e 1'esi- stenza di lill mercato mondiale permette un certo distacco dalla situazione contingente di un singolo Paese.

L'interessamento per il settore ftlatelico si va estendendo:

vi sono rubriche fIlateliche in molti periodici, e numerosi I I

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LE STAGIONI

articoli sono apparsi in quotidiani politici e finanziari;

anche radio e televisione dedicano trasmissioni al fran- cobollo. Lo stesso sistema bancario sembra avviato a rico- noscere la nuova funzione finanziaria del francobollo:

dal 1964 abbiamo esempi di banche italiane che conce- dono, come regola e non più come eccezione, anticipi su valori filatelici; ma già nel 1921 il Dorotheum di Vienna faceva ciò! Speriamo che gli esempi italiani si moltiplichino.

A questo P LilltO, bisogna assolutamente distinguere i vari tipi di collezione ftlatelica. Vi sono le raccolte senza ordine alcLUlO di francobolli comuni, spesso difettosi, pressoché sempre senza neSSLill valore. Vi sono le raccolte tematiche, composte di serie complete o singoli franco- bolli, di qualunque Stato, riferentisi ad Lill tema comune:

esse sono molto interessanti, molto belle, ma non harmo di regola grande valore commerciale o scientiftco.

Passiamo alle raccolte di studio: ammirate e premiate nelle grandi mostre, minuziosissime, faticosissime, che danno la fama ai grandi filatelisti e costituiscono la vera

@atelia classica; ma, commercialmente parlando, sono non di rado un cattivo affare.

Ed arriviamo alle collezioni da investimento: esse pos- sono essere o complete di un dato Paese, o più spesso limi- tate ai pezzi-chiave, accuratamente scelti in base al loro avvelùre commerciale, e non già in base a criteri di com- pletezza o bellezza. In esse entrano sovente stocks rile- vanti di uno stesso francobollo; non sono fatte per le esposiziOlÙ, e d'altronde cercano di vivere il più possibile nell' incognito.

Se non si harmo sufficienti conoscenze riguardo al mer- cato filatelico, volendo investire denaro in francobolli è bene rivolgersi a ditte di grande nome e pari serietà.

Sono queste di regola ditte che pubblicano, direttamente o meno, cataloghi e riviste proprie .. Mi riferirò, senza nominarle, a due grandi organizzazioni di Torino e di Roma.

La prima, nel relativo quindicinale, segnala pezzi inte-

I2 ressanti per investimento ftlatelico, e comunica, di solito

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PRIMAVERA 1965

a distanza di un anno, i propri prezzi di riacquisto, infe- riori in genere del 20% alle nuove quotazioni.

Qualche esempio dei migliori affari così consigliati:

nel 1960, « coroncina» d'Italia in quartina per L. 275.000;

oggi vale almeno L. I.200.000, ed è vendibile per circa un milione; nel 1960, serie non emessa di S. Marino, posta aerea, per L. 100.000; valore attuale L. 950.000, realizzo circa L. 750.000. Questi sono solo esempi, e neppure i più clamorosi: certo, non tutti i francobolli consigliati hanno reso così; ma quasi tutti hanno dato frutti abbon- danti.

La ditta di Roma, come altre ditte italiane, offre un investimento espressamente garantito: se 1'acquirente non trovasse da rivendere convenientemente ciò che ha acqui- stato con questa clausola, gli è garantito il rimborso del prezzo e degli utili maturati a giudizio della suddetta ditta,

« che mediamente si sono sempre rivelati non inferiori al

IO'1o

annuo». Si tratta perciò in pratica, nel peggiore dei casi, di una speciale operazione di finanziamento, garantita da valori filatelici.

Clù vuole dunque, senza particolari conoscenze, inve- stire in francobolli per ricavarne 1m utile, si indirizzi verso queste forme più o meno espressamente garantite, e non si lasci ingannare dalla bellezza apparente di pezzi di carta senza avvenire. Si ricordi inoltre che le mode si alternano sulla cresta dell' onda, e che anche in questo campo non bisogna essere riluttanti a vendere, quando un determinato settore ha raggiunto la maturità.

E, se con il tempo sorgerà la passione fIlatelica, con parte dei proventi della raccolta-investimento si potrà dare vita ad una vera collezione permanente, fonte di inattese delizie e della tanto desiderata distensione per il proprio spirito.

GIORGIO ROTA

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LA BELLE EPOQUE

Senza programmarlo (come oggi si dice), il Direttore si è trovato con alcuni articoli concernenti gli anni tra l'Ottocento e il Novecento, gli anni della belle époqlle. Naturalmente i facile dimostrare che la belle époq/le fu laida, come quasi qualunque altro periodo della storia. c li mito dell'età dell'oro (scrive Sauvy) si perpetua di secolo in secolo e costituisce un bisogno dell'umanità D. M. Rainbaud, ministro francese dell'istruzione pubblica, il 28 ottobre 1897 affermava: «il problema di vivere si è fatto più arduo, è finita per tutti la tranquillità di una volta •. A Parigi vi erano cento mila vagabondi o mendicanti e la settimana lavorativa era di sessanta ore.

I sindacati si davano un gran da fare, e pO/lr ca/lse. Tuttavia, l'umanità aveva due guerre mondiali di meno sulle spalle e non sapeva ancora di possedere tra le sue fila gli Hitler e gli Stalin. L'incubo della distruzione atomica o della dittatura « fantascientifica. non turbava i sonni dei nostri padri. Dunque si può apprezzare la belle époq/le senza vergogna, dedicarle qualche pagina indulgente e continuare per comodità a chiamarla belle époq/le.

Economia della belle époque. Vi fu veramente una belle époque? Alcuni, con la consueta pedanteria degli analisti di professione, cominciano a dubitarne. Dicono che il bilancio degli anni fin de siècle è corroso da un sentimento amaro di delusione. La proterva sicurezza, l'ottimismo di marca positivistica sono presto scomparsi, e un' ondata di scetticismo, talvolta puramente negativo tal' altra colorato da torbide venature mistiche, sembra sommergere l'Europa. E questi felici a loro insaputa, questi bell' époquisti, cercavano anch' essi di evadere, come gli uomini di ogni tempo, alle grigie pareti dei loro anni e scoprivano le scienze occlùte, i tormenti del satanismo, le anime esotiche ed il superuomo.

Da un punto di vista più generale, l'istruzione pubblica non aveva prodotto quegli effetti che i promotori si atten- devano, il nunlero degli analfabeti era diminuito rispetto a cinquanta o vent'anni prima, ma le letture del « popolo )) erano qualitativamente peggiorate. Inoltre, si andava pro- filando una separazione sempre più marcata tra milieux borghesi e milieux popolari; gli artigiani scomparivano per lasciar posto ai proletari: la cosiddetta intellighentia 14 si allontanava sempre più dal resto della società. Con tutto

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ciò, non si creda che gli « intellettuali» od anche solo i borghesi si disinteressassero della seducente questione sociale. Al contrario, se ne parlava dappertutto, e molti eran quelli fermamente intenzionati ad « andare verso il popolo». Tant'è che nel 1896 Le Figaro scriveva: <l Le pape est socialiste, Guillaume II est socialiste, Maurice Barrès est socialiste ... Nini-patte-en l'air est socialiste. plus on a des rentes, plus on fait rien ... plus on est socialiste ».

Tuttavia, nonostante questo gran parlare, la massa ope- raia era quasi del tutto abbandonata a se stessa, e percorsa da fremiti disordinati. L'influenza dei sindacati restava mediocre, le Camere del lavoro funzionavano soprattutto come centri di agitazione, i capi dei vari movimenti ponevano la loro speranza essenzialmente nell' azione diretta, cioè nell'insurrezione. Di estrazione erano piccoli borghesi, preferibilmente educati nei seminari, non ancora del tutto spogli del romanticismo quarantottardo. Avevano fiducia nel mito di uno sciopero generale che paralizzasse totalmente la vita economica e distruggesse di colpo 1'or- dine capitalistico. In Francia, ad ogni primo maggio, si gridava: « Le grand soir est pour demain ».

E per domani rimase. Perché, in realtà, gli affari anda- vano abbastanza bene in tutti i Paesi europei. Mai come allora la libera circolazione delle persone e dei capitali, 1'assoluta interconvertibilità delle monete, la stabilità dei prezzi davano la sensazione di un'Europa ricca, prospera e felice. Anche l'Italia, paese in ritardo nello sviluppo economico, partecipava a questo movimento di espansione.

Spentisi finalmente i sussulti di fine secolo con i penosi processi per i fatti di Milano ed il regicidio, 1'« Italietta ) giolittiana si era messa fervidamente al lavoro, e proprio questo fu il suo periodo di rapido progresso industriale, tra il 1896 e il 1908. Quegli anni costituirono veramente il punto di svolta dell' economia italiana, il primo serio avvio al trapasso da un' economia prevalentemente agri- cola ad altra prevalentemente industriale.

Molti erano i problemi da risolvere, e molti anche furono forse gli errori commessi. Certamente si commi-

sero degli sbagli gravi da parte della politica economica I5

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LE STAGIONI

del governo, la cui azione d'intervento fu in troppi casi o framment~ia o unilaterale o inadeguata o addirittura di ostacolo. E risaputo che lo spezzettamento del mercato dei capitali era in Italia molto accentuato, e che in Italia la banca non riusd come in Germania a sorreggere il processo di industrializzazione fornendo non solo il capi- tale ma anche buona parte della guida imprenditoriale.

Inoltre, inauguratasi col Giolitti la politica di non inter- vento nei conflitti sindacali, gli scioperi assunsero propor- zioni mai viste: e nesst.mo certo oserebbe deplorare i non rilevanti miglioramenti economici che ne derivarono per il lavoratore italiano. Ma è tuttavia necessario dire che in Italia, a differenza di altri Paesi dove i miglioramenti del livello di vita tendevano a seguire ad un periodo di rapido sviluppo industriale, i due processi furono sostanzialmente contemporanei. E questo fu un ostacolo non piccolo, non soltanto in quanto elemento di disturbo nell' andamento della produzione ma anche come impedimento al risparmio forzato, e perciò per 1'autofinanziamento delle imprese di più forti proporzioni.

Con tutto questo, il miglioramento generale vi fu, e vasto. Esso costituisce un merito storico della borghesia, nelle cui mani, a dispetto della struttura formale dello Stato, stavano quasi tutte le leve del potere. La grande forza della borghesia consisteva (e forse consiste tuttora) nel non costituire una classe sociale chiusa, ma di essere, al contrario, un milieux aperto a quanti sapessero innal- zarsi al suo livello.

n

« borghese della belle époque» era spesso munito di buoni studi. Leggeva ogni giorno il suo giornale, compe- rava qualche libro e trascorreva ogni tanto una vacanza all'estero. Aveva un conto in banca, cominciava timida- mente ad usare gli assegni e si interessava al corso delle borse. In ogni caso aveva un lavoro, un impiego, da cui traeva la massima parte del suo reddito annuo. Questo reddito non doveva mai essere completamente speso: era un dovere morale fortemente sentito quello di mettere da parte ogni anno qualche risparmio. Un borghese è innanzi tutto un uomo che « ha qualche cosa dietro di sé »

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PRIMAVERA 1965

e che non pensa con terrore all'incertezza del domani.

In questo senso, ed in quanto glielo consenta la stabilità della moneta e del sistema, il borghese è un uomo libero.

Questi borghesi non erano forse consci di vivere l'ora suprema del loro modo di essere. Non molti anni dopo lo spettro dell'irrazionale così amorevolmente coltivato da filosofi, artisti e letterati prenderà corpo, mentre il cele- brato concerto europeo, ultima vestigie della cristianità medioevale, entrerà in rapida dissoluzione, ed allora la cupa minaccia della guerra, quella vera, apparirà inevita- bile. In un quadriennio di terrore, l'apocalisse devasterà l'Europa, e, alla fine della tormenta, il vecchio Continente avrà virtualmente perduto il dominio ·del mondo.

Perciò, la belle époque è bella, soprattutto agli occhi del poi; un'epoca che, accanto alle debolezze ed ai vizi di ogni tempo, possedeva un raro equilibrio e virtù insigni, ed era indubbiamente orientata verso il progresso. Un progresso non soltanto tecnico ma umano .

.MARIO ABRATE

ltalo Cremona tra '800 e '900. È raro che un libro diverta prima di esser scritto (e dopo). Questo mi è capitato per l'ultima fatica di Italo Cremona, Il tempo dell'Art Nouveau (Vallecchi, 1964).

Visitai l'autore alcune volte nel periodo di gestazione. Lo spet- tacolo di casa sua era più che mai bizzarro. I documenti che egli stava raccogliendo formavano alte colOlme di carta in equilibrio instabile. Non si trovava più una sedia libera, con costernazione dell'amabile padrone di casa. Cremona usa fermare i foglietti di note inchiodandoli ai mobili, e questa abitudine crea alcuni problemi anche in tempi normali. Ma nella fase di preparazione del libro ogni superficie lignea orizzontale o verticale si trovò presto coperta di carta. Finiti i mobili, Cremona dovette ricor- rere ad apposite aste di legno, che appoggiò agli angoli dei muri.

La carta ingiallita e polverosa faceva presumere che quegli appunti, una volta inchiodati, 110n eran più letti né cercati.

Così è nato un ottimo libro. Un'altra volta trovai Cremona

immerso nelle minuzie della vita domestica, che lo distoglievano 17

(20)

LE STAGIONI

dallo scrivere sull'Art Nouveau. L'inciampo era allora costituito da un campanello, un comune campanello, di quelli che all'uscio annunciano i visitatori. Non elettrico (non si capisce perché si sia elettrificata anche la scampanellata) carico d'anni, doveva essere salvato da una lunga malattia e Cremona disperava di riuscirvi: auspicando almeno una soluzione mista, tra manuale ed elettrica.

li libro non disconosce questo Cremona singolare, chino sulle piccole cose che lo attraggono. li divertimento, l'umorismo, l'ironia, hanno libera circolazione nelle sue pagine. Ma Il tempo dell'Art Nouveau è tante cose. I nostalgici della belle époque vi troveranno quadretti deliziosi. È trascorso un mese da quando ho letto l'introduzione e non riesco a dimenticare l'immagine dell'orchestrina delle «dame viennesi ». Me le sogno di notte:

l' orchestrina suona una musica muta, come può accadere nei sogni.

Gli amanti dell'iconografia vi troveranno 374 illustrazioni tutte interessanti, alcune sorprendenti. I cacciatori di erudizione faran bottino facilmente, grazie anche al dizionarietto dell'Art Nouveau, che chiude il libro. Perfino coloro che si occupano di economia, come il pubblico di questa rivista, saranno soddisfatti.

« W. Morris, che sovente non riesce a convincere di come possano andare d'accordo Ull certo culto della bellezza e le riforme sociali ».

... «Ahimè, ahimè, l'utilità nella bellezza, la bellezza nell' utilità!

No, decisamente O. Wilde non aveva ferme convinzioni in proposito » ... ~ A volte l'inclinazione erotica andò al servizio della protesta sociale o anticlericale, come

fo

il caso di Félicim Rops, bravissimo uomo, d'altra parte » ...

Le citazioni del genere S1 pescano a piene mani del libro di Cremona, che non è un economista, ma ha capito quanto fossero ingenue e approssimative le idee economiche in certi ambienti culturali della belle époque. Eppure quelle idee hanno avuto vita lunga, e bisognerà ricordarsene quando si scriverà la storia degli errori moderni.

MARco MARTINEZ

I dilettanti dell'economia: Oscar Wilde. Fra le mille 0 18 cento mila varietà di socialismo vi è anche quella di Oscar Wilde,

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La Belle Epoque: nuove tecniche

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La Bclle Epoquc: nuove decorazioni

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La Belle Epoquc: nuovc ideologie

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La Belle E poquc: nuo ' VI V" IZi

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PRIMAVERA 1965

che se non raccoglie molte simpatie fra· gli economisti, è apprez- zata dai letterati, compreso il liberale

J.

L. Borges. Wilde, come altri artisti inglesi e non inglesi della belle époque, Ruskin e Morris per esempio, si dedicò seriamente all'esercizio di immaginare cocktails di economia, di politica, di estetica, di utopia; quest'ul- timo ingrediente il più abbondante. E ci lasciò un' operetta, L'anima umana in regime socialista, che si fonda sulla stupefacente affermazione: « lo Stato ha per scopo di fare ciò che è utile, la funzione dell'individuo è di fare ciò che è bello».

il sogno di Wilde è semplicemente l'abolizione del problema economico. Ora è vero che anche un grande economista come Keynes sostenne che il problema economico non è un problema permanente della razza umana; ma ne collocò la scomparsa nel futuro, quando l'ingigantirsi dei mezzi di produzione, merito soprattutto del progresso tecnico e dell'accumulazione di capitale, avrà in confronto minimizzato l'importanza dei nostri bisogni materiali. Wilde invece, smanioso di disfarsi dei noiosi compiti di produzione, li accolla allo Stato e crede davvero di aver libe- rato sé e tutti gli individui dalla maledizione di Adamo. « il socia- lismo, il comunismo, - chiamate come volete il fatto di con- vertire ogni proprietà privata in proprietà pubblica, di sostituire la cooperazione alla concorrenza - ristabilirà la società nel suo stato naturale di organismo assolutamente sano, e assicurerà il benessere materiale di ogni membro della società».

Per Wilde, la proprietà privata è un peso che schiaccia lo stesso proprietario: « se la proprietà non comportasse che piaceri, noi potremmo accomodarci nel suo possesso; ma i doveri che vi si riallacciano la rendono insopportabile. Noi dobbiamo sop- primerla, nell'interesse stesso dei ricchi». Allora, tutti poveri l

No, continua l'esigente Wilde, in quanto le qualità dei poveri,

« bisogna riconoscerlo, sono ancor più deplorevoli»: essi sono ingrati, malcontenti, indocili, ingovemabili. Anzi, « come classe, le persone agiate valgono più delle povere, sono più morali, più intellettuali, più ordinate»; dichiarazione che, in un pro- gramma socialista, è un po' inattesa.

Non poveri, dunque, ma ricchi, e ricchi senza preoccupazioni, perché alla ricchezza pensa lo Stato. Wilde concepisce lo Stato come « una organizzazione volontaria, che organizzerà il lavoro,

che fabbricherà e distribuirà gli oggetti necessari ... Bisogna che 23

(26)

LE STAGIONI

ciascuno abbia la libertà di scegliere il suo lavoro. Non si deve esercitare su alcuno coazione di sorta. lo stento a credere (pro- segue Wilde) che si trovi oggi un solo socialista che possa pro- porre che ogni mattina lITI ispettore vada in oglù casa, ad assi- curarsi che il cittadino che vi abita s'è levato, e fa le sue otto ore di lavoro » .

Nel mondo di Wilde la pigrizia non esiste: «molti piani socia- listi, cadutinù sotto gli occhi, !1Ù son sembrati viziati da idee autoritarie», ma Wilde sembra non capire perché anche certi socialisti si preoccupino della disciplina. Apparentemente l'abo- lizione della proprietà privata basta per assicurare che t~tti diven- tino virtuosi. Se vi sararmo delle eccezioni, dovranno occupar- sene i medici, «per una malattia da trattarsi con attenzione e bontà». Altre volte, risvegliatosi dal sogno, Wilde ammette che forse la statalizzazione non basta e che occorre la tecnica:

«l'uomo ha ben altro da fare che spazzare le vie dal fango: tutti i lavori di questo genere dovrebbero essere eseguiti da macchirIe ».

Ma poi sùbito harmo il sopravvento le fantasticherie anarchiche:

l'umanità che saggiamente passa il tempo a divertirsi, a godere di piaceri raffinati, a creare opere d'arte, a contemplare l'Ulùverso, senza alClITI governo, nemmeno il più democratico dei govenù.

li sistema di Wilde, non è democratico, ma anarchico. «Tutti i siste!1Ù di governo sono degli aborti», e quanto alla democrazia, il governo popolare, l'autorità delle masse e della folla, Wilde se la cava con una serie di ingiurie: «autorità cieca, sorda, lurida, grottesca, tragica, divertente, seria ed oscura». Cosi nella tra- duzione dell' editore Mammolo Zamboni, bolognese, che diremmo fìloanarchico, come il suo autore.

li libro, dopo varie divagazioni, che condarmano il matri- monio ed esaltano la Grecia classica e il Rinascimento (<< perché non pretese risolvere alcun problema sociale »), lanciano bor- date anticlericali e irmeggiano a Cristo (ma «il vero cristiano è nichilista »), termina con il postulato di ogni utopia: la natura umana cambia, e cambia facilmente. «Sbarazziamola delle con-

diziOlÙ attuali, e la natura umana cambierà». Oh bastasse desi-

derarlo!

SER.

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«ARRIVAR,E»

L'uomo che non è arrivato. Trent'anni fa. In una sOlmacchiosa cittadina di provincia in cui feci il liceo conobbi, subito dopo la laurea, il giovane figlio di un distinto medico dell' ospedale. Aveva qualche anno meno di me e risiedeva in una grossa città ove studiava scultura in una grossa (ed illustre, ed antica) scuola; e nella citta- duzza sonnacchiosa compariva di rado; e, quando vi gitmgeva, si faceva un po' notare per la voluta - ma misurata - estrosità del suo vestire; ma, poi, nel nostro gruppo di studenti e di praticanti professionisti, sapeva portare una nota nuova parlando di esperienze artistiche con foga ed accento di passione sincera e citando correnti italiane e straniere a noi del tutto sconosciute. Durante le sue lunghe assenze di lui mi parlava di tempo in tempo il padre, che si doleva di avere un figlio tanto preso dal- 1'arte e tanto distaccato dalle cose pratiche; ma era chiaro che quelle doglianze sottintendevano la soddisfatta fierezza paterna e una certa sicurezza di un luminoso avvenire del figliolo.

Tre mesi fa. Mi avvicina in tm bar di Milano, ove io e lui siamo capitati per caso. Non lo riconosco, e forse lui ne è mortificato; ma non oso spiegargli che io lo ricordo fisicamente molto diverso e che il suo nuovo modo di vestire non aiuta il mio ricordo. Parliamo delle nostre famiglie e di noi stessi. Mi spiega che si occupa sempre di scultura, ma che non ha molto tempo per il lavoro in proprio; è divenuto una specie di propagandista dell'arte;

« viaggia» per una ditta di manichini per vetrine (ad alto livello - soggiunge - : lo posso garantire come artista). Mi lascia il biglietto da visita per il caso che avessi bisogno

di lui; ma io, dopo matura riflessione, ho deciso di non 25

(28)

LE STAGIONI

fare in casa un museo delle cere perché occuperebbe troppo posto e perché mia moglie ha dichiarato che sarebbe una cosa molto triste.

L'uomo che crede di essere arrivato. Un soggiorno né bello né brutto, che ha tutto quanto è richiesto dalla moda: un arco per far sembrare che vi sian due ambienti, pareti color pastello, uno di quei tappeti persiani che ora si comperano per poco, un mobiletto quasi antico, un televisore modernissimo, 'uno scaffale di libri vistosamente rilegati. È la nuova casa di Carlo, capo divisione al Mini- stero, in pectore per essere forse (se le cose vanno bene) promosso Ispettore generale fra diciannove o venti mesi al massimo (dopo il collocamento in pensione di quel capo divisione che è inviso al Direttore Generale e di quel- l'altro che l'ha fatta quasi grossa).

Siamo al terzo piano della villetta di un quartiere tutto nuovo, di case appartenenti a cooperative edilizie finan- ziate dallo Stato non ricordo in base a quale legge. Nel- l'appartamento di fianco abita un vice prefetto, nell' attico il Direttore Generale di non so qual Ministero, al piano sotto vi stanno un cancelliere dirigente e un professore

di latino e greco. ,

ti colloquio procede un po' stentato, come sempre avviene ai vecchi intimi amici con cui ci si vede, ormai da molti anni, assai di rado. Egli torna di tempo in tempo a parlare d'ufficio e della promozione che dovrebbe avve- nire fra 19 o 20 mesi (ma forse magari solo fra ventitré);

ed io vorrei dirgli qualcosa, ma non so uscire dal generico.

lo parlo di me, e hù è in imbarazzo, per cui continua ad offrirmi whisky: forse rensa che, vivendo in provincia, mi sia dato all' alcoo come i medici condotti di settant' anni fa.

Dopo mezz' ora mi alzo e scorgo presso la porta, in una modesta cornice - la fotografia del paese ove egli abitava quand' era studente ed in cui suo padre fece per vent' anni il pretore. Non so trattenere un' esclamazione quasi di giubilo e, rotto il gelo, ricordo con foga quei

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PRIMAVERA 1965

tempi remoti, quando studiavamo insieme, e lui diceva di voler fare il magistrato, ma solo e sempre di pretura, ed in un piccolo centro, possibilmente salubre e solatio, per amministrare paternalmente la giustizia fra gente che lo conoscesse e che lo amasse, e per aver tempo libero per una propria vita spirituale intima, per la famiglia, per la letteratura e l'arte - che tanto amava - . Mi guarda stranito, come se avesse dimenticato e ora ricordasse, e forse turbato da quel lontano ricordo 'che pare d'incanto;

A romper l'incanto suona il telefono: è sua figlia che avverte che cenerà fuori casa. Posato il telefono, rivolto a me, sussurra « ricordi della nostra ingenuità d'un tempo:

ora il mondo è cambiato»; e si scusa di dovermi lasciare perché deve andare ad lm' anteprima. «Ho il biglietto d'invito, e mi tocca andare», soggiunge, coll'aria distac- cata delle persone importanti; ed io esco fuori, al sole di Roma, che è pur sempre bello.

L'uomo che sa di essere arrivato. Era un ragazzone esuberante, ma molto studioso, che si era laureato in ingegneria elettrotecnica e che si stava specializzando, con molto successo, in non so quale ramo particolarissimo della per me misteriosa materia.

Velme, la guerra, e lo persi di vista. Ne lessi il nome sul giornale, fra quelli dei maggiori contribuenti dell'imposta complementare; mi informai e seppi che era dirigente di una grossa industria in una città dell'Italia Settentrionale dove qualche volta capito di passaggio.

Un mese fa, trovandomi in quella città ed avendo due ore a disposizione, lo cercai per telefono. Non riuscii a parlare con lui, ma lasciai alla segretaria il mio nome.

Ieri ho ricevuta una sua lettera, dalla cui intestazione ho capito che, dopo essersi molto ben specializzato in un ramo particolare di elettrotecnica, egli è diventato nulla meno che direttore amministrativo di una S.p.A. che produce tessuti elastici e vice presidente di un'impor- tante associazione che non ho capito cosa sia. La lettera,

cortesissima, in sole quattro righe e mezza scritte con 27

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LE STAGIONI

piglio sicuro, nù assicura del suo buon ricordo e l1Ù comunica che il dotto ... potrà, previo appuntamento, ricevermi p\,!r ascoltar benevolmente in che cosa il suo principale può essermi utile. Gli ho subito scritto dicendo che mi sarebbe stato molto utile che l1Ù insegnasse come si fa ad « arrivare », e sto attendendo istruzioni.

L'uomo che non sa di essere arrivato. Lo conosco da pochi anni: da quando cioè l1Ù son trovato a frequen- tare un certo ente, pel quale ho anche prestato per qualche tempo un certo lavoro.

Siede al fondo di uno scalone, in 1m bel locale luminoso che si apre su un giardino; e non ho mai capito quali mansioni abbia. Fa certo da cerimOlùere perché saluta, con molto garbo, ed indirizza i visitatori; ma deve essere anche una specie di capo giardiniere perché l'ho visto dar ordini per la sistemazione delle aiuole. Credo che occupi il suo posto da molti anni perché conosce quasi tutti, e molti si intrattengono con lui a discorrere dei fiori, per C1Ù ha passione non solo professionale, e di musica, di cui è quasi un intenditore, o della sua fal1Ùglia, che è molto ben avviata (con un ragazzo geometra e una figliola diplomata maestra). Quando è solo e non ha da fare (ciò che capita assai spesso) legge spartiti musicali con la faccia di Wl uomo felice. Ma un giorno l'ho sco- perto che compilava la schedina del totocalcio e gli ho domandato che cosa volesse dalla sorte; non me l'ha saputo dire ma l1Ù ha detto di aver giocato duecento- settantotto volte e di voler continuare sino al giorno in cui vincerà.

MARIO LONGO

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L'ACQUA

"Laudato si', mi Signore, per sor'acqua,

la quale è multo utile, et humele et pretiosa et casta"

E sia fatta lode al Signore anche per aver concesso all'acqua di violare le leggi che governano tutti gli ele- menti del Creato. Un rigido ma noI1 avveduto tutore dell' ordine universale, già fin da prima che la vita fosse, avrebbe potuto convocare l'acqua in giudizio. Tutti i liquidi, solidificando, si contraggono e, riscaldati, aumen- tano di volume. L'acqua non rispetta affatto la prima di queste norme ed aumenta di volume quando solidifica - e non di poco, il ghiaccio pesa il ro% in meno - , mentre fa capricci con la seconda norma. Riscaldata fra o e 4 centigradi infatti, invece di dilatarsi, si contrae, poi torna a rispettare la legge universale. Così l'acqua, che raggiunge il suo massimo peso specifico a 4 oC, alla temperatura di o °C pesa come quella ad 8 oC, ed in questo intervallo l'ordine resta sovvertito.

Non è un capriccio femminile, che pure l'acqua potrebbe permettersi al pari di una bella donna, in quanto, termi- ca mente, è una vera regina, capace di asso.rbire, contenere o cedere (a parità di peso) tanto calore quanto a quasi neSSlill altro' corpo è dato; avendo in ciò due soli rivali:

l'idrogeno, che la supera con triplice capacità termica, e l'elio, che di poco la sorpassa. Ma non sono avversari competitivi, per essere entrambi enormemente volumi- nosi'; mentre poi l'acqua, per capacità termica, di molto distanzia tutti gli altri corpi, tanto che l'unità di misura

del calore, la caloria, è un suo retaggio. Non è un capriccio 29

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LE STAGIONI

il SUO, ma lilla indisciplina ragionata. Se solidificando, avesse seguito la regola, comportandosi come tutti gli altri liquidi, oggi non vedremmo più acqua sulla terra - né saremmo noi II a guardare - : invece degli oceani,

av~emmo un enorme continente ghiacciato.

E facile rendersi conto del perché, senza scendere in una spiegazione tecnica fuori luogo. Se ogni cristallo di ghiaccio precipitasse sul fondo appena formato, è chiaro che mai più potrebbe rivedere la luce del sole e non potrebbe più sciogliersi. il rapido congelamento degli oceani e di ogni altra massa d'acqua, sopprimerebbe il mezzo di accumulo della enorme riserva termica che regola la temperatura del mondo. L'acqua, invece, si scherma, proteggendosi con quel ghiaccio che sospinge in alto e fa galleggiare affinché il sole, nel ciclo o diurno o sta- gionale, torni a scongelarlo. Altrimenti, il calore verrebbe rapidamente irradiato e perduto. Né alcun rimedio sarebbe da attendersi dal flusso termico proveniente dal centro del nostro globo, sia per la conduttività del ghiaccio, che è tripla di quella dell' acqua, sia per il suo calore specifico, che ne è la metà, e ne favorirebbero la dispersione. Vedi, in proposito, il comportamento. dei ghiacciai permanenti.

L'equilibrio termico che consente la nostra vita e quella di tutti gli esseri, è dovuto quindi all'indisciplinato virtuo- sismo dell' acqua. Grande accumulatrice, assorbente avi- dissima ed avvedutissima, ha negli oceani la enorme riserva di calore, che smista, dona, reintegra con sapiente saggezza, in ogni luogo della terra, sia spostandosi essa stessa, sia usando come veicolo l'atmosfera. Irrigidita in una enorme massa ghiacciata, sarebbe inerme, come qualsiasi altra roccia, una cosa morta. È in virtù della sua indisciplina che può scaldarsi o raffreddarsi, cambiare di stato, in ghiaccio od in vapore, compiendo il miracolo di esporre al sole le masse ghiacciate più fredde, in grado di assor- bire più calore, mentre sotto scorrono liberamente acque più tiepide - gioco veramente ammirevole specie nel- l'intervallo fra o °C ed 8 °C, per la strana equivalenza del peso specifico a tali estremi e per il subbuglio che si 30 verifica nell'intervallo.

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Impareggiabile nei suoi attlV1sslmi scambi, sale rapida al cielo come vapore e ridiscende pioggia, grandine, o neve, lasciando nell' aria il calore che libera bruciando un buon kg di coke per ogni IO kg di pioggia precipitata;

con una ulteriore mancia del 15% se il ritorno è sotto forma di grandine o neve. In non poche regioni d'Italia, le precipitazioni annue superano i 1000 rnm d'acqua, che sono un milione di tonnellate per ogni Kmq. È un dono all' atmosfera del calore ottenibile da un milione di quin- tali di buon coke. ti che, commisurato a tutta 1'estensione del territorio nazionale, comprendendovi anche i nostri mari, equivale a 60 miliardi di tonnellate all' anno; cioè qualche cosa come due mila volte 1'equivalente in calorie di tutto il consumo annuo nazionale di combustibili e carburanti.

Ma 1'ac8ua non è solo la regolatrice termica del nostro pianeta. E la regolatrice della temperatura del corpo umano con la traspirazione. È dotata del peso pili adatto per

~orreggerci, vi galleggiamo e ci spostiamo in essa nuotando.

E solvente universale di sali e di gas; consente ai pesci di respirare, ai molluschi di fabbricare il guscio, alle alghe di vegetare. A seconda di come si dispone nell' aria, ci consente di vedere o no il sole, ci nasconde nella nebbia, ma ci offre anche il magnifico spettacolo dell' arcobaleno.

Ci dilava,_ imbianca o mitraglia, con pioggia, neve, o grandine. E preziosa quando è poca e ci disseta, è terribile quando è molta; 1'uragano, 1'alluvione, la tempesta, sono i segni della sua potenza. Collabora coll'uomo e gli cede la sua energia, docile nelle centrali idroelettriche e veicolo prodigioso in quelle termiche, a vapore. Indifferente alla elettricità, che conduce se ricca di sali, o non conduce se pura, è padrona dei fulmini nel cielo. La stessa indif- ferenza che ha per 1'elettricità, la conferma per le radia- zioni nucleari. L'acqua «pesante », moderatrice delle rea- zioni a catena termonucleari, non si irradia.

Nemica del fuoco, dal fuoco nasce. ti fuoco la scinde, ma ricombinandosi nei suoi due elementi: idrogeno ed ossigeno, rigenera fuoco e rinasce. È immortale. È 1'anima

di tutto il creato, che solo per la virtù dell' acqua può 3I

(34)

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LE STAGIONI

vivere. Con tutti i nostri fuochi, le nostre auto, solo in Italia produciamo più di 15 milioni di tonnellate di acqua all' anno! Non abbiamo nesstm' altra produzione che superi tale peso, siamo quindi, senza volerlo, tutti produttori d'acqua.

L'acqua, femmina e madre, sa attendere od accorrere, precipita senza morire, sa mimetizzarsi, scomparire e riapparire, s'infuria e si acquieta, sale al cielo e ridiscende, sa far massa o frazionarsi, non va mai contro corrente, ma raggiunge sempre le sue mete. È grande maestra da imitare.

Ci sembra che vi sia una cosa che scorre anch' essa ogni giorno nelle nostre mani, e che abbia tentato di imitarla:

il danaro. Nel mondo dell' economia, si comporta come l'acqua nel mondo naturale. Scorre, affiuisce, si accumtùa e si disperde, fa soffrire quando è scarso, travolge l'tllna- nità quando è troppo. Sfuma, si dilegua a poco a poco e si riaccumula. La sua presenza è sempre segno di vita.

Adatta senza ortodossia ai luoghi ed ai tempi le sue regole.

È il simbolo dell' energia e del potere. Sospinge il mondo verso il bene o verso il male. Però l'acqua sembra mùla, invece è tutto; il danaro sembra tutto, in realtà è così poco ...

RrCCARDO MOLARI

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MACCHINA

D E R I s A

L'Uomo di domatù, o tutt'al più di dopodomalù, non avrà più bisogno di cervello. Benché, a rigore, anche quello di oggi ...

Potrà estrarlo dalla sua scatola cratùca, spolverarlo accuratamente, ripulirlo dalle ragnatele e conservarlo nella naftalina. Sostituendolo con lill cervello elettronico, esente da euùcratÙe, sul tipò di quello che riuscirebbe - sarà I non sarà I - a sbancare persirlO Sairtt Vincent. Addio esaurimenti nervosi, cosi utili come pretesti tuttofare.

Sarà la Macchina a diventare Uomo o sarà l'Uomo a trasfor- marsi in macchina I li problema, un problema di reciproca fago- citazione, è tutto qui. Sono io che mangio te, o sei tu che divori mel Secondo il dottor Peter Kelly, uno dei migliori specialisti spaziali americatÙ, tra dieci anni, potremmo possedere il « Super- uomo», Ulla specie di Ultramacchina, Wl capufficio meccanico.

Infatti il dottor Kelly è certo che allora non vi saramlO in lill

ufficio che Ull uomo e venti o trenta macchine in sottordine.

L'uomo avrà in testa, non la papalina o il Qorsalino, ma una specie di casco marziano con un elettrodo, grazie al quale tra- smetterà le sue istruzioni alle macchine trasformando le correnti elettriche cerebrali in ordini diretti ai vari meccatÙsmi. Se una macchina commetterà un errore, sarà sufficiente al « Superuomo » pensare la correzione perché la rettifica si compia immediatamente.

Siamo in piena fantascienza. Ma le più sbalorditive profezie del caricaturista-scrittore Albert Robida (r848-r926), nel suo «Ving- tième Siècle», non soltanto si sono avverate, ma sono state stu- pefacentemente superate.

Invece, secondo quanto afferma Norbert Wiener, il padre della cibernetica, anche quell'Uomo sarà superfluo poiché è imminente il giorno in cui le macchine «cervelli meccatÙci»

saranno capaci di un «loro ragionamento» e potrarmo far tutto 33

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LE STAGIO:NI

regolando la loro condotta futura tenendo conto delle esperienze passate. Agli uomini non resteranno, se pur resteranno, che esigue attività artigianali - coltivare l' orticello, rendersi utili in cucina - , o artistiche. Benché, dati gli andazzi attuali, non dovrebbe essere difficile realizzare anche il robot pop-art ...

L'Uomo è venuto al mondo col « complesso del padrone» e la Macchina dovrebbe costituire il suo schiavo di domani. il sostituto moderno del captivo di guerra, del servo della gleba, dello zio Tom ... Questi suoi sogni, che si potrebbero definire

« i sogni del pigro», li ha sempre manifestati attraverso la Cari- catura la quale, si voglia o no, è lo specchio sin troppo sincero - benché evidentemente sia uno specchio convesso - dei suoi stati d'animo, il rivelatore del suo subcosciente, dei desideri repressi.

il Caricaturista ha fama di essere un pessimista e come tutti i pessimisti, in fondo, è un sentimentale. È sempre stato convinto che la Musa Ispiratrice di ogni inventore sia la Pigrizia, la più dolce e più saggia tra le dee, nel senso che ogni nuova invenzione, ogni nuova macchina, viene escogitata dall'Uomo esclusivamente per risparmiarsi una fatica. Stanco di strascicar dorme per i capelli, o di spinger per terreni impervi enormi carichi, inventò la ruota, chiave fondamentale del progresso umano. Dopo la ruota, sognò. il carro che gli parve più comodo. Si disse poi che sarebbe stato più comodo ancora se il carro si fosse mosso da solo trasportandolo stravaccato in poltrona. E si lambiccò il cervello sinché non affiorò l'idea «automobile »: a vapore, a pedali, a motore a scoppio che, per secoli, ispirò i caricaturisti. All'automobile, furono necessarie le gomme ed emerse l'idea-Dunlop che fece germogliare nel cervello di Leopoldo del Belgio l'idea-Congo.

Ecco come sono concatenate le cose umane!

il compito del disegnatore satirico è quello di sognare, creare progetti che possono apparire in quel momento manicomiabili;

il compito dell'inventore invece è quello di veder se si possa cavar fuori qualcosa di pratico dal trabiccolo immaginato da « quel folle ». La Caricatura Tecnica è vecchia quanto la Caricatura.

In tempi preistorici fiorirono disegni satirici sulle «invenzioni»

di Dedalo, sui progressi della meccanica; ma i documenti più antichi pervenuti sino a noi risalgono al 1200, alle incisioni cioè per l'Ortus Deliciarum di Herad von Landsperg in cui appaiono 34 le prime caricature sul torchio.

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PRIMAVERA 1965

Il.' torchio - forse per presaga e istintiva riconoscenza verso Gutenberg alla cui invenzione la Caricatura deve tutto il suo prodigioso sviluppo - fu il protagonista di una infinità di satire.

Fu la prima «macchina' ad essere caricaturata nelle vecchie primordiali xilografìe del Medioevo per simboleggiare la spre- mitura del contribuente o del dongiovanni micco, da parte del fisco l'uno, della megera avida l'altro. Il «pressoir des éponges du Roy», disegnato nel 1500 è un esempio di fantameccanica caricaturale, il progetto cioè di uno strozzacittadini, di uno stran- golacontribuenti perfezionatissimo che ha certamente ispirato, nel tempo, eserciti di ministri delle finanze, di intendenti, di esattori e fantasiosi accertatori.

In un'anonima vignetta dai colori preepinaleschi del 1795, il tradizionale torchio è ormai superato e il disegnatore propone al suo posto un trabiccolo irto di ruote, congegni e carrucole, grazie al quale si possono sottoporre a radical pulitura le gonfie tasche del profittatore della Rivoluzione. Prima idea del moderno aspirapolvere e dell' aspiraquattrini fiscale.

Un altro imprevedibile spunto alla Caricatura delle Macchine velme offerto, nel Medioevo, dalla navigazione sia aerea che subacquea. La Terra parve sempre esigua persino ai primi due antropomorfi che abitarono il mondo! Volare fu il sogno eterno dell'Uomo d'ogni tempo. «Se volano i passerotti - si disse Dedalo - perché non dovrei volare io che sono homo sapienS1 ~.

Il Canto di re Alessandro fu un « best-seller» del 1300. Il Gabinetto delle Stampe di Berlino ne possiede una copia manoscritta del

I 320, illustrata con gustose miniature satiriche. In una di esse, si vede Alessandro che si fa involare verso il cielo in una lettiga trainata da grifoni. «Ho avuto l'impressione di poter toccare il cielo - e mi son fatto preparare una lettiga di ferro - e mi son fatto fare delle stanghe a cui ho attaccato grifoni addomesticati.

Con lma pertica avvicinavo loro il cibo costringendoli cosi ad agitare le ali». Il bastone-carota applicato alla meccanica del volo. Alessandro si dilunga quindi a spiegare la sua semplice e pratica trovata. Quando voleva innalzarsi, sollevava la pertica col cibo sul muso dei grifoni i quali si inarcavano, sbattevano le ali sforzandosi di addentarlo e cosi l'apparecchio di Alessandro prendeva quota. Quando voleva atterrare, metteva la pertica sotto

il muso dei grifoni i quali istintivamente si sforzavano di abbas- 35

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LE STAGIONI

sarsi. Semplice, no 1 Inoltre Alessandro avrebbe inventato anche il modo di navigare sottacqua. Si faceva calare a « trenta tese sotto il livello del mare» in una specie di botte riccamente foderata e fornita di trono, collegata per mezzo di solide catene ad una barca che la trainava. Esistono varie versioni caricaturali di questo

« sottomarino". In una miniatura del 1320 è appunto a forma di botte, mentre in una xilografia del 1488, assai più caricaturale, assume 1'aspetto di una cassa di sapone.

Anche il Bellifortis del maestro d'arrni Konrad Kyefers von Eichstadt, che per circa due secoli fece testo in materia di stra- tegia militare, è arricchito - nella sua edizione del 1405 conser- vata nella Biblioteca di Gottinga - da miniature caricaturali che raffigurano bizzarre e iperboliche macchine da guerra. Aggeggi alla Mi.inchhausen forse ritoccati da arguti successivi disegnatori.

Paradossali e buffe macchine da assedio, strampalate teleferiche, due carntcole e una corda, che trasportano da una montagna all' altra cavalli bardati con armigeri in groppa. Hans Wettinch si chiede se queste incisioni si debbano, o no, considerare vere caricature, cioè caricature « intenzionali». Evidentemente tali appaiono ai nostri occhi di posteri, e il sapore arguto di para- dosso e di grottesco le fa classificare senza incertezze come Cari- cature. Si deve ricordare che a quei tempi, tutte le arti figurative assumevano ml certo sapore arguto-polemico-satirico. Gli scultori delle chiese si sfogavano pupazzettando in grotteschi bassorilievi le persone che riuscivano loro antipatiche, come riflesse da specchi deformanti. In una cattedrale tedesca, sotto un gntppO è persino specificato: « Questi cammelli sono i padri della città che mi hanno rifiutato IO mila marchi a causa della loro gret- tezza». Usanza che si protrae sino al nostro tempo. Nei giorni scorsi, i cittadini di Swaffan, Cambridgeshire, hanno protestato perché uno scultore aveva caricaturato nei « doccioni» ornamen- tali del campanile se stesso e i suoi aiutanti, anziché i maggiorenti del paese, ed hanno ottenuto che i mascheroni incriminati venis- sero rimossi e sostituiti con altri raffiguranti le autorità locali

pupazzettate. .

Ma inequivocabilmente caricaturale è una stampa del 1554,

« L'Inventore e il Diavolo», in cui si vede lo scienziato armeg- giare intorno a meccanismi e congegni, ispirato e consigliato da 36 diavoli mostntosi, significando cosi che ogni nuova invenzione

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PRIMAVERA 1965

è una diavoleria. Verso quel tempo apparve a Lipsia una edizione illustrata dell'Attacco coi gas dei Tartari, scritta tra il 1415 e il 1480 dal polacco Dlugoz. Dalla bocca di un terribile teschio con pizzo, troneggiante in un pauroso stendardo tagliato da una X sangui- nolenta, sarebbero scaturiti vapori pestUeri che avrebbero posto in fuga e distrutto le truppe polacche nella guerra del

xm

secolo.

I mulini fornirono molti spunti ai caricaturisti della meccanica:

mulini che macinavano avversari politici o religiosi, come nella

famosa tavola di Utz Eckstein, o ill1l.ulino fontana di giovinezza del 1785, di Weiler Tripstell, ricalcato da una trovata del 1620 di Palus Fust, in cui i giovani scaraventavano grinzose vecchiacce le quali, dopo essere state opportwlamente macinate, scaturivan fuori giovani e bramose, e venivano afferrate al volo dai galanti cavalieri

In questo periodo nei-e-cicisbei, i caricaturisti si affannarono a inventar macchine al servizio della stramba moda. In una stampa del 1775, si vede un'ingegnosa carrOZ2a con sedile eiettabile che, snodandosi meccanicamente, si innal2ava sino al balcone per accogliere l'incipriata dama dalla parrucca iperbolica, e depo- sitarla nella vettura. Operazione che altrimenti sarebbe stata

impossibile! Su queste monumentali, paradossali, parrucche 37

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